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sabato 27 giugno 2009

Dire e disdire... ovverossia l'ipocrisia fatta chiesa!

Vangelo si, vangelo no... mi sa che finalmente i gerarchi ecclesiastici l'hanno capita che a vivere fino in fondo il vangelo si rischia di restare in mutande (e forse neanche quelle)... E allora che fanno? Meglio dire la verità e nasconderla subito con il suo contrario... Detto fatto, applicando il metodo Berlusconi (da non confondere con il metodo Ogino-Knaus), l'hanno detto e subito dopo dis-detto... Leggete qui il parossismo ipocrita di Avvenire: due articoli, uno - apparentemente - in un senso (di Piero Chinellato, ma che moralisticamente separa "il frutto dall'albero" senza cogliere la valenza "politica" di ogni comportamento morale anche il più "intimo": altrimenti mi spieghino che ci stanno a fare le monache di clausura!) e l'altro - apparentemente - nel senso opposto (di Marina Corradi, che invece confonde la richiesta di "coerenza" con la richiesta di ingerenza: se parli in quel caso, devi parlare anche in questo; se taci in questo, devi tacere anche nell'altro. Oltre al fatto che ignora volutamente, nel suo processo alle intenzioni, l'oggettività dei fatti...)... Insomma tando per dire e subito dopo disdire, badate bene, se leggete attentamente, tutto già in ciascun articolo... che quindi sono solo apparentemente "speculari". In realtà sono entrambi assolutori nei confronti di questa politca... ignorando che è la stessa mentalità che genera e l'una e l'altra cosa - altrimenti perché chiedere un "comportamento [morale] coerente" al ruolo politico (Bagnasco)? Metanoia, forse qualcuno se lo è scordato, vuol proprio dire, non tanto conversione, ma "cambio di mentalità": conversione culturale e cioè "politica"!... Ma è meglio non dirlo troppo forte... non si sa mai che ci tolgano l'esenzione dall'ICI... Comunque sia, giudicate voi... Poi però, non mi vengano più a parlare del pericolo del relativismo nel nostro occhio... che comincino a toglierlo dai loro cuori...

«Da piccolo credente protesto: non si fa carta straccia dei valori»
C’è chi, da sempre avverso a Berlusconi, pensa di avere finalmente in mano l’arma definitiva, in grado di rimuoverlo una volta per tutte dalla scena politica, e contro costoro c’è stato il fuoco di fila dei corifei del centrodestra. Ma c’è anche chi senza alcun secondo fine politico non riesce a digerire che a capo del proprio Paese ci sia una persona il cui comportamento privato appare letteralmente scandaloso.

Di questo gruppo – piccolo o grande, non m’importa – io mi sento parte e non accetto di essere tacitato con un’alzata di spalle. La vicenda emersa a Bari non è più composta solo di pettegolezzi: giorno dopo giorno aumentano gli indizi che il presidente del Consiglio ha consuetudine di accogliere a casa propria donne con cui svagarsi, e quando capita qualcuna si tratterrebbe anche per la notte. Non serve neppure sommare a quest’ultimo episodio i precedenti ambigui, gravidi di interrogativi ancora aperti, del caso Noemi e lo sgradevole dialogo a mezzo stampa con l’attuale consorte Veronica.

Come si fa a liquidare con un «gente piena di odio e invidia», chi esprime disagio e avanza apertamente domande? Come si può pensare che tutti digeriscano battute come: «Io sono fatto così, sono un mattatore. Non cambio e gli italiani mi vogliono così». Per quanto mi riguarda, credo sia legittimo scandalizzarsi per il quadro che va emergendo. Mi colpisce la contraddizione tra questi comportamenti e le enunciazioni di principi e di valori che il premier fa ad ogni piè sospinto, senza rinunciare mai a rivendicare il «marchio» di cattolico doc per sé e per la politica da lui guidata.

Da piccolo credente protesto: non posso accettare che idealità preziose sulle quali tanti spendono con generosità e dedizione la propria vita siano potenzialmente così strumentalizzate, alimentando di converso veleni che vengono poi rivolti contro la Chiesa. Non nascondo che mi stanno bene molte delle scelte programmatiche e delle decisioni politiche di questo governo, soprattutto in materia di bioetica e di politiche sociali, come pure le enunciazioni in favore della famiglia – peraltro poco suffragate finora da misure concrete –, però questa condivisione oggi non compensa il profondo disagio per la contraddizione di comportamenti che fanno carta straccia di quei valori. Sembriamo alla berlina del mondo, con il coro dei media stranieri – senza distinzione di colore politico e ben al di là di quelli di proprietà dell’antagonista Murdoch – che sbeffeggiano l’Italia.

Di fronte a tutto ciò mi sembra che Berlusconi non abbia scelto la reazione migliore, rigettando in modo sommario le accuse, quasi che neppure davanti a fatti documentati siano consentiti dubbi e interrogativi, interpretando tutto come azione di «lesa maestà», rispondendo alle richieste di fare chiarezza con una intervista a un rotocalco che sul pettegolezzo si fonda.

Quelle risposte sono però ancora attese; fornirle con onestà non sarebbe cedere a chi vuole strumentalizzare l’accaduto per sovvertire il responso delle urne, ma gesto responsabile – moralmente dovuto – di un leader che ha nell’investitura popolare il requisito fondamentale della propria legittimità. La fiducia non può prescindere dalla stima e questa va alimentata con comportamenti consoni, che includono onestà e verità. Valori personali, ma anche politici.
Piero Chinellato


«Gogna mediatica, ma il reato dov’è? Guardiamo a quello che il governo fa»
Nello schizzare di fango che viene ormai ogni mattina dai quotidiani, con ventilati annunci di sempre maggiori scandali, e rivelazioni, e signore autofotografatesi – che singolare abitudine – in bagno durante una festa, vien voglia, almeno a noi, di voltare pagina verso altre storie – per esempio i massacri a Teheran, per esempio la morte annunciata di altri milioni di uomini, quest’anno, per fame. Ma le storie di Palazzo Grazioli hanno scosso molti, anche fra i lettori di Avvenire, e vorremmo allora provare a discuterne pacatamente.

