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domenica 30 marzo 2008

Elezioni 2008: Opinioni

A sostegno e in obbedienza alle sagge disposizione della Conferenza Episcopale Italiana,vogliamo aiutare a una scelta consapevole alle prossime elezioni politiche.
[...] il Cavaliere si è manifestato anche a proposito del cosiddetto voto disgiunto e ha tirato in ballo sua eminenza il cardinal Ruini. [...] È stata una pagina da manuale. Per chi se la fosse persa raccontiamola perché ne vale la pena. E cominciamo dal voto disgiunto. Che cosa significa? Perché è venuta fuori questa ipotesi? Normalmente un elettore vota per lo stesso partito nella scheda della Camera e in quella del Senato, specie ora con una legge come l’attuale che non prevede preferenze ai candidati. Nella sua assoluta certezza di vincere le elezioni alla Camera, nell’animo di Berlusconi si è però insinuato il dubbio di pareggiare o addirittura di perdere al Senato (aggiungo tra parentesi che questa ipotesi corrisponde esattamente alla realtà). Perciò suggerisce agli elettori centristi il cosiddetto voto disgiunto: votino pure per Casini Udc alla Camera, ma al Senato no, al Senato votino per il Pdl in modo da evitare il pareggio. Che c’entra Eminence in questo pasticcio? Il Cavaliere ce lo fa entrare, gli chiede pubblicamente di entrarci e gli fa pubblicamente presenti i vantaggi che avrà se eseguirà il mandato o invece i danni che può subire se rifiuterà di adoperarsi in favore. Convinca Casini a incoraggiare o almeno a subire senza strilli il voto disgiunto. In cambio (è il Cavaliere che parla) avrà l’impegno del nuovo governo ad adottare tutti i provvedimenti chiesti dalla Chiesa in tema di coppie di fatto (mai), di procreazione assistita (abolirla), di eutanasia (quod deus avertat), di testamento biologico (come sopra), di aborto (moratoria e radicale riforma), di Corano nelle scuole (divieto), di insegnamento religioso (anche all’Università). Se c’è altro chiedetelo e «aperietur». Ma se rifiuterà, tutto diventerà problematico. In fondo (molto in fondo) lo Stato è laico e bisogna pur tenerne conto. Se lo ricordi, sua Eminenza, e non creda che la partita si giochi sul velluto. Del resto il Papa ha pur battezzato Magdi Allam. E dunque il Cavaliere ne adotterà il programma e magari farà in modo di fargli affidare la direzione del «Corriere della Sera», purché gli elettori dell’Udc votino per Berlusconi al Senato. Ha sentito, Eminenza?
* * *
Una cosa risulta chiara: hanno ridotto la religione ad una partita di giro. Forse per la gerarchia ecclesiastica lo è sempre stata, per i cardinali e per molti vescovi. Ma non fino a questo punto. I credenti per primi dovrebbero esserne schifati e ribellarsi di fronte a questa vera e propria simonia. Gli opinionisti (esistono ancora?) dovrebbero spiegarla e indignarsene. Ho un presentimento: il centrosinistra vincerà sia alla Camera sia al Senato. Fino a pochi giorni fa pensavo il contrario, che non ce l’avrebbe fatta. Ebbene ho cambiato idea. Ce la fa. Con avversari di questo livello non si può perdere. Gli elettori cominciano a capirlo. Io sono pronto a scommetterci. (Eugenio Scalfari)

sabato 29 marzo 2008

Elezioni 2008: Opinioni

A sostegno e in obbedienza alle sagge disposizione della Conferenza Episcopale Italiana,
vogliamo aiutare a una scelta consapevole alle prossime elezioni politiche.
Pubblichiamo qui un'email inviataci da un sacerdote amico, noto biblista della diocesi di Genova (evidentemente i genovesi devono avere del pepe nel sangue)
Aggiungo soltanto che in base al Codice canonico vige la condanna per gli affiliati alla massoneria: CIC n. 1364 come espresso anche dalla Congregazione per la dottrina della Fede: in più documenti, es. qui e qui)

Ultimo appello alla civiltà della coscienza
di Paolo Farinella, prete
Care Amiche e Amici,
La «memoria» delle Italiane e degli Italiani è veramente corta e a volte si ha l’impressione che non esista proprio. Mi riferisco alle prossime elezioni che sono finte perché nessuno di noi può eleggere nessuno. Possiamo solo confermare le scelte delle segreterie dei partiti che sanno già chi sarà eletto e chi no. La decenza vorrebbe che nessuno andasse a votare perché è una presa in giro e una violazione della Costituzione che fonda la nostra democrazia sull’equazione: «una testa un voto»; alla fine si contano i voti e un solo voto di maggioranza fa la differenza. Winston Cherchill che aveva due soli voti di maggioranza alla camera, soleva dire: «Uno è di troppo». Si sa, l’Inghilterra è dell’altro mondo. In Italia per Berlusconi 25 mila voti di maggioranza alle ultime elezioni sono una truffa: d’altra parte un truffatore che cosa può dare se non quello che è e che ha?
Sembra che i giochi siano fatti. A me pare che siano fatti gli Italiani perché in queste elezioni non si elegge un parlamento e un governo, ma si deve impedire la deriva istituzionale che sarà irreversibile se vince la destra estrema di Berlusconi e i suoi accoliti. Nella mia corrispondenza con la «Madonna di Lourdes» pubblicata su MicroMega n. 2 (2008), ho descritto ampiamente i criteri etici e democratici per non votare Berlusconi e votare il male minore Veltroni. Di seguito alcuni telegrafici motivi, a corredo, che dovrebbero essere dirimenti in modo definitivo:
  1. Chi ha votato il referendum per salvare la Costituzione non può votare in coscienza Berlusconi, Fini, Bossi, Casini e tutti i cespugli che li sostengono perché essi hanno votato la riforma della Costituzione che era la dissoluzione della Suprema Carta (il presidente della repubblica Ciampi, la rimandò indietro per palese incostituzionalità). Chi li vota vanifica quel referendum e premia gli assassini della Costituzione.
  2. Berlusconi ha 72 anni e queste elezioni sono la sua ultima occasione. Non ha più niente da perdere. Se andrà al governo distruggerà quello che potrà, dopo che ha sistemato definitivamente le sue cose e questa volta in modo blindato: affosserà la Costituzione e con essa lo stato di diritto.
  3. La Corte di giustizia europea, dopo la Corte costituzionale italiana, ha decretato che la sua tv, rete4, deve andare sul satellite e gli spazi liberi, appartengono di diritto a Europa7 che aspetta da 15 anni le frequenze. Se l’Italia non rispetterà la legge del diritto, pagherà sanzioni per 400.000,00 euro al giorno a partire dal 2000. Se vince Berlusconi, scaricherà sugli Italiani, anche quelli che devono nascere, un debito permanente di 146 milioni di euro all’anno (senza contare gli arretrati) perché senza le sue tv è un politico decotto.
  4. Nelle liste di Berlusconi vi sono 25 condannati in 1°, 2° e 3° grado, cioè in via definitiva. Chi lo vota se ne assume la responsabilità etica e no ha il diritto di appellarsi ad una giustizia «giusta».
  5. Per 5 anni noi abbiamo pagato 30.000,00 euro al mese gli avvocati di Berlusconi, Ghedini e Pecorella, per un ammontare complessivo in difetto di euro 1.800.000,00 (diconsi: un milione e ottocentomila). Questi due signori passavano il tempo a difendere il capo a spese degli Italiani e il secondo, Pecorella, era anche capo della commissione costituzionale del Senato, come dire quello che dava l’ok alle leggi truffa del padrone. E’ stato come avere messo uno spacciatore a difesa di una scuola contro la diffusione della droga.
  6. Nella vicenda Alitalia, Berlusconi ha dimostrato la sua totale assenza di senso di Stato: ha detto che i suoi figli erano disposti ad entrare nella cordata e ha chiesto allo Stato un prestito che tra l’altro è vietato dalle norme europee; due giorni dopo ha detto «manco per sogno»: ma a lui non importa chi ci perde, l’importante è portare lo scompiglio e fare della bugia la sua arma primaria. Il 17 febbraio del 2004 aveva dichiarato spocchioso come sempre che «Meno male che c’è Berlusconi che impiegherà il suo talento per risanare l’Alitalia». Si è visto come «meno male che Silvio c’è» oggi come allora: se vince gli Italiani si troveranno col sedere per terra. Fidarsi di uno così è consegnarsi da soli al boia, corda in mano.
  7. Votare Berlusconi significa votare per uno che è stato affiliato alla P2 (tessera n. 1816) e diventare complici dell’aumento della povertà in Italia perché la sua politica economica favorirà esclusivamente i ricchi extra large. Questo per i cattolici è un vero toccasana: si ricordino del cammello che passa dalla cruna di un ago e dei poveri con i quali Gesù si è identificato in Matteo 25.
    Chi volesse conoscere per esteso il curriculum giudiziario di tal Silvio Berlusconi non fa altro che collegarsi al sito
    Curriculum e si può fare una cultura sulle condanne e specialmente sulle assoluzioni. Tra le altre cosucce, nel 1990 fu condannato per avere giurato il falso sulla P2 (tribunale di Venezia). Chi vota Berlusconi non può invocare il diritto e la legge perché votandolo li calpesta con disprezzo.
  8. Berlusconi ha rubato anche a quelli che lo hanno votato e lo votano, ma anche a quelli che non lo hanno votato e non lo votano. Ha frodato il fisco e ha evaso valuta all’estero e si è salvato solo perché ha tolto la legge sul falso in bilancio: non elimina il crimine, elimina la legge che lo persegue. In questo è un esperto.

Amo il mio Paese, pur sentendomi cittadino del mondo, e mi dispiace vederlo in mano ad un pirata senza alcuna etica e «dignitas» e quando giungeremo alla frutta, non vorrei essere accusato di avere taciuto per convenienza o per interesse. Almeno che resti una testimonianza. Genova 28 marzo 2008 – Paolo Farinella, prete

Elezioni 2008: Economia

A sostegno e in obbedienza alle sagge disposizione della Conferenza Episcopale Italiana,
vogliamo aiutare a una scelta consapevole alle prossime elezioni politiche.


