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domenica 26 aprile 2009

Come imparare a raccontare una storia: la storia della salvezza!


...Storia di Gesù
…i discepoli di Gesù, quelli che più da vicino ne avevano condivisa l’avventura del giovane maestro che percorreva i sentieri della Galilea, predicando il regno di Dio e operando prodigi di misericordia, sono saliti con lui a Gerusalemme nel momento cruciale della sua vita, ma quando i poteri del mondo si coalizzano contro di lui, lo abbandonano per paura di essere travolti nella sua passione e morte. Di fatto, in due giorni, fu tradito, giudicato, torturato, crocifisso. E tutto è finito... in una tomba, come ogni avventura umana! Nel loro cuore, sui ricordi struggenti di questa esperienza, una lapide: Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele… (Lc 24,21). Ma ecco l’evento nuovo, incredibile: “alcune donne delle nostre ci hanno sconvolti… : “abbiamo visto” il Signore! E, dopo le donne, tutti i discepoli, in diversi modi incontrano il “crocifisso risorto!” ¬ e sono chiamati ad esserne testimoni! Una testimonianza speciale: Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio (At 1,3). Insegna loro, dunque, a capire e a rivivere il compimento delle Scritture che in modo impensabile si è avverato in lui, nella breve storia della sua vita, morte e risurrezione: lui stesso apre loro la mente (Lc 24,45) e infiamma il cuore (24,32) coinvolgendoli totalmente in questa storia, perché imparino a viverla e raccontarla.
L’autotestimonianza di Gesù
Nessun altro ha capito la sua storia, la sua missione nel mondo, nonostante innumerevoli tentativi di prevenire e poi spiegare il Regno di Dio… che in definitiva era Lui stesso! A noi è arrivata la testimonianza di chi finalmente, condotto per mano da Lui stesso, e poi dallo Spirito che ha alitato su di loro, ha colto la quintessenza di tutta la Scrittura, contenuta in questi avvenimenti. Nella sua vita, morte e risurrezione si sono condensate tutte le Scritture e si è illuminato il loro senso. È arrivato alla tappa definitiva il lungo millenario cammino. Gesù l’aveva predetto varie volte, ma le sue parole erano apparse incomprensibili: bisogna che si compiano le cose scritte su di me! Adesso la premura pedagogica di Gesù ha una premessa: togliere anzitutto dai discepoli la paura e i dubbi (Luca li chiama i “ragionamenti che salgono dal cuore”, che covano in ogni credente, almanaccando tutte le ipotesi possibili per…non arrendersi all’evidenza troppo coinvolgente: è un fantasma, un’allucinazione, la proiezione del desiderio…!?). Ma l’evidenza è incontrovertibile: vedere, toccare, parlare, mangiare sono il marchio di garanzia della sua permanente corporeità, altrettanto “fisica” quanto “libera” dalle leggi pesanti della materia di quaggiù. Un diverso modo di essere pienamente corpo! Di più non ci è spiegato e non è necessario alla fede! Ma colui che guardano, toccano e vedono mangiare è di certo la stessa “persona”, lo stesso uomo, il loro maestro che avevano visto crocifisso e deposto nel sepolcro!
Pietro disse al popolo…: fratelli, il Dio di Abramo… !
…finalmente ha imparato gli è cambiato la mente e il cuore in questi quaranta giorni! La sua fede era morta o paralizzata dalla paura e dallo scoramento, ma adesso è rinata e consolidata: è divenuta fede “cristiana”! Proprio il rifiuto e il ribrezzo della passione e morte del Signore era il veleno del rinnegamento, che inquinava la fede precedente, pure sincera e lodata dal Signore. Una fede che, però, vedeva solo la gloria del Messia potente! Adesso parla di Gesù chiamandolo con la convinzione e tenerezza di un approccio nuovo: il “servo” Gesù! Adesso il veleno si è sciolto. Pietro ha visto e toccato nelle piaghe gloriose del suo maestro, servo e signore, che umiliazione ed esaltazione, lavare i piedi ed essere maestro, morire sul legno maledetto ed attrarre tutti a sé – insomma, che morte e risurrezione, sono inscindibili. E la loro unione, il passaggio dialettico dall’una all’altra è la Pasqua di salvezza, il seme che marcendo sotto terra diventa fecondo! Capirlo e lasciarsene coinvolgere, è il segreto della fede cristiana. È il nodo ineludibile, il fuoco centrale, la dinamica propulsiva della vita di Cristo, che proprio così porta a compimento quanto tutta la storia anela, nel suo gemito di attesa che tutto si compia. Le promesse sempre rimandate e le attese deluse, seminate nel cuore dell’uomo e in particolare nel cammino del popolo di Israele, attendevano di vedere, capire … e vivere!. E Pietro, adesso per primo davvero, impara la storia della salvezza. Ed ecco che racconta la storia di Gesù, perché è diventata inscindibilmente la sua propria storia, la storia del suo popolo, la storia dell’umanità che ritrova la speranza: “Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe,… ha glorificato il suo servo Gesù, … Avete ucciso l'autore della vita, ma Dio l'ha risuscitato dai morti… e noi ne siamo testimoni…”. Questa è la storia che ci salva, coinvolgendoci!
raccontare la storia… fondare la chiesa
… adesso, mentre parla al popolo di Gerusalemme, è già in funzione in Pietro l’apertura di mente operata da Gesù (Lc 24,45), e già lo spinge il fuoco che gli ardeva in petto, che ha bruciato ogni paura e dubbio. Impara a parlare e a spiegare cosa è successo, perché ha trovato in Gesù morto e risorto la chiave, la luce, il senso della storia raccontata nelle Scritture. La realizzazione della Promessa antica. E insieme, in questo incontro con il crocifisso risorto, ha ritrovato “il dono del perdono totale” dal suo Signore rinnegato. Proprio perché, senza fargli pesare per niente il suo peccato, l’ha rinnovato nell’intimo, sradicandolo dai complessi di colpa e attraendolo in una dinamica di amore smisurato (mi ami tu di più…!?). Ecco perché può annunciare e coinvolgere tutti in questa storia. A partire dall’obiettivo centrale della missione di Gesù : il perdono dei peccati, sperimentato personalmente nella lacerazione del suo cuore troppo fragile! Dalla sua testimonianza viva, ove si mescola l’avventura personale e la missione istituzionale, nasce la comunità cristiana, nelle sue caratteristiche sorgive fondamentali:
  • la conversione e il perdono dei peccati” – Non è un’operazione di igiene spirituale asettica. È uno struggente rapporto di affidamento e di consegna al Signore, “che ha dato la sua vita per me”! È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo
  • Contemporaneamente, dallo stesso intenso rapporto, nasce il cambiamento di mente e l’inversione di rotta del senso della vita (metanoèsateepistrepsate di At 3,18) : nasce una comunità di ri/conoscenti, legati tra loro dallo stesso perdono e salvezza - in Cristo – dallo stesso vangelo!
  • Adesso il peccato, che è ancora in noi come fragilità e debolezza, non uccide il rapporto con Cristo, né tra di noi. Gesù, anzi, ce ne difende con tenerezza e sollecitudine, come avvocato presso il Padre… La fede però si realizza nella sempre rinnovata fedeltà personale e comunitaria ai “suoi” comandamenti (il nuovo statuto evangelico). Dunque, nella prassi faticosa e condivisa della vita, non tanto nella certezza di una dottrina o di una gnosi… ma nella ricerca comune di trovare le nuove strade di prassi e di annuncio dell’amore salvifico di Gesù al mondo.
  • La comunità cristiana è chiamata a cogliere la presenza nuova di Dio sulla sua strada in quel viandante che si fa riconoscere attraverso i segni fondamentali per la sua sopravvivenza, ma per vita del mondo: le Scritture, lette in chiave Cristologica e la frazione del pane (Lc 24, 1-33). La storia umana, spazio privilegiato dell'azione di Dio, è storia di salvezza che attraversa tutte le situazioni umane.
È Dio, infatti, che in Cristo dirige misteriosamente la storia; è lui che opera l'evangelizzazione e guida il cammino dei suoi. L'evangelista dei confini del mondo - da Adamo al regno, da Gerusalemme all’estremità della terra - è anche l'evangelista dei giorni feriali. La salvezza radicale dell'uomo è nel liberarsi incessantemente dal suo cuore di pietra, che sempre rinasce, e nel ricevere un cuore nuovo, il che comporta un dinamismo che liberi da ogni forma di schiavitù. Ma subito trova il suo impegno di riconoscenza e la sua pacificazione nel donare agli altri il perdono e la speranza che ha ricevuto! Raccontando la propria storia!

