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mercoledì 31 dicembre 2008

Giornata mondiale della pace

In occasione della Giornata mondiale della pace, sulla quale non saprei dire nessuna parola che non suoni retorica per chi la vive davvero, raccolgo l'invito di un'amica anarchica a dare spazio a quanto segue. Forse che sul nostro blog appaiano parole di chi indubbiamente "ha la maglia di un'altro colore" stupirà qualcuno, ma io credo sia davvero ora che chiunque sogna un mondo migliore si dia da fare insieme per costruirlo... almeno un po'...
Dunque grazie a Gaia!

"Cari, vi segnalo anche questo articolo da PeaceReoporter... Potreste dargli spazio, se potete... visto che domani (per i cattolici) è anche la giornata mondiale per la pace.... e qui si dice con precisione cosa significa una guerra... non ci sono teorie o diplomazie, ma cosa è una guerra... a me, nel '94, l'ha fatta capire la guerra, un signore in un piccolo paese vicino a Mostar (Bosnia), Cjaplina, durante i bombardamenti, quando ha voluto mostrarmi che dalla 'vita' in giù era fatto tutto in gialla e calda vetroresina.... poichè era saltato su una mina con il suo trattore... non ha fatto discorsi... mi ha preso la mano, intanto che si beveva una rakkia (grappa), me l'ha messa sul suo bacino, passando dal sorridente al terribile serio... e dicendomi, ancora con sorriso... vedi tu sei italiano, come questa protesi che mi hanno fatto a biella: La guerra è questa roba qui!! Tutto il resto sono manovre politico-economiche..."

martedì 30 dicembre 2008

La Madre della fede

…la festa di Capodanno è carica già per conto suo di simboli emotivi e culturali che in ogni popolo e civiltà segnano una consapevolezza sempre più intensa del passare inesorabile del tempo, come a dire che la vita dell'uomo sulla terra ha una scadenza, a cui ci avviciniamo inesorabilmente, tra nostalgia del passato e speranza per il futuro. E dappertutto sono sorti riti, cerimonie, gesti simbolici più o meno sacralizzati dalla tradizione, per manifestare questi sentimenti, paure, attese, auguri. La liturgia più antica celebrava in questo giorno il ricordo della circoncisione e dell'imposizione del nome di Gesù (Salvatore), con Maria e Giuseppe, ufficialmente nel Tempio, otto giorni dopo il Natale, come si racconta nel Vangelo di Luca.Più recentemente la Chiesa ha messo tutto questo carico di storia e di futuro sotto la protezione di Maria, Madre di Dio, che appunto è la più coinvolta, per tutti noi, nel mistero del Dio fatto carne, che è il cuore della nostra fede.

nato da donna: ricominciare dalla Madre!

…per capire come "ha brillato il volto di Dio" sul mondo, cosa "ha detto" la sua Parola "benedicente" nella storia, per i cristiani vuol dire, forse, che bisogna ricominciare il racconto da Maria, il luogo umano in cui Cristo si è fatto uomo, come è detto nelle lapidarie parole di Paolo: Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge. Donna e legge sono la matrice del giudeo credente: la donna lo inserisce nella catena generazionale del popolo eletto; la legge lo plasma secondo l'alleanza stipulata coi padri. Dio non poteva infatti "toccare terra", se non tramite una donna, che l'accoglie, lo "capisce", lo concepisce, ne fa un "concetto umano", in questo mistero dell'incontro Dio/uomo, in cui il senso dei "verbi" esplode e ci rimanda dal piano biologico a quello psichico e affettivo, a quello mentale e spirituale… perché il seno di carne, il cuore degli affetti, l'intelligenza consapevole della mente diventassero il luogo di radicamento e crescita umana del Figlio dell' "Altissimo", in questa "piccola" donna riempita (letteralmente) di Grazia divina. Ma ricominciare da Maria vuol dire tornare al racconto dell'infanzia di Gesù secondo il vangelo di Luca, cioè imparare a leggere "teologicamente" gli avvenimenti che ci sono detti, cogliendo il senso profondo delle intenzioni di Dio nella storia – per imparare a rileggerli nella nostra storia di oggi.

Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.

Il cuore, questo cuore pensante, è l'alveo della fede. In questa riflessione attenta fatta di amore e di intelligenza, in lei per prima si accoglie, si conserva e si elabora la nuova memoria teologica dei discepoli di Gesù, che registra e indaga gli eventi di salvezza, che avvengono dentro di lei e attorno a lei e segnano ormai l'arrivo della "pienezza del tempo", il tempo in cui Dio ha trovato finalmente chi lo ascolta. Era inevitabile che "i padri" vedessero in lei riassunti e verificati tutti i simboli, le categorie, i vari personaggi profetici che, come dirà Gesù, si riferivano a lui – ma sono passati attraverso di lei, sua madre nella testa e nel cuore.

Cosa pensava "nel suo cuore", mentre gli eventi le sconvolgono la vita? Tutto in lei converge a capire cosa significhi l'avvenimento che le era stato annunciato (concepirai e darai alla luce un figlio… Figlio dell'Altissimo!). Ma chi le insegna a capire, come riporta accuratamente il racconto di Luca, sono i più poveri che ha intorno, quando reagiscono agli eventi, guidati dallo Spirito! La prima è Elisabetta coinvolta anche lei nell'ombra della grazia del Natale, che le dice: beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore ha detto. E quindi conferma Maria nella sua totale consegna di obbedienza di fede al Signore, come aveva risposto all'angelo: avvenga per me secondo la tua parola! Ma subito dopo, è attenta testimone di… "tutti coloro che udivano (le cose capitate in casa di Zaccaria) e le custodivano in cuor loro, domandandosi: che sarà mai questo bambino"? Anche lei impara a fare così: confrontava tra loro, nel suo cuore, gli eventi che viveva e cercava di capirne il senso (Lc 2,19: … da parte sua, custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore; 2,51: sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore!)

La LUCE sui pastori: la dinamica della fede

Anche i pastori erano stati avvolti da una improvvisa annunciazione di angeli, in un'esplosione di luce – a segno (e sacramento) del rifulgere in loro (tra gli impuri, gli ultimi della società!) del mistero che si manifestava nella storia. Quando gli angeli se ne vanno, e si spengono le luci, i pastori si parlavano: Andiamo verso Betlemme e vediamo questa parola/fatto. Comincia la dinamica fertile della fede cristiana: dal pensiero illuminato alla progressiva trasformazione dell'agire… E così questi reietti, sorprendentemente prediletti, "in fretta" se ne vanno, assumendosi la responsabilità delle conseguenze della luce che Dio ha fatto loro conoscere. E che fanno? Trovano Maria, Giuseppe e il bambino nella mangiatoia E vedendolo hanno un'ulteriore comprensione del fatto/parola che era stata loro detta (evangelizzata), in ordine al bambino. E ancora vanno a comunicarla – e comunicandola la rinnovano in sé e ne gioiscono!

… È questa, dunque, la dinamica evangelica che avviene in Maria e attorno a lei. In proporzione alla nostra fede ‑ che è "accogliere e serbare in cuore, domandandosi il senso di ciò che avviene…" ‑ il mistero che celebriamo diventa di un'attualità nuova nell'intimo dei noi stessi e nella chiesa. Ed allora avviene che questo mistero ci spinge fuori da noi stessi, per trasformarci progressivamente, per ottenere maggiore coinvolgimento delle nostre facoltà, della nostra conoscenza e delle nostre opere (con quanta resistenza e fatica e rifiuti… lo registra la segreta biografia spirituale di ognuno). Questa pagina, come tutto il racconto dell'infanzia di Gesù nel vangelo di Luca, ci fa da traccia e insieme dà conforto per capire il processo di umanizzazione nuova a cui il discepolo del Signore è chiamato, nella dinamica della sua esistenza cristiana, cioè cosa vuol dire in concreto per lui la rivelazione, l'incarnazione, l'irruzione, insomma, di Dio nella nostra storia! Maria, madre della fede, ci ha aperto questa nuova via di umanità e ci accompagna su questa strada.

