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giovedì 31 gennaio 2008

Beato chi vince il male con il bene!

…dopo lunghi anni di silenzio e di lavoro,
Gesù – nuovo umile Mosè ‑ raccolti alcuni pescatori come suoi primi discepoli, davanti alle folle smarrite come pecore senza pastore, comincia ad insegnare. E condensa qui, secondo il racconto di Matteo – il nucleo di fuoco del suo vangelo (cap 5, 6 e 7). Quanto ha meditato e scoperto, sperimentato ed implorato negli anni nascosti della sua giovinezza, alla ricerca difficile dello sguardo di amore del Padre su un mondo colmo di dolore e ingiustizia, è espresso in poche righe sconvolgenti. Noi, in genere, siamo abituati dall’infanzia a sentire queste “beatitudini”, con le proposte radicali che seguono, e siamo convinti che siano, sì, una delle più sublimi pagine della storia dell’umanità, ma rischiamo di perderne il senso nella vita di Gesù. Mentre sono il frutto dello suo scontro con la sofferenza, con il peccato, la prepotenza, il non senso delle misteriose forze del male che soggiogano l’uomo… Le beatitudini sono il punto d’arrivo della ricerca inquieta della sua mente e del coinvolgimento struggente del suo cuore di uomo nelle vicende dello spaccato di storia umana, quale era il “piccolo mondo” in cui gli era capitato di andare ad abitare. Ha imparato a vedere le vicende degli uomini alla luce della benevolenza onnipresente del Padre, nella convinzione, imparata proprio dall’indefettibile amore del Padre (per Gesù è “la vita”!) che l’“amore” è l’unica possibilità di vincere il male nella storia.
la strategia del Padre per risolvere il male nel mondo…
Le proposte di soluzioni dei mali degli uomini, al tempo di Gesù erano tante, come oggi. E tutte le avrà vagliate ed soppesate, pur di trovare un modo di aiutare i sofferenti schiacciati dal loro dolore… in decenni di silenziosa solidarietà, anzi di “immersione” nell’avventura di essere uomo… Meditando la storia alla luce delle Scritture, pregando i salmi e le esperienze dei patriarchi antichi, Gesù, ha maturato un rovesciamento totale nella percezione delle gerarchie dei valori e dei beni di questo mondo. E si è convinto che questo rovesciamento è l’ottica del “Regno”, cioè è il progetto di amore del Padre. Per combattere il male nel mondo ogni altra strategia, che non si converta a questo progetto, precipiterà nell’alternativa tragica della competizione e della violenza, finendo per aumentare, invece che diminuire, la sofferenza degli uomini.
Quanto sia difficile per noi questo rovesciamento di strategia, questo metodo completamente im/politico di affrontare il male nella storia degli uomini, l’ha sperimentato Paolo nelle prime comunità di credenti, dove d’istinto emerge l’affermazione mondana della forza, della cultura, del potere, come criteri di valore e d’importanza in comunità. E Paolo sa, per amara esperienza personale, che il Vangelo del Signore è fondato su tutt’altri criteri: Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio (1Cor 1,27).
… le beatitudini
Le beatitudini sono dunque la buona notizia della compiacenza, come a dire, delle “congratulazioni” di Dio su quanti sono collocati, consapevoli o no, in questa ottica di amore, perché è l’unica risposta adeguata al male nella storia, anche se apparentemente debole e sconfitta. Il mistero del male e lo scandalo del dolore insensato che vi aggiungono la debolezza e talora la malvagità che gli uomini, è stato il problema più assillante e drammatico della prima parte della vita di Gesù, se poi la seconda, quella che conosciamo dai vangeli, è totalmente dedicata ad alleviare, guarire, perdonare, risanare i più piccoli e i più disperati, e ad esorcizzare le potenze del male che li opprimono… Ecco perché Gesù, quando finalmente prende la parola, comincia proclamando: Beati i poveri! che è la premessa e la sintesi di tutte le altre beatitudini. Come a dire: beato chi è povero ‘di spirito’ perché ha rinunciato alle soluzioni “forti” (potere, cultura, tecnica, soldi…) ma affronta i mali del mondo, esponendo se stesso, inerme, come proposta, testimonianza, ponte di pace …
non è una nuova legge,
che sarebbe altrettanto impraticabile alla gente che quella antica. Non si tratta infatti di esigenze morali nobili e difficili, e comunque inarrivabili per gli sprovveduti che sono solo ricchi di fame, bisogni e desideri inappagabili… e non hanno spazio umano per pensar ad altro (…i miliardi di uomini che sono passati “inutili” e non amati da nessuno, sulla faccia della terra). Le beatitudini sono piuttosto l’annuncio di come Dio vive ed è presente nelle condizioni difficili della storia degli uomini – come il suo progetto di amore (il Regno) è presente in mezzo a noi e impregna la sofferenza anonima di tutti i suoi figli, a cominciare dai più poveri. Le beatitudini non sono la promessa di interventi miracolosi che hanno lo scopo di cambiare le situazioni attuali. Altre, ad altri livelli, sono le possibilità politiche aperte a tutti gli uomini di buona volontà di cambiare ed evolvere le condizioni di sofferenza e di oppressione, e il vangelo altrove raccomanda di perseguirle.
Le beatitudini offrono piuttosto un significato nuovo dell’esistenza umana, suggeriscono criteri diversi di valutazione e di lettura della storia, totalmente disomogenei dai nostri. Gesù lancia a chi vuole ascoltarlo, una duplice sfida con la sua stessa vita, il cui significato è preannunciato nelle beatitudini.
1. L’immersione totale nella condizione umana, nelle situazioni più disagiate degli sventurati del mondo, senza escluderne mai nessuno... Non è un’esortazione morale, ma una proposta esistenziale. È lui, infatti, il primo povero, che si è spogliato di tutto per solidarietà di condivisione vera della nostra sorte “con forti grida e lacrime”. Solo così ha potuto capire dall’interno la nostra condizione… Ha faticosamente imparato, come noi, cosa significa “ascoltare e accogliere il disegno del Padre sulla storia…”. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova (Eb 2,16). Ha scoperto con trepidazione ed angoscia (come si vedrà nel dramma finale della sua vita) il peso insopportabile della sofferenza, della persecuzione, del tradimento, che, accolto senza odio e trasformato in mitezza e indefettibile proposta di amicizia, ha ridonato vita, respiro e pace alla terra”: … imparò l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono (Eb 5,8s).
2. l’annuncio sorprendente che questa sofferenza può essere vissuta nella gioia: Le beatitudini (che sono già gioia per il Padre che le guarda con empatia) finiscono con la raccomandazione e l’augurio: “Rallegratevi e gioite”! Quale gioia? Nel discepolo di Gesù, avvolto da questa feriale beatitudine, tutto, all’esterno, rimane come prima, tutto diventa anzi ancor più autentico… le sofferenze e i vuoti, come la fragile bellezza e la relativa bontà dei volti e delle faccende del nostro contesto quotidiano, in cui rimaniamo immersi… Ma i volti e le loro vicende sono come avvolti e impregnati e “ricollocati” in un’altra dimensione, dove il Signore e il suo vangelo sono il riferimento ultimo di senso (beati!) – non come esclusione di nessuno, non come privazione ascetica o come distacco morale dal tessuto umano che è il nostro, ma come conversione radicale dell’asse profondo della vita, aperta ad una luce mai goduta prima, che passa dalla reazione violenta alla mitezza, dalla pretesa esigente al dono: è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità.(Gv 4,23s)
Magari sono piccolissimi assaggi o (minuscole beatitudini!), soltanto squarci di un cielo e di una prospettiva che di solito vediamo e desideriamo da lontano, ed invece già adesso, ci è promessa e seminata in cuore, anche se rimane sempre ingovernabile e imprendibile… come ogni dono dello Spirito. E si annebbia presto, lungo la giornata, nei ritmi alterni dei nostri umori. Però è vera, e ne rimane la memoria e l’attenzione premurosa, perché le troppe distrazioni ed urgenze del nostro vivere non ci allontanino dall’essenziale!
…e così imparare, o almeno cominciare a tentare qualche gesto, arrischiare di rispondere alle asprezze della vita e degli uomini con qualche sbilanciamento di amore, di tenerezza, di assorbimento del male, invece che di ritorsione:
  • quando la desolazione ci devasta il cuore e vorremmo anche noi consolazione, e siamo tentati di amarezza;
  • quando la reazione violenta ci preme dentro come l’unica soluzione, e vorremo esser capaci di seminare mitezza;
  • quando la rabbia triste per l’ingiustizia ci rode l’anima e la vorremo subito eliminata… a costo di altra violenza;
  • quando la miseria è cosi grande che bisognerebbe contenerla e accudirla con ancor più grande misericordia;
  • quando ci si offuscano gli occhi del cuore e non vediamo più la benevolenza del Padre in chi che ci fa del male;
  • …portando sempre pace e perdono dove c’è conflitto e odio, perchè questo è il mestiere di Dio e dei suoi figli.

Beati i precari...

Le letture di questa quarta domenica del tempo ordinario non lasciano dubbi interpretativi: c’è una predilezione del Signore per coloro che stanno nella precarietà, in qualsiasi forma essa si presenti! Secondo Sofonia infatti il resto che il Signore si preserva non è una elite morale o religiosa: non si tratta di preservare “il meglio” per attuare una rifondazione del popolo su di esso. Piuttosto l’attestazione della fedeltà eterna di Dio, che è il senso della custodia di un resto, poggia sulla predilezione per il povero: «Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero».
E questa è la stessa prospettiva che si ritrova anche in Paolo. Egli infatti attuando una sorta di metodologia fenomenologica dice che per capire la logica della chiamata di Dio, è necessario guardarsi addosso, guardare al dato della realtà che si dà da vedere. E ciò che esso mostra in modo evidente è che non siamo una elite né intellettuale («non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano»), né politica («non ci sono fra voi molti potenti»), né sociale («non ci sono fra voi molti nobili»). Anzi, esplicitamente Paolo dice che Dio sceglie «quello che per il mondo è stolto, quello che è debole, quello che è ignobile e disprezzato, quello che è nulla».
E il Vangelo insuperabilmente rincara la dose: le beatitudini infatti sono il fremito gioioso che sgorga dal cuore di Dio per l’umanità che vive un’esistenza precaria… Uso questo aggettivo, come sintetico di tutte le “categorie” presentate nel testo matteano, perché mi pare riesca a dire la realtà di tutti gli uomini lì presentati.
Non si tratta infatti solo di sfortunati o incompiuti o disagiati… La prospettiva, che certo tiene anch’essi, è però più ampia. Appunto, mi pare, sia quella di chi ad ogni modo sta nella vita come colui che è feribile e ferito e non come colui che ferisce. Ecco il senso della precarietà! I poveri in spirito, gli afflitti, i miti, gli affamati e assetati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia sono tutti coloro che per scelta loro o di altri si trovano dalla parte di chi “le prende”.