La Risurrezione non è così banalmente e gioiosamente annunciabile

Nel breve racconto dell’apparizione agli undici si affacciano molti temi, alcuni già noti, altri che compaiono per la prima volta. In questa scena soltanto Gesù agisce e parla: saluta, domanda, rimprovera, mostra le mani e i piedi e, perfino, mangia davanti ai suoi discepoli. Al contrario i discepoli sono fermi e silenziosi, tranne il gesto di offrire a Gesù una porzione di pesce. Non si dice se hanno toccato Gesù e neppure, almeno esplicitamente, se hanno creduto. Di loro sono, però descritti i sentimenti interiori: lo sconcerto e la paura, il turbamento e il dubbio, lo stupore e l’incredulità, la gioia. I sentimenti dominanti tradiscono la difficoltà a credere nella risurrezione. Luca sa che non è facile credere nel Risorto.
[B.Maggioni, Il racconto di Luca, Cittadella Editrice, Assisi 2001, 398].

In questa terza domenica di Pasqua la Chiesa rinnova la proposta di continuare a meditare il mistero di Cristo risorto. In questa prospettiva, come già nei testi di domenica scorsa (Gv 20,19-31: l’episodio di Tommaso), ciò che emerge con chiarezza è quanto anche la citazione sopra riportata comunica efficacemente: non è facile credere nel Risorto! Questo è il dato che più di ogni altro emerge dai testi sulle apparizioni di Gesù risorto, ed è un elemento di cui bisogna rendere conto.
Perché non lo riconoscono – mi è stato diverse volte chiesto in questi giorni? Perché i sentimenti dominanti di chi lo incontra sono lo sconcerto, la paura, il turbamento, il dubbio, lo stupore, l’incredulità? Perché anche oggi siamo così propensi a stimare l’operato storico di Gesù e lo spessore umano rivelato durante la sua passione e morte, e invece così lontani, forse addirittura scettici, sull’evento di risurrezione, che ci appare sempre così vaporoso, quasi che Gesù lì diventasse evanescente, inconsistente e dunque superfluo?
Certo la risposta a questi grandi quesiti non può essere chiara, netta e univoca, anche perché intercettano diversi livelli e piani storici: un conto è rendere ragione della paura e incredulità dei discepoli, che – non riconoscendolo pensavano di avere davanti un fantasma –, un conto è rendere ragione della nostra fede nella risurrezione, 2000 anni dopo le apparizioni… Eppure non si può nemmeno negare che in ultima analisi alla radice di queste problematiche, diverse ma evidentemente collegate, ci sia un fondamento comune.
Procediamo con ordine; innanzitutto: perché i suoi non lo riconoscono?
Il dato della non-riconoscibilità di Gesù (che nell’altra faccia della medaglia – quella meno gloriosa – vuol dire anche il non-riconoscimento da parte dei discepoli) è – come già accennato – comune a tutti gli scritti neotestamentari. Il problema degli evangelisti infatti era rendere ragione di un elemento difficilmente spiegabile con le categorie della scientificità e materialità: essi cioè dovevano in qualche modo far comprendere ai loro lettori che Gesù risorto era in continuità con il Gesù storico (era il crocifisso, era lo stesso uomo), eppure anche in discontinuità con esso (cioè in una condizione nuova). Ecco allora l’introduzione narrativa (dunque non sperimentale, analitica, medica…) di una serie di elementi che rendano questa realtà: il risorto ha i segni dei chiodi, conosce i suoi, dove sono, la storia appena vissuta, mangia, dice parole in continuità con quelle di sempre; e nello stesso tempo entra a porte chiuse, sembra un fantasma, nessuno lo riconosce…
Il non-riconoscimento / la non-riconoscibilità è dunque un segno di questa discontinuità: Gesù è il crocifisso, ora risorto.
Ma perché questo elemento è così difficilmente superabile? Perché cioè anche quando Gesù esce dalla sua irriconoscibilità, rimangono nei discepoli sentimenti di dubbio, incredulità, addirittura paura?
Beh, forse innanzitutto e molto banalmente, perché vedere vivo uno che era morto, dev’essere effettivamente un’esperienza un po’ sconvolgente e frastornante… e poi soprattutto perché quello che noi raccogliamo in un’espressione linguistica breve e veloce, “Gesù, il crocifisso risorto”, nella realtà dei fatti e nella portata di senso che li accompagna è in realtà qualcosa di molto più consistente, lento a elaborarsi, ribaltante ogni schema di comprensione della storia. Nella concentrazione di una o più apparizioni, cioè, ai discepoli si è presentato qualcosa che “non stava né in cielo né in terra”, come usano dire i bergamaschi per sottolineare la straordinarietà positiva o negativa di qualche evento… Gesù risorto, cioè quello stesso uomo con tutti gli elementi di continuità e discontinuità con il Maestro conosciuto descritti sopra, non sta né in cielo né in terra, cioè non c’è nessuno schema comprensivo della realtà dell’aldiqua (non è un malato risanato, un morto redivivo che poi morirà ancora come Lazzaro, non è uno che aveva fatto finta di morire, ecc…) né della realtà dell’aldilà (non è un angelo, non è una voce dal cielo, ecc…) che renda ragione dell’esperienza che i suoi, nell’incontrarlo, vivono. Ecco perché l’invito pressante di tutte le letture di oggi è quello della conversione: è quello cioè della rottura, quasi dell’esplosione di tutti gli schemi mentali, gli orizzonti di senso, le prospettive di significazione che finora avevano guidato quegli uomini. Non c’è nessun contenitore simbolico – fra quelli costruiti finora nella loro vita – che possa contenere questo evento nuovo.
Ecco da dove arriva il dubbio, l’incredulità, la paura: dal fatto che è chiesto un salto antropologico; un salto antropologico che finché non hanno incontrato Gesù risorto non era nemmeno immaginabile (quante volte infatti Gesù aveva preannunciato la sua risurrezione? Eppure le sue parole – stando alla narrazione evangelica – sembrano cadute nel nulla, nella dimenticanza, nell’oblio): già durante la sua vita terrena Gesù aveva condotto a tante conversioni i suoi, a tanti cambi di mentalità, a tanti salti antropologici. Ma questo non si era ancora dato; non era possibile prima: ma essi questo immediatamente non lo comprendono (poi sì, tant’è che gli evangelisti poi mettono per iscritto la memoria ritrovata degli annunci di risurrezione) e si chiedono perché Gesù non gli abbia fatto fare questo pezzetto di percorso quando era ancora con loro, riconoscibile, in carne e ossa.
Ecco perché il dubbio, l’incredulità, la paura: perché, immediatamente senza orientamenti, si ritrovano di fronte a un evento che fa saltare ogni possibilità di comprensione (secondo gli schemi vecchi, cfr Mt 9,16-17: «Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore. Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano») e stavolta – a differenza dei tre anni di vita pubblica precedente – sono chiamati a farlo in prima persona, senza una conduzione passo passo del Maestro, senza una rintracciabilità di senso nelle sue parole di spiegazione (cfr per esempio Mt 13,36: «Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: “Spiegaci la parabola della zizzania nel campo”», o Mc 9,28: «Entrato in casa, i suoi discepoli gli domandavano in privato: “Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?”»), nella sua vicinanza, nella sua fruibilità quotidiana.
Ecco dunque la drammaticità della situazione, soprattutto della situazione interiore di questi uomini e donne che si ritrovano di fronte a Gesù risorto: l’angoscia del tradimento, lo smarrimento per quello che era apparso il fallimento della loro vita, la paura della persecuzione e della morte… e dentro lì il prorompere di un evento, di un incontro, che mostra di non essere com-prensibile, intelligibile, organizzabile con gli schemi mentali soliti e che dunque chiede una conversione, un’esplosione antropologica, teologica, mentale…
Forse per questo le prime parole di Gesù sono sempre parole di pace… Perché si rende conto davvero di quello cui sta mettendo di fronte i suoi…
Perché invece noi passiamo via così lisci su questo mistero della risurrezione? Perché – scrivevo anche sopra – oggi noi siamo così propensi a stimare l’operato storico di Gesù e lo spessore umano rivelato durante la sua passione e morte, e così lontani, forse addirittura scettici, sull’evento di risurrezione, che ci appare sempre così vaporoso? Quasi che Gesù lì diventasse evanescente, inconsistente e dunque superfluo?
Forse il percorso fatto finora può aiutarci un po’ nel rispondere a queste domande: forse infatti il problema nostro è diventato quello di aver concentrato così tanto il racconto di risurrezione, che esso è diventato quasi uno slogan, un modo di dire, qualcosa di ovvio, su cui non c’è più bisogno di soffermarsi… Forse purtroppo bisogna constatare che non solo questo, ma tutto il mistero cristiano è stato come liofilizzato, spezzettato e fatto conoscere attraverso brevi formulazioni (pensate al catechismo di Pio X), da imparare a memoria, sradicate dalla storia narrata nei vangeli e vissuta da Gesù e dai suoi e sradicate dalla domanda di senso che esse contengono; che è della stessa qualità e profondità delle domande di senso che anche l’uomo di oggi si pone, il quale però dal messaggio evangelico si sente tutto, fuorché intercettato in verità! E questo per quelli di fuori, ma anche per quelli di dentro (alla Chiesa)!
Ecco il problema, che l’annuncio evangelico non ci intercetta più a quel livello radicale che ha sconvolto i discepoli, a quel livello dove in discussione non entrano comportamenti morali o atteggiamenti liturgici, ma l’adeguatezza del mio orizzonte di senso con la realtà, con la verità, con la vita. Per i discepoli il dramma è stato convertirsi fino a questo punto di fronte al loro Gesù morto e risorto… è stato cambiare la ragione con cui pensare la vita, la storia, il senso… e decider-si (decidere cioè di se stessi) di fronte ad essa! A noi invece sembra non far molto problema né che sia morto, né che sia risorto, come se si parlasse di qualcosa d’altro da noi, di qualcosa che non ci riguarda, di un bel raccontino edificante, che però è lontano anni luce dalla nostra vita…
Il dramma dei discepoli – descritto nelle pagine di vangelo di queste domeniche – dovrebbe invece aiutarci a venir fuori dal nostro oblio e a confrontarci davvero con quello che stiamo dicendo annunciando al mondo Gesù risorto… perché davvero non è facile credere alla risurrezione e non possiamo andare a gridare uno slogan, se prima (e incessantemente) non accettiamo di passare nel crogiuolo della conversione radicale (e gioiosa, ma solo dopo, non immediatamente e banalmente) che la risurrezione di Gesù inevitabilmente impone: credere nella risurrezione di Gesù vuol dire infatti far esplodere la struttura antropologica del mors tua vita mea, perché finalmente e radicalmente liberati dalla paura sappiamo fin morire per gli altri. Ma questo non è né banale, né troppo gioiosamente annunciabile…