Il SEGNO dato è di una esiguità estrema

Allora come ora, il gesto, il segno o l'evento che ci smuove è, in genere, povero e tanto insignificante, che prende rilievo soltanto dalla luce improvvisa di prima, quando ci ha mosso. Comunque sia la storia di ognuno, fatta sempre di dolore e gioia, speranza e peccato mescolati insieme, una luce ci ha illuminati e attratti tante volte, per un istante,… ma adesso questa luce non c'è più! I pastori l'avevano accolta con gioia e se ne erano lasciati illuminare e com/muovere… ma non c'è più! Così Maria nella sua vita nascosta! Siamo tornati nella penombra del quotidiano feriale, e ce ne è rimasta solo l'impronta e la memoria. O anche una sorta di verifica: vedono il bambino nelle condizioni descritte. Ma questa verifica parla solo a chi ha custodito nel cuore la memoria della luce, con attenzione amorosa a ciò che aspettava e l'ha mosso. Altrimenti non significa niente, o comunque non cambia la vita.

Cos'è il mistero della fede? Scintille intermittenti (Dossetti)…

Il dono di questa luce "di fede" avvolge il fondo più intimo del nostro essere umani… dove siamo generati non dalle nostre opere o dai nostri buoni propositi, ma dallo Spirito. Noi lo crediamo anche se è difficilmente percettibile, data la coriacea consistenza e la vischiosa lentezza della nostra carne, che teme soprattutto di dover morire… Ma di questa luce "che rifulge in terra tenebrosa" possiamo avere in qualche momento esperienza, se facciamo attenzione alle sue scintille fioche e molto intermittenti: incontri, sofferenze, gioie… riconoscenza! Esperienze che ci riportano al senso della vita nel riferimento a Gesù e al suo vangelo, nell'attenzione affettuosa alla sua presenza, da accudire e custodire gelosamente, altrimenti le scintille si perdono, e ne rimane solo il dato materiale, non parlano più. Infatti, che un segno sia leggibile in modo positivo e smuova il nostro cuore è solo in rapporto alla luce essenziale della fede, rappresentata in noi da queste scintille successive, da queste esperienze profonde, ma incatturabili e indimostrabili e tuttavia vere e sentite nel fondo dell'animo, a indicare (sempre con qualche trepidazione) la presenza misteriosa dello Spirito Santo, in proporzione, appunto, ai frutti dello Spirito: se cioè ci aprono il cuore e la mente a seguire la via del Signore… Possiamo solo riceverle e custodirle, tentare di rendere queste scintille più continue tra loro attraverso atti singoli di fede, operazioni concrete di obbedienza (andate… sono andati! In fretta!). I nostri sforzi di assenso alla fede, piccoli atti di consegna di sé nelle minuscole vicende quotidiane, talora seguono, talora anticipano, con un colpo d'ala interiore, la convinzione. Piccoli gesti concreti che, se moltiplicati in un tessuto continuo, saldano l'una all'altra queste scintille e ci danno, pure nelle tenebre, una certa continuità nell'esperienza di fede, nel cammino della vita. È appunto il riferimento a questa luce, conservata con lucida e intelligente memoria affettuosa, che rende i segni percettibili, se no si vanificano… Quello che rimane e ci trasforma è il momento di fede che avremo vissuto nella nostra vita, la capacità di accumulare e condensare atti di fede, magari piccolissimi, uno dopo l'altro, giorno per giorno, che rendono sempre più vera e conseguente l'esperienza del mistero di Gesù, che abbiamo in cuore… Per diffonderlo attorno a noi nella esperienza mite ed umile di cui parla Paolo: che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!

venerdì 26 dicembre 2008

Fractio panis...

A Berna, un'anziana signora ultra-ottantenne, essendo rimasta sola e non avendo voglia di cucinare solo per se stessa, si reca tutti i giorni a pranzare alla Migros, una catena di ristoranti self-service. Quel giorno decide di mangiare un bel minestrone di verdura. Prende un vassoio, riempie il piatto di minestrone, va alla cassa a pagare e prende posto ad un tavolo vuoto. Si siede, ma al momento di mangiare si accorge di non aver preso un cucchiaio per mangiare il minestrone.

Si alza, va alla cassa dove ci sono le posate, prende un cucchiaio e ritorna al suo tavolo, ma... lì seduto c'è un ragazzo africano che sta mangiando il suo minestrone! Sul momento la signora s’indigna e vorrebbe andare dal ragazzo a dirgli di tutto, ma poi pensa che, certamente, quell'emigrato l'ha fatto per fame e, passata la rabbia, decide di sedersi davanti al ragazzo e, senza dirgli nulla, incomincia a mangiare anche lei il minestrone. Il ragazzo africano la guarda stupito, ma lei gli sorride, lui le sorride e continuano a mangiare il minestrone: un cucchiaio lei, un cucchiaio lui… Finito il minestrone il ragazzo si alza, va al banco dei primi piatti, prende un piatto di fettuccine alla bolognese, prende due forchette e torna al tavolo.

Dà una forchetta alla vecchia signora, si siede davanti a lei e incominciano a mangiare le fettuccine, sorridendo: una forchettata lei, una forchettata lui... Terminate le fettuccine il ragazzo africano si alza, fa un sorriso alla signora e se ne va. La signora, contenta per aver fatto un’opera buona, si gira sorridendo, per salutarlo e.... ad un tavolo vicino, dietro di lei, vede un vassoio con sopra un piatto di minestrone... Il suo piatto!
fonte: Paolo Farinella: Lettera da Erika

La nuova famiglia, sotto il segno della fede!

la chiamata alle cose impossibili…

Tutta la liturgia di oggi è sotto il segno della fede. È questo il tema delle letture scelte, nell'antico come nel nuovo patto, per far divenire la famiglia umana una nuova opera di Dio. Abramo è esaurito, stanco e sconsolato. Ha già designato come erede il suo domestico fidato. Del resto Sara è sterile… Ma Dio cambia un destino ormai inevitabile in modo inaspettato e fa rinascere in cuore la speranza con una nuova promessa. Questo episodio è fondamentale nell'evoluzione della relazione con Dio. Costituisce un passo discriminante dalle nostre tragiche, se pur inconsce, proiezioni umane ad una più pura concezione di Dio. Ebrei, cristiani e mussulmani vedono in questo episodio sintetizzato il lungo "momento" in cui Dio ha manifestato il suo rifiuto dei sacrifici umani! Dunque, pur ribadendo in modo così drammatico l'assoluto potere sull'uomo, Dio si rivela un potere salvifico, che spinge l'uomo alla vita e alla crescita, non certo alla rinuncia e alla morte. È diviene una luce su tutti i matrimoni e i legami sociali, nella loro innata tentazione di pretendere per sé, e manipolare come copie di sé, i figli. Il figlio è dono di Dio, rimane sempre suo, e quindi sono i suoi progetti che si devono realizzare. Il figlio è il progetto di Dio nella famiglia "nuova", che vuol credere in lui e… affidarsi alla scoperta progressiva, anche se sempre umanamente sconvolgente, della benevolenza creativa del Padre La famiglia non deve mai chiudersi, ma rimanere aperta ai disegni di Dio, che non sono i nostri.