Dunque: non fa piacere a nessun cittadino apprendere che il presidente del Consiglio, a oltre settant’anni, per svagarsi riceve delle fanciulle che le cronache chiamano "escort". Se sapessimo la stessa cosa di nostro padre, ne saremmo rattristati; penseremmo a uno squilibrio, a una sorta di esorcismo della vecchiaia, in un uomo che in realtà la teme. Una debolezza, una fragilità tuttavia private. In lingua cristiana, peccati. Che però – e sorprende un po’ che proprio dei cattolici come noi debbano ricordarlo – in quanto peccati, non sono reati. Non si capisce insomma quale dovrebbe essere il reato addebitato, in una inchiesta penale. E invece vortica la gogna mediatica, e soffia vento di impeachment; benché Berlusconi sia stato eletto con un ampio consenso popolare.

Allora non si può non domandarsi quanto questa indignazione sia strumentale. Se cioè i gossip contro Berlusconi non siano l’ultimo tentativo di scalzare un ingombrante avversario, quando per via elettorale non ci si è riusciti in alcun modo. È un tallone d’Achille, la "sregolatezza" del Cavaliere, su cui accanirsi facilmente. Su cui cercare il consenso dei cattolici, nel nome della decenza, e della morale cristiana. Se la Chiesa poi non parte lancia in resta, la si accusa di badare alla convenienza politica; se non grida scomuniche, la si avverte, come ieri sul fondo di Repubblica, che la sua voce in difesa della famiglia sarà d’ora in poi «molto meno credibile».

Si vorrebbe, d’improvviso, una Chiesa ingerente, che condanna un politico per la sua condotta morale; si vorrebbe d’improvviso una Chiesa moralista – ma non era questa la grande accusa ai cattolici? – che si accanisce contro il peccatore, più che sul peccato. Si vorrebbe una Chiesa giustizialista, che confonde peccati e avvisi di garanzia.

Ora, tutto ciò, oltre che strumentale a un disegno politico, appare doppiamente strano se si pensa al pulpito da cui viene la predica. È la stessa parte politica e mediatica che da trent’anni modernizza l’Italia, dettando i dogmi della nuova morale: l’irrilevanza del matrimonio, la liceità di divorzio e aborto, l’equivalenza di ogni tipo di "famiglia". Il "partito" che chiede anche ai cattolici la condanna di Berlusconi, è lo stesso che ha ribaltato i canoni della morale cristiana di questo Paese, nel nome di una modernità liberata dall’«oscurantismo» cattolico. Singolare, in una cultura che ci ha insegnato che l’aborto è un «diritto», che la fedeltà coniugale è cosa d’altri tempi e che i preservativi bisogna distribuirli a scuola, quest’onda di indignazione per un politico a cui piacciono – troppo, è vero – le donne.

La coscienza di Berlusconi, tuttavia, è un suo privato contenzioso col Padreterno. Vorremmo potere smettere di occuparcene – magari anche il premier potrebbe dare una mano in tal senso – e vedere che cosa il suo governo fa per l’occupazione, le famiglie, la scuola, l’immigrazione, la crisi demografica. Questo ci interessa assai di più che le foto dei bagni di Palazzo Grazioli. Scommetteremmo anzi che questo interessa di più, a molti italiani. Questa è la vera questione morale. Il resto è battaglia di potere, nella cui buona fede fatichiamo a credere.
Marina Corradi

venerdì 26 giugno 2009

10+1


Gossip da Novella 2000 o affare di Stato? Credere al Tg1 o alla stampa di tutto il mondo? In proposito avrei anch’io, come si usa, dieci interrogativi da proporre.

Primo. A quanto pare il premier trascorre parte ragguardevole del suo tempo coltivando un universo di giovani donne. Pensando a invitarle, a intrattenerle, a inseguirle per telefono, a disegnare e acquistare regali per loro, a raccomandarle. Avere un capo del governo che si dedica a questo invece di lavorare per il paese, e che anzi per loro diserta appuntamenti ufficiali in cui è già stato annunciato, è un fatto privato o un fatto pubblico?

Secondo. Il capo del governo ha trasformato una sede privata (palazzo Grazioli) nella nuova vera sede della presidenza del Consiglio. Alla luce di quello che abbiamo saputo, su questa scelta ha senz’altro giocato un ruolo importante la possibilità di sbarazzarsi degli accertamenti troppo rigorosi di Palazzo Chigi sugli ospiti in entrata e in uscita. Il fatto che la sede del governo cambi per meglio consentire il viavai incontrollato di una folta corte pittoresca e border-line è un fatto privato o un fatto pubblico?

Terzo. Le molte giovani donne che hanno rapporti di amicizia, di tenerezza e di complicità con il capo del governo vengono ricompensate e talora risarcite con incarichi di rilievo nella politica, con candidature a ogni livello, dalle Europee alle Circoscrizionali, con posti nella pubblica amministrazione o enti vari. Il fatto che si sia affermato questo criterio di scelta per reclutare la classe dirigente è un fatto privato o un fatto pubblico?

Quarto. La normativa sulle intercettazioni telefoniche approvata dal Senato ha preso il via dalla pubblicazione di registrazioni che riguardavano le relazioni e i problemi del capo del governo con alcune giovani signore dello spettacolo, e dunque dalla preoccupazione del capo del governo di tutelare questa sua sfera di intimità. Vivere in un paese che per queste ragioni viene costretto ad abbassare la guardia contro la criminalità è un fatto privato o un fatto pubblico?