Nel mondo non si è mai visto infatti un povero in spirito su cui altri non abbiano prevaricato, un afflitto sul cui dolore altri non abbiano speculato, un mite di cui altri non abbiano approfittato, un affamato di giustizia che l’abbia definitivamente ottenuta, un misericordioso il cui cuore non sia trafitto dalla colpa subita, un puro di cuore di cui altri non abbiano abusato, un operatore di pace che non sia stato eliminato, un perseguitato su cui non sia stata usata violenza.
È per questo che istintivamente nessuno di noi vorrebbe ritrovarsi in quella situazione: perché porta alla morte. E noi, che come una consapevolezza arcaica, lo sappiamo, pur onorando a parole queste condizioni di vita, in realtà nelle piccole e grandi cose le rifuggiamo, e preferiamo scegliere, basandoci su quella che ci pare una ragione incontrovertibile, cioè la salvezza della nostra pelle (o più subdolamente, dei nostri figli), preferiamo scegliere di farci carnefici.
Gesù in tutto questo invece pone una parola diversa e facendolo rivela all’uomo un volto nuovo di Dio e di uomo. Egli, dichiarando beati coloro che si sono lasciati ferire dalla storia, o che la storia ha ferito, senza chiedergli il permesso, attesta nei loro confronti una benevolenza privilegiata. Privilegiata perché essi si trovano nella condizione di poter guardare le cose dal punto di vista di Dio, un punto di vista che lo stesso suo Figlio ci ha definitivamente rivelato. Gesù infatti vive proprio così; è Lui il primo che si getta in questa vita lasciandosi ferire dalla precarietà: lo si è visto bene negli inizi di questa sua avventura umana (gli umili natali, il rifiuto, il pericolo, il basso profilo dell’inizio della sua missione) e lo si vedrà ancora meglio nella sua fine.
Ma, in fin dei conti, in cosa consiste questa beatitudine? Perché… insomma… mi verrebbe da dire… va bene che Gesù ha vissuto così, ma a me piacerebbe comunque di più la tranquillità, il benessere, il non essere destinata prenderle e a morirci… E allora, cos’è che rende questa precarietà così necessaria? Perché Dio chiama “abilitati a Vivere” proprio coloro che ne fanno esperienza? Cos’è che la precarietà dischiude di così decisivo?
Forse il fatto che solo così la vita è Vita; solo così posso dedicarmi a viverla e non a dovermela salvare; solo così l’altro è fratello e non rivale.
Provo a spiegarmi… Sono i nuovi volti di Dio e dell’uomo cui accennavo:
1- Da un lato infatti la precarietà mi insegna che il fondamento della mia vita non può essere in me. È un Altro il riferimento su cui devo appoggiarmi. E la buona notizia è che questo fondamento (che l’uomo da sempre ha creduto ci fosse) ha un volto preciso: non è banalmente il più potente dei potenti della terra, che si limita a riproporre, potenziandole, le dinamiche di dominio dei tiranni del mondo; ma è il volto di un Padre che guarda con benevolenza le vicende dei suoi figli e le patisce con loro, innestandoci un anelito di risurrezione;
2- Dall’altro la precarietà mi rende avvicinabile a chiunque: i perfetti, i puri, i rispettabili non li tocca nessuno… incutono timore… e tanto meno loro toccano gli altri… per paura di contaminarsi… Il mio peccato invece, la mia paura, le mie ferite mi permettono di sentirmi a casa dentro all’umanità, a quella massa di uomini e donne che è peccatrice, malata, spaventata, inadeguata, incompiuta…
Ma non vorrei essere fraintesa… non è un osannare la sofferenza, un giustificare Dio di fronte al male del mondo o un legittimare lo status quo, ignorando quanto patire c’è in questa umanità precaria. È solo il ribadire che essa non è carne da macello per la vita di pochi, non è la parte del mondo nata sfortunata che non ha possibilità altra che il passare inutilmente e tristemente su questa terra… No! Per Gesù essa stessa è vita; anzi è proprio questa l’umanità che Dio, a dispetto delle logiche del mondo, crede l’unica veramente abilitata alla vita. Solo lì in effetti si può scrivere nella nostra carne la logica cristica: l’unica logica che, attraversando sì la morte, ma facendolo affidandosi al Padre e per i fratelli, incarna la vera vita beata!

domenica 27 gennaio 2008

In principio… disse loro: “seguitemi!”

Arrestato Giovanni … Gesù cominciò a predicare!
C’è un raccordo di contiguità e discontinuità insieme – di compimento e diversità radicale tra Giovanni e Gesù. Le prime comunità cristiane hanno rilevato l’enorme importanza di questo legame, ed hanno scoperto così la novità assoluta di Gesù. La novità consiste nel tenere insieme una duplice polarità: il radicamento profondo nella tradizione e nella storia concreta degli uomini (l’incarnazione!), da una parte, e dall’altra il fermento esplosivo del suo messaggio e della sua efficacia nella condizione dolorosa ed oppressa della gente (liberazione o redenzione!). Questa è la forza propulsiva, umile ma incoercibile, del minuscolo seme di amore che il Padre lo ha mandato a seminare nel mondo…
Anche la comunità di Matteo rilegge a questo modo gli “inizi” di Gesù! Dopo l'arresto di Giovanni. Gesù cambia paese, casa, modo di vita. Come se, dopo il battesimo e le tentazioni nel deserto, gli premesse ormai in cuore in modo incontenibile l’urgenza della sua missione tra gli uomini… per riprendere la fiaccola della speranza, oscurata nella prigione del Battista, dove è stato messa a tacere la voce più forte di tutti i cercatori di Dio della storia biblica. In questo breve racconto è condensato ciò che la comunità di Matteo ha capito e vissuto nel suo primo impatto con la fede evangelica. Questo è il piccolo trattato di teologia del cominciamento della chiesa, non semplicemente degli inizi della chiesa storica. È l’inizio della chiesa di sempre – di cui diceva Gesù stesso: dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (18,20).
Per capire il comportamento nuovo e originale di Gesù, che si sposta dal centro religioso e cultuale della Giudea alla Galilea delle genti, i discepoli sono andati a studiare le profezie dell’esilio, il tempo della distruzione e dispersione di ogni istituzione religiosa, ma anche il tempo del ricominciamento della fede. E le profezie antiche illuminano la storia presente: Gesù è andato a stare tra quelli che più di altri abitavano in terra tenebrosa… che dimoravano in terra e ombra di morte… perché è lui la luce! perché lui è il ricominciamento: In passato il Signore umiliò…, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare!
"Convertitevi, perché il Regno dei Cieli è vicino"
L’annuncio di Gesù è lo stesso del Battista, perché per tutti e due la disponibilità a “cambiare mentalità” è la premessa necessaria ad ogni conversione. Ma per Giovanni questa è la fine del suo messaggio e della sua missione di precursore. Per Gesù questo stesso annuncio è un’apertura, è l’inizio. Perché in Gesù il Regno non solo si fa prossimo, ma comincia “a camminare”. É lui il Regno, è lui la presenza salvatrice del Padre nella storia quotidiana degli uomini! Ecco perchè non chiama la gente nel deserto ma neanche nel tempio …È lui che va dove la gente vive: sul lavoro, nelle case, per le strade, nei villaggi… nelle loro sinagoghe (di sabato!) : Gesù “va attorno per tutta la Galilea”: e cosa vede? Vede nel cuore degli uomini e della società il conflitto tra una realtà dura e pesante da portare e la spinta vitale di una speranza che non riesce a farsi strada, perchè sottoposta al giogo che l'opprimeva, alla sbarra che gravava le sue spalle e al bastone del suo aguzzino… Proprio perché Gesù va dove l’uomo vive (sul lavoro, nella famiglia, nella società e nelle sue istituzioni) tocca con mano che la gente fa fatica, è a disagio, al buio… e vede gli uomini che dimorano in terra e ombra di morte. L’ombra di morte è la paura, e la paura nasce nel cuore man mano che la speranza deperisce, senza che una luce rischiari le tenebre in cui ci sentiamo immersi… Ma, ecco la buona notizia: una luce ha fatto irruzione nell’ombra! I primi discepoli ne hanno un ricordo vivissimo, con alcune caratteristiche ‘mitiche’ della loro esperienza appassionata di chiesa nascente.

  • “Venite dietro a me!” È Gesù che raduna i discepoli con il fascino di una Parola sicura, neanche ancora spiegata, ma talmente carica di forza determinata e serena, che sembra non ammettere replica alla chiamata. Con/vince dal di dentro! Con questa stessa parola li costituisce “seguaci”: “venite dietro me!” Questa chiamata gli rimodella l’anima: diventa lo statuto definitivo della loro vita. Lo capiranno più tardi, dopo averlo seguito, amato e anche rinnegato, che ‘esser suoi discepoli’ (venite dietro di me!) vuol dire una consegna assoluta: niente mai più anteporre a Gesù!
  • La coesione de gruppo è la chiamata stessa di Gesù! I discepoli arrivano a lui in modo diverso, talora indicati per nome, talora contagiandosi reciprocamente, ma è sempre il suo sguardo e la sua parola che inserisce questo rapporto personale nel cuore di ognuno e li collega in una comunione inscindibile, perché non fondata su un proposito o una scelta o una promessa o un obbligo morale, o un’amicizia anche se contiene un poco di tutto questo : ma è una misteriosa appartenenza a lui, che il suo sguardo di predilezione ha seminato in loro! E che Parola ed Eucaristia nutrono e confortano…
  • Le sue parole sono vere – e si ripetono in noi! Già dai primi passi un fuoco (il fuoco degli inizi) s’accende nel cuore dei discepoli. Ma ci vorranno anni perché lo capiscano e soltanto la sua morte e risurrezione (con il dono del suo Spirito) li renderà veramente capaci, a loro volta, di infiammare la gente, divenire a loro volta pescatori di uomini – e quindi finalmente capire dal di dentro la sua missione e il suo Spirito. Ma fin da queste primi inizi, il fuoco c’è già. Ognuno prova il sussulto interiore per il “verificarsi” già adesso di frammenti di una speranza nutrita da sempre. Gesù operava quel che diceva: alla sua parola, al suo tocco, al suo sguardo le miserie, le malattie e i peccati degli uomini guarivano. La sua azione non si esauriva in un invito, in un rito di penitenza, tanto meno in una condanna del peccatore… Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. Questo è l’elemento fondamentale della novità di Gesù, rispetto agli scribi, ai sacerdoti, ai profeti precedenti. Una capacità mai vista di insegnare, consolare, guarire … in ogni incontro: dopo anni di parole sterili, dopo una vita di tentativi inutili. Quando già la speranza sta spegnendosi, ecco scoccare il contatto, una scintilla nuova tra speranza e verità, tra utopia profetica e realtà storica. Questa è la novità “cristiana”, e i testimoni sono stupiti perchè gli elementi della natura, gli spiriti e i demoni, le malattie e la morte gli obbediscono!
    Gesù non ci ha lasciato in eredità questo potere nei suoi aspetti miracolosi, i quali, del resto, anche per lui sono soltanto ‘segni’ della sua vera Signoria di amore sulla storia e sulla natura. È questa Signoria inerme che anche a noi ha donato con il suo Spirito (At 1,8). Ora niente può più farci del male, perché in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati (Rom 8,37). Ogni suo seguace diventa discepolo quando sperimenta di essere a sua volta pescatore dei suoi fratelli: testimone della gioia dello spirito quando qualche piccolo, malato, ferito, soggiogato dalla paura, è preservato dal male, davanti ai nostri occhi!.