Quattro studenti, della London School of Economics, hanno realizzato questo breve corso sull’economia italiana: utile e con ironia finale.

giovedì 27 marzo 2008

Gesù risorto: l'accessibile anche a chi non c'era

Le letture che la Chiesa ci propone per questa II domenica del tempo di Pasqua sembrano tutte indirizzate ai discepoli di seconda, terza… millesima mano… cioè a quelle generazioni, e quindi anche a noi, che non hanno incontrato Gesù nel volgersi della sua drammatica storica, ma che gli hanno creduto quando ormai la sua vicenda terrena si era conclusa.
Sono quei discepoli, quei cristiani, che come noi hanno il problema, nel credere, di doversi affidare, almeno inizialmente alla parola di qualcun altro, senza vedere…
Ed infatti la questione radicale che sta sotto ai testi della Chiesa nascente è proprio quella di coloro che non hanno visto. È possibile per essi credere? E, dato che credere è incontrarsi col Signore, è possibile ora, dopo la sua morte e risurrezione, che questo avvenga?
La risposta unanime negli scritti del Nuovo Testamento, e ne sono una prova i testi che la liturgia ci offre oggi, è “Sì! Sempre e in ogni luogo è possibile accedere alla libertà di Gesù il Cristo e intrecciare con essa la propria”.
È innanzitutto il vangelo a mostrare questa convinzione: infatti nell’episodio dell’incredulità di Tommaso, episodio che sembra proprio costruito ad hoc da Giovanni per i suoi lettori che non avevano incontrato Gesù in carne ed ossa, vi è l’emblematica frase: «beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
È una beatitudine! E come tutte le beatitudini a noi pare un po’ paradossale («Beati i poveri»; «Beati gli afflitti», «Beati i perseguitati»…): a noi infatti a volte scappa detto proprio il contrario: “Beati quelli che hanno visto, che erano là”; oppure “Ah, se io fossi stato là…”. E invece il vangelo no, ha una prospettiva tutta diversa, tanto che non solo dice che anche per noi è possibile l’accesso al Risorto, ma addirittura delinea la nostra come una condizione privilegiata: «Beati!».
E in questa unione di credere-senza-vedere e situazione-di-beatitudine, il vangelo non è una voce fuori campo. Gli fa eco infatti lo stesso Pietro, quando nella sua I lettera (cap. 1, v. 8) dice: «Voi lo [Gesù Cristo] amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa».
Anche questa citazione è infatti una conferma della convinzione, che percorre tutto il NT, della possibilità reale per l’uomo di sempre di essere cristico, cioè intrecciato, nella sua individualissima libertà, con quella del Cristo. E questo ha una portata grandissima, che non si può permettere a nessuno di ridimensionare: non si tratta infatti semplicemente della possibilità di essere “buoni cristiani”, di sperare anche noi di andare in paradiso tentando di comportarci più bene che riusciamo in questa vita…
La possibilità di entrare in relazione vera con il Signore, di costruire insieme a lui la vita, ha infatti una valenza ben più determinante: è ciò che nobilita l’uomo, che lo fa veramente uomo, che gli permette di vivere una vita degna di questo nome: «perché credendo, abbiate la vita nel suo nome».
Se l’annuncio è che da me personalissimamente il Signore si fa incontrare, che è con me, nella mia individualità singolarissima, che vuole intrecciare il suo Spirito… beh… questo davvero mi libera: mi libera dalla sindrome di “quello arrivato dopo, senza possibilità di rimedio”, mi libera dal bisogno di riferirmi ad altri – a un’istituzione, ai suoi modelli etici e ai suoi percorsi spiritualistici – per raggiungere il “divino”; mi aiuta anzi a ricollocare nel suo giusto posto l’autorità come colei che salvaguarda il mio incontrarmi col Signore, indicandomi criteri di autenticità, mai troppo vincolanti per evitare di soffocare la creatività dello Spirito; mi libera da una mediazione gerarchica intesa come custode di un mistero a me inaccessibile; mi libera dalla mia inadeguatezza, dal mio peccato, dalle mie miserie, come limiti per un incontro reale… infatti come ci ricorda Paolo nella lettera agli Efesini: «Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6).
Questa prospettiva allora, delineata in tutto il NT di una possibilità reale, per tutti, sempre e dovunque, di un accesso al Signore, ha un respiro grandissimo: è l’insperata incredibile possibilità di parlare io con Dio, di stargli io di fronte, di amarlo io in tutto quello che sono, e non come un numero, uno dei tanti casi della storia, uno dei tanti nomi dell’elenco dei battezzati…
È questo l’elemento affascinante dell’annuncio cristiano, che pone appunto i credenti in Cristo su un altro piano qualitativo rispetto agli appartenenti alle altre religioni: qui la sostanza non è l’adesione a dogmi, la coerenza a codici morali, l’assolvimento di precetti (tutte cose seconde)… la sostanza è la possibilità di un rapporto personale con Gesù risorto; un rapporto che mi fa pienamente me stesso, mi tira fuori le radici profonde e vitali del cuore, mi dà vita, mi fa zampillare le sorgenti dell’anima, mi fa scoppiare d’amore.
È questo l’annuncio esplosivo dei testi di oggi: che questo è possibile per me e per ciascuno, sempre.
Essi si limitano a questa lieta notizia: è possibile anche per chi non era là in quei 30 anni incontrare il Signore e con Lui «mischiarsi la pelle, le anime, le ossa»!
Si limitano all’annuncio, non spiegano le modalità di questo accesso: sono altri infatti i brani in cui gli autori si scatenano su questa prospettiva (in particolare Lc 24, dove nell’episodio dei discepoli di Emmaus sono indicate come vie di accesso all’evento Gesù la Parola, la mensa eucaristica e l’accoglienza dell’altro).
Eppure, pur non indagando la modalità di realizzazione di questo incontro col Signore risorto, anche il Vangelo di Giovanni dà qualche segnale per l’autenticità di questo rapportarsi:
- Per prima cosa la pace; come Gesù aveva chiesto di fare ai suoi discepoli mandati in missione «In qualunque casa entriate, prima dite: Pace» (Lc 10,5), così si presenta anche lui: «Pace a voi!». È il primo segnale che Giovanni pone per l’autentico incontro col Signore: è portatore di pace! Non in quell’accezione semplicistica che la intende come assenza di guerra, ma in quella pregnante che le dà l’intonazione ebraica, dove pace è ben-essere, è vita buona, è Vita!
- In secondo luogo i segni della crocifissione. È questo l’altro segnale potente e drammatico dell’incontro vero col Signore: egli è il crocifisso! È il trafitto dalla morte perché ha agito solo con l’amore, che per sua natura rende feribili. Se quello con Lui non è un incontro drammatico, che porta cioè il dramma della vita toccata dal male, non è un incontro vero: non è Lui. Tant’è che su questo Tommaso è acutissimo… e l’unica condizione che pone alla sua fede non è un miracolo, un discorso, un abbraccio, un essere chiamato per nome, da Gesù, ma proprio i segni della sua passione: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». È questa l’identità che Gesù pretendeva gli riconoscessero e che invece li aveva fatti scappare tutti… è questa l’identità con cui aveva chiesto di essere ricordato («fate questo in memoria di me»)… e Tommaso ormai lo sa… o è il crocifisso, o non è Lui. Per noi dunque, discepoli di ogni tempo, un secondo segno di autenticità nell’incontro col Signore è proprio questo: ci coinvolge in una storia che, proprio perché vive l’amore, porta in sé inestricabilmente anche una tragicità, una vulnerabilità, una passione ineludibili.
- Infine il dono dello Spirito, del suo Spirito, che è appunto il dono di sé, la possibilità stessa di questo incontro con Lui.
Un incontro, abbiamo detto, personalissimo, tanto da travalicare qualsiasi barriera istituzionale, gerarchica o autoritaria; ma non solipsistico, anzi abilitante nuovi rapporti tra gli uomini. Sembra paradossale che una cosa tanto mia, da riguardare solo me (e il Signore) vada ad intaccare anche il mio rapportarmi agli altri. In realtà è vero il contrario: è proprio solo perché coinvolge me nella mia presenza a me stessa più intima, che coinvolge di me anche il mio esser-ci con altri. Infatti è solo la libertà abilitata dall’incontro col Signore che permette di vincere la paura della morte (è vinta: «È risorto!») e con essa l’istinto di sopravvivenza che fa l’altro rivale, nemico, pericolo. È solo l’effervescenza della Vita che il relazionarsi con Lui suscita, che ci permette di guardarci come fratelli e dunque di essere: «perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere»; di stare insieme, avere ogni cosa in comune, vendere le nostre proprietà e sostanze e dividerle con tutti, secondo il bisogno di ciascuno; di essere: «ogni giorno perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case» di prendere «cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo».
E se questa certo è la descrizione idealizzata della comunità cristiana, essa però non può semplicemente essere relegata nel campo della mitologia… del “sarebbe bello, ma è impossibile”… se i nostri rapporti sono così lontani da questa realtà è perché difettiamo di conformazione a Cristo: più saremo cristici e più saremo fraterni… e viceversa… con buona pace di chi ama mettere incensi, latino e mediazioni gerarchiche tra sé e gli altri… per sentirsi più vicino a dio…

Metti qua il tuo dito… e non esser più incredulo, ma credente!

…venendo dagli inferi!...
Si è ormai compiuta la Pasqua! … e la liturgia delle domeniche che seguono vuol introdurci nell’esperienza sempre più profonda del mistero che la Pasqua contiene. Gesù ha raccolto nel suo corpo crocifisso sulla croce tutta la sofferenza dell’umanità e il suo anelito di libertà e di compimento. Dopo la sua fine sul Calvario, quando il suo corpo era nel sepolcro, immobilizzato nelle leggi della morte, mentre le donne piangevano davanti alla tomba chiusa, Lui, “… in spirito, andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione; a tutti coloro che avevano un tempo rifiutato di credere quando la magnanimità di Dio pazientava… (1Pt 3, 19). Ma adesso per primi ricevono l’annuncio della fine della loro reclusione … Dunque, mentre ancora Gesù è morto, fin nel buio degli inferi, il fermento incoercibile della risurrezione si manifesta come liberazione dai legami di qualunque oppressione in cui l’uomo venga a trovarsi.
Questo è il primo e più strepitoso effetto della risurrezione. A tutti Gesù porta la grande assoluzione del Padre per i peccati del mondo. La missione che il Padre gli ha dato l’ha eseguita. Ha amato i suoi fino alla fine. Ha portato a compimento nella sua carne di uomo l’amore che il Padre eternamente alita in lui… E adesso, che ha visitato tutti gli spazi, le altezze e le profondità della vita umana, deve tornare al Padre. Ma prima trasmette, anche lui, l’amore incontenibile che dal Padre continuamente riceve. Ed il suo Spirito, che adesso abita in loro, renderà anche i suoi discepoli capaci, come lui, di sciogliere i peccati del mondo.

La forza dello Spirito: il punto di unione tra noi e Gesù
Tutti gli altri doni o caratteristiche o contenuti del messaggio stesso… vengono dopo.
Anche i vangeli vengono dopo, e anzi nascono anche loro proprio da questa esperienza incandescente della forza ricevuta da Gesù, che è il suo Spirito.
Nessun’altra esperienza è stata sentita così forte e sorprendente da dover esser annunciata come una nuova creazione: alitò su di loro e disse:Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” … Da allora siamo chiamati alla libertà da ogni schiavitù che ci opprime : …voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!» (Rom 8, 15s). Il punto di unione tra Gesù crocifisso risorto e noi è lo stesso che tra il Padre e il Figlio: è il loro amore personificato in questa forza viva e irresistibile, che ci coinvolge – dono di Gesù “che ricrea” in noi l’umanità nuova : Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo…” (Rom 8,16)

Noi abbiamo una speranza viva…
La secondo generazione cristiana che pure, come noi, non ha visto il Signore, vive ancora l’emozione e la riconoscenza del dono ricevuto, come si vede nell’inno di Pietro: Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, … “Per una speranza viva”, ci è detto, perché è questa che ci sostiene mentre di fatto continuiamo a vivere una realtà che richiede sempre una certa fatica ed afflizione … ma colma anche di gioia, perché sappiamo che questa situazione purifica la nostra fede. E per noi vuol dire imparare ad amarlo senza averlo visto, affidarci a lui, senza vederne o sperimentarne la presenza… Questo misterioso fermento di vita nuova (la fede post-pasquale) “inspirato” in noi dall’alito di Gesù risorto, fa dentro di noi la “Pace”, mentre ce l’annuncia, ci fa figli ed eredi, ci dona il potere di perdonarci a vicenda, edificando la comunità dei credenti!