Quinto. Il capo del governo è visibilmente sotto ricatto. Chi ha fotografato, chi ha filmato, chi ha visto, chi ha sentito. Un numero sterminato di persone che deve essere zittito o acquietato (anche con posti e carriere). Ma può permettersi un paese di essere governato di chi è nella condizione di subire ricatti senza fine? Ed è questo è un fatto privato o un fatto pubblico?

Sesto. Da quel che ci è stato raccontato, donne sconosciute possono entrare nella dimora del presidente del Consiglio, fare foto e registrare. C’è una questione di vulnerabilità del governo. Chi evoca complotti ogni giorno non faticherà a capire che, una volta scoperta l’infallibile via d’ingresso, anche una potenza straniera ostile potrebbe avere accesso a informazioni privilegiate. È questo un fatto privato o un fatto pubblico?

Settimo. Imprenditori arricchiti in pochi anni sono in grado di stringere rapporti preferenziali con il capo di governo facendo «bella figura» con lui grazie alla raccolta e consegna a domicilio di donne giovani e piacenti a pagamento. Che effetti ha sul sistema degli appalti, sulle cordate in affari, sulle concessioni, un rapporto preferenziale di questo tipo? Ed è questo un fatto privato o un fatto pubblico?

Ottavo. Una ragazza senz’arte né parte, invitata a cena dal capo del governo, reclama di essere pagata perché «non lo faccio mica per la gloria». In qualunque paese un invito a cena dal capo del governo è motivo di orgoglio. Qui no, non più. Come se Cenerentola chiedesse di essere pagata dal Principe. Ma se il prestigio della carica cade tanto in basso, anche a causa dei comportamenti del capo del governo medesimo, è questo un fatto privato o un fatto pubblico?

Nono. I giornali di tutto il mondo scrivono ciò che le nostre tv tacciono. Il nostro governo è lo zimbello dell’Occidente. È questo un fatto privato o un fatto pubblico?

Decimo e ultimo interrogativo. Siccome la centralità politico-culturale dell’harem si è sviluppata di pari passo con lo svuotamento del Parlamento e l’imbavagliamento dell’informazione, si assiste a un surreale scivolamento istituzionale: dalla repubblica parlamentare verso il sultanato. È questo un fatto privato o un fatto pubblico?

P.S. Le stesse ossessioni del capo del governo segnalano qualche sua difficoltà ad essere, come dicevano i latini, «compos sui» (Veronica: mio marito non sta bene). L’equilibrio psichico di un capo di governo è un fatto privato o un fatto pubblico?

Gli aiuti per l'Africa dell'Europa cristiana!