Dio rinnega e sconsacra il sacrificio umano

Tutto questo cammino di fede nell'impossibile, nel diverso, nel nuovo, che appare sempre ostico alla mentalità corrente, viene portato alla provocazione suprema, umanamente intollerabile, con la richiesta del sacrifico di Isacco… Dio fa irruzione così nella famiglia che ha creata e salvata dalla sterilità, e la distrugge. Abramo né è sconvolto, ma non discute con Dio come per Sodoma e Gomorra. Crede che Dio sa cosa farà e si prepara a restituirgli tragicamente il figlio della promessa. Anche Sara, nella sua sterilità, si era preparata a questa fede, secondo la lettera agli Ebrei, perché si era affidata a colui che, in età impossibile, le promette la possibilità di diventare madre, "e ritenne fedele colui che glielo aveva promesso". Nasce la famiglia nuova, credente, ma sanguinante, pur di rimanere aperta al progetto di Dio nella storia degli uomini. Un Dio che, se davvero ti affidi a lui, ti fa scoprire che le tragedie e le contraddizioni (e l'incubo della morte) nel cammino millenario dell'uomo, non sono il capriccio della Sua volontà misteriosamente perversa, che ha bisogno di sangue innocente per placarsi. Ma sono il costo della lenta e drammatica evoluzione dell'uomo dalla sua innata competizione omicida, rivestita di sacro e proiettata in Dio, verso la conquista di una nuova Alleanza. Nella quale Dio si rivela sempre più come il garante della vita, il propulsore di una instancabile apertura verso il futuro, di una dilatazione dei traguardi raggiunti a tutte le genti… Abramo tocca il fondo del problema della fede, che morde sempre l'uomo che geme sotto la morsa del dolore, tormentata dal dubbio che "il Dio che ti chiama" ti porti via le cose più belle che ti ha donato. Ma Abramo rimane fedele e spinge la sua fiducia all'estremo, perché Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo. : Isacco dunque è simbolo di una promessa di Dio, indubitabilmente mirata alla nostra salvezza, ma che trapassa l'anima come una spada. Simone, nel vangelo di Luca lo sa, perché è della stessa stirpe "spirituale" dei patriarchi!

Dio che visita il suo tempio 'per la prima volta'!

… in veste di bambino, figlio di Dio e figlio dell'uomo! non è accolto dal sommo sacerdote per essere introdotto nel santo dei santi, che sarebbe stata la sua vera casa, rigorosamente "vuota" in attesa di lui. Ma è accolto da un umile popolano di Gerusalemme, che lo prende in braccio, a nome di tutta la gente che da sempre lo attendeva. Perché ripetutamente lo Spirito ha chiamato Simone per spiegargli cosa stava capitando. È un vero profeta: perché è in ascolto della Parola; sa capire cosa dice, ed è proteso ad accoglierne e trasmetterne a tempo giusto il messaggio, che è sempre sia di consolazione che di sofferenza. Di consolazione, perché è la caratteristica di Dio, di essere amore di benevolenza (scudo e ricompensa) – di sofferenza, perché i pensieri e i metodi di Dio sono troppo diversi dai nostri, e quindi sembrano contraddirci. Ma questa "contraddizione" dolorosa e benedetta non è solo la parola promessa che esplicitamente ci chiama a conversione, da Abramo in poi… Adesso è la sua presenza divina stessa, in forma di germoglio umano, che incarna e realizza in modo impensabile e incredibile l'anelito incancellabile dell'uomo, che vuole a tutti i costi un figlio che rappresenti il suo futuro oltre la morte. Dio glielo dà, non solo all'altezza di tutte le sue attese e speranze, ma facendo del proprio Figlio il figlio dell'uomo! Tutto è nascosto nei segni simbolici e nei riti di purificazione che vedono in fila con gli altri il bimbo di Dio… non a purificarsi, ma a manifestare per noi la carica potente che contiene. Il segreto del bambino offerto da Maria e Giuseppe, dilaterà questa famiglia oltre ogni misura pensabile e per far arrivare la sua salvezza a tutta la famiglia umana. Ma anche la Madre incarna in sé il destino di qualunque credente che vuol essere al servizio di questa dilatazione del Regno Sarà coinvolta in questo progetto ormai avviato, che è il destino del Figlio, quindi non solo perderà il Figlio, ma sarà trafitta da una spada che gli attraverserà l'anima. Ritroverà la sua funzione materna (trafitta) quando sotto la croce del figlio sarà chiamata a divenire madre di tutta l'umanità.

Dall'economia della attesa a quella del compimento

L'evento che fonda Israele è il primato della fede, che trasforma l'infecondità di Abramo, in totale consegna di sé al Signore. E trova il suo compimento nella santa famiglia, che il vangelo vede riunita nel tempio. Dove l'ultimo mite ed silenzioso patriarca ha accettato di rinunciare anche lui alla sua paternità fisica, abdicazione impensabile per un ebreo, per tutto cedere e consegnare all'unica paternità creatrice. Diviene così profezia del supremo compimento della fecondità umana, che è custodire e accudire il mistero di Dio nel mondo.

Questo passaggio tanto lento quanto imprevedibile alla nuova strategia divina di salvezza, cioè all'economia della presenza, era iniziato dagli ultimi, i pastori, poveri e reietti. Ora il bimbo salvatore, finalmente arrivato, fa il suo ingresso ufficiale nelle grandi istituzioni di Israele, il tempio, la legge e la profezia. Ma anche qui, è silenziosa e insieme incontenibile la sua radicale diversità, pur nella scrupolosa osservanza delle norme e dei riti, perché il fermento della sua presenza è inarrestabile e fa scoppiare la contraddizione irrisolvibile che cova in queste istituzioni, pure sacre e necessarie. La contraddizione è questa: di essere fatte per accompagnare l'uomo alla meta della sua vita, ma di essere inadeguate allo scopo che li costituisce e per cui esistono. Appena, da grande, Gesù comincerà a parlare e agire, la contraddizione diventerà tensione esplosiva. Il tempio fatto per essere casa di Dio per gli uomini, è diventato spelonca di ladri. La legge che doveva essere lo strumento principe dell'educazione di Israele a camminare nell'Alleanza, diventa una denuncia drammatica del peccato, da cui non sa liberare gli uomini. La profezia continua a rimproverare a Israele il tradimento della giustizia e dell'amore, ma non riesce a ricondurre il popolo alla conversione. Ma la nuova economia ha il suo motore nello Spirito, che adesso sempre interviene… fino a spingere al tempio Simeone, che rappresenta tutti coloro che cercavano Dio in un tempio vuoto! È infatti arrivato colui che non soltanto conosce la strada per andare a Dio, ma "è la strada, la verità e la vita!". E rende felici tutti coloro che faticano e soffrono per trasformare un pezzo di mondo da tenebra in luce, pur sapendo che la strada del compimento finale è lunga: "Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele.