La comunità apostolica
Il sommario della vita della prima comunità riportato da Luca è l’esperienza sorgiva, paradigmatica e inabrogabile con cui ogni generazione cristiana è chiamata a misurarsi. Non è un momento d’entusiasmo proprio degli inizi utopici di un movimento allo stato nascente. È invece per sempre l’intreccio costitutivo delle coordinate fondamentali della comunità cristiana, dalla Pentecoste alla Parusia. Anzitutto, dunque, la perseveranza nella dottrina degli apostoli, cioè l’ascolto costante della prima testimonianza viva e commossa della vita, morte, passione e risurrezione del Signore. Questo riferimento vitale al Signore è il motivo della strettissima comunione che si veniva creando tra loro (erano tutti insieme ‘nella stessa cosa’! 44), continuamente rinnovata nella frazione del pane e nelle preghiere.
Ma sono evidenti anche le conseguenze importanti e sintomatiche di questo “coinvolgimento vitale” Tali sono la dimensione economica, per cui nessuno aveva più proprietà private che non avesse trasferito alla disponibilità comune - e la dimensione affettiva, cioè il giocarsi insieme l’esistenza, fino a non aver più altre scelte o interessi o programmi personali privatistici… Questa è stata l’esperienza che ha generato e ancora costituisce la nostra fede, qualunque cosa capiti, qualunque sovvertimento culturale o politico ci sconvolga, qualunque deriva disumanizzante tenti di travolgerci, qualunque strada intenda intraprendere la nostra comunità o la famiglia o la società in cui viviamo… La coerenza fondamentale della nostra fede “apostolica”, che sgorga dalla Spirito di Gesù è questa: “tanto più è grande la nostra disponibilità a lasciarci immergere nella comunità di cui condividiamo totalmente la sorte, tanto più è coinvolgente e profonda la nostra possibilità di partecipare alla comunione cui ci chiama personalmente il Signore Gesù.

La crisi di Tommaso: fuori delle piaghe di Cristo, non c’è salvezza!
Bisogna passare attraverso la crisi di Tommaso… quando inevitabilmente ci veniamo a trovare un passo indietro, o distante, da chi vive con noi o partecipa alla nostra fede in Cristo, quando l’orientamento della comunità ci amareggia il cuore e ci svuota il futuro, e non riusciamo più a condividerne le idee e le scelte… Qui ci tocca superare o integrare il livello psicologico e affettivo della fede, e riscoprire anche noi sulla nostra pelle, l’oggettiva identità del Cristo tradito, imprigionato e crocifisso – con il Cristo risorto, “nostro Signore” (cioè “padrone assoluto” cui affidare nuovamente la vita) … e “nostro Dio” (perché questa consegna ha la totalità di un’adorazione). Al di là di ogni nostra debolezza e inadempienza di poveri cristiani, dentro le ambiguità storiche e i tradimenti attuali della chiesa, o dei nostri compagni di strada, o nostri … questo passo non ci può essere risparmiato. Non si tratta semplicemente di una verifica della nostra fede, ma di un passaggio, un lungo scarnificante passaggio, insieme doloroso e gioioso, per maturare quello che ciascuno è destinato ad essere come discepolo di Gesù, suo amico e imitatore, per immergersi nelle sue piaghe. Nelle piaghe non gloriose ancora, ma comunque “sue”, del suo corpo mistico di oggi. In questa identità misteriosa e disarmante tra Lui e del suo corpo mistico comunitario (ecclesiale), in cui siamo chiamati a vivere, è il fondamento vero di ogni vita ‘spirituale’ e la soglia o l’avvio oggettivo verso la maturità cristiana… Nel disincanto da ogni presunzione adolescenziale di ritagliarsi un cammino di perfezione privato, una scorciatoia verso una sorta di salvezza che faccia a ameno del sacramento della comunità ecclesiale, alla quale è dato il potere di legare e di sciogliere il nostro male. Perché noi apparteniamo alla beatitudine per “non vedenti”, che ci rassicura che “ciò” che Dio sta realizzando in noi (che non vediamo) è più grande di quanto riusciamo a percepire, e “colui” che amiamo (anche senza che lo sentiamo) è più vero di ciò che i nostri ricettori emotivi sentano. È l’immersione (fede, tatto e amore!) nelle “Sue” piaghe umane che decide della nostra fede!

lunedì 24 marzo 2008

È Pasqua! È Pasqua! Festa dei macigni rotolati!


Ognuno di noi ha il suo macigno.
Una pietra enorme, messa all'imboccatura dell'anima,
che non lascia filtrare l'ossigeno,
che opprime in una morsa di gelo,
che blocca ogni lama di luce,
che impedisce la comunicazione con l'altro.
È il macigno della solitudine, della miseria,
della malattia, dell'odio, della disperazione.....
Pasqua, allora, sia per tutti il rotolare del macigno,
la fine degli incubi,
l'inizio della luce,
la primavera di rapporti nuovi.
E se ognuno di noi,
uscito dal suo sepolcro,
si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto,
si ripeterà finalmente il miracolo del terremoto
che contrassegnò
la prima Pasqua di Cristo.
Pasqua è la festa dei macigni rotolati.
È la festa del terremoto... Pasqua, dunque, non è la festa del ristagno.
(Tonino Bello)

Ciò che…

Ciò che bramano i musulmani: il paradiso
Ciò che cercano i buddisti: l’illuminazione
Ciò che attendono gli ebrei: il messia
Ciò che invocano in ogni religione: la protezione

Ciò che desiderano gli africani: la libertà
Ciò che venerano gli asiatici: l’onore
Ciò che progettano gli americani: l’ordine
Ciò che inseguono gli europei: la ricchezza

Ciò che invocano i poveri: la dignità
Ciò che sognano gli schiavi: la giustizia
Ciò che supplicano i malati: la guarigione
Ciò che attendono i morti: la vita

Ciò che esigono le donne: la stima
Ciò che vogliono i bambini: la considerazione
Ciò che rincorrono gli uomini: un ruolo
Ciò che reclamano coloro che non si vogliono né donne né uomini: il rispetto

È Gesù Cristo, Morto e Risorto, con noi!

venerdì 21 marzo 2008

Pasqua: l'esplosione della Vita

Gesù ormai è morto: «presero allora il suo corpo, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino» (Gv 19,40-42).
È stato ormai dunque anche già sepolto... e con questo triste rito si chiude il giorno di venerdì... ma non solo... la sensazione per chi era là in quel momento, è che si è chiusa definitivamente anche l’avventura di Gesù... con un fallimento: Gesù, nonostante le sue pretese di essere il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, è morto e il suo corpo è chiuso in una tomba.
Eppure... c’è chi non rinuncia ad una vicinanza... almeno a quel corpo morto...
Maria di Magdala, una delle “donne di Gesù”, una di quelle che gli erano proprio intime, proprio sue, appena terminato il sabato, «quando era ancora buio», si reca immediatamente dal suo maestro, amico, fratello, padre, figlio, compagno... E non è un caso che sia proprio lei a capitare lì...
Le donne infatti sono proprio congegniate per prendersi cura, nella vita, del corpo degli uomini: da quando nascono raggrinziti e raggomitolati a quando crescono e gli si insegna ad allacciarsi le scarpe; da quando si innamorano e ti chiedono come vestirsi a quando si ammalano e ti si consegnano tra le mani; da quando invecchiano e cercano braccia che li accolgano... fino a che muoiono... e il loro corpo rimane l’ultimo segno, ormai inanimato, della vita che ci ha legati...
E Maria proprio questo vuole fare... restare attaccata a quell’uomo tanto amato almeno con i segni della cura del suo corpo martoriato...
Ma «vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro»... e presa dall’ansia «Corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava».
Corre dai “suoi”, da quelli che con lei si erano trovati a vivere la coinvolgente storia della sequela di Gesù... e con i quali, proprio stando dietro a quell’uomo, aveva imparato a mischiare la vita...
Corre da loro con sentimenti di smarrimento e angoscia: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Il suo terrore è che il corpo di Gesù sia stato trafugato e che a lei non rimanga più neanche quell’ultimo pezzettino della sua pelle da onorare, per sentirlo ancora un po’ vicino...
Il suo è uno sgomento contagiante, tant’è che Pietro e il discepolo amato si mettono a loro volta a correre, nella direzione opposta, per andare anche loro a vedere... se davvero non c’era più niente da vedere...
E in effetti: entrati nel sepolcro osservarono «i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte»... ma non capirono: «Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti». I segni, che poi diventeranno quelli classici della Risurrezione (il sepolcro vuoto, le bende, il sudario...) ora sono muti, non dicono niente; rimandano solo una conferma dell’angoscioso annuncio di Maria: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
È su questa incomprensione che si chiude il Vangelo di questa domenica di Pasqua... Gesù è risorto, eppure, anche i suoi, non riescono a capire... C’è come un fermo immagine, una sospensione... che verrà rotta solo al momento dell’incontro col Risorto in persona: prima con Maria («Maria!»), poi con gli Undici («Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi»)...
Solo allora, pian piano, insieme, prenderanno coscienza del mistero che hanno vissuto, della potenza della Vita che ha vinto la morte, del fatto che essa appunto non ha avuto la meglio; non ha smentito Gesù, come anche a loro era sembrato: Lui ha avuto ragione! E infatti: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!».
Solo allora, pian piano, insieme, prenderanno coscienza di cosa vuol dire questo per loro, per gli uomini, per il mondo intero: la morte è stata vinta, l’uomo liberato dalla stretta letale che lo attanagliava: «Fratelli, siete risorti con Cristo». È la possibilità di vivere la vita, senza che ad ogni passo tutto sia messo in scacco dal timore di morire... Solo questa vittoria sulla morte, infatti, rende l’uomo, uomo; abilitato a Vivere e non semplicemente a sopravvivere...
È questa l’esplosione della Vita, della libertà, della dignità che andranno proclamando per tutto il mondo! È questo il nocciolo incandescente del Cristianesimo, irriducibile a qualsiasi norma, codice etico, impianto religioso: perché trasborda, li fa esplodere dal di dentro. Cristo trasborda, l’uomo trasborda!
Ed è su questo che Paolo si infiamma coi Colossesi: «Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra». E, per capire che non intendeva un vano spiritualismo, come spesso hanno predicato (e predicano) gli ecclesiastici, basta ricordare i 4 versetti che precedono: «Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali “Non prendere, non gustare, non toccare”? Tutte cose destinate a scomparire con l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne» (Col 2,20-23).
Qui per Paolo gli elementi del mondo da non lasciarsi imporre perché siamo morti con Cristo, sono i precetti quali “Non prendere, non gustare, non toccare”. Tutte cose destinate a scomparire con l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne.
È il fremito appassionato dell’apostolo (e profeta) che non vuole che Gesù, la sua salvezza (tanto diversa dai criteri umani), l’uomo, siano inscatolati, etichettati, ridotti a canoni religionistici usuali!
Peccato, che ancora oggi, invece che l’annuncio della buona notizia (vangelo) della Pasqua di Cristo e della grandezza dell’uomo in Lui, la chiesa si faccia spesso portatrice di cattive notizie (Non prendere, non gustare, non toccare) e renda così attualissime le parole che Dostoevskij metteva in bocca a Ivan, quando raccontava il suo poema intitolato “Il grande inquisitore”... Lì, immaginando il ritorno di Gesù che «volle almeno per un istante visitare i Suoi figli», mostra lucidamente la reazione immunitaria dell’istituzione ecclesiastica impersonata dal cardinale grande inquisitore, nella Siviglia cinquecentesca. Egli infatti alla vista del Signore, dice: «Perché sei venuto a disturbarci? [...] Tutto è stato da Te trasmesso al papa, tutto quindi è ora nelle mani del papa, e Tu non venirci a disturbare, quanto meno prima del tempo. [...] La libertà della fede già allora, millecinquecent’anni or sono, Ti era piú cara di tutto. Non dicevi Tu allora spesso: “Voglio rendervi liberi?”. Ebbene, adesso Tu li ha veduti, questi uomini “liberi”. Sí, questa faccenda ci è costata cara, ma noi l’abbiamo finalmente condotta a termine, in nome Tuo. Per quindici secoli ci siamo tormentati con questa libertà, ma adesso l’opera è compiuta e saldamente compiuta. [...] Adesso, proprio oggi, questi uomini sono piú che mai convinti di essere perfettamente liberi, e tuttavia ci hanno essi stessi recato la propria libertà, e l’hanno deposta umilmente ai nostri piedi. Questo siamo stati noi ad ottenerlo. [...]Abbiamo corretto l’opera Tua e l’abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. [...] E dovrei io nasconderti il nostro segreto? Forse Tu vuoi proprio udirlo dalle mie labbra, ascolta dunque: noi non siamo con Te, ma con lui [il tentatore], ecco il nostro segreto! Da lungo tempo non siamo piú con Te, ma con lui, sono ormai otto secoli. Sono esattamente otto secoli che accettammo da lui ciò che Tu avevi rifiutato con sdegno, quell’ultimo dono ch’egli Ti offriva, mostrandoti tutti i regni della terra: noi accettammo da lui Roma e la spada di Cesare e ci proclamammo re della terra, gli unici re, sebbene non abbiamo ancora avuto il tempo di compiere interamente l’opera nostra. [...] Vattene e non venir piú... non venire mai piú... mai piú».
«Ma Egli tutt’a un tratto si avvicina al vecchio in silenzio e lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni. Ed ecco tutta la Sua risposta».
Così Dostoevskij... che a qualcuno sicuramente sembrerà troppo duro...
Ma ad ogni modo, resta il fatto che fa male vedere come spesso l’esplosione della Vita della Pasqua, sia sempre sotto il pericolo dell’inquadramento nei ranghi rigidi dell’istituzionalizzazione, che raffredda, depotenzia e tenta di annacquare la portata sconvolgente dell’annuncio: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno»...
Ingabbiano Dio e ingabbiano l'uomo, con la pretesa di salvarli, mettendo sempre avanti «una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo». Se solo vedessero, che questo è ancora un ricadere nel cono d’ombra della paura della morte... e si facessero incontrare dalla libertà del Signore... che esplosione di Vita ci sarebbe...