Uno strano incidente rivela un traffico di armi provenienti dalle porte girevoli dell'Europa, per la dittatura petrolifera del generale Teodoro Objang in Guinea equatoriale
Il 16 giugno, alle due del mattino, un Antonov 12, aereo da carico che può trasportare circa 20 tonnellate di materiale, effettua uno scalo di emergenza per problemi tecnici all'aeroporto internazionale «Mallam Aminu Kano», nel nord della Nigeria, scalo frequentemente utilizzato per il rifornimento di carburante di aerei provenienti dall'Europa e diretti verso l'Africa Centrale.
Qualcosa non va nel verso giusto nelle relazioni tra l'equipaggio dell'aereo e le autorità aeroportuali, o forse i servizi di sicurezza nigeriani (Sss) vengono allertati da qualche informativa e procedono ad ispezionare il carico. Trovano a bordo 18 cassse contenenti consistenti quantità di munizioni, in particolare da 60 e 80 millimetri per mortaio, insieme a fucili mitragliatori e lanciarazzi. Il carico e l'aereo vengono sequestrati e cominciano gli accertamenti. I media nigeriani riportano che le armi proverrebbero dall'Ucraina e sarebbero state destinate ai «ribelli» del «Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger». Una fotografia mostra invece che l'Antonov 12 era a Zagabria, Croazia, il 14, il giorno prima di partire per Malabo, sull'isola di Bioko, ove - 250 km a Nordovest del territorio continentale - ha sede la capitale della Guinea Equatoriale.
L'aereo, con numero di registrazione Ur-Cak (Ur: sta per Ucraina) è proprietà della compagnia aerea «Meridian Aviation Enterprise of Special Purpose», basata a Poltava, nel nordest dell'Ucraina. Il 18, il governo ucraino e Ukrspetsexport, la società che controlla le esportazioni di armi ucraine, smentiscono d'aver a che fare con quel carico (secondo Izvestia e Kommersant).
L'inchiesta passa nel frattempo ai servizi di intelligence militare nigeriani (Mdi) e il Kommersant riporta che l'Mdi avrebbe stabilito origine delle armi (il ministero della Difesa croato) e destinazione (il ministero della Difesa della Guinea Equatoriale). Le armi sarebbero state effettivamente caricate a Zagabria e una compagnia di Nicosia (Cipro), la Infora Limited, avrebbe organizzato l'affare. Secondo il direttore di Infora, Velimin Chavdarov, e il direttore della Meridian, Nikolay Minyajlo, tutti i documenti sarebbero in ordine e il sequestro dell'aereo non si giustificherebbe. Tutto regolare dunque? Dipende dal tipo di regolarità di cui si parla, a cominciare da destinatario e fornitore.
Il destinatario. Repubblica presidenziale multipartitica in teoria, la Guinea Equatoriale è di fatto una delle più corrotte dittature «petrolifere» africane, sotto l'egida del presidente Objang (al potere dal 1979), della sua coorte di cleptocrati, e delle compagnie petrolifere estere che lo sostengono. Concessioni petrolifere (le controlla uno dei figli di Objang con la GEPetrol), e altri contratti energetici sono stati, tra altre, assegnati alle compagnie statunitensi Exxon Mobil, Marathon Oil, ChevronTexaco e a Dno (Norvegia), Nnoc (Nigeria), Petrobras (Brasile), Shell Oil (Olanda), Tullow Oil e Lornho Africa (Regno Unito), a compagnie cinesi (2 miliardi di dollari di investimenti negli ultimi tre anni), Gazprom (Russia), Mitsui e Marubeni (Giappone), Galp Energia (Portogallo), Union Fenoso e Repsol (Spagna), E.ON (Germania). La Guinea Equatoriale «siede» su una ricchezza di circa 1,1 miliardi di barili di petrolio in riserve provate offshore, è settimo produttore africano e terzo dell'Africa Subsahariana, nonchè tra i cinque maggiori esportatori africani di gas naturale liquefatto. Ha inoltre cospicue riserve di titanio, ferro, manganese, uranio e oro. Quasi tutti gli introiti petroliferi finiscono direttamente nei conti bancari controllati da Objang e dalla sua coorte. Il 73% della popolazione (1,3 milioni, secondo l'IMF) non ha accesso a fonti di elettricità e il 57% ad acqua potabile sana.
Il paese ha un esercito di 2.500 soldati e una Gendarmeria con 300 effettivi, ma le importazioni di armi e materiale militare sono state negli ultimi anni (2004-2008) abbastanza considerevoli: dall'Ucraina aerei militari per decine di milioni di dollari; dalla Repubblica Ceca blindati e munizioni (3 milioni); dalla Serbia munizioni (più di un milione); dalla Bulgaria munizionamento pesante; dalla Francia aerei militari e munizioni; dal Regno Unito blindati e parti. Aerei leggeri per 63 milioni di dollari sono stati importati da Francia e Stati Uniti nel 2007 e 2008; elicotteri leggeri da Italia, Stati Uniti e Sudafrica (2007).
La Guinea Equatoriale ospita inoltre da anni un Registro aereo di «convenienza», dove sono iscritti aerei e compagnie che non amano supervisioni e controlli.
Il fornitore. Se le informazioni sono, come sembra, corrette, la Croazia avrebbe dunque autorizzato l'esportazione di 10/15 tonnellate di armamenti verso una delle peggiori dittature di fatto, se non di nome, del continente africano. E non è detto che quelle tonnellate siano state le sole, poichè non vi sono ancora dati sulle esportazioni di armi per il 2009. La Croazia dovrebbe diventare membro dell'Unione Europea a tutti gli effetti dal 2010. Come inizio del suo ultimo anno da candidata non c'è male, anche se dalla Croazia non è certo la prima volta che partono armi per operazioni «coperte» dei paesi dell'Unione Europea e degli Stati Uniti (dal porto meridionale di Ploce, per esempio).
Il mediatore e Cipro. La società Infora Ltd è un broker che tratta molte cose diverse, tra cui materiale militare. Con una particolarità: il suo indirizzo principale è a Cirpo: «Stasinou 1, Mitsi Building 1, 1st floor, Flat/Office 4, Plateia Eleftheria, P.O. Box 21294, P.C. 1505». Lo stesso Flat/Office 4 è dato come indirizzo di numerose altre società, ma è in realtà lo studio di un avvocato, forse semplicemente un domicilio per imprese che si registrano nell'isola ma in essa hanno solo una casella postale. L'avvocato dice però di non aver mai sentito della Infora. La Infora ha anche una rappresentanza in Ucraina, a Kiev. Interpellati, i rappresentanti della società non hanno risposto.
L'aereo e il trasportatore. L'aereo - numero di fabbrica 6343707, entrato in servizio con l'aviazione militare ucraina nel 1966 - passa alla ucraina Meridian nel giugno del 2007 (che ne cambia la registrazione da Er-Aci, Moldova, a Ur-Cak, Ucraina), dopo essere stato sotto vari operatori (l'ucraina Icar, le moldove Jet Line International, Aero-Nord Group e Aerocom, quest'ultima coinvolta in traffici d'armi per la Sierra Leone e, nel 2004, in spedizioni statunitensi «coperte» di armi dall'aeroporto musulmano-bosniaco di Tuzla). Molto attivo in particolari aeroporti europei (Ostenda, Maastricht, Budapest, Varsavia, Glasgow-Prestwick, Luga-Malta) e in Afghanistan, il 28 maggio di quest'anno è a Larnaca, Cipro, e Francoforte, prima di volare a Zagabria.
La Meridian è stata formata nel 1999, come Poltava Universal Avia e ribattezzata Meridian nel 2007, ha una flotta cargo composta da 5 An-12 e 2 An-26. Secondo la radio ucraina Nrcu, la compagnia sarebbe stata messa in vendita alla fine di gennaio 2009 dal proprietario, il Fondo Ucraino delle Proprietà Statali, e avrebbe dovuto essere ceduta nel Maggio. Anche Meridian non ha risposto alla richiesta di ulteriori informazioni. Sarà tutto regolare, ma certo mancano un po' di pezzi. Di Sergio Finardi, Peter Danssaert, in "Cieli neri D'AFRICA", Il Manifesto, 26.06.2009