venerdì 17 aprile 2009

…comincia la chiesa, col dono della Pace

Scambiatevi un segno di pace!
…pace a voi!
La mattina presto del ‘primo giorno della settimana’, come tutti gli evangelisti ricordano, il Signore è apparso prima alle donne, a cominciare da Maria Maddalena, che è mandata ad “evangelizzare gli apostoli”, ma “quelli, avendo sentito che lui viveva ed era stato visto da lei, non credettero… (Mc 16,11). Ecco allora la prima apparizione ai discepoli “insieme”, estremamente importante, perché da qui inizia la manifestazione ufficiale della missione salvifica di Gesù risorto. Qui si racconta come fluisce la chiesa nascente, allo stato germinale, dalla passione umana e divina del cuore di Gesù. Il quale arriva adesso alla vita dalla tomba della morte, tornato alla luce del nostro sole dagli inferi, dove “andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione (1Pt 3,19)”. E cosa ci porta? La pace! Quella che è esplosa ormai e ha preso pieno possesso di lui, attraverso tutte le vicissitudini della sua vita terrena, finita atrocemente, ma consegnata infine alle braccia invisibili del Padre. Una pace totale e vera, “non come la dà il mondo”. Proprio l’abbandono, la tortura e la morte che il mondo gli ha dato, sono state il luogo dove questa pace si è consolidata e ha provato se stessa, perché nell’infuriare dell’odio contro di lui, il suo amore ha avuto il respiro più lungo (Balthasar). Questo è il suo regalo “personale”, perché adesso, del tutto pacificato nella sua carne gloriosa, “egli è la nostra pace”! (Ef 2,14). E si rende credibile ai discepoli mostrando loro le sue ferite e invitandoli… ad entrarci! È delicatissimo! non c’è nessuna scena di riconciliazione con loro, che l’hanno ignominiosamente rinnegato e abbandonato. Offre loro di sprofondare gioiosamente, ormai, nella pace del suo cuore trafitto e svuotato, ma tornato a pulsare la sua passione di amore! Come uno, appunto, che ha rischiato la vita fino alla morte per noi, ci ha amato ‘fino alla fine e adesso è vivo e vuole comunicarci, anzi contagiarci con la sua pace!
… come il Padre ha mandato me, io mando voi
La “missione” che costituisce il Figlio nel mondo come nostro salvatore, diventa “trasmissione”, perché è proprio dell’amore diffondersi per contagio. Perciò egli alita su di loro e dona ad essi lo spirito della sua propria missione, nella quale anche loro vengono costituiti capaci e autorizzati a trasmettere a loro volta agli uomini la pace ricevuta. Il dono che Gesù dona non è statico, è una forza dinamica. Pace e capacità di pacificare. Davvero un germe divino vitale in noi, che cresce e riproduce il perdono ricevuto, perché lo distribuiamo attorno a noi. Nella verità di uomini liberi e responsabili, certamente, e non nell’incoscienza! Quindi questo “perdono” comprende anche “la negazione del perdono”, come “giudizio” sull’eventuale incapacità momentanea di accoglierlo. Non come condanna, ma come dilazione che ha per scopo la preparazione più matura a riceverlo!
Non c’era Tommaso con loro…
Questa dinamica nuova, preziosa e delicata, trasmessa ai discepoli, non è una magìa riservata, un potere esoterico, ma il passo fondante della fede… Perciò, per metterlo in luce, ecco il racconto dell’episodio di Tommaso. Questa “pace dello Spirito”, questo “dono” che d’ora in avanti è il nucleo dinamico dell’essere cristiani, non ha come presupposto l’esperienza fisica visiva del Crocifisso risorto, dal quale proviene, ma la dedizione della fede, che è l’affidamento totale di sé a Lui. La condizione dell’accoglienza del dono divino non è infatti il vedere o il toccare. Anche di fronte al Cristo risorto, è necesssario comunque rinunciare ai “ragionamenti che salgono nel cuore” (Lc 24,38) e che vorrebbero che ogni decisione fosse la conclusione della propria esperienza ragionata:: “se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi… se non metto il mio dito…”. Questo è un vicolo cieco, almeno nel senso che lascia l’uomo dov’è, in balia delle sole sue forze, che sono impotenti al passo della fede! Si tratta invece di rispondere ad un saluto (pace a voi!) che nessun altro può dare, perché contiene la partecipazione alla “sua” missione, l’effusione dello Spirito e il perdono dei peccati: realtà (rapporti personali!) che vengono proposti e donati da fuori dell’uomo, che ne è assolutamente incapace! Perché Tommaso crolla? Questa “presenza” di fronte a lui è così piena, totale, talmente inerme e avvincente… che i suoi ragionamenti si sbriciolano. Il dito e la mano non lo toccano neanche, ma è il suo cuore che è toccato… e capisce! Capisce in un istante chi ha davanti e l’insensatezza della sua pretesa, di fronte a tanto amore! Capisce quello che noi dovremmo maturare nel corso della nostra peregrinazione di fede: questa pace coinvolgente solo il Signore la può dare – anzi, è lui! In lui è la riconciliazione universale delle cose che sono in cielo e in terra e negli inferi, da cui la nostra piccola pace dipende. In lui è la “riconciliazione” interna a noi e tra gli uomini di ogni popolo, stirpe e lingua, la riconciliazione con Dio e con il cosmo… Vera perché totale! È lì, davanti a lui, implosa in quel corpo torturato e glorificato, che dunque … è Dio stesso – che lo chiama personalmente. E risponde con totale riconoscenza e appartenenza: mio Signore e mio Dio!
… beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!