giovedì 20 marzo 2008

Proposta di passaggio alla Vita...

“Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda (si lasci caricare) la sua croce e mi segua” Mc 8,34

Se la violenza umana è in qualche modo l’elemento in cui si afferma la pace cristiana, non è solamente perché la logica della nostra situazione o del nostro egoismo ci spinge a contraddire continuamente i disegni di Dio e a spezzare continuamente l’unità per la quale egli lavora in ciascuno: è anche perché egli stesso è violento... noi ci facciamo di Dio un idolo se lo identifichiamo con ciò che ci piace. Egli è anche l’Altro. La brutalità dei conflitti ci insegna chi egli è, così come ce lo insegnano la dolcezza della preghiera o le tenerezze dell’amore. La pace spirituale può essere più seriamente compromessa dalla sonnolenza della tranquillità che non dai contrasti legati alla vita professionale, dalle lotte ingenerate dall’ingiustizia o dall’ “assillo quotidiano” (2Cor 11,28) e dal rifiuto di cedere (cf. Gal 2,5) di cui la cura di una comunità può essere causa... Egli è là immischiato nella nostra vita, e ci riporta con sé nello spessore di questa nostra storia umana in cui la molteplicità contraddittoria delle funzioni ci insegna a un tempo l’umiltà del compito che ci è proprio, senza lirismo di circostanza e senza sufficienza dogmatica, e la vita prodigiosa del Dio che ci inventa il nostro destino attraverso tanti operai così diversi. Non basta dunque ritenere dai libri ispirati un tema scritturistico, fosse pure quello della violenza. Cruciale l’esperienza del conflitto deve iniziarci al segreto di cui questi libri ci parlano; in tal modo essa stessa trova il suo senso ultimo... La distinzione tra Padre e Figlio si è caricata di tutta la storia di questo conflitto; nella sua agonia Gesù lo porta a un tempo come collera di Dio e come rifiuto del popolo che lo scomunica, come scontro dinnanzi al Giudice e come dissenso nei confronti dei propri fratelli... al di là della violenza che mette alla prova in lui l’unità con il Padre e l’unione con i fratelli, la sua duplice fedeltà lo eleva, lui uomo, nel faccia a faccia dell’uguaglianza divina; essa permette agli uomini di essere a loro volta riconosciuti dal Padre come figli e dal Figlio come fratelli, e vale il privilegio che li destina a divenire, nella differenza della creatura dal Creatore, i beneficiari e gli interlocutori del dio infinitamente Altro...”

(Michel de Certeau, Mai senza l’altro)

La Risurrezione!

…è la conclusione del racconto fondante del Nuovo Testamento , il fatto più sconcertante della storia, da far dire a chiunque lo senta: se fosse vero! … che davvero uno è tornato dall’al di là, mite e trionfante, con una vita nuova anche per noi! Cambierebbe il senso della vita nell’universo! Ma tanto più oggi, nella deriva d’ogni speranza del nostro mondo tecnologico, torna attuale la battuta scettica dei saggi di Atene a Paolo: su questo ti sentiremo un’altra volta! A questo fatto è agganciato comunque tutto il cristianesimo. Su questo fatto, ricorda l’apostolo delle genti ai cristiani di Corinto, erano unanimi centinaia di testimoni: «Anzitutto vi trasmetto quello che anch’io ho ricevuto: Cristo è morto ed è stato sepolto. È risuscitato il terzo giorno ed è apparso a Pietro… e a più di 500 persone…» (1Cor 15,2ss). Pietro lo ripete in varie forme ad ogni discorso: “…Gesù di Nazaret… passò beneficando e risanando… E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute… lo uccisero… appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno!”. Un fatto, dunque, che ha appassionato e cambiato la vita a tanta gente, al punto da invadere per contagio il mondo allora conosciuto, di annuncio in annuncio…
Con il termine risurrezione si vuol affermare la continuità tra il Gesù storico e il Cristo risorto, attraverso, appunto questa irruzione incontenibile ed esaltante di una nuova qualità di vita, dopo tre giorni che era nella tomba... Con il termine ‘esaltazione’ si celebra la gloria divina di Cristo risorto. Era Dio, s’è fatto uomo fino alla morte; ora ritorna in Dio portando con sé l’umanità che ha assunto. Per Gesù la risurrezione segna la sua “accreditazione” : cioè ne è garantita e consacrata la verità del suo vangelo, la sua autocertificazione di essere figlio di Dio e la sua missione nel mondo. È il sigillo definitivo di Dio sull’opera di questo profeta…
La testimonianza storica non è sufficiente a smuovere il cuore
Nelle apparizioni le discepole e i gli apostoli non lo riconoscono subito, ma solo con un misterioso sussulto del cuore. Increduli per la trepidazione e la troppa gioia… sicuri di averne visto la sconfitta e la morte, fanno fatica a capire che invece era vittoriosa la sfida di amore ormai ritenuta bruciata, anche se il cuore era pieno di nostalgia. In questa attesa delusa e triste, irrompe la visione del Risorto. Lo stupore incredulo, dubbioso o scettico, comincia a cedere a questa presenza misteriosa… e inizia una relazione nuova che non solo assorbe e rigenera l’affetto e la fiducia precedente, ma trasforma tutta la vita (l’identità e il senso). Si manifesta e lo riconoscono in tanti modi diversi: il timbro della sua voce, il tocco delle sue mani, la sua tenerezza, le sue piaghe nonni sofferenti, l’umanità “nuova” che parla, ricorda, esorta, sgrida, perdona, rassicura… Eppure non è sufficiente la testimonianza storica! Che appare certamente genuina ed autentica anche se espressa in un linguaggio figurativo e simbolico, non logico o secolare come il nostro! La testimonianza storica è una premessa necessaria, ma non produce la fede. Questo coinvolgimento totale dell’uomo che consegna la sua vita a Cristo, che chiamiamo “fede cristiana”, è un modo nuovo di vedere e capire se stessi e la vita, che nasce da un personale e coinvolgente dono di amore di predilezione. Non come un ricordo nostalgico del Gesù di carne del passato. Non è il ricordo di un morto seppur carissimo e insostituibile… È una relazione nuova con colui che era morto crocifisso ma che è adesso è risorto e si pone di fronte agli uomini ‑ sorelle e fratelli ‑ in una situazione nuova, caratterizzata da una sorpresa impensabile. È lo stesso Gesù (non vedete che sono proprio io!) con lo stesso corpo trafitto, ma glorificato e trasfigurato fuori delle dimensioni fisiche, che si può toccare e carezzare, ma non abita più la nostra condizione storica umana! Non ha più fame ma può mangiare. Non è in nessun luogo preciso, ma attraversa le porte chiuse per venire a consolare i suoi, paralizzati dalla paura! È presente a noi in ciascun momento storico, ma lui vive i ritmi dell’eternità alla destra del Padre…un corpo capace di reggere le determinazioni fisiche, ma non legato a loro. Una vita dopo la morte, coestesa con il tempo, ma eterna: tempiterna (Panikkar). … il miraggio di tutta l’umanità e di tutte le religioni – il sogno di ognuno che ama!
cercate Gesù il crocifisso? Non è qui!… È risorto!... Andate a dire ai miei fratelli…
… quest’angelo misterioso sintetizza in modo lineare ed essenziale il processo dinamico della fede, che ormai diverrà il fuoco propulsore della comunità cristiana – la fede in Cristo crocifisso risorto! Cominciando dalle donne (come già da una di queste donne era iniziato a Nazareth), davanti alla tomjba vuota, si compie il cammino di conversione e trasformazione da discepolo di Gesù in “credente in Cristo”. Questo annuncio del vangelo di Matteo (e in vario modo di tutte le testimonianze del risorto, che costituiscono il Testamento Nuovo) delinea infatti i passi fondamentali della fede apostolica, che è fondamento e configurazione della nostra fede: la precedente frequentazione di Gesù nel discepolato, la disperata passione e via crucis del crocifisso, l’assillo della sua assenza (la tomba vuota); l’incontro con Gesù vivente (ma in/trattenibile, ormai), la missione verso i fratelli…
La fede cristiana scaturisce nel passaggio (nella pasqua!) dal Gesù profeta che annunciava la buona notizia beneficando e risanando la gente, ma fu rifiutato, rinnegato, tradito e crocifisso … al Cristo Gesù che appare risorto a vita nuova. La resurrezione di Gesù il Cristo è (per lui e per noi) il nesso tra la vita presente e la futura, il nodo dove la nostra fragile e precaria vita mortale nella quale siamo imprigionati senza scampo, è agganciata alla vita nuova che Cristo… ha inaugurato, aprendo nella sua carne, con una consegna di sé senza riserve, questo passaggio, anche per noi. È di questa pasqua che anche noi partecipiamo, perché questo è il transito che apre la nostra vita al ”suo” stato di compiutezza umana glorificata per sempre, che chiamiamo risurrezione.
Come nasce la chiesa… Sensorium Dei in mondo
Rivedere i suoi fratelli... è il primo grande desiderio che gli esplode dentro, appena il cuore ha ripreso i suoi battiti con i ritmi umani di un’altra vita, e lo dice alle donne fedeli, dalle quali per prime si è fatto riconoscere: andate a dire ai miei fratelli! che li aspetto…Come per un incontenibile voglia di comunicare e condividere la sua scoperta vitale. Da questo cuore che era morto per noi, ora vivo per sempre, passa a noi la capacità (la “dunamis”, ma è il frutto dello Spirito) di fare anche noi della nostra vita un fermento di risurrezione… «Quel medesimo Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti, darà vita anche ai vostri corpi mortali a causa del suo Spirito abitante in voi» (Rm 8,11). Il duello tra vita e morte, di cui canta la liturgia, che è culminato per lui nel Getsemani e sul Calvario non è vinto da Gesù soltanto. Si rinnova e continua oggi nel mondo, per uscire da ogni schiavitù e trasformare tutto ciò che opprime l’uomo in dilatazione di amore. Siamo infatti suoi fratelli e sorelle, totalmente coinvolti nella sua avventura umano/divina, “se veramente partecipiamo alle sue sofferenze” (Rom 8,18), diventando come dei “sensori di Dio nel mondo”, per accoglierne e condividerne i dolori e le angosce, le gioie e le speranze. La chiesa si è data da secoli ad altri impegni importanti ma secondi, rispetto ai primi che ci racconta il Nuovo Testamento: annunciare instancabilmente il Vangelo di Gesù, denunciare le ingiustizie che opprimono i più deboli, testimoniare a tutti la misericordia e il perdono, riproponendo la sfida della sua e nostra risurrezione in un mondo stanco e rassegnato al crollo della speranza.
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“Il mondo dice: ormai è così, sarà sempre così; deve necessariamente essere così. Il giusto dice: non dovrebbe essere così; è contro Dio. Soprattutto in questo si conoscerà il giusto: nel fatto che egli soffre in questo mondo. In certo modo egli porta il sensorium Dei nel mondo… il giusto sa che Dio lo fa soffrire così, perché impari ad amare Dio per amore di Dio stesso. Nella sofferenza il giusto trova Dio…
Questa è stata la risposta di Dio al mondo, che ha portato alla croce di Cristo… Dio non ricambia con la stessa misura, e così deve fare anche il giusto: Non condannare, non rimproverare, ma benedire. Se non fosse così il mondo non avrebbe speranza. Il mondo vive della benedizione di Dio e del giusto, e in questo ha la possibilità di un futuro…
(D. Bonhoeffer, Fedeltà al mondo, Queriniana 1995, p. 53-54)