La Guinea Equatoriale “siede” su una ricchezza di circa 1,1 miliardi di barili di petrolio in riserve provate offshore (Golfo di Guinea), produce in media circa 320 mila barili di petrolio al giorno (il 95% esportati), è settimo produttore africano e terzo dell’Africa Subsahariana (Novembre 2008), nonché tra i cinque maggiori esportatori africani di gas naturale liquefatto. Ha inoltre cospicue riserve di titanio, ferro, manganese, uranio e oro. Il prodotto nazionale lordo (cresciuto in parallelo con le scoperte dei giacimenti negli anni ’90) era nel 2008 pari 18,5 miliardi di dollari, per teorici 14.940 dollari pro capite, quasi livelli europei su una popolazione che l’IMF stima a 1,3 milioni nel 2009. Eppure, la maggioranza della popolazione ha redditi di 300/400 dollari l’anno, il 73% di essa non ha accesso a fonti di elettricità (stima 2008) e il 57% ad acqua potabile sana. Il gen. Teodoro Objang è al potere dal 1979, dopo aver rovesciato il regime genocidiario dello zio, primo presidente dell’indipendenza dalla Spagna (1968), Francisco Nguema, sotto cui perderanno la vita 80,000 persone ed altre 100,000 sarano costrette a fuggire nei paesi vicini. Sotto Objang e i suoi figli Teodoro Manue e Gabriel, il paese conosce una rapina sistematica delle sue risorse. Gli introiti petroliferi finiscono quasi tutti nei conti personali di Objang e della sua “famiglia” allargata. Le compagnie petrolifere - come accertato per quelle statunitensi dal Congresso usa in varie inchieste dal 2004 in avanti – hanno negli anni pagato milioni di dollari alla “famiglia” per case e spese di “studio” all’estero, affitti per proprietà legate ad Objang, donazioni di varia natura a ministri e familiari del presidente. Divenuto un “prezioso” alleato degli USA durante la presidenza Bush (Condoleeza Rice riceve Objang con tutti gli onori nel 2006), il paese gode anche di solidi appoggi in vari Paesi europei e in Cina. La repressione dell’opposizione è totale, torture e condizioni di vita impossibili sono routine nelle carceri, (rapporto ONU del Novembre 2008). Nelle “elezioni” parlamentari del 4 maggio 2008 i seggi del partito di Objang hanno raggiunto quota 99 sui 100. il governo del paese, dal marzo 2009, può però contare su ben 71 membri: un premier con 3 vice primi ministri, 24 ministri, 20 viceministri, 22 segretari di Stato, e un ministro con speciale delega alle Finanze.I rappresentanti dell’opposizione, tra cui Severo Moto, vivono prevalentemente in Spagna, da dove sarebbe partito nel 2004 un piano di colpo di Stato contro Objang, fallito, che ha coinvolto tra altri il noto mercenario inglese Simon Mann (cittadino sudafricano, fondatore di Executives Outcomes e Sandline International, compagnie di mercenari un tempo operative in Sierra Leone e Angola), il miliardario britannico-libanese Ely Calil, il trafficante di armi sudafricano Nick de Toit e Mark Tatcher, figlio dell’ex premier inglese Margaret (Simon Mann, inizialmente incarcerato in Zimbabwe, mentre si stava procurando armi con il suo gruppo d’assalto, è stato estradato in Guinea Equatoriale e condannato nel luglio 2008 a 34 anni insieme ad altri complici, tra cui il De Toit, pure condannato a 34 anni).

Chi è dunque costui?... che le forze della malattia e della morte gli obbediscono?

Gustav Klimt, Tod und Leben (Morte e Vita)
Le letture odierne suscitano domande terribili. Cristo guarisce un’ammalata, risuscita una morta. Questa è la sua professione. Perché poi, dopo di lui, gli uomini devono ammalarsi di nuovo e tutti devono morire? Dio vuole la morte? Se nulla cambia in questo mondo, per che cosa Cristo è venuto? (Balthasar). Marco prosegue la sua inchiesta sconvolgente di Gesù: incontra due donne, ferite a morte dalla paura della vita e nella loro disgrazia risuona la stessa tragica domanda della tempesta sul lago: Signore, ti importa che noi moriamo ? – t’importa che la malattia e la morte prosciughino la sorgente della vita?