Saper Vivere è saper morire

La lettura dal libro della Genesi e l’ultima parte del secondo capitolo del vangelo di Luca, ci presentano, in questa prima domenica dopo Natale, le figure di due anziani: Abramo e Simeone.
Entrambi, nei testi, parlano, facendo quasi un bilancio della loro vita, e ciò che colpisce è il contrasto tra le loro parole.
Abramo infatti, sconfortato, si trova ad esclamare davanti al Signore che pure gli sta promettendo «un ricompensa grande»: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco. Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede».
È interessante quanto un testo cronologicamente così lontano da noi, riesca a esprimere con quel «Signore Dio, che cosa mi darai?», la situazione interiore che l’uomo di sempre, e anche di oggi, sperimenta in vita: quando sembra che neanche più Dio possa dire o possa fare qualcosa che risolva il nostro dramma interiore. «Signore Dio, che cosa mi darai?».
È l’impossibilità della vita, del ritornare a credere alla vita, alla sua sensatezza, alla sua bellezza... Sotto l’onda delle ferite che la storia ci ha inferto, delle disillusioni, delle amarezze, delle umiliazioni, delle infedeltà, davvero non si riesce più a fare come Sara, di cui la Lettera agli Ebrei dice: «ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso». Noi ci ritroviamo invece a non ritenere più degni di fede coloro che ci hanno promesso la vita, che ci hanno detto che c’era una felicità da cercare e che, per avvalorare la loro promessa, dicevano che qualcuno l’aveva anche trovata. Che si tratti di Dio o degli uomini, di chi c’ha messo al mondo o di chi ci ha amato, dandoci l’illusione di un mondo buono... non li riteniamo più degni di fede e con il salmista sempre più ci sentiamo di dire «Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo» (Sal 89,10).
Ecco il dramma! Il dramma di Abramo, che non lamenta tanto la semplice mancanza di un figlio, ma in esso, di un futuro, di una consistenza che duri, di un non finire nel niente... che è anche il dramma del salmista, che parla di dileguarsi... e di noi, che così spesso, ci pensiamo come meteore, destinate a una parabola che si consuma ed esaurisce.
Un dramma di fronte al quale non abbiamo risposte adeguate (possibili) e che ci trova perciò sempre arrabattati a inseguirne qualcuna, divisi tra chi si consegna all’angoscia, chi si rifugia nel magico (religioso), chi sceglie il nichilismo, chi la superficialità...
Ma poi c’è Simeone... un uomo che di fronte al finire della vita, dice cose diverse... e bellissime: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
Sono le parole di un uomo dalla vita compiuta, che può andarsene in pace perché ha visto la salvezza, la sensatezza, la felicità, diremmo noi.
Ma cos’è che fa discrimine tra le parole di questi due uomini? E tra le nostre situazioni umane, che contemplano l’esperienza di entrambe queste condizioni? Forse “solo” la consapevolezza di essere nelle mani di un Altro.
Non tanto nel senso spiritualoide e moralistico che noi spesso diamo a affermazioni come questa; quando di fronte al dolore e al dramma di chi ci sta accanto non sappiamo che dire e ci limitiamo a un’ipocrita e deresponsabilizzante pacca sulla spalla accompagnata da un banale “Affidati al Signore”.
Piuttosto nel senso di ritenere degno di fede colui che ci ha promesso che l’uomo non è destinato a finire nella tomba e a restarci, non è destinato a esaurirsi nei suoi insuccessi, nei suoi fallimenti, nelle sue infedeltà, nel suo peccato... ma è tenuto, nella sua qualità specificamente umana, nella sua identità di amato, anche quando lui stesso dovesse disperderla.
È perché è fondata su un Altro infatti che la mia vita – impossibile (nel superamento delle ferite e dell’annichilimento dell’anima e del corpo) – diviene possibile per me. È perché – come dice Molari – ho imparato a fidarmi così tanto della Vita, che posso perderla per ritrovarla; è perché non devo salvarla io, pestando i piedi in testa a chiunque la metta in pericolo, che posso Viverla.
Ma qualcuno potrebbe dire che questa è fantasia: è la favola consolatoria a cui Simeone, e poi tanti dopo di lui, hanno voluto credere, per sopportare l’atrocità di un destino di solitudine, morte e non-senso eterno.
Eppure Simeone – come tanti dopo di lui – non fonda sulle nuvole il suo saper morire (che equivale al saper vivere!), ma su una promessa, su un’attesa e su un bambino in carne e ossa. Tanto quanto Abramo, che dopo le parole sconsolate di cui abbiamo detto, accoglie invece una promessa, un’attesa, un figlio... Anche noi – come ha recentemente ribadito p. Giuliano Bettati durante il ritiro a Cassano Valcuvia – di questa luce che rifulge in terra tenebrosa possiamo avere in qualche momento esperienza, se facciamo attenzione alle sue scintille fioche e molto intermittenti: incontri, sofferenze, gioie... riconoscenza! [...] Esperienze profonde non catturabili e indimostrabili, e tuttavia presenti nel fondo dell’animo. [...] Possiamo solo riceverle e custodirle, tentare di rendere queste scintille più continue tra di loro attraverso singoli atti di fede, operazioni concrete di obbedienza; attraverso il ritenere degna di fede la promessa che hanno iscritta in se stessi. Ricordando che di tutti i cani che corrono per inseguire la preda, solo quelli che ne hanno sentito davvero l’odore, non desistono!
Ma perché a pochissimi giorni da Natale, dalla scintilla intermittente più decisiva dell’umanità, quella a cui sono riconducibili tutte le altre, ci ritroviamo a riflettere sul morire? Perché, come dice ancora Molari, la morte non è un incidente, bensì il criterio supremo della vita. La decisività di Gesù sta qui: nel dare senso al morire, e dunque al dare la vita, al Vivere! Infatti è solo se – in Lui – non avremo paura di morire, che non avremo anche paura di Vivere!

giovedì 25 dicembre 2008

Frammenti di Natale

Dal 1 di novembre 2008 don Franco è nostro vicino di casa, condividiamo quanto ci dona nelle sue omelie.

Il Segno, in fondo era proprio piccolo, assomigliava a tanti eventi, gioiosi, ma che accadono nelle case, nelle famiglie comuni, appunto il nascere di un bimbo e a Betlemme: questo era accaduto. Eppure questo Segno, piccolo, era preparato da un sogno e da un Sogno di Dio, non nostro, che stava nel cuore di Dio. Penso che tutti abbiamo ascoltato con un animo così quella splendida pagina del Profeta che poco fa ci ha fatto udire che potrebbero accadere anche gli abbinamenti più inconciliabili, le sintesi più impossibili, le vicinanze del tutto improbabili. Man mano che scorrevano le immagini del Profeta, questo lo sentivamo come qualcosa di assolutamente profondo: "spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci, una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra", fino a concludere con quel augurio che mi piace questa sera condividere come l'augurio più bello del Natale cristiano: "casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore". Ma proprio per questo siamo invitati ad entrare nel Mistero di Grazia del Natale, quella Luce che squarcia il buio della notte e irrompe dilagante; come la luce, appunto, non riesci mai a contenerla la luce, se c'è, entra, ed entra ovunque.
Paolo sembra volerci aiutare questa sera a riconoscere che qs non è un mito che dopo viene caricato di retorica, no, questo è un avvenimento accaduto per il volere di Dio, qualcosa che è entrato nella carne della storia degli uomini, nella terra degli uomini, nello scorrere del tempo degli uomini, lì è entrato, dove tutti noi ci muoviamo, dandoci un'immagine - Paolo lo fa così - che sorprende per tanti aspetti, un'espressione che probabilmente scorre via quando la ascoltiamo - quella che sta all'inizio del brano ai Galati che abbiamo ascoltato -, "Fratelli, quando venne la pienezza del tempo". Che significa? Ma il tempo non è una successione di giorni, uno dopo l'altro, di mesi, uno dopo l'altro, di anni, uno dopo l'altro, di decenni, di secoli? Quindi cosa vuol dire "la pienezza del tempo"? Sembra volerci proprio augurare questo, Paolo - penso di tradurlo fedelmente comunicandolo così -: "Non è vero che tutto è uguale nel tempo che scorre. Ogni giorno ha una durata uguale ad un altro giorno, ogni anno ha una durata uguale ad un altro anno, certo, ma non tutto quello che accade nel tempo ha un'importanza identica. C'è qualcosa che scorre via, già l'abbiamo dimenticato; c'è qualcosa che affascina al momento, ma dopo la vita conduce oltre; c'è qualcosa che rimane! Che quando lo avvicini, questo che rimane, ti accorgi che ha la solidità di una Roccia, è il Segno di una Verità incrollabile". Paolo vuole dirci: "Guarda che nell'apparire di infiniti bimbi che nascono, questo, questo, di Betlemme porta il Sigillo di una Promessa antica, di un sogno grande di Dio, questa è la pienezza del tempo, questo è il cuore del tempo. E il prima e il dopo girano attorno a questo cuore del tempo". E' un'immagine fortissima per dire: "Riconosci che quello che è accaduto nel Mistero di Gesù di Nazareth è qualcosa di assolutamente eccezionale, anche se ha, e con una intenzionalità vera di Dio, assunto da sempre il volto feriale, umile, discreto, tenero, di un bimbo che nasce nel cuore di una famiglia povera. Questo è l'invito ad aprire il cuore alla Grazia del Vangelo, questa è la Luce che irrompe. E le tenebre, per andarsene hanno bisogno di una Luce vera altrimenti rimangono implacabili nella vita e nella storia. Ma la Luce vera ha fatto breccia, è entrata: "Venne la pienezza del tempo!". Quindi non lo metto accanto a tanti altri episodi questo, lo racconto in modo semplice, certo, come in modo semplice Dio ce lo ha regalato, però è una cosa enorme, enorme! E' l'ingresso di Dio nella storia degli uomini, nel tempo degli uomini, nella carne degli uomini. E Dio è Dio! Dio non lo allineo alle cose banali: è Dio! Questo squarcia il buio della notte, questo. questa sera la nostra preghiera è attraversata da questa Luce. Infine, l'ultimo augurio ce lo regala Giovanni in quella pagina altrettanto splendida: l'inizio del suo Vangelo. Ma qui solo un frammento raccolgo, quello che ci è anche più caro, quell'espressione che sta nella parte finale: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". L'immagine, tratta dal testo originale di Giovanni, è quella della Tenda. "Ha messo una tenda tra noi", fatta di carne, come ognuno di noi, si è messo accanto. E' un gesto che parla da sé, dice il massimo della solidarietà possibile: "Io non intendo rimanere lassù, tra i cieli - sembra dirci Dio - Io metto la mia Tenda, è fatta di carne, come la vostra carne, dentro il vostro campeggio, dentro le infinite tende di uomini e di donne della storia di ieri, di oggi e di domani. Un'identica tenda simile alle vostre, e mi riconoscerete come il Dio vicino, il Dio con voi, come l'Emmanuele, il Dio con noi".
Sono frammenti del Natale quelli che ora ho raccolto e ho detto a voce alta unicamente per aiutare la preghiera di tutti, ma bastano dei frammenti a farci intravvedere la bellezza di un dono, dono per il quale stasera siamo qui insieme a pregare e a rendere lode al Signore.