Auguri fraterni

domenica 16 marzo 2008

Non solo Cina: il Tibet siamo noi!

Pubblico per intero un articolo di LaStampa.it apparso in rete oggi. Ritengo utile aggiungere, per chi comprende il francese (in attesa che qualche volontario possa tradurlo) l'intervento del ministro degli esteri francese citato nell'articolo. Per riflettere e capire il senso profondo nell'"oggi", del periodo liturgico che stiamo vivendo. Le sottolineature sono mie.


"Disfatta morale" di Barbara Spinelli
"La Stampa" 16/3/2008

Cinque anni di guerra in Iraq e una guerra afghana che nessuno osa riesaminare hanno cambiato il mondo radicalmente, danneggiando in misura non ancora calcolabile la sicurezza, la forza d'attrazione, la robustezza economica, infine la potenza morale dell'Occidente. Non siamo solo alle prese con la «fine della magia americana», descritta dal ministro francese Kouchner in una conferenza parigina dell'11 marzo. La magia che aveva sedotto lui e molti europei - a cominciare da Berlusconi nel 2001-2006 - ha avuto e continua ad avere effetti durevoli, che non scompaiono con l'evaporare dell'incanto e sui quali gli ex ammaliati tacciono, come ignorassero che questo tacere è un ennesimo, scandaloso peccato di omissione. Ovunque sulla Terra, la politica neo-conservatrice ha alimentato un sospetto deleterio: che qualsiasi nazione toccata dall'Occidente diventi fatalmente uno Stato fallimentare. Che la democrazia sia qualcosa di malato, di temibile. Che libertà, laicità, pluralismo siano da posporre, sempre, ai ben più essenziali imperativi di sicurezza. Quel che accade in Tibet negli ultimi giorni non è disgiunto dalla magia infranta: ne è il lascito, catastrofico. La carneficina di monaci buddisti a Lhasa (i tibetani in esilio parlano di 100 uccisi) è responsabilità cinese ma è stata facilitata da America ed Europa, che non a caso reagiscono con voce pallida, e sguardo cieco. Quel che essi non hanno visto è la lezione che gran parte degli Stati ha tratto dalla politica di Bush. Una lezione che possiamo riassumere così: per meglio difendersi dalle insipienze Usa, gli Stati hanno tutto l'interesse a presentarsi come Leviatani aggressivi, chiusi in sovranità assolute. Sovranità generalmente ingannevoli (tutti siamo immersi nell'economia-mondo), ma anche l'inganno è effetto delle guerre antiterroriste: dalle menzogne non si esce che con altre menzogne. I grandi profittatori dei conflitti odierni non sono solo i produttori petroliferi e le compagnie fornitrici di soldati che hanno contribuito a privatizzare le guerre. Tutti gli Stati che scelgono la forza - Cina, autocrati arabi o asiatici - sanno che la strategia Usa, al momento, non produce che failed states, incapaci di monopolizzare violenza e territori. Che l'America esca spezzata da tale esperienza è tragicamente confermato dalle stragi cinesi, dalla forza con cui i conservatori islamisti si presentano al voto iraniano. Basta guardare alla stupefacente coincidenza dei giorni. L'insurrezione tibetana comincia lunedì 10 marzo: da tempo ardeva nell'ombra. Nonostante questo il Dipartimento di Stato esce poche ore dopo, l'11 marzo, con un rapporto sui diritti umani che denuncia le lentezze della Cina ma la cancella dalla lista dei trasgressori. Le timide reazioni americane ed europee alle stragi tibetane testimoniano molto più di un'incongruenza: testimoniamo una rotta morale dell'Occidente. Una potenza imperiale che pretende fondarsi sulla democrazia non può ignorare gli effetti morali di quel che fa: è suo tratto distintivo, e proprio questo tratto è andato svanendo. La guerra in Iraq fu iniziata per mostrare la superiorità delle istituzioni libere - la democrazia avrebbe generato Stati stabili, plurali - ed è avvenuto il contrario. Dopo l'aumento di truppe deciso da Bush, i soldati Usa sono più sicuri ma la violenza resta. Non ce ne accorgiamo più, perché non apparendo in video sembra inesistente. Il premio Nobel Joseph Stiglitz ricorda nel suo ultimo libro che le tv accendono i riflettori solo quando gli attentati fanno più di 25 morti (The Three Trillion Dollar War, Norton 2008). Né sembra accorgersene il candidato repubblicano alla successione di Bush: pur di persuadere i neo-conservatori, McCain annuncia: «Se riusciamo a ridurre i nostri morti possiamo restare anche cento anni in Iraq. A me va benissimo». Né l'Iraq è divenuto più vivibile, con poche ore di elettricità al giorno e quasi 5 milioni di sfollati (2,5 dentro e 2 fuori, in Siria e Giordania). Ecco il cataclisma occultato per anni dalle bende della magia: l'America voleva esportare democrazia, e ha esportato invece insicurezza, violenza, immoralità. La sua posizione è talmente indebolita che non può reagire agli eventi cinesi. Anche per questo fanno tanta impressione i dibattiti elettorali italiani: un ex ministro del campo berlusconiano consiglia addirittura di tornare in Iraq, quasi non sapesse com'è diventato il paese nel quinto anniversario della guerra. Il cataclisma morale non viene fabbricato solo col cinismo, con la spudorata violenza di politiche avventate. Lo si fabbrica anche con questo non-sapere, quest'ignoranza singolarmente militante. È incompetenza tecnica, politica, militare. È l'ignoranza che nel vecchio dizionario Tommaseo viene distinta dall'inscienza: quest'ultima è di uomini che non sanno quello che fanno, mentre la prima è ignoranza colpevole, ignora quello che saremmo tenuti a sapere, è «crassa, rozza, indolente, superba». Fu ignoranza superba lanciare guerre senza conoscere i paesi occupati. È ignoranza superba la politica verso la Cina. Nell'amministrazione Usa, un gruppetto di finti esperti ha giocato col mappamondo alla maniera di Chaplin-Hitler nel Grande dittatore. Sarebbe bastato uno sguardo in terra per vedere che la violenza cinese si sarebbe abbattuta sul Tibet, incoraggiata dal rapporto pronto al Dipartimento di Stato da mesi. L'idea di Bush era semplice, dopo gli attentati del 2001: si trattava d'inventare una politica assolutamente nuova. Interessi e valori avrebbero coinciso, come nei sogni o nelle magie. Clinton stesso in fondo aveva provato, in Kosovo: con un certo successo, anche se contaminato dal veleno dei nazionalismi etnici. Ma l'Iraq non era il Kosovo, la Freedom Agenda dei neo-conservatori concerneva il pianeta e non una minuscola provincia. L'ultimo rapporto della Fondazione Carnegie (Nuovo Medio Oriente, 2008) sostiene che la Freedom Agenda è stata un totale fallimento: ha rafforzato l'Iran, regalandogli un Iraq turbolento ma ideologicamente fedele. Ha incoronato Ahmadinejad. Raccomandando infine una democrazia numerica (conta chi raccoglie maggioranze e non l'imperio della legge né l'equilibrio tra poteri, ambedue anteriori alla democrazia), ha aiutato non i pochi laici ma gli islamisti, ovunque e soprattutto in Palestina. A ciò si sono aggiunte condotte statunitensi accettate da parecchi governi dell'Unione Europea: le torture a Abu Ghraib, il trasferimento di prigionieri in centri di tortura europei oltre che arabi. Come dice l'ammiraglio William Fallon, appena dimesso dal Comando centrale Usa, ha prevalso la peggiore delle strategie: «l'imprevedibilità con gli alleati, la prevedibilità con gli avversari». Uscire da simili disfatte è difficile. McCain e Hillary Clinton quasi sembrano non scorgerne la natura. La scorge meglio Obama, forse perché conosce le diversità del mondo: soprattutto quando critica una politica filo-israeliana «schiacciata sul Likud». O lamenta il deteriorarsi mondiale dell'immagine Usa: «Per colpire pochi fondamentalisti (al massimo 50.000)», ha detto in un incontro con le comunità ebraiche a Cleveland, il 24 febbraio, «abbiamo provocato un disastro, trascurando 1,3 miliardi di musulmani». La questione morale è al centro. Accanto al disastro economico-strategico della guerra irachena (Stiglitz indica un costo di 3000 miliardi di dollari, pagato solo col deficit), c'è questo disastro etico: non meno esiziale. Un'etica che fallisce così miseramente è terribilmente simile al comunismo - e non sorprende che fra i neo-con ci siano tanti eredi del '68 marxista-cinese. Alla fonte l'ideale comunista è buono, ma i risultati sono tali che etica e ideale ne escono lordati irrimediabilmente. Lo stesso accade per le guerre etiche, così come son state imposte dagli esorcisti neo-con d'America ed Europa.
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Je suis très heureux d'être devant vous, non pas pour répondre au nom d'une nouvelle diplomatie, mais pour considérer le nouveau monde.
Je vous dirais très simplement que si j'ai pu participer d'un mouvement de ce nouveau monde, c'était avant d'être ministre.
Devenant ministre des Affaires étrangères de la France, on devient beaucoup plus conforme et même parfois conformiste. Je suis très heureux que vous vous aperceviez, maintenant, de la nécessité d'une nouvelle diplomatie. Nous allons en parler, ce n'est pas une affaire facile.
D'abord, je voudrais dire très généralement que nous avons l'habitude de nous lamenter sur l'état du monde. J'ai vu que Madeleine Albright disait : "je suis une spécialiste de l'observation de la vie internationale et je n'avais jamais vu tant de difficultés". Ce n'est pas vrai : il n'y a pas plus de difficultés maintenant, il y a plus de communication.
Il y a beaucoup plus d'intérêt pour les problèmes et il y a un mouvement du monde qui s'appelle la globalisation. Mais il n'y a pas plus de problèmes, il y a peu de mémoire.
Il y a vingt ans, l'Amérique latine était un continent de dictatures. Ce n'est plus tout à fait vrai maintenant. Je sais qu'il y a un certain nombre de contestations autour de M. Chavez, on peut en parler.