le creature del mondo sono portatrici di salvezza…
Un’affermazione sbalorditiva, che sembra smentita dalla malattia e dalla morte, ma ha una sua verità confortante e luminosa. Tutto ciò che ci fa nascere e ci mantiene in vita, ci è offerto da questo tessuto di cose, di persone e di energia nel quale siamo nati e che ci nutre e sostiene. Poi impareremo presto che il tessuto è fragile, liso e corroso in tante parti e destinato a consumarsi del tutto. Scientificamente (sul piano della necessità fisico biologica) è evidente e inconfutabile: la vita finisce!… e anche il mondo che l’ha prodotta ha dentro di sé la consunzione. Chi ha voluto la morte? Dio infatti ha creato tutto per l'esistenza; Dio ha messo in essere un sistema complesso che noi chiamiamo “mondo”, frutto di un immenso scambio energetico in continua espansione dall’immensità astrale o subatomica, al livello biologica e finalmente psichico… in milioni di anni. Fino alla vita umana!... e qui è emersa la possibilità assolutamente nuova, (la pienezza dei tempi dell’attesa biblica), cioè la vita spirituale: un livello o una qualità di umanità, che pur totalmente immersa e condizionata dai precedenti livelli di vita dai quali proviene… si emancipa in qualche modo dalla necessità e apre spiragli di consapevolezza, di libertà, di amore… Qui diventa vera, possibile all’uomo la speranza incredibile di una vita non legata alla deperibilità della materia: Sì, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità! non ovviamente nel sogno illusorio di sfuggire alla morte biologica, inevitabile per ogni essere “mondano” (o di carne, nel linguaggio biblico), ma per il prodursi di questo vero miracolo misteriosamente comunicato a tutti in Cristo. Nella nostra vita umana destinata alla morte biologica, è seminata una qualità nuova, un germoglio, che, superando la paura della morte, diventa capace di sorpassarla: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale. …Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. …Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l’incorruttibilità. Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati … Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? (1Cor 15,43ss).
«Non temere, continua solo ad aver fede!»
Ogni malattia è già un prodromo dell’incubo della morte. Mette in dubbio la speranza e il senso stesso della vita nostra e di chi amiamo. Perciò ci turba senza rimedio. Quando la malattia diventa morte, tutti perdono ogni speranza residua, anche nei poteri indecifrabili delle medicine e dei taumaturghi. Il racconto di Marco, come buona notizia di salvezza, è arrivato ad un punto “morto”. Gesù incontra gente che muore! Non può evitare il problema. Ma Gesù ha un atteggiamento assolutamente nuovo verso la morte: pur soffrendo e piangendo , quando la incontra, è però tranquillo, quasi connivente, e ne assume la necessità. Dice che è sonno, transito temporaneo – come se alla morte, infine, si debba consegnare proprio ciò che la morte vuol portare via, la vita biologica, non la vita più vera che intanto è germogliata nella vita biologica, e si è fatta più o meno consistente, nella vita di ognuno. Non temere, continua solo ad aver fede! La fede richiesta da Gesù in lui stesso, salvatore della vita, vuol dire: credi che è l’amore che è onnipotente, non la malattia e neanche la morte, né il potere, che cerca di accecarne l’angoscia – pronto a svendere tutto per prolungare la vita a tutti i costi? Credi che il bene supremo da salvaguardare non è la salute fisica o la vita biologica o la stima o il piacere o i soldi, ma il legame a lui, per seguirlo nella via della salvezza? Come per l’emorroissa: … se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata! La morte non è vinta per il fatto che Gesù evita la morte (di fatto morirà e di morte violenta!), ma perché non se ne è lasciato asservire, ha vinto la paura della morte affermando l’amore fin dentro la morte.
L’emorroissa e l’anoressica risanate: la donna simbolo del percorso cristiano…
La donna, in questa pagina del vangelo, è posta sul crinale della salvezza o perdizione dell’umanità. La madre dei viventi, piccola o malata, si rifiuta alla vita, non riesce ad assumerne e portarne il peso di responsabilità e di sofferenza (la piccola), o si disperde nel consumo sterile di sé, senza amore, senza un volto per cui vivere a e a cui donarsi (la grande). L’evangelista ricorda, dopo la guarigione/risurrezione della fanciulla dodicenne: “e Gesù ordinò che le fosse dato da mangiare”, configurando, per usare le nostre parole, una diagnosi di anoressia mortale. Non sarà che l’anoressica non vuol mangiare perché ha intuito che la vita che è chiamata a tramandare sarà svuotata e appiattita su valori inconsistenti (mortiferi) – e si rifiuta di assumerli?… E Gesù raccomanda, dopo averla richiamata alla vita, che bisognerà re/insegnarle a mangiare, dunque a distinguere cosa mangiare. Fa propaganda anticipata del suo prodotto eucaristico: un mangiare, del resto, quello proposto da lui, che sembra ancor più tossico degli altri, perché è il memoriale della sua passione e morte, come dono di sé, ma è ciò che rende la carne mortale capace di eternità, ciò che risponde davvero all’anelito più profonda che, disatteso, ha bloccato la ragazza… E proprio mentre s’avvia a guarire la fanciulla che fugge dalla vita, lo sta cercando, di nascosto per la vergogna, l’emorroissa, la donna che sta “sprecando” la sua vita – il sangue, i soldi, la speranza! Gesù ne è colpito (chi mi ha toccato? … una donna, che da dodici anni – l’età della bambina! – soffriva un flusso di sangue). Questa donna che ha già fatta e in qualche modo superata l’esperienza atroce della bambina, è diventata grande ed ha già sperimentato nel suo corpo di donna che tutto si consuma e non c’è cibo o valore o medicina o altro rimedio o che possa “esser contenuto dentro di noi” per costruire qualcosa in noi stessi e di noi stessi che duri per sempre. Ha sentito di Gesù, delle sue parole e della sua misericordia guaritrice. Vuole provare a cercarlo e toccarlo, come estrema risorsa. Ma Gesù non dà rimedi senza guardarti in faccia, a costo di aspettare per anni e perdersi in tentativi innumerevoli e fughe infinite, che la nostra paura più o meno consapevole si inventa. Gesù vuole guardarla e parlarle, perché il suo rimedio non è una medicina o un espediente magico … ma la comunione amicale con lui. Allora, dopo una vita a cercarlo, una forza esce da lui, che le fa sentire nel suo corpo che era guarita…
Conoscete infatti la grazia del Signore…
Qual è il meccanismo, la nuova dinamica vitale seminata da Gesù nel cuore dell’umanità, per superare la paralisi o l’emorragia dell’energia della vita, che la paura atavica della morte induce in ognuno? È il motore di partenza che ha creato per amore il mondo, ma infine ha voluto manifestarsi nella discesa di Dio stesso nel mondo: da ricco che era si è fatto povero per voi perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. Non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini…. Queste donne guarite da Gesù portano misteriosamente nel loro corpo le stimmate del dramma dell’umanità e della sconvolgente risposta di Gesù: nell’amore che accetta la precarietà fragile della natura di carne di cui siamo fatti, sta il segreto del superamento della paura di morire: non c’è amore più grande che dare la vita... per questo nel cammino di guarigione della donna è il luogo e il segno – il sacramento naturale – del rapporto di Gesù con la sua chiesa.