Una tiepida chiesa alla ricerca di poteri fittizi…
…a guardarci allo specchio noi cristiani di oggi! alla luce di questo fervore della chiesa evangelica nascente, risalta ancor di più la stagione ecclesiale stanca e triste, che stiamo vivendo, almeno in occidente.
Noi somministriamo alla gente “cristiana” soprattutto sacramentalizzazione, precetti morali, inquadramento ideologico… E siccome la gente ci segue sempre meno, siamo spesso in atteggiamento agguerrito e aggressivo per difendere o recuperare spazi, istituzioni, leggi o radici … e renderle più cristiane. Illudendoci che queste poi preservino la fede. È il metodo inverso di quello evangelico. E qui sta il nodo dirimente della nostra tentazione ecclesiastica! Il potere, pur ricercato per ‘fini buoni’, di natura sua vanifica la croce di Cristo, perché la croce non è un incidente di percorso, ma la “necessaria” conseguenza di aver rinunciato ai mezzi del potere, sbilanciandosi del tutto per l’amore gratuito. Ma non riusciremo a rinunciare davvero al potere se non assaggiando un’altra gioia più grande … Nel vangelo, invece che i verbi sedentari di possesso o di conquista, predominano i verbi di movimento, di missione. Gesù si sposta continuamente e mette in moto altri discepoli, semplici, umili, ignoranti, laici, uomini e donne (cfr Lc 8,1-3 – il corrispettivo del nostro testo). La sua proposta è coinvolgimento profondo dei cuori, anzitutto. Poi è paziente e costante trasformazione delle idee su Dio Padre, se stessi, gli uomini, la storia… Poi è esperienza viva di rinascita interiore e comunitaria di pacificazione delle relazioni, almeno nei barlumi di speranza che si accendono nell’ombra della paura … per sanare gli incubi di panico che crescono dove non c’è più speranza viva.
Solo ripercorrendo il cammino della chiesa nascente ci riappassioneremo… al seguito di Gesù!

~~~~~~

…Padre, credo che mi capisca…
sono stata ferita al cuore, bruciata al cuore.
È una ferita ed è un fuoco.
Sono sicura che un giorno il Signore mi abbia accordato
una piccolissima scintilla dell’amore del suo Cuore
e che questa scintilla ha acceso il braciere.
E allora non ne posso più, perché nessun cuore umano è fatto a questa misura.
Non può contenere tutto questo amore.
Padre, sogno l’amore, ma un amore
come non l’ho ancora visto spiegare in un libro,
soprattutto come non l’ho visto mai raccomandare nei consigli alle religiose,
un amore che sia insieme divino e umano.
Sogno che si possa donare tanta tenerezza a tutti,
una tenerezza che sia così divina, pur uscendo da un cuore umano,
da non portare con sé fatalmente il disordine dei sensi.
Perché, padre, non è possibile amare ardentemente e insieme con purezza?
Crede che sarebbe realizzabile?
Se ci provassimo prima noi
e poi insegnassimo a tutte le piccole sorelle a dilatare il cuore?
Per quale motivo, per il fatto di essere religiose, dovremmo chiudere il cuore
anziché aprirlo di più. Non solo nel fondo, ma nell’espressione?
Le assicuro che il mondo ha bisogno di amore.
Vorrei potere amare tutti gli essere umani del mondo intero.
Vorrei mettere una scintilla di amore in ogni angolo del mondo:
in Egitto, in Brasile, presto in Giappone.
Basta una scintilla ad appiccare incendi nei boschi della Provenza.
Perché non dovremmo creare bracieri nel mondo intero?
Passando a Saint-Fons ho visto tutte le ciminiere delle fabbriche
e ho pensato che un giorno vi manderò delle piccole sorelle.
Passando a Péage de Roussillon,
ho visto il quartiere operaio delle fabbriche del Rodano
e ho pensato che anche là manderò delle piccole sorelle…

Padre, ci vogliono dappertutto focolai di amore!...

Parigi, 21 ottobre 1947

[Magdeleine, Il padrone dell’impossibile, PM, Casale M. pp.199]

giovedì 24 gennaio 2008

A che Cristo riferirsi?

In questa III domenica del tempo ordinario, vorrei iniziare col fare qualche riflessione riguardo al brano della lettera di Paolo ai Corinzi. Essa infatti suona molto provocatoria in un tempo in cui personalmente, socialmente ed ecclesialmente sembra si riscontrino proprio quelle divisioni e discordie che l’Apostolo vuole scongiurare: la sua constatazione infatti, «mi è stato segnalato che tra voi vi sono discordie», mi pare dipinga bene anche la nostra realtà quotidiana, di singoli e di Chiesa.
È Paolo stesso a spiegare poi, nei versetti immediatamente successivi, cosa intenda rilevando questa situazione di divisione; e infatti annota: «Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “Io invece di Cefa”, “E io di Cristo”». Il problema posto in campo allora è quello di una dispersione dei punti di riferimento all’interno dell’unico corpo (la Chiesa) che ha come capo solo Cristo.
Ma in questione non sembra esserci tanto l’esperienza di un’appartenenza o di un’amicizia o di una stima creatasi fra persone che hanno fatto un incontro tanto intimo da risultare decisivo; quanto piuttosto il fatto che esso rimanga come un baluardo ideologico, privo della capacità di far confluire i singoli verso l’Unico vero riferimento che può unire: Cristo Gesù.
L’indicazione di Paolo allora sembra andare proprio in questa direzione: perché si faccia comunione è necessario ri-orientare verso Gesù la centralità del proprio io, il proprio orizzonte di senso, il proprio cuore: «È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?».
Ma… mi vien da chiedermi… oggi basta un’indicazione di questo tipo? Certo, con la nostra sviluppata dialettica riusciremmo sicuramente «a essere tutti unanimi nel parlare», a trovare cioè formulazioni comuni sull’essenza del Cristianesimo e anche (sforzandoci) sulla pratica cristiana. Ma la sensazione è che la ben più coinvolgente «unione di pensiero e di sentire» che l’Apostolo prospetta, sia impresa decisamente ardua e sicuramente lontana dallo scenario attuale.
Il problema oggi infatti non sta solo in una pluralità di riferimenti (la destra, la sinistra, il centro, la linea profetica, quella magisteriale, quella evangelica, quella ortodossa, quella cattolica, quella di Ruini o quella di Martini…), ma nel fatto che è il centro stesso – riconosciuto da tutti con Paolo come il «nome del Signore nostro Gesù Cristo» – ad essere riempito di contenuti diversi: di un pensare e di un sentire diversi!
Tutti si riferiscono a Cristo: quelli che vogliono la messa in latino e quelli che sentono un tuffo al cuore a vedere il papa che dà il di dietro ai fedeli; quelli che vanno in piazza con le bandiere della pace e quelli che politicamente sostengono la giustezza della guerra preventiva; quelli che sono rigidissimi sull’uso degli anticoncezionali e quelli che per evitare agli africani la morte di aids li distribuiscono alla gente; quelli che proprio perché hanno incontrato il Vangelo non se la sentono più di lasciar fuori nessuno e quelli che in nome dello stesso Vangelo han bisogno di tracciare i confini…
Ma allora? Se questo stesso riferimento dà adito ad una così vasta pluriformità di pensieri e di modi di sentire, bisogna concludere che ciò avviene perchè lo stesso Cristo lo si incontra in modi diversi… lo stesso Vangelo lo si legge in modi diversi… lo stesso essere Chiesa lo si vive in modi diversi…
E sinceramente io sono un po’ stanca delle “formule concordiste”, che mi pare servano solo a dare una parvenza di unione (che fa comodo a tutti), ma che di fatto lasciano che ognuno vada per la sua strada… Il punto è che la storia ci ha già insegnato che a furia di andare ognuno per la sua strada (come è successo tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente) poi ci si ritrova talmente lontani da risultare, appunto, divisi…
Che fare dunque? Non è politicamente corretto sbilanciarsi nel dire che qualcuno ha ragione e qualcuno ha torto? Forse… Ma non ci resta che tentare di tornare, come suggerisce Paolo, a Cristo stesso, al suo Vangelo… e provare, senza forzare ideologicamente le sue parole, a far parlare lui…
Prendendo dunque in mano il Vangelo di questa domenica ci accorgiamo come esso ci parli dell’inizio del ministero di Gesù: è il testo di Matteo al capitolo 4, i versetti 12-23, il quale affonda esplicitamente le sue radici nel testo di Isaia 8,23-9,3 che la liturgia conseguentemente ci propone come prima lettura.
Si parla della terra di Zabulon e della terra di Neftali. Esse erano le due tribù più settentrionali e quindi più distanti dal centro, da Gerusalemme, che notoriamente è la beneficiaria delle promesse. E di fatti sono presentate nelle tenebre. Anche perché questo è il territorio dove passava la famosa “via maris”, la strada che collegava cioè le regioni più importanti della Mezzaluna fertile (l’Egitto con la Mesopotamia e la Persia) e che perciò rendeva queste terre oggetto del passaggio di eserciti, che vi compivano scorribande e saccheggi frequenti. Addirittura questo distretto di periferia, era abitato da numerosi gruppi di popolazioni non ebree; e gli Ebrei stessi la chiamavano la “regione delle Genti”.
Ma è proprio in queste terre, cariche di confusione sociale, politica, militare e religiosa, è proprio in queste terre, considerate in qualche modo maledette, che Dio interviene con un cambiamento tanto radicale quanto immotivato (non vi è infatti alcuna allusione ad una conversione): «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse».
E Matteo, nel suo Vangelo, riprende proprio questo annuncio profetico, per mostrare come il compimento di questa attesa stia in Gesù di Nazareth: «Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa».
Secondo l’evangelista, allora, è proprio Gesù colui che compie le attese, colui cioè che determina in modo storico (legato quindi alla carne, al sangue e alle lacrime delle persone) e insieme definitivo, il passaggio da una vita che sa di morte, ad una vita che si mette a brillare e a illuminarsi: «Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta».
Ma come fa a compiere queste attese? Nel brano proposto le parole e le azione di Gesù sono poche, ma decisive; e ci aiutano anche a rispondere al nostro problema originario: qual è il Cristo a cui riferirsi?
Anzitutto è da notare come la prima parola di Gesù in questo brano sia un invito incalzante: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
Convertirsi, biblicamente parlando, non ha immediatamente un valore morale, ma piuttosto, esistenziale: incontrare il Signore, vuol dire cioè cambiare mentalità, invertire la direzione, trasformare gli orizzonti di senso. Ossia vuol dire che il Dio di Gesù Cristo non è riconducibile a nessuna forma di religiosità classica, a nessuno schema contrattualistico tra l’uomo e il suo dio: eppure, vien da pensare… quanto della nostra fede è stato invece ridotto ad un impianto religioso classico? Quanto poco è disposto, chi da questo impianto religioso trae profitto o potere, a convertire la religione con la fede?