Il y a presque 35 ans, puisque c'était l'époque où nous avons fondé "Médecins Sans Frontières" - c'était en 1971 - dans les années 1970 et 1980, il y avait beaucoup plus de conflits et de guerres qu'il n'y en a à présent. Personne ne s'y intéressait, personne n'en tenait compte, ou très peu de gens.
Il était normal de se considérer dans un monde difficile, dangereux, en guerre. Maintenant, il y en a beaucoup moins. Je ne dis pas que ces conflits n'ont pas d'importance ; ils sont peut-être même beaucoup plus difficiles à comprendre ; ils sont plus difficiles à apaiser peut-être. Il y a le retour du nationalisme, un retour de la violence. Mais il y en a d'autres qui avancent. Madeleine Albright devrait considérer qu'il y a sans doute aussi une attention plus grande pour un monde en développement qui n'existait pas. On ne parlait sans doute pas autant de bonne gouvernance s'agissant des pays en développement. C'est difficile de parler de bonne gouvernance en général. Bien sûr, il y a des tas de problèmes de mauvaise gouvernance, chez nous aussi. Peut-être moins, certes, pas les mêmes peut-être, mais il y a des problèmes partout parce qu'il y a un monde nouveau.
Ce qui le caractérise, c'est la concurrence. C'est le fait que l'économie de marché, comme l'on dit, qui était censée régler tous les problèmes, ne les règlent pas tous. Elle les accentue, elle les exacerbe. Mais finalement, une direction est donnée, une direction très importante qui fait que nous sommes en concurrence avec des personnes qui sont payées moins cher, qui ont autant d'invention, autant d'énergie, autant de force de travail et qui sont concurrents avec les pays développés.
Cela, c'est la globalisation. Et la grande difficulté, c'est d'accepter cela nous-mêmes. La grande difficulté, c'est d'accepter ce nouveau monde alors que pour les pays en mouvement, pour les pays en marche, pour ceux qui font des efforts terribles pour parvenir à élever ce fameux niveau de vie dont nous nous plaignons ici et qui, c'est vrai, n'est plus le même qu'avant, qui en effet accentue les difficultés des uns et des autres dans les pays développés, le monde en développement qui ne se plaint pas, il est tout au contraire extrêmement dynamique.
Le vrai problème est d'expliquer cela aux gens riches. Allez leur expliquer que la richesse est très mal répartie dans nos pays, entre ceux qui gagnent beaucoup d'argent, de plus en plus d'argent et les personnes qui sont dans une difficulté quotidienne et qui pensaient vivre dans des pays où l'avenir était assuré, ce qui n'est plus très vrai. Il faut leur faire comprendre que nous avons encore beaucoup d'avenir et finalement, beaucoup de chance lorsque nous considérons notre façon de vivre par rapport à ceux qui aspirent au minimum, qui aspirent à cette manière de vivre.
Cela, c'est très difficile. Je prendrais un exemple avant de m'arrêter car je souhaite dialoguer et je pense que c'est ce que vous souhaitez également.
Prenons le vrai marqueur, ou l'un des vrais marqueurs, du changement du monde : la santé publique.
Nous qui considérions que dans ce pays béni qui s'appelle la France, il était normal, avec une petite carte verte, de rentrer dans n'importe quel hôpital, sur tout le territoire français, pour être accepté aux urgences, pour y être soigné sans rien payer. Dans la presque totalité du monde, il n'était même pas question d'avoir un hôpital. Cela a changé, c'est en train de changer. Evidemment, lorsque nous demandons aux Français de payer un peu plus pour leur santé, ils ne sont pas contents et ils disent que c'est une régression, je les comprends.
La difficulté est d'expliquer le changement du monde
. Je sais que ce n'est plus tout à fait "rond", que c'est "plat". Je sais, c'est très difficile mais c'est cela qu'il faut faire. Nous avons fait des progrès immenses, globalisés. Nous devons une compréhension plus globale mais pas parfaite de la santé publique du monde. Ce sont des progrès considérables. Mais bien sûr, ils ont nécessité des sacrifices de notre part, de la part des pays riches évidemment. Et ce sont des progrès imparfaits. Nos sacrifices furent également imparfaits. Mais quand même, quelle différence !
Vous savez, je me souviens, c'était en 1997 - ce n'est pas loin, onze années -, lorsque à Abidjan, avec le président Jacques Chirac, nous avons décidé, nous les Français - j'en suis très fier, je fus ministre de la Santé à l'époque -, que nous allions prendre en charge les malades qui n'étaient pas nos malades mais qui étaient malgré tout des malades.
Nous en étions finalement comptables, aussi. Bien sûr, c'était le sida. Bien sûr c'est contagieux, bien sûr c'était l'un des dangers publics, si j'ose dire, en termes, de santé publique. C'était un problème majeur et c'était un problème pour la sécurité nationale de tous mais d'abord des pauvres.
Et maintenant, voyez-vous, il est devenu presque normal, non pas de consacrer assez d'argent, mais il est devenu presque évident, que nous, les riches, malgré nos difficultés, malgré le chômage, mais en tenant compte de ce que l'on appelle la vie chère, nous assurions, l'ensemble de la santé globale du monde.
Nous avons pris le sida en charge, c'est vrai. Pouvons-nous prendre en charge tout le reste des maladies qui sont au moins aussi importantes, je ne le sais pas, je ne crois pas ?
Voilà un exemple de la globalisation. Il est très mauvais, on peut en trouver d'autres. On peut penser que le terrorisme est un exemple de globalisation, qu'il présente des dangers. C'est exact, c'est complètement vrai !
Aujourd'hui, je viens de passer sept heures avec Sergueï Lavrov. Je l'aime beaucoup mais c'est un autre monde.
Nous avons parlé de drogue, mais il n'y a pas que cela. Il y a 15 ans, à peine un peu plus, que la représentation-même du communisme international s'est effondrée. 15 ans, ce n'est rien !
Alors, d'accord, ce n'est pas assez, c'est imparfait, c'est vrai. Mais, quand même, quelle rapidité, quel progrès, quel changement !
Il y a à peine 20 ans, il y avait en Afrique, un grand continent à l'abandon. Maintenant, ce n'est plus vrai, ils ont 6 % de croissance et nous, combien en avons-nous ? 1,5, 1,6 % en France.
Un dernier exemple, c'est l'exemple magique car tout le monde demande plus d'Europe. Tout le monde, le monde entier. Bien sûr, les pays en développement. Et encore, ce sont eux qui en demandent le moins. Mais le modèle est là. L'Union africaine, déjà, se manifeste entre l'Afrique du Sud et la Libye, par deux modèles complètement différents, centralisés ou non. Le modèle quel est-il ? C'est l'Europe.
Nos amis américains, que demandent-ils ? Ils disent que c'est l'Europe qui doit proposer un nouveau plan dans un nouveau monde.
C'est très bien, merci beaucoup, ils sont très demandeurs mais ce n'est pas si facile car nous nous heurtons aux même obstacles. La globalisation des espérances, c'est bien. Mais accepter de faire des sacrifices pour les autres, considérer que cela ne va pas se poursuivre de la même façon, accepter l'idée, très répandue, très dangereuse que nous sommes les perdants, nous les pays riches, particulièrement les pays européens, et la France également, apporte un regard pessimiste sur la globalisation. Nous portons un regard extrêmement sombre sur la globalisation et c'est cela qui les choque.
Il nous faut leur prouver que ce n'est pas facile en ce moment. Cela prendra encore cinq ou dix ans, on ne sait pas, pour que les réformes réussissent pour que nous puissions dégager une énergie suffisante pour agir. Il nous faut reprendre notre marche en avant !
En attendant, le reste du monde marche mieux qu'avant. Bien sûr que nous parlerons des crises. Bien sûr que le terrorisme existe et qu'il progresse, d'une certaine manière. Bien sûr que pour l'Afghanistan rien n'est réglé.
C'est vrai qu'avoir vu M. Ahmadinejad à Bagdad, entouré de 145.000 soldats américains, c'est quand même assez surprenant, n'est-ce pas ?
Il y a là quelque chose qui fonctionne mal dans les visions du monde.
En tout cas, et je voudrais en terminer, la démocratie d'il y a 20 ou 30 ans était un rêve. Un rêve difficile à caresser, à concevoir même. C'est devenu la règle imparfaite, la démocratie, une règle imparfaite mais une règle quand même ! Il n'y a plus d'autres modèles et au contraire, l'on se demande si un peu de rigueur, un peu de brutalité, un peu moins de considération pour les opinions publiques, pour la société civile, pour les ONG, ce ne serait pas plus facile. Eh bien, non, il faut tenir compte de l'opinion de chacun. C'était inimaginable il y a 20 ou 30 ans. Je ne suis donc pas vraiment pessimiste.
Comme vous, je pense qu'il faut établir une nouvelle diplomatie. Mais pour cela, le grand obstacle, c'est soi-même, le grand obstacle, la difficulté, c'est d'accepter que les autres existent, pas comme nous certes, différemment de nous. Et je vous assure que sept heures passées avec M. Lavrov m'ont fait réaliser que nous ne sommes en effet pas complètement pareils, c'est certain, mais, nous ne sommes pas non plus identiques aux pays arabes, nous sommes différents de l'Afrique, nous sommes différents de l'Asie, nous ne sommes pas pareils.
Accepter l'autre, ce serait cela la nouvelle discipline qui formerait une nouvelle diplomatie et nous ne serions pas toujours certains d'avoir raison. Vous savez, la nouvelle diplomatie - je l'expérimente tous les jours, pour moi aussi contre moi-même - c'est de considérer que l'on n'a pas toujours raison. C'est se demander si, après tout, les autres n'auraient pas, de temps en temps, un peu raison aussi, au moins avec nous.
Je vous remercie./.