Anche quelli che “hanno visto” infatti, hanno per poco goduto di quelle scintille di apparizioni e di incontri con il loro amico e maestro crocifisso e risorto (oltretutto colmi di ansietà, trepidazioni e dubbi). Scintille, a loro date per poter essere poi testimoni convinti della sua resurrezione, fino agli estremi confini del mondo. Ma dopo, Lui se ne è andato, e non lo hanno più visto… e l’essenziale è rimasto lo stesso “dono” fatto a noi, il processo interiore che la resurrezione di Gesù accolta in loro ha provocato: Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. Dunque una visione nuova globale della vita e del suo senso, seminata in noi dalla Spirito di Gesù, che non è quella del mondo, ma le è antitetica. Il mondo ha una forza pervasiva irresistibile attraverso la cultura che ci ha permeati e ci condiziona strutturalmente … e che è contraria allo Spirito di Gesù. Non si tratta tanto di un conflitto di moralità con il mondo, anche se questo ne è la conseguenza, ma di una visione e percezione dell’uomo e del senso della sua vita fondate su una logica interna al mondo, dove il primato discriminante è affidato totalmente alla ragione. Una ragione, ancor più oggi, soggiogata dal modello delle verifiche sperimentali proprie del campo scientifico e tecnologico, escludendo come indimostrabile qualsiasi altro orizzonte umano o trascendente che non sia l’interesse, l’efficacia, il profitto! Cioè il raggiungimento degli obiettivi programmati dalla ragione stessa, chiusa nel perimetro del suo io. Sicché, non solo nel rapporto con Dio, ma con gli uomini e il mondo, diventa sempre più arduo fare affidamento ad altri sensori o percezioni od orizzonti – al di fuori di quell’unico modo di conoscere che è la ragione dimostrativa (la propria! chiusa nei ferrei confini culturali ed esperienziali). Così diminuisce e si ottunde la grande qualità che ci fa umani: si riduce la potenza di amore! Cioè di relazione, di coinvolgimento e allargamento del proprio cuore e della propria mente. Qui è la grande scelta della fede, che ci fa beati, senza aver visto, ma per esserci affidati alla Parola, testimoniata dagli apostoli! O accettiamo di entrare ed essere coinvolti in una visione del mondo e in una qualità di vita che è l’universo del Vangelo, la cui conoscenza non avviene primariamente per via di ragione deduttiva, ma per altri modi di conoscenza ed esperienza da lui indicati alla chiesa nascente, o saremo inevitabilmente attratti e assorbiti dalla logica della ragione mondana: egocentrica – cioè chiusa nell’io, personale, tribale o culturale o religioso. E la subdola logica del mondo ci vincerà, anche dentro la chiesa! E diventeremo incapaci di amare!
… perché, credendo, abbiamo la vita nel suo nome!
… i nuovi modi di conoscenza e di esperienza vitale sono evidenti nella chiesa che nasce:
- la celebrazione del “giorno del Signore”: fin dagli inizi gli apostoli sono insieme il primo giorno della settimana, a pregare, a ripensare, ascoltare e nuovamente ricevere e riannunciare il Signore e la sua eucaristia, e tutta la vita ‘feriale’ ne rimane illuminata e orientata verso il punto di sintesi che è Lui, e il dono della sua pace!
- nessuno di loro diceva qualcosa sua proprietà – tanto era forte e entusiasmante un’altra identità, il riferimento al crocifisso risorto, divenuto “proprietà comune unificante”: Signore mio e Dio mio! Questa comune appartenenza a lui, che ci ha conquistati con il suo sangue, è il legame ecclesiale, la relazione d’amore che mi apre all’altro e che ha il primato su ogni altra logica;
- la sollecitudine dei poveri e dei malati… Non c’era infatti tra loro nessun bisognoso, perché ciò che ognuno aveva era messo a disposizione di tutti, a cominciare dalla capacità di ascoltare, accudire ed amare… perché questo ha fatto il Signore con noi.
Questi ed altri segni che il Risorto ha trasmesso alla sua chiesa continuano a compiersi nella vita della chiesa e del cristiano, giorno per giorno… e non sono narrati nel Vangelo, ma sulla pagina bianca del piccolo vangelo che a ciascuno e ad ogni generazione è dato dallo Spirito di scrivere “nel suo nome”!

Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto

Le letture che la liturgia ci propone per questa seconda domenica del tempo di Pasqua, ci costringono a fare la fatica, per un verso, di rimanere ancorati ai misteri appena celebrati durante la settimana santa e contemporaneamente di alzare lo sguardo verso il proseguimento della vita “ordinaria”. Non a caso il brano di vangelo proposto è come diviso in due parti, delineate da una duplicità temporale, segnalata con due indicazioni cronologiche: «La sera di quel giorno, il primo della settimana» (dunque la domenica della risurrezione) e «Otto giorni dopo», quindi con un lasso di tempo (il primo) che inizia a scandirsi dopo l’evento di Pasqua.Ma questi due momenti non sono distinti solo cronologicamente, anzi l’indicazione temporale sembra essere posta per segnalare una distinzione ben più radicale e decisiva: quella della caratterizzazione antropologica dei due episodi: mentre infatti gli eventi della domenica di risurrezione (la scoperta del sepolcro vuoto – Gv 20,1-10 – che era il vangelo di Pasqua; l’incontro della Maddalena con Gesù e il suo annuncio ai discepoli – Gv 20,11-18 – tristemente e sginificativamente omesso dal calendario liturgico nelle domeniche di Pasqua; l’apparizione ai discepoli – Gv 20,19-23 – cioè la prima parte del vangelo di oggi) sono caratterizzati dallo stupore gioioso e commosso per il rincontro e il riconoscimento del Signore risorto («entrò anche l’altro discepolo e vide e credette», Gv 20,8; «Ella si voltò e gli disse in ebraico “Rabbunì!” – che significa: “Maestro!”. […] Maria di Magdala andò ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!”», Gv 20,16; «I discepoli gioirono nel vedere il Signore», Gv 20,20), l’episodio dei giorni seguenti di Tommaso introduce un elemento nuovo: il problema dell’incredulità («Tommaso non era con loro. […] Disse: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo», Gv 20,24-25).