Ma c'è dell'altro: va segnalata infatti anche un’altra azione significativa di Gesù: la chiamata dei primi discepoli. Ciò che incuriosisce è soprattutto questo prenderli a coppie, a due a due. Un fatto che immediatamente fa risuonare in noi la parola di Giovanni quando afferma «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). È questo allora il modo di vivere le relazioni da cristiani (con Cristo come riferimento): non in maniera formale e asettica, stereotipata e convenzionale, gerarchica e reverenziale, distaccata e sessuofoba, ma coinvolgente e con-patente, spontanea e trasparente, intrecciata e confidenziale… e anche qui verrebbe da pensare… al giusto riferirsi a Cristo nella Chiesa...
Ed infine l’altra grande frase di Gesù: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». I pescatori, si sa, sono coloro che tolgono i pesci dal mare. E biblicamente il mare è simbolo per eccellenza del male… Pescare uomini allora, vuol dire toglierli dal male (con tutte le caratterizzazioni che esso può assumere: fisico, morale, esistenziale, psicologico, economico…). Chi si riferisce a Cristo allora è colui che ridona all’uomo la sua umanità, colui che lo risana nella sua interiorità, colui che gli ridona la dignità di figlio e l’abilitazione alla Vita. Non può certo essere colui che incastra le persone nei sensi di colpa, che propone il sacro come rifugio, che discrimina le persone in base al sesso, alla purità, alla loro situazione etica…
Questi appaiono allora i criteri per il riferimento a Cristo: il rinnovamento del cuore, la passione per l'altro, il dono della Vita. Ma, purtroppo, così spesso non sappiamo essere altro che inariditi uomini, soli e sterili.
«Dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7,16).

domenica 20 gennaio 2008

Ecco l’agnello di Dio… che porta i peccati del mondo

…sentendolo parlare così, seguirono Gesù!
dunque, su questa testimonianza del Battista: “Ecco l’Agnello di Dio”, nasce il primo nucleo di seguaci di Gesù, nasce e si diffonde la chiesa. Perché, ancor oggi, questa rimane la dinamica centrale della fede cristiana, del suo fascino, della sua radicalità, della sua difficoltà “mortale”, per chiunque si lascia trascinare su questo cammino. Soltanto il cammino stesso, infatti, convincerà poi il discepolo e la sua comunità di quanto era importante la testimonianza di Giovanni, come indicatore del Cristo. L’ultimo Vangelo, scritto quando già tutto si era detto e predicato di Gesù, ci ripropone come paradigmatica per ogni cristiano l’esperienza del precursore – anche dopo che si è già inoltrati nel cammino della fede da lui indicato…

Il giorno dopo…
le speranze di maturazione della fede sono legate al… “giorno dopo”, per scandire i passi, attraverso i quali bisogna passare. Giovanni l’ha provato, quando la sua fede è stata messa alla prova dall’arrivo di questo Messia, che non aveva l’aria … del Messia atteso. Non aveva la scure, né il ventilabro e non ha minacciato né cacciato i nemici del popolo di Dio. “Il giorno dopo” è il momento in cui ti accorgi che la sua proposta e il suo vangelo, la sua vita e la sua morte… sono tutt’un’altra cosa, da quanto avevi capito. E bisogna ripetere con il Battista: “io non lo conoscevo”. Eppure gli aveva fatto propaganda al punto che tutta la predicazione e il suo battesimo di penitenza, miravano a far conoscere Gesù ad Israele. Ma infine si è accorto che doveva far conoscere ad Israele uno che lui stesso non conosceva…
E proprio questa era la sua missione: far capire ai penitenti del battesimo di acqua, di andare al seguito di Gesù, perchè solamente dopo che gli si fossero avvicinati, si sarebbero resi conto di non conoscerlo, perché la sapienza e la logica della sua vita non sono di questo mondo, non sono omogenee alla nostra logica di semicristiani tiepidi e ambigui. Soltanto seguendolo ci si poteva accorgere della propria refrattarietà al suo vangelo, e iniziare un dialogo vitale: un battesimo dello Spirito, che è l’unica possibilità vera di conoscenza di lui. Tutto ciò che precede questo incontro di coinvolgimento vitale con lui, può diventa addirittura un ostacolo a conoscerlo … E i due discepoli sarebbero stati per sempre dei “cristiani ritardati” fermi sul guado, se non avessero seguito l’invito del Battista, e non si fossero avventurati di persona sulle tracce di Gesù, per cogliere la sua provocazione: venite e vedete (39).

il triplice presagio
vedendo Gesù venire verso di lui… Giovanni capisce il proprio cammino e il senso della sua missione. E il Vangelo ci aiuta a leggere in filigrana, sul suo percorso, le tappe di conversione di chiunque voglia accettare le sue indicazioni profetiche, per diventare o ridiventare discepolo di Gesù.

  • colui che viene dopo di te è più importante di te, anzi è l’unica cosa importante. Dunque colui che Giovanni (noi) andavamo cercando da una vita, non è “il mio compimento”. Noi, piuttosto, siamo il “suo” compimento! Perché era prima di noi e ci è passato avanti, perché viene dall’eternità del Padre… Se non s’illumina questo barlume, se non ti accorgi di questa stella nelle tenebre; se non ti morde dentro questo presagio che la tua ricerca e i tuoi affanni, la tua missione e le tue presunzioni, il compito o il senso su cui hai puntato la vita sono labili e transitori, e proprio perché impastati del tuo io, ti si sfaldano tra le mani, non si fa spazio dentro di te, per cercare davvero… E comunque non si può censurare troppo a lungo il senso di incompiutezza che ci cova dentro, per il troppo poco che siamo. Non si può far tacere la chiamata interiore ad una dislocazione da fare, che se non altro, diventa umiltà e implorazione. Perché è a questo livello che riconosciamo cosa voglia dire davvero il primo avviso pregiudiziale di Gesù: chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso… Giovanni l’ha fatto fino a scoprirvi il senso definitivo e compiuto della sua missione…
  • Egli deve crescere ed io diminuire” (3,30). Anche per noi… i passi fatti, le fatiche del cammino, le persone che ci accompagnano, le ideologie con cui abbiamo interpretato e razionalizzato il suo vangelo e le nostre scelte (e che comunque dovevamo fare: sono il nostro battesimo penitente!), indicano con la loro fragilità e ambiguità dov’è il futuro, a cosa ci preparavano, verso dove ci spingevano. E ormai hanno realizzato il loro compito, devono ritrarsi per lasciare posto all’incontro, diversissimo per ognuno dei discepoli, ma passaggio assolutamente necessario per uscire dall’adolescenza … vocazionale cristiana, e diventare umilmente “responsabili” della propria fede. Per incontrare così la domanda nuda che Gesù ci rivolge, quando siamo fermi su questa soglia, incerti sul passo decisivo per la nostra vita: Chi cercate? (38).
  • L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è lui che battezza in Spirito Santo. Questa era la promessa e garanzia che l’aveva sostenuto e aveva dato il respiro all’impegno di tutta la sua vita, la forza alla sua voce inascoltata nel deserto, il coraggio della verità pagata di persona, il senso al suo battesimo di penitenza… Colui che sembrava uno dei tanti devoti nella fila dei suoi battezzandi… era il vero Battezzatore e salvatore dell’umanità, smarrita e ferita come pecore senza pastore… Al principio ognuno, man mano che si immerge nelle funzioni, nelle scelte, negli impegni della sua vita cristiana e si spende nella faticosa ricerca di fedeltà e dedizione, crede di conoscere bene Colui per il quale ha dato la vita… Quanto più è grande la (piccola) dedizione di cui siamo capaci, e passano i giorni e gli anni, tanto più è la distanza che scopriamo da lui. Per questo l’insistenza accorata del Battista, diventa propria di chiunque ha provato a seguire Gesù, ed ha imparato a proprie spese a sottoscrivere, presto o tardi la sua dichiarazione perentoria: io non lo conoscevo!

Ecco l’agnello di Dio!
Il giorno dopo, l’anno dopo, o il decennio dopo… arriva il momento che ti trovi seduto per terra come Pietro o Paolo, o smarrito nel viaggio come i due di Emmaus, in forme tanto diverse quanto le storie personali di ognuno. E allora scopri che la fede, così com’era, non ti serve più. Ma non per questo perdi lui: anzi rimane solo lui – e gli sparuti fratelli o sorelle che ti legano a lui! Rimangono questi segni o presagi profetici che Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli… che li ha spinti ad iniziare l’avventura con Gesù, andando a conoscerlo “a casa sua”. Dunque, a non sfuggire, a non cercare capri espiatori, ma ad assumere la propria vita, e a prendere atto di dover iniziare di nuovo…. A livello liturgico e teologico la consapevolezza di questa destinazione cristiana è collaudata nella chiesa. Ad ogni Eucaristia si rinnova sacramentalmente agli invitati alla cena pasquale l’indicazione del Battista "Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo". Gesù infatti non ha voluto salvarci con la parola, con i miracoli, con le grandi conversioni di popoli, ma con la sua fine innocente e mite sul Calvario, all’ora dell’immolazione degli agnelli pasquali… Dopo aver condiviso con i discepoli l’ultima cena e dopo aver “spiegato” tutto il suo amore ai loro cuori induriti, allora come oggi: li amò sino alla fine!

Nel segno dell’Agnello sta infatti la volontà di assoluta rinuncia alla potenza… vuol dire volere la Paura del Monte degli Ulivi, volere la vergogna e l’amarezza più profonde, volere il tradimento, il rinnegamento, l’abbandono; volere una morte che è fallimento; rinunciare ad ogni prova della fede, ad ogni amore sentito. Una volontà che miri a tutto questo è lo scopo diretto di tutta la vita del Redentore. Chi vuole mettersi al seguito di questa vita, deve quanto meno considerare con tranquillità la prospettiva che venga disposta la stessa via anche per lui. … [H. U. von Balthasar].

Allora riconoscerà la propria non importanza e transitorietà, ma nello stesso tempo vivrà la gioia di cui ha esultato il Battista, l'amico dello sposo, per aver spinto verso Gesù quelli che l’ascoltavano: “questa mia gioia che ora si è adempiuta” (3,29)

venerdì 18 gennaio 2008

È troppo poco…

Le letture che la Chiesa ci propone per questa II domenica del tempo ordinario risultano un po’ complesse: da un lato infatti contengono una ricchezza tale da lasciare chi tenta di dirne qualcosa un po’ inibito… dall’altro hanno l’inghippo di richiamare molto da vicino le letture di domenica scorsa... Ad ogni modo…

La prima cosa da notare è che, seppure in qualche modo ci si riferisce ancora al Battesimo di Gesù, lo scenario teologico è cambiato rispetto a quello matteano: siamo immersi infatti oggi nella prospettiva di Giovanni.
Egli ha delle caratteristiche personali davvero notevoli che lo contraddistinguono rispetto ai sinottici, per cui vale la pena darne un panorama.