sabato 15 marzo 2008

Uomini Speranza


Chi vincerà le elezioni? Semplice la "Mafia S.p.A."! Parola di Roberto Saviano

A meno che... leggi l'articolo di Repubblica.it

Vuoi saperne di più? cerca qui

Su YouTube: Roberto Saviano - parte 1; parte 2; parte 3; parte 4; parte 5

Il suo sito
il suo libro Gomorra, nel gennaio 2008 ha superato, solo in Italia, 1.200.000 copie (fonte Wikipedia)

venerdì 14 marzo 2008

Speranza in frammenti

LHASA (Tibet) - Alta tensione in Tibet, negozi e mezzi delle forze dell'ordine sono stati bruciati nel capoluogo Lhasa, centinaia di persone si sono unite alla protesta dei monaci contro il governo cinese iniziata lunedì scorso. Secondo quanto riferito dalle agenzie di stampa internazionali, citando fonti sanitarie, ci sarebbero anche «diverse vittime». Per Radio Free Asia, emittente finanziata da Washington, i morti sarebbero due. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale Nuova Cina molti poliziotti sono rimasti gravemente feriti. Le autorità locali, nominate da Pechino, accusano per le violenze «la cricca del Dalai Lama». Ma dal mondo occidentale si leva la protesta contro la repressione militare ordinata dal governo cinese. Il Dalai Lama ha chiesto di interrompere l'uso della violenza. Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha rivolto un appello a tibetani e cinesi per «evitare scontri e violenze».
LE CARICHE DELLA POLIZIA - Testimoni hanno affermato che la polizia militare è intervenuta in forze per disperdere i dimostranti e che si sono sentiti degli spari. «C'è fumo dappertutto e si sentono colpi d'arma da fuoco», ha detto un residente che parlava dalle vicinanze del Jokhang, un grande tempio nel centro della capitale. E di spari hanno parlato anche cittadini americani, ha riferito l'ambasciata Usa a Pechino. Nuova Cina ha ammesso che sono stati sparati «colpi di avvertimento e gas lacrimogeni» per disperdere i manifestanti.
MONASTERI ACCERCHIATI - I tre principali monasteri buddisti di Lhasa sono stati accerchiati da migliaia di soldati. I monaci di Sera, il secondo monastero della regione, hanno cominciato uno sciopero della fame. Due monaci di Drepung sono in condizioni critiche dopo aver tentato il suicidio tagliandosi le vene, ha riportato Radio Free Asia, secondo la quale altri monaci stanno compiendo gesti di autolesionismo per protestare contro l’accerchiamento delle forze dell’ordine attorno al monastero e contro l’arresto di alcuni monaci.

14 marzo 2008

Speranza in frammenti

La morte di monsignor Rahho, vescovo caldeo di Mosul, riporta al centro dell’attenzione la drammatica situazione dei cristiani in Iraq. Pochi mesi fa una catena di attentati ha colpito le chiese di quella provincia. L’estate scorsa un prete e alcuni diaconi erano stati uccisi. Nel 2005 anche il vescovo siriaco della città, Casmoussa, era stato rapito e poi rilasciato. Il tasso di violenza che regna nell’area è molto alto. Mosul è città contesa tra curdi, arabi sunniti e turcomanni, un conflitto sul quale si è innescata anche la “pulizia religiosa” condotta da gruppi islamisti che hanno approfittato delle tensioni etniche locali per colpire i cristiani. Geograficamente nel Kurdistan iracheno, Mosul è sotto controllo dei peshmerga: le forze speciali americane non effettuano operazioni antiterrorismo nell’area. Una concessione politica, prima ancora che militare, che gli Usa hanno fatto a uno storico alleato come i curdi. Una scelta che ha favorito l’arrivo nel Nord degli islamisti in fuga dalle province centrali, scacciati dagli americani e, soprattutto, dagli shawas, i membri delle milizie armate sunnite un tempo loro alleati. Senza alcuna tutela, in un clima in cui la polarizzazione tra sunniti e curdi per il controllo della città non lascia spazio a identità terze, i cristiani sono divenuti oggetto di crescente violenza. Molti hanno lasciato il Paese, alimentando l’imponente esodo iniziato dopo il 2003; altri, in una situazione in cui a tutti viene chiesto di schierarsi da una parte o dall’altra, hanno preferito convertirsi all’islam.
Una situazione che è anche il prodotto oggettivo della nuova politica americana in Iraq. Identificati cinque anni fa come il nemico, i sunniti sono ora tornati nelle grazie di Washington. Il timore per la crescente influenza iraniana sul paese, a larga maggioranza sciita, e la necessità di togliere agli jihadisti l’acqua in cui nuotano, hanno spinto Washington a rimescolare le carte. Il successo del generale Petraeus non è comprensibile senza mettere a fuoco il fenomeno della shawa, il risveglio sunnita. Ma se la politica di «riconciliazione nazionale» mette fine all’inconsulta epurazione di massa voluta dall’allora governatore Bremer, innesca anche un effetto domino che manda in fibrillazione i gruppi etnici e religiosi usciti vincitori dalla guerra. Il risveglio sunnita assume, infatti, anche il volto di ottantamila miliziani pagati dagli Stati Uniti. Si tratta degli stessi uomini che sino a un anno fa sparavano addosso ai marines e venivano chiamati terroristi, ribelli, insorti. In guerra, si sa, il fine giustifica i mezzi: e il nemico di ieri non è detto sia quello di oggi. Gli shawas sono inquadrati da leader radicati nel territorio e capaci di controllare parte rilevante della popolazione sunnita che, nel vuoto di potere lasciato dalla scomparsa del partito-stato, è tornata a guardare alle lealtà religiose, tribali, claniche. Entrati in conflitto aperto con gli jihadisti «stranieri», privi ormai di santuari in cui rifugiarsi, gli shawas stanno contribuendo in maniera determinante alla loro sconfitta: nonostante gli inevitabili colpi di coda del qaedismo. Il risveglio sunnita non è, però, privo di incognite. Genera tensioni a Mosul, città divenuta a maggioranza sunnita dopo la politica demografica voluta da Saddam ma rivendicata dai curdi; e inquieta gli sciiti. L’emblematica visita di Ahmadinejad a Baghdad è anche un messaggio rivolto dagli sciiti iracheni agli americani: tanto più punteranno sui sunniti, tanto più sarà necessario bilanciare il loro crescente peso volgendo lo sguardo verso i confratelli iraniani. A sua volta Teheran guarda alla svolta sunnita come all’ennesimo tassello di una politica che mette in discussione quel ruolo di potenza regionale che l’Iran ha assunto dopo la fine dei regimi ostili delle potenze laterali, l’Afghanistan e lo stesso Iraq. Ruolo destinato a crescere in futuro per effetto del ritiro americano e della corsa al nucleare. Gli iraniani, così come gli sciiti iracheni, sanno che il risveglio sunnita è ancora fragile; ma se questa fragilità venisse superata con la nascita di un «partito della shawa», incoraggiato da un sostegno politico, religioso e finanziario esterno, scatterebbero le contromisure. Tanto che non è esclusa la messa in campo di gruppi capaci di svolgere, con ben altra efficacia, il ruolo politico e militare esercitato in passato dall’Esercito del Mahdi. Formazione oggi in disarmo non certo a causa del soggiorno del suo leader a Qom, destinato formalmente a far acquisire a Moqtada al Sadr quel sapere teologico capace di conferirgli una legittimità religiosa sempre mancata; ma perché Teheran ha sin qui preferito mantenere il conflitto con gli americani allo stato di latenza. È possibile, dunque, che gli americani debbano fare fronte in futuro non tanto all’indebolita jihad qaedista ma a quella, ben più problematica, iraniana in versione di politica di potenza. Le dimissioni dell’ammiraglio Fallon, comandante delle forze militari americane in Iraq e Afghanistan, hanno a che fare anche con l’inevitabile sbocco della nuova politica Usa. Tutti i gruppi etnici e religiosi iracheni sono coinvolti, direttamente o indirettamente, nel puzzle creato dalla svolta sunnita di Washington. A loro spese lo hanno capito anche i cristiani. (14 marzo 2008)

Un'analisi della situazione in CorriereTV.it

Frammenti di Speranza


In Italia non sono in molti a conoscere questa donna, ma il Times nel 2005 l’ha inserita nella lista delle «persone straordinarie che affrontano sfide che gli altri preferiscono evitare, ricordando a tutti quanto una sola persona, perfino di fronte alle avversità, possa fare».

Probabilmente, da martedì sarà «più esposta, e ancor più lo sarà nel medio termine», dice Tano Grasso, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket (...), alla presentazione di Il coraggio di Angela, fiction in due puntate (RaiUno, lunedì 17 e martedì 18 marzo) che racconta la vicenda di Silvana Fucito, l’imprenditrice di Napoli che davanti al racket ha incrociato le braccia e ha fatto arrestare gli estorsori...

...La storia di Silvana, commerciante, tre figli, comincia nel 2002. Resiste ai tentativi di estorsione da parte della camorra: le costa un incendio che distrugge il suo negozio... Brucia il pianterreno di un palazzo di sette piani, si sfiora la strage. Lei rompe il silenzio, denuncia, manda in galera quindici persone...

La fiction racconta la storia di Silvana (sullo schermo si chiama Angela) e dei suoi sforzi per strappare agli ingranaggi del crimine un giovane, nipote di una cugina... È proprio questo, secondo Grasso, l’aspetto che mette a rischio Silvana, l’azione educativa: un atteggiamento che la criminalità giudica più pericoloso della denuncia. Quello che la mafia non tollera «è che qualcuno agisca per evitare che le sue fila si ingrossino»... [Silvana] vive sotto scorta «non perché ho denunciato... ma per l’alone di eroismo che mi porto dietro, non mi facevo i fatti miei, facevo volantinaggio, dicevo ai commercianti di denunciare. Davo fastidio». Però, continua, «non ci si può sempre tirare indietro, mi hanno distrutta ma ne sono uscita vittoriosa. Se uno si prende delle responsabilità, le cose possono cambiare». Per questo ha accettato che la sua storia fosse raccontata, «per far sapere alla gente che si può dire no al racket. Ho avuto, non so da chi, il compito di portare avanti questa battaglia. Si può uscire dalla morsa continuando a lavorare con tranquillità. Nessuno di noi ha ricevuto contraccolpi. Ben venga se ho dato il mio negozio per questo».