Come si accennava all’inizio, è come se i fatti del giorno di risurrezione – e quindi anche la prima parte del vangelo di questa nostra seconda domenica di Pasqua – fossero ancora perfettamente incastonati nella vita terrena di Gesù, nella parabola della rivelazione cristica in senso stretto (l’incontro col risorto farebbe ancora parte della risurrezione; non a caso essa non ci è narrata – nessuno era presente in quel momento – ma testimoniata da chi ha incontrato Gesù vivo dopo la morte), mentre i fatti della seconda parte del brano di vangelo proposto dalla liturgia, aprissero già uno squarcio sul “dopo”, sulla fatica della testimonianza, sulla sua credibilità discussa, sul problema dei discepoli della seconda (terza, quarta, millesima…) generazione che non erano lì e non hanno visto…
I due momenti non vanno separati: sarebbe forse più bello – dilaterebbe di più il cuore – concentrarsi solo sulla prima parte del vangelo, richiamando i sentimenti che – si può immaginare – avranno accompagnato i protagonisti delle prime apparizioni: la struggente trepidazione di Maria di Magdala quando trova il sepolcro vuoto, caratterizzato più dal timore che le abbiamo tolto anche il corpo morto dell’uomo che amava in modo così speciale, più che dalla speranza che fosse risorto; la sua affannosa corsa per avvisare i suoi fratelli e l’annuncio del “furto del cadavere” con l’angoscia per il non sapere dove l’abbiano posto; l’altrettanto trepida corsa dei discepoli (Pietro e quello che Gesù amava) verso il sepolcro; la vista dei teli, del sudario; il ritorno incerto a casa; e Maria che invece – scrive letteralmente Giovanni – «stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva»… Finché una voce da dietro la chiama, chiedendole il motivo del suo pianto e chi stesse cercando; e in lei, sconfortata dal dolore, come facevano trapelare le sue ultime parole «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto», rinasce come un singulto di vita e di speranza molto concreta ancora legata alla ricerca del corpo morto: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo»; fino alla nuova chiamata «Maria!», stavolta decisiva, stavolta di rinascita, stavolta di ri-esplosione d’amore; e di nuovo la corsa verso i suoi fratelli per annunciare: «Ho visto il Signore!»… ed essi ancora intimoriti dai Giudei, incerti sulle parole della Maddalena e sul sepolcro trovato vuoto, quella stessa sera mentre sono a porte chiuse – immagine che vale sia per l’esterno che per la loro interiorità – si vedono arrivare Gesù, che mostra mani e fianco; e anche per loro la stessa esplosione che per Maria: «gioirono a vedere il Signore»; e nel ricevere l’annuncio di pace e la missione da parte di Gesù…
Dicevamo… percorrere questi testi dilata il cuore, commuove, a tratti fa chiudere la bocca dello stomaco e un attimo dopo ri-esplodere di entusiasmo, consolazione, fiducia…
Ma la liturgia ci invita già a fare un pezzettino ulteriore: a guardare a quel Tommaso, che proprio non va denigrato, perché probabilmente più di tutti ci assomiglia (e per certi aspetti c’ha proprio ragione nelle sue obiezioni!), quel Tommaso che quella sera non c’era (e anche questo è piuttosto indicativo…) e che non se la sente di credere a quanto dicono i suoi fratelli e le sue sorelle: probabilmente, il testo non lo dice, crede che siano impazziti per il dolore e la paura o che si siano suggestionati l’un l’altro…
È l’inizio del faticoso cammino dell’annuncio incredibile di Gesù risorto e la Chiesa già solo una settimana dopo Pasqua ci invita a riflettere su questo.
Il problema di Tommaso è infatti il nostro, è infatti quello che affiora immediatamente alle labbra quando usciti dal clima coinvolgente delle celebrazioni ci si ritrova a riprendere in mano la vita di sempre, le fatiche, le gioie, i dolori, la morte: Sarà davvero risorto? Non è che se lo sono immaginato? Non è che suggestionati dalle parole di una donna, da un sepolcro vuoto e dal bisogno comune di conferme si siano più o meno coscientemente inventati una storia?
E i dubbi sono tanto più radicali, quanto più abbiamo percepito durante la settimana scorsa che la posta in gioco era alta: qui si tratta del senso della nostra vita; se siamo destinati a tornare in polvere e a rimanerci per l’eternità o se c’è un’eternizzazione, una custodia, un preservazione di ciò che siamo, di quanto abbiamo sudato, pregato, amato, pianto, condiviso…
E non è una questione che la Chiesa vuole trattare con leggerezza: il dubbio di Tommaso, così come il nostro, non possono essere banalizzati o liquidati come figli di una fede infantile, ancora poco matura, non veramente radicale… In gioco c’è la verità di noi, della nostra vita, del senso delle cose: in gioco c’è ciò che sopra a tutto il resto sa chiudere nell’angoscia le nostre notti, ci fa contorcere di paura nella solitudine, ci fa alzare apatici, vivere da scoraggiati o da affamati – mai sazi – di qualcosa che riempia il vuoto che ci sentiamo intorno e addosso e dentro… c’è in gioco la morte e la vita.
Per questo è immediatamente proposto il brano di Tommaso, perché tutti – dopo le feste – torniamo a quel suo stesso dubbio, a quella sua stessa trepidazione, a quella sua stessa s-fiducia… e ad essa dobbiamo dare una risposta: non tanto in termini intellettuali, avvallando argomentazioni pro e contro la possibilità di questo evento incredibile della vittoria di uno sulla morte, quanto piuttosto in termini esistenziali, di decisione di sé e per sé. La questione potrebbe essere posta in questi termini: di fronte al mistero celebrato a Pasqua, alla vittoria di Gesù sulla morte e alla promessa di una sensatezza – che rimane – anche per la nostra vita, e di fronte al ritorno alla vita ordinaria, al lavoro, ai problemi, alle situazioni che non sembrano certo essere cambiate, a un mondo che continua a parlare di morte, a una società che non solo non crede più nell’aldilà, ma neanche nella vita nell’aldiqua, a una chiesa che spesso sembra aver dimenticato il vangelo, di fronte a tutto questo… diamo credito a quel libro in cui sono stati scritti quei segni proprio perché noi credessimo che Gesù è il Cristo il Figlio di Dio e perché, credendo, avessimo la vita nel suo nome?
In altre parole: non ci è chiesto tanto di formulare la domanda piuttosto estrinseca se crediamo che uno possa risorgere da morte e se pensiamo – guardando a questo mondo – che possa dirsi un mondo salvato… piuttosto ci è chiesto se la storia di quell’uomo che abbiamo iniziato a sentire in Avvento e che ci ha portati fino alla sua morte e all’annuncio della sua risurrezione sia credibile o meno (credibile nel senso di giocarci la vita). Se cioè è credibile che l’unica vera vita che valga la pena di essere vissuta, l’unica vita che possa dirsi Vita (nell’aldiqua e nell’aldilà), sia quella di chi sposa la logica gesuana dell’amore fino alla morte; e ciascuno credo sappia cosa vuol dire declinato in termini quotidiani, contingenti, inevitabilmente personalissimi…
Da Tommaso Gesù si fa vedere e si fa toccare, eppure conclude dicendo «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Beati dunque noi? Noi che invece vorremmo così tanto vedere, toccare, avere risposte, conferme, certezze… Eppure Gesù sembra gioire di questa nostra condizione di discepoli di “otto giorni dopo”… se non altro sta indicando possibile una fede che a volte a noi sembra invece impossibile… addirittura la indica come privilegiata…
Forse che ha intuito, molto prima e molto meglio di noi, che la struttura antropologica è fondamentalmente e necessariamente lo sbilanciarsi verso un affidamento, verso una promessa, verso un credito concesso? Nessuna prova, nessuna matematica, nessuna dimostrazione è capace di muovere il cuore di un uomo alla dedizione di una vita: nessun segno, nessun vedere, nessun toccare affranca dal doversi af-fidare…
Ecco perché di fronte alla morte e risurrezione di Gesù non ci si può porre con i criteri della ragione scientifica che pretende di misurare la dimostrabilità della risurrezione, né con l’asetticità di chi vuole un sì o un no come risposta alla domanda “Può uno risorgere dai morti?”… La questione è se è un Dio affidabile quello che si è rivelato in quella storia concreta, in quella libertà incarnata che è stata suo figlio Gesù: se quella sua proposta di vita d’amore è credibile e percorribile (e chi l’ha sperimentata, cioè chi c’ha creduto – prima di vedere! – e s’è messo a viverla ci testimonia di sì!) oppure no…