giovedì 25 giugno 2009

Lo sguardo amante di Gesù

Il brano di vangelo che la Chiesa ci propone per questa tredicesima domenica del tempo ordinario è di un coinvolgimento emotivo tale, da rendere difficile ogni sua esplicitazione verbale. Come scriveva Rainer Maria Rilke infatti «la maggior parte degli avvenimenti sono indicibili, si compiono in uno spazio che mai parola ha varcato» [Lettere a un giovane poeta, Adelphi, Milano 1980, 13].
Questo – credo – dipenda innanzitutto da alcune pennellate narrative che l’evangelista pone nel testo e che vanno a stendersi proprio là nell’intimo delle nostre strutture antropologiche fondamentali, nelle corde scoperte (e per questo così sensibili) della nostra interiorità: si ha a che fare infatti con la morte e con la malattia. Ma non con una morte qualunque, ammesso che ne esista una definibile così; perlomeno non con una morte codificata, “normale”, naturale; qui non si parla di qualcuno che «spirò e morì in felice canizie, vecchio e sazio di giorni, e si riunì ai suoi antenati» (Gn 25,8)… si parla di una dodicenne, di una figlia, della figlia di un capo, della figlia di un uomo, di una figlia dell’umanità.
E non si parla di una malattia qualunque, ammesso che qualche malattia si possa definire “qualunque”, ma in particolare viene sottolineato il tratto estenuante, isolante, dis-umanizzante della malattia: si parla di una donna che «aveva molto sofferto», «da dodici anni», che aveva speso «tutti i suoi averi» e che – proprio perché la sua era una malattia legata al sangue (ecco perché inizialmente sarà così intimorita da Gesù) – era condannata alla condizione e alla considerazione di impura e dunque emarginata, esclusa dalla vita sociale e civile del suo popolo.