don Franco Brovelli, Omelia nella Notte del Natale del Santo 2008

mercoledì 24 dicembre 2008

Se Dio, per farsi Dio, si fa uomo...

Buon Natale a tutti, Buon Natale a voi che siete presenti e siete venuti qui a cercare un po' di pace vera, un po' di tenerezza pura, un po' di gioia nuova, un po' di festa che duri anche quando questa è finita…

E portate anche il Buon Natale di Dio a chi non ha potuto venire, perché forse qualcosa o qualcuno glielo ha impedito, o forse perché oramai alla pace non ci crede proprio più.

Ma anche per loro e per noi tutti oggi, stanotte, è pace: pace sulla terra tutta agli uomini che egli ama, non: agli uomini di buona volontà, perché di uomini di buona volontà ce ne sono forse sempre meno (ricordate la domanda? Quando il figlio dell'uomo verrà sulla terra, troverà ancora la fede-la speranza?), ma gli uomini che Dio ama, crescono ogni volta che sentiamo un nuovo vagito.

Pace quindi agli uomini tutti, perché tutti egli ama: questa è la Gloria di Dio nel più alto dei cieli e nel più profondo degli abissi della terra. Ma una pace vera, una pace nuova, una pace viva, una pace non come la dà il mondo, ma come la sa dare solo Dio. Non quella pace che sappiamo darci anche noi, ma una pace umanamente impossibile e che col trascorrere degli anni forse neanche noi riusciamo più a desiderare. Quale è questa pace? È la pace tra ladro e derubato, pace tra assassino e ammazzato, pace tra tradito e traditore, pace tra la preda e il predatore, pace tra ricco e povero, pace tra eterosessuale e omosessuale, pace con chi non riesce a nascere, pace con chi non riesce a morire… Pace tra destra e sinistra, pace tra il credente e l'eretico, pace tra il vivente e il morente…

Pace tra Dio (sempre più diverso da come lo vogliamo) e l'uomo (sempre più diverso da come lo vuole Dio)… Pace nel cuore di ciascuno. Ciascuno se lo dica: pace tra me e me, pace tra ciò che io sono realmente e cioè che io sogno di essere e non riesco ad essere…

Come trovare questa pace, come trovare la luce in queste tenebre? Non ci sono soluzioni magiche… Dobbiamo fare come i pastori, obbedire all'annuncio che l'angelo anche a noi stasera rivolge: «troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
Troverete: Trovare è il verbo in cui trova riposo la fatica del verbo cercare. Solo alla fine del cercare si trova il riposare. Forse abbiamo smesso di cercare, e abbiamo certo le nostre più che buone ragioni per aver smesso. Ma in tutta la Storia sacra risuona un ordine, proprio quando noi ormai non ne abbiamo più voglia: alzati e cammina, alzati e cerca, alzati e trova… Non è il momento di riposare, riposeremo! Ora alzati e cerca!

Cercare cosa? Cercare, non qualcosa di strano o di raro o di prezioso o di fenomenale o di miracoloso, ma cercare quanto di più quotidiano: un uomo e una donna obbligati dalla prepotenza umana e dalla sua mania di grandezza, a un viaggio che non volevano fare; cacciati da un alloggio umano e costretti a rifugiarsi in un ricovero dove trovavano riparo le bestie: le pecore e capre, in italiano si chiama ovile; ma se fossero maiali in italiano si direbbe porcile: cambiano le parole ma il risultato non cambia… Sembra di vederli quei viaggiatori forzati di clandestini stipati come bestie, sembra di vederli quegli uomini e quelle donne anche italiani, forse anche in parrocchia, a cui la vita, la storia, non ha dato la possibilità di vivere da uomini…

E se cominciassimo ad andarli a trovare? e se cominciassimo ad accoglierli in mezzo a noi?

E là in mezzo un bambino, avvolto in fasce e in una mangiatoia… Sappiamo che questa espressione è già un'allusione dell'evangelista Luca sul destino di questo bambino, morirà come nasce, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, e continua a donarsi nella mangiatoia dell'altare…

Un bambino appena nato, una donna e un uomo appena scacciati… Ecco cosa c'è da vedere, ma non con gli occhi superficiali della nostra avidità! Infatti quale miracolo? Nessuno! Quale segno? Apparentemente nessuno… proprio come la nostra vita, senza miracoli, senza niente di speciale, a volte persino banale… Ma se crediamo ai pastori che hanno creduto all'angelo… avremo anche noi modo di vedere, quello che nessun altro ha saputo vedere… In questa famiglia di Betlemme, nella nostra famiglia, in ogni famiglia, in noi, negli altri, in Dio: nel puzzo della nostra vita… come scintilla che si fa sempre più grande una gioia diversa illuminerà la nostra vita.

E allora scopriremmo le tante assurdità che si siamo lasciati mettere in testa…

Se Dio, nel farsi una casa, prende una stalla, scomoda e puzzolente, chi ci ha convinti che per essere uomini dobbiamo avere una reggia con tutti i comfort e i migliori profumi?

Se Dio, per farsi Dio, si fa uomo… perché noi uomini per farci uomini dobbiamo farci dio? Ecco la liberazione di questa notte: non dobbiamo fuggire quello che siamo per essere come Dio! Perché Dio non è lontano da noi, dalla nostra sete, dalla nostra miseria…

Mi direte, che appartiene al pensiero della tradizione cristiana, l'espressione che Dio si è fatto uomo per farci Dio. (Sant'Atanasio di Alessandria, De Incarnatione, 54, 3: SC 199, 458 (PG 25, 192) citato anche dal n° 460 del Catechismo della Chiesa Cattolica).

Già, ma quale Dio? Se l'uomo vuole lasciarsi fare Dio da Dio, deve lasciarsi fare Dio come Dio si fa Dio. Non è uno scioglilingua è qualcosa che scioglie il cuore in una gioia che non ha mai fine. Perché Dio, nella storia, si fa Dio così: si lascia avvolgere in fasce, adagiare in una mangiatoia, in una stalla per animali. La nostra storia e quella di Dio, da stanotte, cominciano a coincidere!


Il Verbo si è fatto carne – e ci ha raccontato Dio

Vangelo secondo Giovanni, 1, 1-18



In principio era il LOGOS

e il LOGOS era presso Dio

ed era DIO IL LOGOS.

Questi era in principio presso Dio.

Tutto fu per mezzo di lui

e senza di lui nulla fu.

E la luce brilla nella tenebra

e la tenebra non l'ha arrestata.

Ci fu un uomo

mandato da presso Dio:

il suo nome era Giovanni.

Questi venne per la testimonianza:

per rendere testimonianza alla luce

affinché per mezzo di lui tutti credano.

Costui non era luce

ma per rendere testimonianza alla luce.

Era la luce vera

che, venendo nel mondo,

illumina ogni uomo.

Era nel mondo

e il mondo fu per mezzo di lui

e il mondo non lo conobbe.