sabato 11 aprile 2009

In cammino verso la Pasqua 2009


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venerdì 10 aprile 2009

La nuova creazione, a partire da un crocifisso

Un nuovo inizio
…quando era ancora buio
I racconti della risurrezione partono sempre dal momento in cui gli apostoli non avevano ancora una fede piena, erano immersi nel dubbio e nel pianto, sprofondati nel lutto inconsolabile, ma ormai inconfutabile, di aver perso per sempre il loro maestro e amico. Noi speravamo… cioè, non speriamo più! (Lc 2a,21). Speravamo che…? Che non fosse una storia privata, la sua, ma segno, realtà e simbolo, di un futuro nuovo per questi dolori, vissuti e ripetuti infinite volte nella storia dell’umanità, nel “grido inarticolato” o nel rantolo doloroso dell’uomo che muore e dei suoi cari che lo piangono. E poi, i riti di sepoltura, per elaborare il troppo di sofferenza, mentre il corpo scompare negli abissi della terra… Cosa ci fanno queste donne, il mattino del giorno dopo la sepoltura, di nuovo, ancora, accanto al sepolcro? Andavano … a rinnovare il rimpianto, a rifiutare di suggellare per sempre la fine di ogni rapporto di vita con Lui! Cercano ancora. Maria, per prima, spinta dalla irreprimibile premura interiore del suo ‘troppo’ amore per quell’uomo!
…la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.
All’improvviso tutto si ribalta… Cominciano, davanti al sepolcro vuoto, questi interventi improvvisi e imprevedibili di Gesù, le ‘apparizioni pasquali’, che riascolteremo in questi giorni, nelle loro diverse e complementari modalità. Annunci incredibili, per quanto predetti da Gesù stesso, di presenza, di affetto e di perdono, di accudimento e di consolazione, di spiegazione e di coinvolgimento! Tutti i racconti sono unanimi nel riportare lo smarrimento, l’incredulità, la paura di essere preda di inganno o di suggestione o addirittura di delirio. E poi, l’entusiasmo e la gioia trepidanti e trattenute… e infine incontenibili. Pasqua è l’arrivo del cammino di Dio nel mondo. Siamo chiamati a ripercorrere la lunga storia (miliardi di anni – ormai lo sappiamo) che dalla creazione, la benevolenza di Dio nel mondo ha voluto e percorso con misteriosa e infinita tenerezza, superando dall’interno, per la dilatazione stessa del suo amore propulsore, infinite barriere fisiche, chimiche, astronomiche, cosmologiche e , infine, (è la nostra storia!) antropologiche. Per manifestare pienamente il suo volto, nella pienezza dei tempi, a chi poteva rispondere finalmente al suo livello… E così aver ragione, in Gesù risorto, dell’ultima barriera avversa all’amore, che è la morte. E le donne e i discepoli fanno fatica a passare dall’esperienza atroce del fallimento della missione di Gesù, dalla sua vita ormai sconfitta e stroncata dal potere dei grandi di questo mondo (oltre che dalla pochezza umana dei suoi amici), alla nuova visione. Vederlo ancora vivo, con le piaghe gloriose, riprendere i grandi temi del perdono, dell’amore, della promessa dello Spirito, che è il suo dono finale per la salvezza del mondo. Come se solo adesso, con Lui morto e risorto, tutto questo divenisse davvero possibile, a portata di mano. Per noi sono attuali oggi questi racconti, come per i discepoli e le donne allora, proprio perché anche noi siamo sempre a mezza strada tra l’incredulità e il desiderio, la speranza e la fatica di passare il guado delle nostre paure egocentriche e lasciarci attrarre dall’amore trascinante di Cristo crocifisso e risorto. Perché se il Cristo ormai è “il vivente”, il sepolcro che ci ingurgita tuttavia non si può cancellare… e ci riporta continuamente alla coscienza della durezza della storia, della distanza ancora troppo vasta e del percorso troppo aspro tra la speranza e la vita. Vediamo ancora una tomba vuota, un’assenza lacerante, un vuoto, il nulla. Gli “angeli” (uno al capo e uno ai piedi del corpo che non c’era – quasi a segnarne ancora le misure di carne) suggeriscono un altro modo di interpretare la realtà…
. Dio l’ha risuscitato il terzo giorno…
… e volle che si manifestasse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti… E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare…: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome Questa esperienza della chiesa nascente, allo stato sorgivo della nuova fede ecclesiale nel crocifisso risorto, è il punto cui dobbiamo rifarci continuamente, perché questa fede apostolica è a prova di delusione, debolezza e rinnegamento. Non è apparso a tutto il popolo, non ai capi e ai sacerdoti, ma ai suoi discepoli, amici e amiche, che l’hanno visto, che hanno mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti- Sono questi che Gesù risorto ricostituisce come primo gruppo di credenti, lanciandoli nel mondo per essere ”testimoni di lui”, per la potenza dello Spirito, attraverso un cammino vario e faticoso, dopo averli attratti con una forza discreta e pervasiva, aiutandoli a riscoprirne il senso nei racconti della Scrittura, con gli occhi e il cuore di dopo… Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, perché mancava loro la chiave finale di comprensione, che è proprio “vedere e credere” il Risorto.
Dio lo ha costituito giudice dei vivi e dei morti:
Il Cristianesimo non è semplicemente una religione, la più elaborata (o la più vera!). È invece anzitutto l’annuncio di un fatto! Tramandatoci da testimoni, non della resurrezione stessa, che nessuno ha visto, ma del Risorto, che era morto ed è il Vivente. La resurrezione di Gesù non è la rivitalizzazione di un cadavere, ma un “giudizio” (uno schieramento ontologico!) efficace ed esistenziale sul mondo e sulla morte: è la risposta, la sfida di Dio alla logica umana imperante di oppressione e perdizione del debole, prima, ma poi di tutti. É il capovolgimento addirittura della creazione - dove tutto è destinato alla consunzione! Sulla dialettica drammatica tra vita e morte (in perenne duello tra di loro, recita l’inno di questi giorni!) si gioca l’annuncio inquietante di Paolo: “Voi siete morti”! Che siamo morti fa parte, dunque, del “fatto cristiano”. Veramente in lui siamo morti e con/sepolti e con/risuscitati (Col 2,12)… L’avventura di Gesù ci ha coinvolti al punto che gli effetti della sua morte salvifica per amore nostro, con il fermento di risurrezione che ha dentro, è già efficace in noi attraverso lo Spirito che ci ha dato.
… chiesa degli uomini e chiesa delle donne
… una cosa è rimasta in ombra ed era invece vivacissima nello stato sorgivo della chiesa nascente. Questa censura è causa non ultima, forse, di un certo impasse insuperato, di un disagio forte e sotterraneo, nella chiesa fino ad oggi. Nei racconti pasquali vengono fatti partire ‘di corsa’ gli apostoli, a cominciare dai più importanti, Pietro e Giovanni… Mossi, però sempre, da coloro, le donne, che per prime hanno trovato il sepolcro vuoto, per prime hanno visto e parlato con Gesù, per prime ne hanno ricevuto la missione di evangelizzare e consolare i fratelli… Sono gli apostoli e il loro ministero ecclesiale ufficiale o istituzionale, che controllano lo stato del sepolcro che impedisce qualsiasi ipotesi di furto del cadavere… Prendono atto, perplessi, e un poco credono, ma poi se ne tornano sui loro passi! La vera attesa inconsolabile e poi la vera fede viene prima per la donna: il vuoto luminoso, l’annuncio di assenza non è sufficiente a questa “chiesa femminile”: vuole il corpo! Che lei stessa ha baciato e accarezzato e unto da vivo! Curioso che agli uomini, nelle apparizioni, il Signore deve dire: toccatemi, sono proprio io! Le donne invece lo toccano e lo abbracciano e lo trattengono prima che lui parli, anche se Lui si schermisce, “perché è in via verso il Padre: la terra non deve trattenerlo, ma deve dire ‘sì’ Come per la sua incarnazione, così’ ora per il suo ritorno al Padre. Questo ‘sì’ diventa la felicità della missione ai fratelli: dare è cosa più beata che tenere per sé! La chiesa è nel profondo più profondo donna, e come donna ella abbraccia sia il ministero ecclesiale, sia l’amore ecclesiale, i quali si appartengono. ‘La donna abbraccerà l’uomo’ - Ger 31,32 (von Balthassar). Qui c’è un primo dato dell’esperienza cristiana nella sua punta germinale, l’esperienza del risorto è un’esperienza evidentemente non gerarchica ed è inoltre un’esperienza femminile… Qui è stabilita una differenza che, per tutta l’esperienza intera del mondo e dell’uomo, noi cristiani non possiamo disdire: le prime persone che hanno visto il risorto sono donne… Per un cristiano c’è sempre questo evento discriminante dell’origine: alle donne e non agli uomini è stata data questa inizialissima esperienza del Cristo risorto: potremo abolire tutte le altre differenze, ma questa resterà. Allora, in modo più illuminato diciamo che questa differenza ha, nel piano di Dio, un suo senso, non una ragione, ma un suo senso esistenziale, e quindi non la possiamo cancellare… C’è una ricchezza in questa polarità, una grande ricchezza, non solo compensativa… perché da questa polarità nasce, primordialmente e per sempre, quell’elemento dinamico della comunità cristiana che è rappresentato dal filone dei carismi femminili, a meno che non si pensi che la donna si debba accontentare, debba ridurre i suoi carismi positivi e quindi appiattirsi a quello che è il livello pià basso dei carismi attribuiti a lei. Se questa è la scelta dell’umanità (e della chiesa) futura, è certamente una scelta disgraziata, sbagliata e contro la rivelazione (cfr Giuseppe Dossetti, Omelie del tempo di Pasqua, Paoline Ed. 2007 MI, p. 165 e passim).