La prima cosa da rilevare è che la figura del Battista assume una caratterizzazione particolare: nel Vangelo di Giovanni infatti egli, pur mantenendo qualche caratteristica del precursore («colui che viene dietro di me è passato avanti a me perché era prima di me», Gv 1,15.29), è piuttosto identificato come il testimone: «E io ho visto e ho reso testimonianza» (Gv 1,34).

Inoltre non è mai chiamato con il nome Battista (baptistes), che è l’aggettivo verbale di baptizo, ma il battezzante (baptizon); si usa cioè il participio presente del verbo. Questa, che in prima battuta può forse sembrare una semplice notazione grammaticale, in realtà è un’indicazione utile per capire come chi scrive il Quarto Vangelo (d’ora in poi QVg) intenda questo personaggio: da un lato infatti in questo uso linguistico si rivela una certa confidenzialità data a Giovanni Battista, dall’altro il fatto che il QVg qui ometta di mettere quel titolo che solitamente ama dare ai suoi personaggi, ha un senso preciso. Lo scopo infatti, a detta del biblista Roberto Vignolo, pare essere quella che lui chiama una contorsione di rappresentazione narrativa nella costruzione di questo personaggio. Il punto cioè sembra essere la difficoltà di presentare un personaggio che mentre viene esaltato (è il più grande fra i nati di donna – Mt 11,11; è il precursore; è il testimone; per i sinottici è addirittura il nuovo Elia), deve essere anche ridimensionato («non sono il Cristo», Gv 1,19; «Egli deve crescere e io invece diminuire», Gv 3,30).

Ciò emerge nello specifico anche nei versetti del Vangelo di Giovanni che la liturgia ci propone (1,29-34) per questa domenica. Essi corrispondono alla seconda delle tre testimonianze che il Battista dà di Gesù nel I capitolo (la prima era quella espressa in Gv 1,19-28 ai sacerdoti e ai leviti, che erano stati inviati dai Giudei per capire chi fosse questo battezzatore; la terza è quella che apre il racconto della vocazione dei primi discepoli, Gv 1,35-42).

La cosa più interessante di questa seconda testimonianza del Battista è la censura posta in campo: non è raccontato infatti il Battesimo ricevuto da Gesù, per mano di Battista, al Giordano. Si dice solo della discesa dello Spirito Santo, che il Battista ha visto e poi testimoniato.
Il senso di questa omissione sembra probabilmente rientrare proprio nel discorso del ridimensionamento per cui si vuole cominciare a facilitare l’idea di un Giovanni Battista tutto a servizio testimoniale di Gesù.

Ma se di Giovanni è sottolineato così tanto il ruolo del testimone, è per la pregnanza di ciò che testimonia, o meglio, di colui al quale rende testimonianza. Questi versetti 29-34 infatti, rispetto alla I testimonianza che era al negativo («Egli confessò e non negò, e confessò: “Io non sono il Cristo”», Gv 1,20; «Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, Elia, il profeta?» Gv 1,25), mirano ad attestare l’identità di Gesù. Egli infatti è:

- l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo;
-
colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”;
-
colui sul quale è disceso e rimasto lo Spirito;
-
colui che battezza nello Spirito Santo;
- il Figlio di Dio.

Il primo e l’ultimo titolo (Agnello di Dio e Figlio di Dio) sono due espressioni che anche linguisticamente si richiamano. Il secondo, Figlio di Dio, è il titolo cristologico più rappresentativo del QVg, mentre il primo, agnello di Dio, compare solo qui. È su di esso quindi che maggiormente va posta l’attenzione, anche perché ci sono almeno quattro interpretazioni possibili:

1- Una prima interpretazione vede un riferimento diretto a Isaia 42, intendendo Agnello di Dio come il servo di Dio (in aramaico infatti servo e agnello si dice nella stessa maniera). Gli elementi comuni tra Isaia 42 e Giovanni sono infatti numerosi: servo, eletto, spirito, predicazione. Lo Spirito dato a Gesù (Gv 1,32.33) sarebbe allora quello che caratterizza la sua missione di servo, in quanto
predicatore, in quanto colui che porta la parola di Dio alle genti.
2-
La seconda fa riferimento a Esodo 12 e alla figura dell’agnello pasquale. In questo senso è significativa la coincidenza della cronologia giovannea che sposta gli eventi della passione, tutti un giorno prima rispetto ai sinottici. In questo modo nel QVg Gesù non muore venerdì santo, ma la vigilia di venerdì, esattamente nello stesso momento in cui nel Tempio sono immolati gli agnelli per la
celebrazione di veglia e della cena pasquale.
3-
La terza fa riferimento al servo di Dio di Isaia 53,7, dove si parla dell’agnello condotto al macello come pecora muta davanti ai suoi tosatori.
4- L’ultima soluzione è l’interpretazione dell’agnello come simbolo del Messia. Il riferimento migliore l’abbiamo nell’Apocalisse giovannea: all’inizio del libro c’è infatti la scena famosa dell’agnello. Dovrebbe arrivare un leone (il leone di Giuda), colui che ha vinto ed è l’unico in grado di sciogliere i sigilli del libro. In realtà invece del leone arriva proprio un agnello…

Gli studiosi consigliano di non scegliere tra queste possibilità… Essi sostengono che forse è più giusto dire che quella di Giovanni è una teologia molto stratificata, multisignificante, in cui tutte e quattro queste accezioni vanno tenute.
Se questo è vero però, in questa seconda domenica del tempo ordinario dobbiamo anche notare che l’accostamento dei testi scelti dalla liturgia, porta a sbilanciarsi sulla prima sottolineatura. La prima lettura infatti fa riferimento proprio a quel servo di Dio che riceve lo Spirito in quanto predicatore, in quanto colui che porta la parola di Dio alle genti (come in Is 42): «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49,6).

Prospettiva questa a cui fa eco anche san Paolo nel suo incipit alla Lettera ai Corinzi: «a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo».
In questa linea allora va trovato il filo conduttore dei testi di oggi: essi infatti hanno tutti una funzione rivelativa, con lo scopo di far emergere l’identità di Gesù.
Egli, il Figlio di Dio (Gv 1,34) e il Signore nostro e loro (1Cor 1,2), è colui che libera dal peccato attraverso la sua parola di verità. Verità che è lui stesso in persona.

Proprio per questo, perché non porta semplicemente una verità, ma è Lui la Verità… proprio per questo rimane sempre incontrabile da tutti. È troppo poco per Lui perciò rimanere chiuso in un’elezione settaria (non è solo per alcuni), in un’interpretazione esclusiva (non corrisponde all’idea di lui che qualcuno si fa), in una prassi preordinata (non c’è un percorso automatico per incontrarlo), in una morale aprioristica (non è seguendo un codice etico che mi conformo a lui), in una oggettivazione dottrinale (non è una dottrina che devo acquisire)…
Spesso purtroppo e forse inevitabilmente i percorsi religiosi (ebraici prima ed ecclesiali poi) hanno rischiato di imprigionare la forza esplosiva di questa Verità fatta persona che chiede di portare la sua salvezza fino all’estremità della terra. L’hanno fatto (lo facciamo) sempre per ragioni validissime (riassumibili nella salvaguardia di verità – appunto – come se la Verità avesse bisogno dei nostri dogmi per essere salvaguardata), intimoriti da conseguenze disastrosissime (che qualcuno chiama relativismo)… peccato che poi ci perdiamo per strada tutta una grandissima fetta di umanità che sta all’estremità della terra…

Forse dal punto di vista di un Dio che vuole raggiungere il cuore di ogni uomo fino agli estremi confini del mondo, la chiusura che spesso caratterizza le nostre conventicole cattoliche (che prima di aprirsi a qualcuno guardano con chi va a letto, quante volte si è sposato, cosa mangia il venerdì santo…) è davvero troppo poco…

domenica 13 gennaio 2008

Battesimo del Signore

Ecco il mio servo!...
Giovanni ha la sensazione che sta capitando qualcosa di assolutamente nuovo, quando nella fila dei battezzandi che ormai da tempo venivano a lui, vede Gesù, venuto anche lui a farsi battezzare! Ciò che Giovanni stesso aveva profetizzato di Gesù sta compiendosi in modo così misterioso che non riesce a coglierne il senso! E gli dice: Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me? Gesù non ha nessun bisogno del suo battesimo di penitenza, anzi… semmai viceversa!
Giovanni conosceva i profeti e predicava una conversione secondo il loro linguaggio e il loro insegnamento, per preparare la via del Signore. E la gente accorreva a lui confessando i propri peccati, facendosi battezzare da lui nel fiume Giordano…

Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! … Fate dunque frutti degni di conversione …Già la scure è posta alla radice degli alberi: …Io vi battezzo con acqua, per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me… egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile (Mt 3,7ss)

Così infatti era la predicazione tradizionale della salvezza, legata ai frutti della conversione e alternativa alla eterna perdizione. Per cui l’uomo, anche desideroso di ascoltare il monito del profeta, ne riceveva la denuncia del suo peccato, ma non la forza di uscirne. Per cui questi “frutti degni della conversione” non riusciva a darli… E incombeva su tutti la minaccia apocalittica di finire nel fuoco inestinguibile. Il popolo che ascoltava la chiamata di Giovanni alla conversione, lavava nell’acqua i propri peccati, ma non ne traeva la forza per non ripeterli allo stesso modo…
Ecco dunque Giovanni che si vede venire incontro Gesù, l’unico estraneo a questo dramma insolubile di desiderio e di incapacità di conversione. Forse sta iniziando un’era nuova, quella predetta in modo misterioso dal profeta? Gesù è quel personaggio nuovo che usa misericordia e tenerezza, che non spegne lo stoppino fumigante e non spezza la canna incrinata? Giovanni non sa più che debba fare… e si affida a chi gli dice che sta iniziando “un altro livello di giustizia” tra gli uomini e Dio.

Colui che assume e porta i peccati del mondo
Gesù è simbolicamente l’ultimo della fila di tutti i battesimi di penitenza. Si chiude ogni ciclo e ogni tappa precedente e si apre il tempo definitivo, perché questo battesimo nuovo è l’unico veramente efficace, e rende superflui tutti gli altri, per sempre. Gesù non ha peccati da lavare nelle acque del Giordano, come la gente che va a purificarsi nei fiumi “religiosi”, lasciandovi i propri peccati, le loro macchie e la loro continuamente rinascente fragilità e malizia. Loro entrano nell’acqua sporchi e pregano per uscirne puliti. Gesù entra nell’acqua pulito e ne esce sporco, ludibrio delle genti, perché vi ha raccolto tutti i peccati del mondo, che gli si sono attaccati alla pelle, se li è caricati sulle spalle… E comincia così la sua vita pubblica di Messia, si avvia così alla sua sorte, con questo carico immenso, prima verso il deserto, alle tentazioni (come ridiventato sensibile a tutte le debolezze umane!), poi ad annunciare il Vangelo di misericordia per i poveri e i peccatori, inascoltato dai giusti e dai maestri di Israele, progressivamente rifiutato dal potere religioso politico economico… fino ad essere inchiodato sulla croce assieme ai delinquenti… La giusta fine, per colui che si era preso sulle spalle i nostri delitti!