Venne nella sua proprietà

e i suoi non l'accolsero.

Ma a tutti coloro che l'accolsero

diede loro di poter divenire figli di dio,

a coloro che credono nel suo nome,

i quali non da sangue

né da volere di carne

né da volere di uomo,

ma da Dio furono generati.

E il LOGOS DIVENNE CARNE

e dimorò tra noi

e noi abbiamo veduto la sua gloria,

gloria di Figlio unico (mandato) da presso il Padre,

riempito della grazia della verità.

Giovanni gli rende testimonianza

e grida:

«Era costui del quale ho detto:

"Colui che viene dopo di me,

è al di sopra di me

perché era prima di me"».

Sì, dalla sua pienezza tutti noi abbiamo ricevuto:

grazia per grazia,

poiché la Legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia della verità

fu per mezzo di GESÙ CRISTO.

Dio, nessuno l'ha mai veduto,

il Figlio unico, Dio, che è verso il seno del Padre,

egli lo ha raccontato



Le generazioni passate e la nostra, di adesso…

La lettera agli Ebrei è una rimeditazione originale e profonda della funzione di Cristo tra antico e nuovo testamento: i primi due capitoli sono straordinari e contengono tante parole mai usate, come se l'autore cercasse di esprimere categorie nuove senza passato… È evidente nei primi versetti la contrapposizioni tra i tre elementi:

Ø nei tempi antichi – ai padri – per mezzo dei profeti

Ø in questi giorni – a noi – per mezzo del figlio

… "i padri" sono tutte le generazioni precedenti Gesù: Dio infatti "nelle generazioni passate, ha lasciato che ogni popolo seguisse la sua strada" (At 14,16) … Questa ultima è l'unica generazione cui Dio ha parlato per mezzo di Gesù, il Verbo stesso di Dio. Da allora, tutto è compiuto e tutto è definitivo, per cui non c'è più teologicamente successione di generazioni, alle quali si possano aggiungere novità sostanziali del contenuto della salvezza. Tutte ormai sono unificate, perché non c'è più novità possibile, ma solo progressiva ulteriore comprensione della stessa verità di salvezza, il Verbo fatto carne! La differenza dunque di questa ultima generazione (che anche la nosra) con le altre precedenti è questa: "… ora che la fede è fondata in Cristo e la legge evangelica è promulgata in quest'era di grazia, non c'è più motivo d'interrogare Dio come prima, perché parli o risponda come faceva allora. Avendoci, infatti, donato suo Figlio, che è l'unica sua Parola, egli non ha altra parola da darci. Ci ha detto tutto in una volta e una volta per sempre in questa sola Parola, e non ha altro da aggiungere (Eb 1,1-2)… non ha altro da dire, perché ciò che aveva detto in parte mediante i profeti, l'ha ora rivelato completamente nel suo Figlio… come fratello, compagno, maestro, caparra e premio" , scrive Giovanni della Croce, che cita appunto la lettera agli Ebrei.

Il prologo di Giovanni: adorare un uomo, perché?

Il vangelo presenta la luce sfolgorante dell'arrivo di un "neonato"e gli angeli che lo dicono e i pastori che li ascoltano, e Maria pensosa a maturare in cuore misteri umanamente contradditori… Sin dall'inizio del cristianesimo ci è sempre stato rimproverato di adorare un uomo. Il prologo ci dice perché! Colui che i pastori e i magi ci chiamano ad adorare come uomo, "era in principio", prima che il mondo fosse! Era in Dio ( 'presso' Dio), in comunione dinamica con lui, e lui, era Dio, creatore come Iddio, dunque non creatura! Siamo messi con le spalle al muro! O credere queste assurdità (dicevano giustamente i primi filosofi antichi, che vennero a contatto con i cristiani) o consegnarsi con la fiducia di un bambino… in ginocchio di fronte ad un bambino, che giace nella mangiatoia di una stalla, a recitare con il cuore il Prologo di Giovanni.

Come può una persona ragionevole non rifiutarne l'assurdità, senza entrare in una contraddizione? È veramente motivata e istintiva l'eresia più insidiosa del cristianesimo, che in varie forme suggerisce che questa incarnazione divina (il verbo si è fatto carne!) è apparente, non reale, o comunque è una forma potente di mito consolatorio per la frustrazione inconsolabile dell'uomo, che vorrebbe essere Dio, ma non riesce. I cristiani adesso che le eresie teoriche si dissolvono nella globalizzazione delle culture e delle religioni, rischiano di non affermare né negare, ma evitare l'impatto con il Natale: Gesù, il bimbo nella mangiatoia è Dio, è figlio dell'uomo e figlio di Dio! Come può essere? Se Dio c'è, per definizione non può essere un uomo! Tantomeno un bambino, che non può neanche dirci perché è lì!

E chi debbo adorare? In lui era la vita

Nel presepio Gesù è in braccio a Maria, la madre divenuta, da serva, tanto amica di Dio da diventare il suo seno di gestazione umana. Luca ci porta fino alla mangiatoia, guidati dai pastori: dove nasce la domanda di Giovanni: Come faccio a vederlo?" Eppure Giovanni ci dice che è proprio da lì dal seno del Padre che il Verbo è venuto a" raccontarci" come lì si vive – chi è il Dio, che nessuno ha mai visto. Il paradosso della sua venuta sta proprio in questo: in tutto ciò che fu fatto nei miliardi di anni dell'universo Egli era la vita e questa vita era la luce degli uomini. … qualche maestro o profeta può dire in modo relativo: sono via e verità… In nessun nodo potrà dire: sono la vita! – Ma proprio questo è il discoso (la parola) centrale del Vangelo! Questo testo non è solo celebrazione, ma una proposta di comunione di vita: ci tocca nelle sorgenti dell'intimo di noi stessi, ove la verità e la luce realizzano con pienezza una creazione (generazione ) nuova:

a tutti coloro che l'accolsero diede di poter divenire figli di Dio!

A Natale ci è domandato di confermare o rinnovare e ravvivare la nostra scelta di fronte a lui: Io sono la via, la verità e la vita…! Su lui giochiamo noi stessi, tutta la nostra vita, pensieri, affetti, sentimenti – qui bruciano tutti i problemi ermeneutici, alla luce di un'altra domanda, la domanda di senso e di vita. La nostra adorazione comincia con questa consegna sbilanciata oltre ogni ragionamento o paura. Quando arriviamo a questo punto cominciamo ad adorarlo con immensa riconoscenza… siamo o diveniamo il dono (di vita) che lui ci fa. Allora la vita è avviarsi o spegnersi nell'adorazione trepida e inferma (malferma) che lascia spazio al Verbo venuto nella carne.. Ed io, povero aspirante discepolo di Gesù, sono la testimonianza fragile, il lucignolo fumigante, che traspare da me… di adorazione di lui!

I nostri giorni sulla terra

non sono altro che questo: il procedere incessante, malgrado la nostra ottusità e la nostra resistenza, e lasciarsi portare a quel momento compiuto in cui l'incontro tacito e inconsapevole con lui, nel battesimo, si attualizza per ciascuno nell'eucaristia natalizia! Perché dal Natale parte questa commistione salvifica di Dio nella nostra carne, nella quale ognuno di noi coglie, a quel grado che il Padre ha predestinato…la forma del Verbo di Dio nel seno del Padre… E così mangiando e nutrendoci di questo pane che è carne umano/divina, diventiamo anche noi figli per questa connaturalità a cui lo chiama l'unigenito… Questa e l'adorazione vera del Padre, che Gesù è venuta a insegnarci come Parola e comunicarci con la memoria sacramentale della sua passione. Ma questa ( e ripassare i contenuti potenti e dirompenti della nostra fede ci stupisce sempre… increduli e affascinati!) è anche la nuova creazione di noi stessi ‑ con noi di tutto l'universo che ci aspetta nelle doglie del parto.


sabato 20 dicembre 2008

Gente perbene!