«Vorrei che i napoletani fossero più reattivi - dice - invece ci abituiamo a tutto. Alla camorra, e ora anche alla spazzatura. Ci dobbiamo prendere le nostre responsabilità. Vorrei che tutti guardassero al mio come un gesto di liberazione. A Napoli la gente è depressa, in città non ci sono più turisti, il traffico è paralizzato. Quand’è che ci sveglieremo?».

giovedì 13 marzo 2008

Gesù, Colui che si lascia consegnare nella fiducia al Padre e a vantaggio degli uomini

Durante la celebrazione eucaristica della domenica delle Palme, si leggono i capitoli relativi alle ultime ore di vita di Gesù, il cosiddetto Passio. Esso, oltre a essere molto lungo, ha anche una tale ricchezza di contenuti da renderne impossibile un’analisi esaustiva: siamo infatti di fronte all’attestazione scritta dell’evento fondante e allo stesso tempo definitivo della vita umana. È il nucleo incandescente del Cristianesimo!
Non si può dunque fare altro che scegliere una delle molte prospettive possibili che il testo suggerisce e provare a seguirla, consapevoli di lasciarne fuori molte altre…
Quella che a me sembra più promettente è la focalizzazione sulla libertà di Gesù, sul suo modo cioè di entrare in questa drammatica storica, in queste ore della sua vita, nei suoi rapporti, nelle sue sensazioni, reazioni, parole…
E in proposito prima di scorrere il testo stesso, mi sembra opportuno fare due premesse:
1- Troppo spesso il Vangelo (e in particolare questa sezione) viene letto come se fosse “la storia di Gesù” (c’è quella di Cappuccetto Rosso e c’è quella di Gesù…), un insieme cioè di parole da cui va tratto un insegnamento o delle informazioni sul protagonista… Il problema è che questa prospettiva è troppo riduttiva: così facendo infatti si perde proprio la realtà storica dell’evento e la drammatica che lì si snoda; soprattutto si rischia di togliere Gesù da questa realtà, rendendolo una sorta di ectoplasma cosmico, inconsistente, indifferente agli eventi… come se lui fosse appunto ormai lassù nei cieli e, quanto si racconta di lui, abbia solo uno scopo edificante o informativo. La Parola di Dio invece è accesso reale (insieme ai sacramenti e alla faccia dei fratelli) alla singolarità di Dio, che è la libertà storica realizzata in Gesù. Noi confessiamo infatti «Gesù Cristo è Signore!». Per questo è così fondamentale che la drammatica (lo svolgersi in un dramma) della vita di Gesù, attestata nei Vangeli, ci incontri veramente, ci tiri come dentro alla storia stessa che ha vissuto Lui, si incroci e intrecci con la nostra. Altrimenti Egli sarà sempre estrinseco alla mia vita, non la intercetterà mai veramente, restando solo un buon modello di vita, un esempio da seguire, ma non Colui che mi tocca nelle viscere, mi seduce, mi convince, mi salva e mi ama.
2- Seguendo invece questa prospettiva (di lasciarci tirar dentro allo snodarsi degli eventi che hanno implicato Gesù, per guardarli dal di dentro), seguendo questa prospettiva, appunto, mi pare che sia utile porre all’inizio due linee guida che ci evitino di disperderci strada facendo e invece fin da subito ci delineino il percorso, ponendo in campo quali sono le convinzioni forti che guidano Gesù stesso mentre costruisce le sue ultime ore di vita. Tali punti di riferimento li rintraccio entrambi nella I e II lettura, che mi paiono accostate a questo Vangelo proprio per aiutarci a trovare queste chiavi interpretative:
- La prima è che Gesù in tutto quanto fa, vive, decide, si riferisce sempre ostinatamente a qualcun Altro; ciò su cui, contro ogni logica, continua a insistere è infatti proprio il riferimento al Padre suo. Su questa cosa non cede di un millimetro, per cui tutto quanto leggeremo sullo snodarsi delle sue ultime ore di vita va collocato in questa prospettiva: «Il Signore Dio mi assiste».
- La seconda è che oltre al Padre, c’è anche un altro riferimento imprescindibile per Gesù: «perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato», «perché ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”». È cioè il riferimento agli uomini, all’umanità tutta, che nelle sue ultime ore di vita, prende i volti precisi di quelli che gli stanno intorno. Ogni altro personaggio che incontra in questo svolgimento drammatico della sua libertà non è infatti mai “neutrale”; per ciascuno di essi Gesù ha proprio questo sbilanciamento: scegliere chi essere per loro.
Nel costruire la sua libertà dunque, quel suo pezzettino personalissimo di storia, scegliendo cioè volta per volta, di reazione in reazione, parola per parola (…) chi essere, lo fa sempre tenendo ben a mente questi due fondamentali riferimenti: il Padre e gli uomini. Egli cioè sceglie come muoversi, cosa fare e, in fin dei conti, chi essere, in base agli uomini, al suo amore per loro, e confidando nella fedeltà del Padre.

Posti questi due grandi binari, possiamo allora provare a percorrere il farsi uomo di Gesù in queste ore…

L’ouverture di questa grande scena finale del Vangelo è collocata immediatamente nell’atmosfera di una nitida consapevolezza di Gesù sul fatto che ormai ci siamo… Ai suoi discepoli che gli chiedono dove vuole che sia preparato per la Paqua, risponde infatti dicendo «Il mio tempo è vicino».
Questa sua lucidità nel leggere la situazione ci permette immediatamente di collocarci nella giusta prospettiva: Gesù non subisce quello che sta avvenendo, non siamo di fronte ad un capitolare inaspettato degli eventi… Siamo invece dentro alla vicenda umana di uno che ha un’intelligenza chiara della realtà che lo circonda.
Tanto chiara da non essere vittima incosciente delle trame che si tessono intorno a lui: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Non è cieco nemmeno sulle dinamiche interne al suo gruppo, ai vicini, quelli di cui è sempre così difficile avere una visione limpida, perché gioca troppo fortemente l’affettività. Eppure, con un tono di tristezza mortale, che seppur non descritto si può facilmente evincere dal dialogo con Giuda, Gesù dichiara inesorabilmente la sua consapevolezza: «Il Figlio dell’uomo se ne va» e «Tu l’hai detto».
È dentro a questo contesto di grandissima lucidità sulla realtà che va posta anche l’ultima cena e il significato che Gesù ha voluto darle: «questo è il mio corpo», «questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati». Ponendo questa identificazione tra pane e corpo, vino e sangue, Gesù ha come spiegato in anticipo il dono di sé sulla croce. Non so se Gesù sapesse già come, quando e dove sarebbe morto… ma di certo a questo punto sapeva sicuramente che sarebbe morto, e che sarebbe morto presto… E pone in campo il massimo della prossimità possibile: rendersi mangiabile, diventare dunque così intimo ad un altro da far parte di lui, in tutta la propria sostanza (corpo e sangue).
È il gesto di uno che sta per morire, che sa che sta per lasciare i suoi e che è l’ultimo momento che li ha lì… e cerca con loro la comunione più grande… dimostrando in questo modo il suo attaccamento alla vita, al mondo, ai volti amati… È la stessa prossimità che cerca anche un attimo dopo sul monte degli Ulivi, nel podere chiamato Getzemani, quando, cominciando «a provare tristezza e angoscia», ai “discepoli delle occasioni importanti” (Pietro, Giacomo e Giovanni) dice: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Ma i discepoli non hanno la sua stessa lucidità… a guardarli, nonostante le parole dette a cena da Gesù e l’avvertimento «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo», sembra non abbiano percepito l’imminenza e la portata di quanto sta per accadere; infatti: «venne dai discepoli e li trovò addormentati», «Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti».
Eppure proprio mentre loro dormono Gesù vive uno dei momenti più intensi di queste ultime ore della sua vita: entra in dialogo col Padre suo. È forse ciò che lo abilita a vivere tutto quanto seguirà: infatti è come se si ritagliasse uno spazio e un tempo sacro, cioè separato, riservato per fare il punto della situazione col Padre suo… è il momento del prendersi in mano, del decidere chi essere, per poi tornare nella sequenza frenetica degli eventi ed esserlo.
Vorrei che ci fermassimo un attimo su questa preghiera di Gesù: un po’ perché ci mostra quanto la nostra idea di sacro sia lontana da quella che vive lui in questo momento; un po’ perché egli vive fino in fondo quello che dovrebbe essere la preghiera, e cioè l’accedere a Dio non meno che a se stessi. Anzi, accedere a se stessi, nell’unico modo possibile: riconoscendoci cioè nell’identità che il Padre ci dà, l’unica vera, quella di un figlio amato. E non di un qualunque figlio, ma di questo figlio singolarissimo e irripetibile che sono io.
È per questo che è così importante questo momento per Gesù stesso, perché è come se si fermasse un attimo nel vortice degli eventi e facesse memoria della sua identità, per viverla immediatamente dopo in quello che gli sta per accadere. In questo senso mi pare vadano lette tutte le affermazioni che egli pronuncia rivolgendosi al Padre: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!», «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà»; affermazioni che stanno appunto come in evoluzione, per culminare nella scelta su chi essere: «Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino». Gesù ha scelto di essere Colui che si lascia consegnare nella fiducia al Padre e a vantaggio degli uomini.
D’ora in avanti tutto quanto vivrà sarà come lo svolgersi analitico di questo momento sintetico.
Dapprima l’arresto, con le parole di Gesù che rivelano tutte come un’amarezza di fondo: «Amico, per questo sei qui!»; «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato». Ma non è un’amarezza che lo inasprisce o che lo rende aggressivo: sembra più un’ironia sconfortata, la sua… che culmina nell’abbandono da parte di tutti i suoi: «Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono». Cosa anche questa che peraltro Gesù sapeva di dover affrontare («Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: “Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge”») e per la quale aveva già sorriso amaramente in precedenza, quando Pietro aveva offerto le sue generose rimostranze: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò».
Ma ormai Gesù è in arresto, processato arbitrariamente e continua a mostrarsi in silenzio: «Gesù taceva». Non parla più, non prova a spiegarsi, non tenta di convincere: ha capito che non c’è più spazio per la verità che lui ha da dire, troppo eversiva per il potere costituito; tant’è che quand’essa emerge per bocca di Caifa «sei tu il Cristo, il Figlio di Dio», essa è usata come motivo di condanna.
La stessa scena si ripresenta con Pilato, dove interessante è vedere come ancora una volta siano gli altri a dire la verità su Gesù (anch’egli infatti gli chiede «Sei tu il re dei Giudei?»), mentre Gesù, oltre a rispondere, per la terza volta, come a Giuda prima e a Caifa poi, «Tu lo dici», non fa altro che tacere: «non rispose nulla», «non gli rispose neanche una parola». Ormai infatti la verità di Gesù, la sua identità è entrata in contatto col sistema immunitario del potere, che non ha altra intenzione che espellerlo, come un germe pericoloso. È proprio perché la sua verità è vera che è così pericolosa, tant’è che tutti la affermano, ma ormai davvero solo per eliminarla.
Gesù è così condannato, flagellato, spogliato, sbeffeggiato, sputato, percosso, crocifisso, tentato: «salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Ma in tutto questo Gesù continua a incarnare l’uomo (e il Dio) che ha scelto di essere: Colui che si lascia consegnare nella fiducia al Padre e a vantaggio degli uomini. È infatti completamente passivo: si lascia fare, come aveva deciso al Getzemani. L’unica cosa che fa attivamente è la scelta di rimanere lucido: «gli diedero vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere».
E così, lucido e consegnato, è anche il modo in cui muore…
Fedele a se stesso, a Dio e agli uomini: a quel suo modo di essere Figlio che per tutta la vita aveva costruito nella relazione col Padre; a quel Dio che anche nell’angoscia della morte è comunque sempre interpellato come un Tu: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»; e a quegli uomini per i quali, solo, aveva scelto di essere Dio così. E è di questo Figlio che noi diciamo «è Signore!».
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