Questi è il mio figlio prediletto.
Quando Gesù emerge dall’acqua, con sulle spalle e in cuore questa sua destinazione, sente su di sé il sigillo dello Spirito. Adesso tutta la storia della dannazione dell’umanità (la giustizia!) si è compiuta, sotto il segno della misericordia e della pace… tra il Padre e questo uomo, suo figlio, divenuto fratello di tutti gli uomini, di cui ha assunto la debolezza e il peccato. Finalmente la colomba della pace che aspettava da millenni di trovare dove posarsi, scende su di lui, che preserva per sempre l’umanità dal diluvio, dalla scure, dal ventilabro e dal fuoco inestinguibile.
Il Padre riconosce e conferma di fronte al mondo (a chi lo ascolta!) il nuovo motore dell’universo, il mistero nascosto fin dall’origine del mondo: - è questo il segreto cristiano, il Cristo! L’inversione, appunto, del spinta propulsiva del mondo, che non era possibili si manifestasse, se non adesso, quando il mondo è arrivato misteriosamente alla pienezza dei tempi. L’universo intero era fondato (rimane materialmente fondato) sull’assorbimento (la fagocitazione!) dell’energia fisica e vitale dall’altro, più debole di te, perchè della sua morte, o diminuzione, tu hai bisogno per “sopravvivere”! Ogni essere vive dell’energia rubata all’altro, sussiste per assorbimento dell’altrui identità… In Gesù invece si manifesta pienamente una nuova “alleanza”, una nuova “luce”… preannunciata dai profeti. Il nuovo motore che cambierà definitivamente le sorti del mondo, a partire dal suo livello umano più alto, quello dello spirito, è questa grazia, questo “dono” divino – la possibilità di donare la propria vita, la propria energia vitale all’altro più debole di te, assumerne la debolezza per soccorrerla e accudirla con il tuo amore. Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici!

…Nel quale mi sono compiaciuto!
Nel Padre, che è l’origine eterna della vita, c’è un sussulto di gioia, perché qui si manifesta per la prima volta pienamente nella storia, la sua realtà più intima, misteriosa e irraggiungibile per noi, ma non incomprensibile. La sua intima realtà trinitaria di circuito d’amore, dove il dono totale dell’uno all’altro fino allo sprofondamento di sé che ci è stato rivelato nel figlio, non è causato della necessità sacrificale, come sempre l’uomo ha interpretato Dio, ma dalla forza esplosiva del dono di sé che genera la vita dell’altro. La gioia del Padre è che il Figlio ha assunta la debolezza degli uomini sulle proprie spalle e riporterà a lui tutti i suoi figli, coinvolgendo quelli che accettano di seguirlo su questa strada – e saranno segnati anche loro da questo originale sigillo battesimale “cristiano”, che è l’assumersi il peccato altrui… e donare la propria vita per fare vivere gli altri.

Adesso sto rendendomi conto che…
Pietro è il modello del nostro incerto e nello stesso tempo volonteroso cammino di fede. Uscire dalla religione contrattuale, moralistica, rituale… che tende a sottomettere Dio alle nostre modalità storiche e culturali di avvicinarci a lui, ci sconvolge sempre, di nuovo. Quando l’impatto con altre modalità ed altre culture (oggi come mai nella storia dell’umanità!) ci fa vedere che lo Spirito (l’Amore aperto in Dio e negli uomini) si trova dappertutto, non ha confini, mette in crisi la nostra fragile fede, che aveva già imprigionato la potenza dello Spirito nelle nostre storiche devozioni e impostazioni, prassi e regolamenti… Allora bisogna che l’amore ai “volti” che incontriamo sia più forte di questo smarrimento … per poter riaprire il cuore e dire, anche noi: Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Altrimenti eleveremo gli steccati o le condanne (o i roghi!) e faremo della grazia che il Signore ci ha donato, un’assurda barriera di esclusione dalla salvezza proprio di coloro che Gesù nel Vangelo ci ha insegnato a privilegiare d’amore: i poveri, i peccatori, i prigionieri, gli afflitti dal male e dal dolore, troppo più grande di loro.

Mentre adesso – in questo nostro tempo! ‑ come mai, stanno maturando i tempi i cui i cristiani possono rimisurare la salvezza portata da Gesù Cristo sulle misure infinite dell’universo.

venerdì 11 gennaio 2008

La predilezione che porta a morire

Leggendo i testi che la Chiesa ci propone per questa domenica, dedicata al Battesimo del Signore, ci si accorge subito che il filo conduttore che li lega è il tema della predilezione.
La prima lettura, in questo senso, esordisce in modo esplicito: «Così dice il Signore: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio”». Ma pure il Vangelo, che riferisce la profezia a Gesù, non è da meno: «Ed ecco una voce dal cielo che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”». E infine anche il Libro degli Atti, pur con sfumature linguistiche diverse, ripresenta lo stesso valore semantico, parlando di Gesù come «il Signore di tutti», come colui che «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza».
I termini con cui questa predilezione è espressa, tra l’altro, sono da prendersi in senso forte:
- i significati di eletto (Is 42,1) e di amato (Mt 3,17) in greco resi rispettivamente con εκλεκτός (eklektos) e con αγαπητός (agapetos), letteralmente sarebbero infatti: scelto, eletto, adorato, stimato, caro, preferito, degno di amore;
- allo stesso modo l’idea del compiacimento (Is 42,1 e Mt 3,17), in greco ευδοκέω (eudokeo), ha la valenza forte di sembrare buono a qualcuno, essere un piacere per qualcuno, ritenere buono, scegliere, preferire, essere ben compiaciuto di, prendere piacere in, essere favorevole verso qualcuno;
- e infine lo stesso concetto di consacrazione, espressa in Atti 10,38 fa riferimento al verbo greco χρίω, ungere, il cui senso forte è immediatamente evidente se si nota che da esso deriva lo stesso termine Cristo.
Si sta parlando allora di un personaggio di grande consistenza, che ha tratti molto allettanti: chi in qualche modo non desidera essere il prediletto di qualcun’altro? Chi non rimpiange il tempo in cui è stato amato, preferito in modo speciale? Chi non vorrebbe essere sempre nella condizione di essere il compiacimento di un altro?
Eppure, se possibile, questa prospettiva, che già così riscalda i nostri cuori, qui addirittura ha un superamento: il personaggio in questione infatti non solo è eletto, amato, consacrato, ma lo è da Dio in persona! È Dio stesso che si compiace di lui!
E immediatamente la nostra immaginazione prova a percorrere il senso di queste parole, segnate ora, proprio perché hanno Dio per origine, da definitività, totalità, incommensurabilità… Chi può essere questo prediletto? Che cosa avrà mai fatto per esserlo? E soprattutto… come sarà avere dalla propria parte niente meno che Dio («Dio era con lui» At 10,38)?
La nostra fantasia però, che immediatamente associa l’idea di predilezione a quella di personale privilegio, va tenuta a bada, perché proseguendo la lettura dei passi che la liturgia ci propone, scopriamo che l’eletto biblico è connotato diversamente da come ce lo aspetteremmo…
Isaia infatti di questo servo eletto dice che «porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra».
Ma come? Che razza di prediletto è questo? Di lui non è detto niente… non è riportato nessun effetto vantaggioso che gli deriva dalla sua situazione di privilegio… non c’è nessuna logica di esclusività che lo separa dalla massa di tutti gli altri… anzi… tutto quanto è detto di lui si riferisce al bene di altri…
Inoltre il profeta sembra proprio convinto che la logica sia questa, tant’è che prosegue dicendo: «Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre».
Questa logica inaspettata da parte di un privilegiato, questa logica cioè per cui l’essere preferito è a vantaggio di altri, porta necessariamente a un rimettere in discussione il nostro modo di pensare l’essere scelti… spesso così arroccato in una separatezza dal resto del mondo… anche confessionalmente e vocazionalmente parlando…
Ma non solo… da ripensare è anche l’identità di colui che predilige… che predilezione è infatti quella i cui effetti benefici trasbordano rispetto al prediletto? In fin dei conti, che Dio è il Dio che di Gesù dice «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» e poi lo lascia morire in croce per la salvezza di ogni uomo? Qual è la logica che ci sta dietro?
A dire il vero, anche se ogni volta ci sconvolge le impalcature mentali, è proprio la logica di sempre di Dio… quella dell’elezione inclusiva e mai esclusiva («Dio non fa preferenze di persone», At 10,34)… che è valsa per Abramo, per Mosè, per Davide, per il popolo di Israele … scelti non per un privilegio discriminante che escludeva gli altri, non per qualche particolare merito, non per una dinamica elitaria che dividerebbe il mondo in salvati e dannati, buoni e cattivi, giusti e ingiusti, puri e impuri… Ma scelti invece per essere poli di irradiazione di un amore che, se non può che essere sperimentato nella propria individualissima singolarità (privilegio), chiede però, per inverarsi, di rompere gli argini e di essere resa possibile nell’esperienza personale di ogni uomo.
Questo è il senso dell’elezione! Ed è proprio per questo che l’elezione è sempre a vantaggio degli altri… di Gesù infatti Pietro in Atti dice «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo».
Ma non è ancora tutto… I testi sembrano aprire lo spiraglio ad altro…
Non solo la logica dell’elezione è a vantaggio degli altri, ma addirittura, stando al Vangelo, è a svantaggio del privilegiato…
Cerco di spiegarmi: indubbiamente c’è un privilegio nella predilezione, soprattutto in quella divina. È l’esperienza di un’intimità con Dio talmente profonda da essere conformante, per dirla alla san Paolo… Eppure… l’entrare nella logica di Dio, nel suo Spirito, nella sua essenza, nella sua comunione, nel suo orizzonte di senso, porta l’eletto a una definitività, a una totalità, a una incommensurabilità dell’amore che quando si scontra col mondo diventa per lui mortifera…
L’entrare a far parte del circolo amoroso del Dio-Trinità implica l’assunzione anche di quell’aspetto dell’amore che è la sua debolezza, la sua fragilità, la sua feribilità…
Essere prediletti da Dio allora vuol dire finire in croce…
E difatti il versetto che segue immediatamente la conclusione del brano degli Atti che leggiamo in chiesa domenica, suona così: «E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce» (At 10,39).