La cosa enormemente tragica che emerge in questi giorni è che nessuno dei coinvolti delle inchieste napoletane aveva la percezione dell'errore, tantomeno del crimine. Come dire ognuno degli imputati andava a dormire sereno. Perché, come si vede dalle carte processuali, gli accordi non si reggevano su mazzette, ma sul semplice scambio di favori: far assumere cognati, dare una mano con la carriera, trovare una casa più bella a un costo ragionevole. Gli imprenditori e i politici sanno benissimo che nulla si ottiene in cambio di nulla, che per creare consenso bisogna concedere favori, e questo lo sanno anche gli elettori che votano spesso per averli, quei favori. Il problema è che purtroppo non è più solo la responsabilità del singolo imprenditore o politico quando è un intero sistema a funzionare in questo modo.


Oggi l'imprenditore si chiama Romeo, domani avrà un altro nome, ma il meccanismo non cambierà, e per agire non si farà altro che scambiare, proteggere, promettere di nuovo. Perché cosa potrà mai cambiare in una prassi, quando nessuno ci scorge più nulla di sbagliato o di anomalo. Che un simile do ut des sia di fatto corruzione è un concetto che moltissimi accoglierebbero con autentico stupore e indignazione. Ma come, protesterebbero, noi non abbiamo fatto niente di male!

E che tale corruzione non vada perseguitata soltanto dalla giustizia e condannata dall'etica civile, ma sia fonte di un male oggettivo, del funzionamento bloccato di un paese che dovrebbe essere fondato sui meccanismi di accesso e di concorrenza liberi, questo risulta ancora più difficile da cogliere e capire. La corruzione più grave che questa inchiesta svela sta nel mostrarci che persone di ogni livello, con talento o senza, con molta o scarsa professionalità, dovevano sottostare al gioco della protezione, della segnalazione, della spinta.

Non basta il merito, non basta l'impegno, e neanche la fortuna, per trovare un lavoro. La condizione necessaria è rientrare in uno scambio di favori. In passato l'incapace trovava lavoro se raccomandato. Oggi anche la persona di talento non può farne a meno, della protezione. E ogni appalto comporta automaticamente un'apertura di assunzioni con cui sistemare i raccomandati nuovi.

Non credo sia il tempo di convincere qualcuno a cambiare idea politica, o a pensare di mutare voto. Non credo sia il tempo di cercare affannosamente il nuovo o il meno peggio sino a quando si andrà incontro a una nuova delusione. Ma sono convinto che la cosa peggiore sia attaccarsi al triste cinismo italiano per il quale tutto è comunque marcio e non esistono innocenti perché in un modo o nell'altro tutti sono colpevoli. Bisogna aspettare come andranno i processi, stabilire le responsabilità dei singoli. Però esiste un piano su cui è possibile pronunciarsi subito. Come si legge nei titoli di coda del film di Francesco Rosi "Le mani sulla città: "I nomi sono di fantasia ma la realtà che li ha prodotti è fedele".

Indipendentemente dalle future condanne o assoluzioni, queste inchieste della magistratura napoletana, abruzzese e toscana dimostrano una prassi che difficilmente un politico - di qualsiasi colore - oggi potrà eludere. Non importa se un cittadino voti a destra o a sinistra, quel che bisogna chiedergli oggi è esclusivamente di pretendere che non sia più così. Non credo siano soltanto gli elettori di centrosinistra a non poterne più di essere rappresentati da persone disposte sempre e soltanto al compromesso. La percezione che il paese stia affondando la hanno tutti, da destra a sinistra, da nord a sud. E come in ogni momento di crisi, dovrebbero scaturirne delle risorse capaci di risollevarlo. Il tepore del "tutto è perduto" lentamente dovrebbe trasformarsi nella rovente forza reattiva che domanda, esige, cambia le cose. Oggi, fra queste, la questione della legalità viene prima di ogni altra.

L'imprenditoria criminale in questi anni si è alleata con il centrosinistra e con il centrodestra. Le mafie si sono unite nel nome degli affari, mentre tutto il resto è risultato sempre più spaccato. Loro hanno rinnovato i loro vertici, mentre ogni altra sfera di potere è rimasta in mano ai vecchi. Loro sono l'immagine vigorosa, espansiva, dinamica dell'Italia e per non soccombere alla loro proliferazione bisogna essere capaci di mobilitare altrettante energie, ma sane, forti, mirate al bene comune. Idee che uniscano la morale al business, le idee nuove ai talenti.

Ho ricevuto l'invito a parlare con i futuri amministratori del Pd, così come l'invito dell'on del Pdl Granata ad andare a parlare a Palermo con i giovani del suo partito. Credo sia necessario il confronto con tutti e non permettere strumentalizzazioni. Le organizzazioni criminali amano la politica quando questa è tutta identica e pronta a farsi comprare. Quando la politica si accontenta di razzolare nell'esistente e rinuncia a farsi progetto e guida. Vogliono che si consideri l'ambito politico uno spazio vuoto e insignificante, buono solo per ricavarne qualche vantaggio. E a loro come a tutti quelli che usano la politica per fini personali, fa comodo che questa visione venga condivisa dai cittadini, sia pure con tristezza e rassegnazione.

La politica non è il mio mestiere, non mi saprei immaginare come politico, ma è come narratore che osserva le dinamiche della realtà che ho creduto giusto non sottrarmi a una richiesta di dialogo su come affrontare il problema dell'illegalità e della criminalità organizzata. Il centrosinistra si è creduto per troppo tempo immune dalla collusione quando spesso è stato utilizzato e cooptato in modo massiccio dal sistema criminale o di malaffare puro e semplice, specie in Campania e in Calabria. Ma nemmeno gli elettori del centrodestra sono felici di sapere i loro rappresentanti collusi con le imprese criminali o impegnati in altri modi a ricavare vantaggi personali. Non penso nemmeno che la parte maggiore creda davvero che sia in atto un complotto della magistratura. Si può essere elettori di centrodestra e avere lo stesso desiderio di fare piazza pulita delle collusioni, dei compromessi, di un paese che si regge su conoscenze e raccomandazioni.

Credo che sia giunto il tempo di svegliarsi dai sonni di comodo, dalle pie menzogne raccontate per conforto, così come è tempo massimo di non volersela cavare con qualche pezza, quale piccola epurazione e qualche nome nuovo che corrisponda a un rinnovamento di facciata. Non ne rimane molto, se ce n'è ancora. Per nessuno. Chi si crede salvo, perché oggi la sua parte non è stata toccata dalla bufera, non fa che illudersi. Per quel che bisogna fare, forse non bastano nemmeno i politici, neppure (laddove esistessero) i migliori. In una fase di crisi come quella in cui ci troviamo, diviene compito di tutti esigere e promuovere un cambiamento.

Svegliarsi. Assumersi le proprie responsabilità. Fare pressione. È compito dei cittadini, degli elettori. Ognuno secondo la sua idea politica, ma secondo una richiesta sola: che si cominci a fare sul serio, già da domani. (20 dicembre 2008)