venerdì 3 aprile 2009

Passione di Nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco

Finbarr O'Reilly, fotografo canadese. L'immagine è stata scattata a un centro per la nutrizione d'emergenza a Tahoua, in Niger, il 1 agosto 2005. Foto dell'anno 2005 (World Press) per la bellezza, l'orrore e la disperazione
DOMENICA DELLE PALME (anno B)

La migliore preparazione alla domenica delle palme dovrebbe essere l’ascolto attento e accorato del racconto della passione del Signore, il cuore del messaggio evangelico, perché tutto il resto del vangelo è solo una introduzione alla comprensione di questo mistero scandaloso e folle di un Dio incarnato, che “ha presentato il dorso ai flagellatori, le guance a coloro che gli strappavano la barba; non ha sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”, ma “ha svuotato se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini… obbediente fino alla morte e a una morte di croce”. Attraverso questo trauma indicibile i discepoli, aiutati da Gesù risorto, hanno trovato nelle Scritture la chiave per ricordare e reinterpretare tutto quanto Gesù stesso aveva detto e fatto sotto i loro occhi! Questo racconto rimane per sempre la manifestazione storica dell’identità intima di Dio.
Seguono qui soltanto alcune indicazioni previe alla lettura…

…dovunque si proclamerà il Vangelo si dirà quello che questa donna ha fatto!
C’è un’introduzione luminosa al racconto della Passione. Solo una donna, tra tutti gli attori che intervengono in questo tragico dramma, capisce veramente il protagonista, lo accudisce e lo consola — perché quella sera, a casa di Simone il lebbroso, ella si è sentita rinascere, di fronte allo sguardo di amore di Gesù. E Gesù ne fa un elogio inaspettato, senza uguali, inserendola negli elementi essenziali, indimenticabili, del racconto evangelico. Il suo gesto dunque è Parola di Dio. Ma prima è stato un ascolto della Parola tanto appassionato che diventa appunto vangelo, a sua volta! Lo spreco di amore della passione di “Dio” per noi, ha una donna che lo capisce… senza riserve. Ha visto il suo amore trasbordare su di lei. In lui si sta preparando l’autospreco dell’amore di Dio per il mondo, di cui sarà simbolo e sacramento, appunto, l’eucaristia dell’ultima cena. Il profumo del suo gesto di tenerezza (unica consolazione di Gesù, nel racconto della passione secondo Marco) si diffonde nei millenni a venire: cosa impalpabile, ma percepibile, perché questa tenerezza verso il suo corpo è accolta da Gesù come profezia della risurrezione. Agli antipodi c’è la logica del mondo circostante, non solo del traditore allo sbando! Tutti infatti erano infuriati contro di lei, mentre “si rallegrarono” per il gesto di Giuda. Di fronte a Gesù emergono le due contrapposte percezioni e orientamenti di vita: da una parte, minuscola, perdente, sta Gesù con lei. Dall’altra, preponderante, tutti gli altri, ma in verità senza futuro. Con tutte le conseguenze esistenziali, affettive, economiche: 300 denari buttati per amore! — 30 denari avvelenati per tradire e vendere il maestro amico! Da una parte lo spreco del dono totale di sé per amore, dall’altra il “salva te stesso” che sarà poi, sempre, il ritornello dell’ironia tragica dei passanti sotto ogni croce. In mezzo… i discepoli (e… noi!), i presuntuosi senza radici, o i titubanti, affezionati e lacerati tra la voglia accorata di seguire Gesù e la paralizzante paura di perdere qualche pezzo di vita… fino alla nostalgia disperata di non riuscire a tenere il suo passo dietro a lui e persino tradire la fedeltà al suo amore. Con il pianto silenzioso e disperato! Questa donna, che invece: “ha fatto tutto ciò che era in suo potere”, sta, appassionata, sulla soglia della via crucis, per prenderci per mano nel doloroso cammino e insegnarci che la paura si supera solo con la follia dell’amore.