Le letture di questa domenica allora sono un richiamo forte a qual è il modo evangelico di essere scelti! La Chiesa, giustamente detta il nuovo Israele, il nuovo popolo eletto, di fronte a questi testi biblici non può non fermarsi a riflettere sul suo modo di vivere l'elezione… Troppo spesso infatti cattolico (letteralmente per tutti, universale, dal greco κατά όλος) è diventato sinonimo di chiusura, arroccamento, separatezza discriminante. Una logica che poi nella vita quotidiana si ripercuote nella necessità di gerarchizzare, di separare gli ambiti (sacro – profano; laico – consacrato; ordinato – cristiano di base), di delimitare le identità (maschio – femmina; giovane – maturo; normale – diverso)… tutte cose che mi pare abbiano poco a che fare con il dono di un’intimità con il Dio di Gesù Cristo nello Spirito, che si fa irradiazione d’amore a vantaggio di ogni altro essere umano… anche a costo della vita…

domenica 6 gennaio 2008

Epifania del Signore

I passi della manifestazione di Dio
All’inizio la comunità dei credenti celebrava inglobato nella risurrezione il mistero del Natale del Signore. Poi è arrivata tanta gente da paesi lontani, i missionari hanno cominciato a camminare su strade sconosciute e Gerusalemme e la sua storia son diventate piccole, a contatto con situazioni e culture, tradizioni e religioni molto diverse… con domande nuove e sfide impreviste. Le millenarie istituzioni religiose che hanno costituito il popolo eletto sono ancora valide? La legge, il sabato, la circoncisone, il tempio, il sacerdozio, il casato di Davide e la città della pace, centro di salvezza del mondo… sono ancora i passi necessari della salvezza? Si va a indagare con occhi nuovi negli scritti degli antichi profeti, proprio quelli che, con ostinata speranza, mentre il popolo in esilio viveva l’angoscia e lo smarrimento nella “nebbia fitta che avvolge le nazioni”… continuarono a sperare. Allora il mistero del Natale del Signore si è sempre più illuminato nei suoi vari aspetti… e non si riesce più a contenerlo in un giorno solo, ma richiede un “tempo di Natale del Signore”, dopo varie settimane di preparazione, e poi di contemplazione del Messia atteso, dal giorno della nascita al giorno della sua più piena epifania (manifestazione). La quale, come festa, diventa una miniatura sintetica che apre il libro grande (il messale) all’approfondimento e assimilazione dei misteri della salvezza, verso tutto l’anno liturgico.
Rimane ancora, infatti, nella liturgia dell’Epifania, il ricordo di quando, in origine, questa festa era una sorta di presentazione ufficiale di Gesù : “Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella guida i magi al presepe, oggi l'acqua è mutata in vino alle nozze di Cana, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza”. Dunque il Natale che arriva fino alle più impreviste popolazioni lontane con i Magi; ai vicini ebrei, con il miracolo di Cana per trasformare il giogo della legge nella gioia del vino nuovo dell’amore; ai discepoli, per fare loro scoprire la vera identità del Figlio prediletto… che sarà con loro fino alla fine dei secoli.
I passi della comprensione nella chiesa nascente
Ecco perché, nei segni evangelici riportati dalla liturgia di oggi, non solo l’umanità, ma tutta la natura sussulta… La stella cambia il suo corso e avvisa i sapienti dell’oriente; l’acqua a contatto del corpo di Gesù si carica di una potenza redentrice e alla sua parola si tramuta in vino inebriante; i cieli si squarciano e lasciano udire la voce eterna dell’amore del Padre che ci affida il Figlio prediletto… Adesso i discepoli di Gesù capiscono di quale Gerusalemme parla il profeta: della nuova umanità universale, implosa in Gesù Cristo, “alla luce del quale tutti i popoli cammineranno… i tuoi figli vengono da lontano”. Anche S. Paolo spiega e proietta nel futuro verso di noi la sua esperienza del mistero nascosto alle generazioni precedenti: per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. (Ef 2,6s) perché attraverso di lui il Padre tutti chiama “a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo”. Matteo con un diverso linguaggio narrativo, comprensibile anche ai più semplici, racconta la stessa esperienza di grazia dei cercatori di Dio, i saggi di sapienze “lontane”, inspiegabilmente guidati verso il Signore, mai rasseganti alle difficoltà delle strade e alle reticenze malintenzionate degli uomini del potere, rianimati invece dal conforto della gioia – aperti alla sorpresa imprevedibile indicata dalla stella, che alla fine individua il “re dei giudei”, tanto ricercato, in un bimbo in braccio a sua madre, in una qualsiasi casa. di non si sa che paese.
I passi della nostra conversione
La prima generazione “cristiana” ha accettato la sfida sconvolgente del mondo e del tempo in cui viveva. Ne sono visibili le contaminazioni, i conflitti e le ferite sanguinanti nel Nuovo Testamento. Ma ha capito che bisognava spalancare il cuore e la testa!- e ha obbedito al Signore. E così ha riscoperto e annunciato la novità assoluta della nuova alleanza, che pur realizzando la profezia dell’antica; ha accolto a pieno titolo l’allargamento della salvezza a tutti gli uomini di ogni tribù, lingua, religione, sesso, cultura. Ha salvato il legame essenziale alla radice ebraica, ma ha difeso anche strenuamente la libertà di un nuovo futuro imprevedibile, da inventare con lo Spirito, toccando con mano quanto diceva Gesù: lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future.(Gv 16,13). Fedeltà e creatività sono le direttive che faticosamente scoprono e applicano!
… mai, nella storia della Chiesa, il mondo le è cambiato sotto gli occhi, con tanta radicalità e rapidità. Il progresso scientifico e tecnologico ha sconvolto le fondamenta, non solo le modalità dell’esser uomo come era fino a qualche decennio fa, e non sappiamo cosa il futuro ci riserva. Per questo, ancora più, è importante ed urgente riscoprire insieme, nella “parola”, ove sono scritte la loro testimonianza e le loro scoperte, qualche segno, almeno, delle epifanie di Gesù Cristo al nostro mondo, per illuminare i passi della nostra conversione a lui.
Il segno delle stelle
È curioso che gli interrogativi più inquietanti e disarmanti, forse, anche oggi vengono dagli scienziati delle stelle, che ci raccontano di miliardi di anni di esplosione e autocostruzione ‘scientificamente autonoma’ degli elementi del nostro mondo, dove l’infinitamente grande rispecchia gli spazi immensi dell’infinitamente piccolo, e le domande su Dio creatore, sul senso dell’universo, l’origine della vita, sulla minuscola vicenda della nostra storia umana… non posso avere più le stesse risposte.
Sono tornati i magi!… non da paesi lontani, ma da laboriosi centri di ricerca di tutto il mondo, dove non solo la geofisica o la fisica atomica, ma la biotecnologia e tutte le scienze con cui l’uomo modifica se stesso… ci interrogano: dov’è il vostro Re? E noi, dove li mandiamo a cercare? occorre una conversione intellettuale, che è la maturazione di ‘una certa forza interiore dell’intelletto criticamente maturo’ (Card. Martini), cioè una decisione della coscienza libera e aperta del credente e della sua comunità di non rifiutare mai nessuna domanda, né deprezzare i loro doni, di non chiuderci nelle nostre ideologie, sovente tautologiche o autoritative, ma dedicarci con loro alla ricerca onesta del vero… dove l’obiettivo irrinunciabile sia custodire l’uomo e il mondo, che è la sua casa! A cominciare dal più povero.
Il segno del villaggio globale
Se l’allargamento al mondo greco romano del bacino del Mediterraneo ha prodotto tali sconvolgimenti nel vangelo della prima generazione cristiana, cosa dovremo fare noi, che viviamo una mondializzazione senza più confini? dove tutti ormai sono contigui (prossimi!) a tutti? Come tradurre oggi la profezia di Paolo che tutti gli uomini, “ancora oggi”, sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo? La Chiesa ha giustamente paura che il relativismo inarrestabile in un confronto così ravvicinato e indiscriminato di ogni credo e di ogni più diversa cultura e ideologia, corroda le fondamenta della fede. E quindi continua ad armeggiare intorno alle roccaforti dei princìpi che non sono contrattabili… Ma forse noi, i discepoli di Gesù, non siamo chiamati a cribbiare coi nostri filtri le religioni e le culture degli uomini, ma solo a testimoniare con la vita (e rendere ragione con dolcezza a chiunque ce lo chiede) che noi sappiamo chi è il re, il Signore…: è Cristo Gesù! un ‘crocifisso’, che, come tale, non impone nessuna discriminazione se non quella tra il potente e l’oppresso, l’egoismo e l’amore… Non con la forza dei ragionamenti, dell’economia o delle armi, ma assumendoci anche noi il male e la sofferenza degli uomini sulle sue spalle, perché il vangelo sia sempre anzitutto ‘buona notizia’ ai poveri!
Il segno della grazia
Questa impresa ci riuscirà sempre più “impossibile”, se fondata sulla pretesa di insegnare, organizzare, convertire… gli uomini del mondo, perché siamo convinti di saperne più di loro! A noi tocca invece aiutarli a scoprire dov’è il Signore: il segreto nascosto alle generazioni precedenti. È nel cuore di ogni uomo, dove lo Spirito geme “abbà Padre!”… perché ormai “è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. Allora scopriremo, a nostra volta, la garanzia segreta dell’annunciatore evangelico: che è la gioia per la salvezza dell’altro! “Il mondo è mondo per me, solo se può essere mondo per noi. Il senso è senso per me, solo se può essere senso per noi. La vita per poter essere vita per me, deve poter essere vita anche per l'altro. La felicità per potere essere felicità per me, deve poter essere felicità anche per l'altro ...” (Margaritti). Questo, comunque avvenga, noi sappiamo che è Epifania del Signore!

giovedì 3 gennaio 2008

Le genti sono chiamate a condividere la stessa eredità

In questa prima domenica del 2008, che coincide con la festa dell’Epifania, mi pare che la liturgia della Parola presenti nella prima (Is 60,1-6) e seconda lettura (Ef 3,2-3a.5-6) la medesima struttura riflessiva: entrambe infatti partono col descrivere una situazione di negatività, tenebre, peccato e arrivano all’annuncio del suo superamento grazie ad un evento nuovo.
Per quanto riguarda Isaia infatti, se facciamo un passo indietro rispetto al brano propostoci dalla liturgia, per esempio al capitolo 59,3-4, scopriamo parole di questo tipo: «Le vostre palme sono macchiate di sangue e le vostre dita di iniquità; le vostre labbra proferiscono menzogne, la vostra lingua sussurra perversità. Nessuno muove causa con giustizia, nessuno la discute con lealtà. Si confida nel nulla e si dice il falso, si concepisce la malizia e si genera l'iniquità». E, allo stesso modo, Paolo in Ef 2,11-12, dipinge così la situazione passata delle persone a cui sta scrivendo: «Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani per nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi perché tali sono nella carne per mano di uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo».
Sembra di sentir riecheggiare la storia dell’uomo di sempre: mani macchiate di sangue, iniquità, menzogne, ingiustizia, malizia... è la vita di tutti e di ciascuno, sempre in qualche modo avvelenata dal male fatto e subito, senza Dio e senza speranza... è la vita anche dell’uomo religioso che sempre divide gli altri in circoncisi e incirconcisi, giusti e ingiusti, puri e impuri, buoni e cattivi...
È la storia di sempre, eppure i testi biblici a proposito di queste situazioni annunciano un superamento: c’è come una svolta, qualcosa di tanto determinante che fa sì che le cose non siano più come prima; eventi nuovi cambiano il destino dell’umanità:
- per quanto riguarda Isaia la svolta è narrata al cap. 59,16: «Egli [il Signore] ha visto che non c'era alcuno, si è meravigliato perché nessuno intercedeva. Ma lo ha soccorso il suo braccio, la sua giustizia lo ha sostenuto».