venerdì 19 dicembre 2008

La strada dell’impossibile: l’umanizzazione del mondo

C'è un filo d'oro nascosto nel mistero dell'universo, che lega, passo passo, la prima pagina della Bibbia all'ultima. Ma c'è, questo filo d'oro, anche per l'uomo moderno, fornito di notizie inimmaginabili per gli antichi patriarchi, profeti e apostoli e quanti ricercatori di Dio hanno raccontato la loro esperienza, fino a noi. Il filo d'oro – o la domanda di senso ‑ è questa: dalla prima inesplicabile esplosione di energia creatrice fino a noi (14 miliardi di anni… o diecimila, sono troppi comunque per la testa e il cuore dell'uomo!) ci sono stati tanti salti di qualità "impossibili" – e quindi si sono cercate ipotesi o spiegazioni molteplici e contraddittorie. Ma la domanda resta. Passare dal nulla a qualcosa di esistente, dal livello fisico-cosmico alla vita, dalla animalità allo spirito…ci pare inspiegabile, impossibile! Allora l'uomo pensa che sia intervenuto Qualcuno… a condurre per mano il progresso evolutivo della creazione nei suoi momenti troppo difficili, impraticabili! L'impossibile è ciò che non può essere prodotto dalle cause o risorse o energie presenti: ciò che non è contenuto nelle premesse e quindi non può scaturire da quelle cause. Allora la Bibbia ci appare come il racconto di tanti testimoni che hanno visto questo raccordo tra la loro storia e l'impossibile, che hanno ascoltato e intrasentito la mano di un "dio" che li accompagnava sul crinale dell'ulteriorità incredibile e inaccessibile. La creazione, la promessa nel paradiso fallito, la malvagità umana autodistruttiva e l'arcobaleno di Noè, la fecondità del vecchio Abramo, la lotta di Giacobbe con Dio, la liberazione dell'uomo dalla schiavitù del Faraone, la trasformazione del cuore di pietra in cuore di carne … sono i passi impossibili a cui l'uomo è stato chiamato da colui che "dà la vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono" (Rom 4,17). Allora, in questa pagina del Vangelo (l'annunciazione!), sta il cuore della storia, cui tutta la creazione anelava. La meta e, insieme, il centro propulsore di questo inarrestabile flusso dell'amore creativo di Dio è il seno, anzi prima il cuore, di Maria. La quale sa, come racconta il vangelo di Luca, che è impossibile ciò che le è annunciato ‑ eppure si consegna, perché nulla è impossibile a Dio! Adesso la Parola non è solo la metafora per indicare il legame di benevolenza gratuita del Padre con tutto ciò che esiste. Non è solo la sua sorprendente decisione, libera e amorevole, non prodotta da necessità fisica o psichica o morale, che cerca il consenso e la gioia: rallegrati, Maria). La Parola stessa si fa seme e diventa bimbo d'uomo nell' inimmaginabile assunzione o impregnazione divina di un germoglio di carne umana. "Il verbo si è fatto carne!". E la verginità è il timbro della suprema libertà di Dio da ogni legge di necessità. Nella catena dei miliardi di natali umani, un Natale impossibile, incredibile… tanto impossibile che, per non esserne accecati, i cristiani ne hanno fatto una favola, ormai così innocua, che viene mescolata ai tanti festeggiamenti natalizi commerciali, coloriti di simboli o leggende le più disparate.

Come incontrare Dio?

Tre personaggi ci presenta la liturgia di oggi, ultima domenica di preparazione al Natale. Tre appassionati ricercatori di Dio, che toccano con mano la discrepanza radicale tra i propri progetti umani e i progetti di Dio! Tra il dio che abbiamo in mente e il "Dio" che si rivela nella storia e viene loro incontro.

Davide. Al culmine delle sue conquiste e del suo regno, consolidata la nuova patria per il suo popolo, pensa di costruire una casa dignitosa anche per l'arca del suo Dio… Sembra un'idea bella anche al profeta Natan. Ma la parola del Signore li dissuade, e riporta la loro attenzione su una presenza inversa: «sono stato con te dovunque sei andato» dice il Signore. Non è Davide che l'ha cercato. È Dio che è andato a cercare Davide in mezzo ai pascoli, quando nessuno pensava a lui. Non è l'inventiva dell'uomo che individua dove e come il Signore deve farsi presente, ma la sua "obbedienza" nello zittire i suoi progetti, e ascoltare la Parola, che gli fa scoprire dove il Signore lo chiama. Questa frustrazione (forse tu mi costruirai una casa?) ha aperto a Davide orizzonti nuovi di penetrazione e accoglienza della misteriosa vicinanza di Dio nella storia, vicinanza implorata, pregata, cantata nei salmi, che hanno nutrito la fede di tanti di credenti.

Paolo. Nessun protagonista del Nuovo Testamento aveva idee così chiare e ferree come Paolo, che ha perseguitato a morte i discepoli di Gesù, finché era convinto che la razza, la circoncisione, la legge, il tempio, fossero i pilastri immutabili della appartenenza a Dio. Invece il progetto di Dio era nascosto in un mistero di salvezza «taciuto per secoli eterni», ma «rivelato ora e annunziato... a tutte le genti, perché obbediscano alla fede» (v. 26). "Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito (Rom 8,3s). Dunque era completamente diverso e imprevedibile (impossibile) "il disegno eterno che [Dio] ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, il quale ci dà il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio per la fede in lui." (Ef 3,12). Ma Paolo lo ha accolto e gli ha sconvolto la vita.

Maria. È attratta consapevolmente in questo mistero taciuto nei secoli eterni, mentre è in ascolto di un angelo, che le fa scoprire l'immenso rovescio di indicibile gratuita tenerezza di Dio su lei, nella sua piccolezza. Un attimo di smarrimento, come in tutte le epifanie bibliche, per dire lo sconcerto dell'imprevedibile, che fa irruzione in lei: a quelle parole Maria rimase turbata. Come è possibile? Una domanda il senso, nella trepidazione di far dire a Dio, forse, ciò che non sta dicendo. E fa emergere così lo stile inconfondibile di Dio nella storia: implodere la sua gloria esplosiva nell'ombra, adesso sconcertante come mai: L'Altissimo si fa piccolo e si nasconde (e si rivela) nell'ombra opaca della carne umana. Solo la madre sa che è figlio di una Parola di amore di Dio, anzi, è la Parola stessa dell'amore eterno di Dio per il mondo! Questo annuncio si diffonde come un contagio, sempre velato e insieme irresistibile, suscitando nei credenti la stessa appassionata disponibilità di totale consegna di sé, per riscoprire così la propria identità nel progetto di amore del regno di Dio:" si faccia di me secondo la tua parola"

L'obbedienza della fede è l'affidamento di sé alla "parola"

Il Natale ripete per noi la sua scansione di salvezza: non temere, il Signore viene, ti riempirà di vita, che coinvolgerà gli altri attorno a te! E la nostra speranza è una Vergine gravida dell'impossibile, ultimo (o primo) anello di una successione infinita di uomini e donne, che hanno creduto e si sono affidate, nella esperienza della fatica, del fallimento e dell'impotenza… ad un mondo altro.

L'obiettivo di ogni annuncio, di ogni manifestazione della Parola è la proposta di amore e di vita che c'è dentro, certo, ma raggiungibile solo attraverso l'obbedienza della fede: questo è il dinamismo di fuoco a cui siamo chiamati. Ogni altro aspetto di culto o di ascesi, di dottrina o di sacramento, di magistero o di sacerdozio è strumento e mezzo per riconoscere, entrare in contatto, accogliere questa "grazia", cioè questo regalo inaspettato di accesso all'impossibile che ci mette allo sbaraglio, ci provoca allo sbilanciamento di fronte agli accadimenti che non sono adeguati alle forze dell'uomo, e vengono dall'esser non più servi, ma amici di Dio: il perdono (nessuno può perdonare i peccati se non Dio solo); il corpo e sangue di Dio in materia cosmica per nutrire il credente (come può costui darci la sua carne da mangiare?); l'amore ai nemici (fu detto. Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico), il coinvolgimento coi poveri (di essi è il Regno dei cieli – sono "in società" con Dio!); la "necessità salvifica" della chiesa, pur fatta più di peccatori che di santi (su di te fonderò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa!)… Il nuovo credente sa che l'istituzione e la legge, i segni e le parole, la gerarchia e i ministeri, sono necessari finché dura la storia, ma ormai la loro necessità è strumentale, provvisoria e anche ambigua, appena si illudesse di essere adeguata all'obiettivo: sono soltanto il pedagogo che accompagna sempre alla soglia dell'incontro, che non è capace di produrre, come Giovanni il Battezzatore. L'obbedienza della fede ci fa riscoprire il rapporto faticoso tra libertà e necessità, ci riporta continuamente alla dinamica assiale della storia della salvezza, che ci fa dire di fronte alle esigenze radicali dell'amore: è possibile o è impossibile? Noi sappiamo per adesione umile all'obbedienza della fede, che è un regalo capirlo e tanto più riuscire a praticarlo. Che dunque è presunzione pensare di imporre questa fede, di esigerla e tanto meno di condannare coloro che si ritraggono… nella esperienza dolorosa dell'impossibilità!

…e vorremmo augurare e pregare anche per loro il Natale.

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