Preparare e celebrare la cena… pasquale
Preparare la cena, ripercorrere i riti della storia antica, nel culto e nei rituali, è facile e quasi connaturale, se si è cresciuti in comunità di credenti. Ma nel rito rivive sempre la tentazione della presunzione ostinata ed irriducibile dei discepoli… che inutilmente Gesù previene sulla loro permanente debolezza congenita e traditrice. Con quale sconsolata amarezza li preavvisa: uno di voi mi tradirà… e tutti rimarrete scandalizzati di me! Nonostante ogni buona intenzione, la scelta drammatica è inevitabile, presto o tardi nella vita: o dalla parte di Gesù sconfitto o dalla parte di chi lo vende, tradisce, abbandona e uccide, ancor oggi nei poveri in cui egli vive. Non solo in Giuda Gesù sperimenta l’amore fallito, ma nei suoi discepoli più intimi. Il cuore gli si scarnifica per il tradimento di uno dei suoi, per il rinnegamento ostinato e ribadito del “fondamento” della sua chiesa e infine per la fuga vile di tutti… Poi la folla prima osannante lo vorrà crocifisso! Sono questi coloro per i quali più immediatamente dà la vita… rivelando così l’amore incondizionato (sprecato) per tutti, nei millenni a venire.

Questo è il mio corpo/questo il mio sangue
…questo è il nucleo generatore della nuova Alleanza. Ogni religione si fonda sul sacrificio dell’uomo, o di un animale o di qualcosa che simbolicamente lo sostituisca. Il vangelo racconta il sacrificio di Dio. Tutto è ribaltato! La vittima non è “un altro”, ma il sacerdote stesso, unico, per chiudere una volta per sempre la catena vertiginosa della vendetta purificatrice! Per di più “colui” al quale e per il quale tutto è offerto non è Dio, ma l’uomo! Il vangelo, bisogna ribadirlo, è nato per spiegare e comprendere il mistero del Signore che, per la nostra salvezza, è morto, risorto e asceso al cielo – e che pure è rimasto per sempre in mezzo a noi… come Parola–Nutrimento–Comunione tra fratelli. Ogni possibile salvezza parte da qui e porta qui: la creazione converge in questo mistero di perdono/liberazione/comunione, nel corpo di carne del figlio di Dio, offerto per gli uomini “suoi” fratelli… proprio mentre questi si preparano a tradirlo, rinnegarlo, abbandonarlo. Il bacio del tradimento, invece che la riconoscenza; il sonno pesante e invincibile degli apostoli prediletti, invece che la preghiera e la vigilanza; la solitudine abbandonata alla sua disperazione implorante… continuano fino alla fine dell’agonia di Gesù, che prosegue misteriosamente finché durerà il male nel mondo, finché ci sarà — e ci sarà sempre! — un suo discepolo che nell’oppressione implora per tutti: Abbà, Padre! È così che finisce l’azione di Gesù e comincia la sua passione. Al “dono della sua vita” si contrappone l’“impadronirsi” di lui, con tutti i mezzi: danari, bastoni, baci, spade… e lui si lascia prendere, si consegna nelle nostre mani traditrici.

“io sono!”
…e allora, proprio adesso, in tanto silenzio inerme e indifeso, Gesù si proclama “il Signore della storia… che tornerà con le nubi del cielo”, ricollegandosi all’epifania più grande, sul Sinai,… come tante volte ha tentato discretamente di far capire nei giorni della sua vita terrena. Dopo non dirà più nulla: parla la sequenza della sua passione! È finito il segreto messianico e ogni pericolo di ambiguità. Adesso non può più esser confuso con un Dio potente. Per questo è rinnegato da tutti. Pietro ne è solo il portavoce: non conosco quest’uomo! Anche lui l’ha barattato, come i capi, la folla, i discepoli tutti, in cambio della propria disgraziata illusoria salvezza. Ma questo è l’amaro baratto che ci salva: la passione e morte del Giusto per la salvezza e la vita degli ingiusti! Questa è la bestemmia: Gesù, il condannato all’ignominia della croce, abbandonato da tutti, è colui che ci salva. Il resto del racconto procede come il cerimoniale allucinante di un re capovolto: la condanna consapevole della sua innocenza, la tortura e l’investitura regale di un pazzo, l’incoronazione e il dileggio dei soldati, l’editto di morte come re dei giudei…

Il grido inarticolato
“… solo una parola di Gesù in croce viene riferita da Marco: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? A questo ‘perché?’, non si dà nessuna risposta. Niente ora può essere alleggerito. Perciò la fine del Salvatore del mondo arriva con un ‘grande grido’, in cui egli, non solo in senso umano, ma divino-umano, dà espressione all’ingiustizia fatta a Dio dalla storia del mondo, dall’inconcepibile ignominia. E proprio questo grido con cui egli muore porta il centurione per primo alla fede” (H. U. von Balthassar).

…ma le donne stanno a guadare da lontano!

mercoledì 1 aprile 2009

Meretrix

L’immagine del Pdl che esce dal primo congresso nazionale è quella di una formazione forte, già più forte, secondo molti analisti [1], dello stesso Partito democratico, il primo nato con l’ambizione di unire differenti culture politiche [2]. Più forte non solo in termini percentuali: stando ai più recenti risultati elettorali [3], il Pdl appare, alla prova dei fatti, maggiormente in grado di esprimere i valori comuni della popolazione italiana [4] , tra i quali quelli cattolici costituiscono una parte non secondaria [5]. Nel partito si è affermata, in linea di principio, la libertà di coscienza sui temi etici più sensibili. Ma al momento di assumere iniziative concrete il Pdl si è trovato unito [6]. Tra gli interrogativi che si pongono all’indomani della chiusura del primo congresso nazionale c’è quello che ha a che fare con la capacità del partito di gestire una fase evolutiva della sua esistenza, nella quale conciliare le differenti culture e sensibilità [7] ...
di Marco Bellizi (estratto) su ©L’Osservatore Romano - 30-31 marzo 2009 (sic! e con tanto di copyright).

Note:
[1] Quali? del Vaticano? E comunque pare tutti intrallazzati (!) col pdl: leggi sotto.
[2] Sottinteso: senza riuscirci! E comunque, vedi il seguito, senza il nostro consenso.
[3] Eppure in Sardegna è calato e se non ci fosse stata l’udc… Il pdl infatti è passato da 415.252 a poco più di 201.105 (-48%) mentre il pd (ds+margherita) è passato da 354.212 a 160.820 (-45%): è la vittoria dell'astensionismo e gli errori strategici del pd che ha fatto vincere il pdl, non la sua forza.
[4] La cui popolazione italiana restante — la maggioranza — evidentemente a rigor di logica, non esprime dei “valori comuni” della popolazione italiana… forse di quella cinese? Ah! la “logica vaticana” fa miracoli di illogicità!
[5] Infatti si vede quanto contano soprattutto quando il loro parere non è decisivo per gli obbiettivi strategici del leader... Senza contare, carta canta, che la maggioranza dei cattolici non è rappresentata né si sente rappresentata dai “valori comuni” espressi dal pdl! Ma lo sanno in Vaticano che in democrazia la maggioranza dei voti, non è la maggioranza degli aventi diritto al voto?
[6] Cioè “grazie a Dio” non c’è più libertà di coscienza? La libertà di coscienza è qualcosa “di principio” che cessa nell’azione?
[7] Ma non si era scritto sopra che “al momento di assumere iniziative concrete il Pdl si è trovato unito, ecc., ecc.”?

Che dire? “Attraverso qualche fessura il fumo di satana è entrato nella chiesa” diceva Paolo VI… Evidentemente se ne intendeva, visto che anche lui aveva avuto qualche problema con l’O.R. che gli censurava gli interventi… Non mi stupirebbe che la “fessura” sia il buco di memoria evangelica del giornale della Santa Sede, che evidentemente non considera valori comuni ciò che è all’interno della vita dell’uomo e la testimonia, ma solo ciò che si trova ai suoi limiti! Oserei sperare almeno che lo facciano per un qualche venale interesse, sarebbe già qualcosa…
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