- per quanto riguarda Paolo, la troviamo nelle parole scritte agli Efesini (cristiani che non avevano radici ebraiche ma pagane) al capitolo 2,4-5: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo».
Entrambi sembrano invitarci a fare questo percorso: l’uomo se si riferisce solo a se stesso non sa scrivere che una storia di sangue, di selezione, di competizione e prevaricazione... nessun prodotto meramente umano, neanche quello più religioso o eticamente corretto, può tirarsi fuori da questa spirale di morte. Senza qualcuno che lo salva, l’uomo è perduto: è destinato alla tomba! E la consapevolezza preriflessa di questo gli ingenera un istinto di sopravvivenza omicida: per scampare il più possibile è costretto a macinare tutto quanto ha intorno... è la vecchia solita logica del Mors tua, vita mea...
L’annuncio nuovo posto invece dalle Scritture è che per l’uomo c’è una possibilità diversa: quella di un riferimento Altro, di una promessa di Vita che gli risparmi la fatica di salvarsi la pelle a scapito della pelle degli altri, aprendo l’orizzonte di un guardarsi in faccia, per amarsi, per condividere la vita al punto da essere disposti a dire Mors mea, vita tua.
E questa nuova possibilità di Vivere la vita, che Isaia descrive con i toni della luminosità («la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te»), Paolo la chiama per nome: è Cristo Gesù! In lui «le genti sono chiamate a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo».
Con Gesù l’uomo, ciascun uomo, è abilitato ad una storia nuova: quella dell’amore inclusivo! Con la buona notizia della salvezza, cade ogni paura della morte, cade ogni necessità di calcolo, di accaparramento, anche del bene! Cade la logica dell’esclusività, del fatto che il bene fatto ad un altro è in qualche modo un bene tolto a me... Cade la mentalità ‘religioide’ dei salvati e dei dannati, identificati nei modi più diversi nella storia dell’umanità credente.
Ecco perché nella rilettura teologica dell’infanzia di Gesù, fatta quando Gesù è già vissuto, morto e risorto, e fatta appunto a partire dalla sua vita, morte e risurrezione, sono degli stranieri, dei magi che vengono dall’oriente, quelli che lo riconoscono... sono i lontani, quelli per definizione fuori: fuori dalla salvezza, fuori dall’amore e dalla custodia di Dio, fuori anche dalla speranza: «Voi, pagani per nascita, [...] eravate [...] esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo».
Con la narrazione di una breve storia è invece presentato il ribaltamento della mentalità dell’esclusione! È una logica nuova quella che è messa in campo: quella dell’amore, che, se è vero, agisce per contagio e non ha paura dell’ultimo nuovo arrivato, del diverso, del lontano. Esso non fa più paura, perché è immediatamente inserito in una dinamica di benevolenza, in un itinerario di liberazione, in una familiarità che dilata il cuore, suo e di chi lo accoglie...
È solo in questa prospettiva che Paolo stesso in Gal 3,28-29 può affermare che ogni barriera è tolta: «Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa».
Ma tutte queste parole hanno bisogno di incarnarsi, di prendere corpo con la fantasia dello Spirito nella storia degli uomini, nella storia dei cristiani. Forse noi siamo troppo abituati a sentirle e non riusciamo più a farci suscitare un 'giramento di viscere'... Sarebbe stato interessante avere una foto delle facce degli ebrei che le sentivano per la prima volta...
Ma forse basta provare a ritradurle con parole che riecheggiano situazioni più attuali per capirne la portata: Gesù ha rivelato il volto di un Dio che sta tutto dalla parte di quelli che noi a vario titolo lasciamo fuori. E fuori dalle nostre società (e dalle nostre chiese!!!) ci stanno gli stranieri, ci stanno i poveri, ci stanno i peccatori, ci stanno le donne, ci stanno i vecchi, ci stanno quelli che non la pensano come noi... e chissà quanti altri...
È un continuo bisogno di tracciare confini, di delimitare le appartenenze, di segnare il territorio...
Se solo tornassimo a quelle parole di salvezza e ci aprissimo a quell’incontro d’Amore che libera, ci accorgeremmo di come tutti i morti che lasciamo sulla nostra strada (come singoli, come società, come Chiesa), sono solo le vittime della nostra paura... mascherata dietro a ragionamenti molto politicamente corretti, ovviamente...E così continuiamo a star dentro... mentre Dio per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito santo... è lì fuori con loro... in una capanna.

martedì 1 gennaio 2008

Madre di Dio e... nostra

Qualcosa, senz’altro, aveva intuito già… nei primi passi di quest’avventura.
Forse fin dall’inizio, a sentire di mamme come lei, che non volevano essere consolate, perché i figli non c’erano più.
Forse quando era extracomunitaria in Egitto, o quando il ragazzo le si era opposto, la prima volta - così deciso e quasi ostile - nel tempio.
Poi nel silenzio di vent’anni, a Nazareth, anni bui, abbaglianti, troppo misteriosi per raccontarne la storia.
O nei primi tempi della vita pubblica di giovane profeta, quando anche lei, spinta dalla reazione spaventata dei parenti, aveva osato pensare che ‘era fuori di sé’.
Lui aveva comunque proseguito per la sua strada, determinato e mite, come sempre. E così l’aveva perso di vista, quand’era tutto preso dal suo viaggio messianico verso Gerusalemme, sempre meno compreso dai discepoli, sempre più osteggiato dai capi del popolo.
…forse, appunto, qualcosa aveva intuito - da sempre.
Si può perdonare a Dio un dolore così grande?
Ma adesso… stava sotto la croce - in braccio il suo ragazzo, morto. Il più giusto e innocente dei figli dell’uomo, rifiutato, torturato, squarciato il cuore, tirato giù finalmente dal legno maledetto.
Un venerdì sera, la spada, di cui diceva il vecchio Simeone, trafigge il più intimo dell’anima, dove cercano pace impossibile la ragione, il cuore e la fede. Se lì t’invade il dolore, non va più via, mai più, come un tumore… ed ogni gioia è impregnata di mestizia, per sempre.
Una processione interminabile di donne, madri e sorelle, cammina da sempre verso di lei, sotto la croce - il cadavere del suo Dio in braccio - la speranza umana morta, senza perché, innumerevoli volte, nei millenni…
E nel perdono era sola. Sabato senza il Figlio. Piccola donna in carne ed ossa a pagare il prezzo d’essere concepita senza peccato. Lei, carne corruttibile, ci dà il segnale: la carne può salire in cielo, il cielo è qui. Il suo corpo ha steso un ponte tra noi e Dio, una strada umana e praticabile”.
Perdonare Dio, suo figlio crocifisso - come solo lei, piccola donna prediletta, poteva, a nome di tutti. Perdonare il male - troppo smisurato e sproporzionato alla capacità umana di farlo e sopportarlo.
l’altro figlio, l’altra casa
Perdonare è sempre ricominciare da capo.
Con un altro figlio, con un'altra maternità… o fraternità o figliolanza: è Dio che è fatto così! (Gesù, vedendo la madre e il discepolo che amava, dice alla madre: Donna ecco tuo figlio! Poi dice al discepolo: Ecco tua madre!)1. E da allora la piccola donna, che ha perdonato Dio, fa parte dei “beni di casa” dell’umanità.
L’umanità ricomincia a sperare e a vivere, dopo la morte e la tomba vuota… Da lei, riconciliata con Dio sotto la croce, inizia un nuovo modo di stare nella storia. Assumere il peso e la sofferenza dell’altro figlio, in un’altra casa. Il primo sì, che aveva segnato l’avvio misterioso di questa storia, svela il suo senso sorprendente. La religione è ‘sì’ e ‘no’ : sacro e profano, pure e impuro, grazia e disgrazia, sacerdozio e laicità… Cioè separare sempre il figlio proprio (figlio di Dio) dal figlio altrui (figlio dell’uomo). La fede di questa donna è invece solo “”. Accetta lo scambio dei figli, per sempre: sfida e scommessa su un Dio che abbandona e che accompagna! Ed è sempre lo stesso Padre.
Maria - madre e sorella, di casa, nell’umanità che spera e dispera. Passaggio obbligato. Crocevia di innumerevoli volti di donna.
generare è “mettere al mondo”!
Sotto la croce ha capito! Perché sotto la croce Dio le ha restituito - morto - il figlio comune (umano e divino). Mettere al mondo, dunque, voleva dire rendere mondano, cioè mortale, Dio. Mettere al mondo vuol dire mettere a morte. Seminare la morte all’interno di Dio. E Dio venne ad abitare nell’unico luogo dover non avrebbe mai potuto abitare. Ma siccome Dio è troppo grande, è la mondanità che è diventata interna a Dio. E di questa malattia umana Dio è morto.
Sotto la croce vuota, morte e vita in duello, in braccio a Maria, dopo quel venerdì sera, finché l'umanità dovrà soffrire la sua storia e Dio dovrà essere perdonato, fino alla fine dei secoli… Accettando sempre un altro figlio, un’altra casa!
Poiché questa unione di Dio con la sua carne di donna, dentro il suo corpo (questo è il mio corpo! questo è il mio sangue!)2 è indivisibile. Il figlio morente ne ha fatto una cosa sola, per sempre. Il matrimonio tra Dio e mondo diventa indissolubile.
dona la vita e riceve la morte
Dio abita, dunque, nel luogo dove non doveva mai entrare: nella morte! Ha domandato ad una giovane donna di insegnargli a percorrere, anche lui, sino in fondo, il sentiero interrotto della mondanità. Ed un umilissimo amore umano ne ha accettando la sfida. La vita umana, di carne, diventa ormai, per tutti, lo spazio finito (mortale) da attraversare (in compagnia di Dio) per vivere la paura della morte e vendere la vita.
Solo un Dio di carne lo poteva sperimentare. Grazie ad una piccola donna mondana, laica, “impura”… come ogni donna, in ogni religione di questo mondo. Ma capace di un amore più potente della paura della morte. Dove c’è quest’amore, c’è Dio: indivisibile dalla carne, orami! Ogni altro sacerdozio impallidisce… e proprio di questo mistero può divenire soltanto pallido segno, strumento di servizio.
Il cristiano - ogni povero cristiano - è un uomo di nuovo messo al mondo, dalla stessa piccola donna, sprofondato nel cuore incredente della laicità, a raccogliere umilmente la stessa sfida di un amore più potente della paura della morte.
dormitio Mariae
La morte continua a togliere la vita, ma non può più uccidere il cuore (o l'anima) dell’essere uomo o donna. Può paralizzarla provvisoriamente, cioè addormentarla - in attesa di un risveglio, affidato alle scadenze insondabili della misericordia del Padre.
Perché ormai la vita non è più il passaggio inutile di un barlume di coscienza nella carne - una meteora che si perde nel nulla. La morte non tronca la trasmissione della vita, con quanto si porta dentro - di tutta la passione dell’umanità.
Perciò la donna, la madre dei viventi, esulta nel più intimo della sua passione. E la sua piccolezza non le fa velo, perché sa che tutto quanto è umano, anche un frammento, è già anticipatamente salvo. A cominciare dai poveri, affamati, seduti nella polvere… ma destinati al trono - e noi a servirli!
Felice anno nuovo!
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