Ecco perché questo brano non può essere ridotto a un paio di semplici miracoli, i cui racconti sono abilmente intrecciati dall’Autore in un’unica storia (cfr per esempio il richiamo per entrambe le donne ai “dodici anni”), ma che sostanzialmente possono essere archiviati nella cartella: “Belle cose che ha fatto Gesù”. Qui implicati infatti ci sono richiami impliciti – eppure affettivamente fortissimi – alle nostre dinamiche umane più profonde: per un verso, la paura della morte, la paura della morte dei propri cari, la paura della morte dei propri figli; lo sgomento che questo provoca (un figlio infatti non è mai solo un figlio… è la promessa per l’umanità del futuro, della vita che continua anche dopo la morte degli ormai “sazi di giorni”, è la speranza in un mondo nuovo…); la domanda su Dio che questo implica; per l’altro, la paura della sofferenza, della solitudine, dell’esclusione, dell’inabilità, della perdita della possibilità di determinarsi nella vita… con la domanda inevitabile sul senso della vita alla luce del male, dunque nuovamente la domanda sull’identità di Dio…
E – come se ancora non bastasse – a rendere ancora più contorcente le nostre viscere sta il fatto che qui in gioco accanto alla disperazione accorata di un padre (Giairo), le protagoniste siano due donne. Ciò rende il quadro ancora più toccante, non tanto, o non solo perché l’essere donna rimanda alle sfumature antropologiche più legate alla fragilità, al bisogno di custodia, al bisogno di casa… e neanche solo perché nell’essere donna è implicato l’essere fonte della vita, anche se anche questo cordone pulsante dell’umanità rifluisce in questo brano: non a caso muore una ragazzina appena entrata nell’età della fertilità e si ha a che fare con un’emorroissa. Piuttosto ciò che è così pregnante del fatto che in gioco ci siano due donne lo si può rintracciare facendo lo sforzo di uscire dalla – pur necessaria – generalizzazione, provando a entrare a vivere la situazione dal di dentro.
Questo è il passo fondamentale nell’ascolto della Parola: essa non è infatti un manuale di istruzioni o la presentazione di un modello di vita. Non ci dobbiamo approcciare ad essa cercando risposte preconfezionate alle nostre domande sui massimi sistemi (che pure sono implicate come mostravamo più sopra), né con l’immediato interrogativo “Cosa devo fare in questa o quest’altra situazione?”… Non è questa la dinamica sua propria che la Parola sprigiona: essa è infatti non un manuale, non un ricettario, ma la testimonianza scritta di una storia, cioè del dipanarsi temporale delle libertà dei protagonisti, tra cui la libertà storica del Figlio di Dio, l’uomo Gesù.
Ecco perché per entrare in dialogo interiore con essa e perché essa possa nutrire la nostra vita, è necessario che avvenga questo incontro di libertà, che avvenga cioè che noi riusciamo a entrare nelle dinamiche dei protagonisti – a coglierle, a sperimentarle, a lasciarcene plasmare – e a ritrascriverle nella nostra vita.
Per quanto riguarda il vangelo di oggi, questo vuol dire davvero “mettersi nei panni” di Giairo, dell’emorroissa, della figlia dodicenne, dei discepoli, dei parenti della ragazzina, di Gesù…
Come dicevo forse la pregnanza maggiore è quella delle due protagoniste femminili. Solo provando a entrare dentro al racconto, dentro al racconto dal loro punto di vista, si può capire la decisività di questa dominanza emotiva del femminile, che non è solo di questo brano, ma di tutto il vangelo. Gli uomini fanno disfano, vanno, vengono… ma gli affetti sono sempre e tutti al femminile (cfr la samaritana, la donna curva, la peccatrice perdonata, le lacrime sui piedi di Gesù, la Maddalena nel giardino del sepolcro, ecc…).
Per questo fanno trepidare così tanto questi brani… perché intercettano – nel femminile – il disvelamento dell’affettivo sul fattivo. Qualcuno dice sempre che una donna quando ama è atea, intendendo che di fronte all’amato (un figlio, un uomo, un fratello, un amico, un padre…) sparisce ogni legge, perfino quella della giustizia, perfino quella della religiosità: nella donna in modo emblematico appare la totalità della dedizione, presente e reale anche nell’uomo (non è certo questo un discorso sessista), ma indubbiamente più mediata. Ecco perché questi testi tirano fuori le coordinate profonde di tutti: perché nella trasparenza dell’affettività femminile mettono sul piatto della storia le fragilità di ciascuno, le passioni, le paure, i desideri, la fede, la speranza, le disillusioni, le trepidazioni…
Proviamo allora a entrare nel testo, a intercettare la libertà storica dell’emorroissa…
Essa vive la disperazione della malattia e delle sue conseguenze, in qualche modo ci “sbatte in faccia” nella sua carne, ciò che devasta di terrore il cuore di ogni uomo, la solitudine esistenziale, soprattutto nella forma definitiva della morte.
Di fronte ad essa il narratore ci informa che questa donna ha messo in moto tutta una serie di tentativi per salvarsi, richiamandoci vividamente alla quasi onnicomprensiva spinta che determina la nostra vita, le sue azioni, i suoi affetti, che non è altro che la ricerca di espedienti, per salvarci appunto dalle piccole e grandi morti che costellano il nostro percorso umano…
Fino a quando sente parlare di Lui… inizialmente lo vive come un ennesimo tentativo nella sua disperata rincorsa verso la guarigione (e quante volte anche noi, facciamo di Lui un “soluzione ai nostri problemi”…), tanto che gli si avvicina clandestinamente, consapevole di non poterlo nemmeno sfiorare per legge: toccare qualcuno sapendo di essere in uno stato di impurità, quindi sapendo di “contaminarlo” era infatti uno dei comportamenti più stigmatizzati in Israele che su questo campo ha sviluppato una delle legislazioni più precise e puntuali della storia. Spera infatti che Lui nemmeno si accorga del suo tocco… E quando invece si rende conto che Lui si gira e la cerca fra la folla rimane come impietrita, agghiacciata dalla paura che quello che lei considerava un amuleto per la vita, diventasse fonte di ulteriore disprezzo, condanna, solitudine…
Lui invece si gira, la guarda e si rivela… il Dio della vita, il Dio degli ultimi, il Dio delle donne… il Dio della relazione, il cui “effetto” salvifico “funziona” solo perché si acconsente ad un rapporto, ad un guardarsi, ad un cercarsi. Ciò da cui Dio guarisce non è infatti tanto un flusso di sangue, ma un flusso di morte e da questo ci si affranca solo se si ritrova la forza di dare credito alla vita… Ma ancora, una forza che l’uomo non può darsi da solo… è solo uno sguardo amante che ci raggiunge che può scardinare in noi i meccanismi mortali da cui siamo affetti e a volte pure affascinati: «Gli empi invocano su di sé la morte, ridendola amica» (Sap 1,16). Per quello è necessario lasciarsi guardare… un po’ come Luo Cuifen, l’emorroissa del 2000. «Luo Cuifen è una giovane donna di 29 anni nata a Kunming, nel Sud della Cina. Un giorno, stanca di dirsi passerà, domani vedrai che passa, è andata dal medico. C’era sempre sangue nella pipì del mattino e a parte il dolore, a parte la sottile preoccupazione crescente, non aiuta svegliarsi e per prima cosa vedere il tuo sangue: sangue sempre, sangue ogni giorno. Il medico le ha detto: sarà una disfunzione renale, faccia una radiografia. Ecco, la radiografia del torace di Luo Cuifen è una di quelle foto che spiega il tempo in cui viviamo. L’hanno pubblicati molti giornali. Merita di essere ritagliata e di stare attaccata coi magneti al frigorifero. Nel torace di Luo ci sono 23 aghi: alcuni sono lunghi anche 2,5 cm. Nella radiografia sono sparsi sullo scheletro come bacchette di shangai, il gioco dei bimbi. Sembra un fotomontaggio e invece no. Aghi nei polmoni, nei reni, uno rotto in 3 parti proprio sotto il cervello, aghi dappertutto. Luo non era mai stata operata in vita sua, non poteva trattarsi certo di un errore di un chirurgo né d’altra parte neppure il più distratto dei medici può scordare decine di aghi lungo un metro di corpo. E dunque? Dunque sono stati 23 tentativi di ucciderla. Luo era stata affidata ai nonni, appena nata. La madre lavorava, i nonni non volevano bambine in casa – le femmine sono solo un costo nella Cina rurale, le devi crescere e mantenere per vent’anni, poi passano alla famiglia del marito, non portano indietro niente. Così hanno pensato di ucciderla con gli aghi. Forse non avevano cuore di soffocarla né di abbandonarla in un campo, forse pensavano che un killer invisibile li avrebbe sollevati almeno dal peso di essere presenti al momento della morte: sarebbe morta nel sonno, poi l’avrebbero sepolta. Ma Luo era una bambina robusta e il suo corpo con gli aghi ha trovato un accordo: ha resistito. Certo da adolescente e poi da ragazza non ha avuto vita facile. Soffriva di ansia, di depressione e di insonnia, hanno raccontato poi i medici che da tutto il mondo sono accorsi a operarla. Tanti però, tante giovani donne soffrono di ansia e di insonnia, non è necessario che gli aghi si vedano nelle radiografie, ci sono aghi invisibili che bucano il respiro e quel che bisogna fare è resistere. […] A operare Luo sono arrivati 23 medici, uno per ago. […] I nonni sono morti, non possono più dire com’è andata ammesso che da vivi avrebbero avuto cuore e coraggio per farlo. Magari si sono rallegrati, nel tempo, dell’incredibile tempra di Luo. Magari la nonna, è bello immaginarlo, l’ha festeggiata a ogni compleanno ringraziando il cielo per non averla ascoltata. Magari no, invece. La ragazza dice che non ha ricordi dei momenti in cui le infilavano gli aghi. Dice che solo una volta ha origliato una conversazione che le era risultata incomprensibile, si diceva sottovoce di qualcosa avvenuto quando aveva tre giorni di vita. Dev’essere successo quindi in un solo giorno, in un momento, in culla, come fosse una bambola di quelle che si bucano nei riti del malocchio. Mio padre ha trovato la foto del torace di Luo e l’articolo che ne parla in un giornale straniero durante un viaggio, lo ha tenuto stropicciato nel portafogli e lo ha tirato fuori ripiegato in quattro. Tieni, mi ha detto, guarda fin dove si può vincere. Vincere il destino, vincere l’ignoranza e la violenza, vincere un corpo nemico, vincere gli aghi che bucano anche quando non sai cos’è che ti fa sanguinare. Combattere, spingere la sorte più in là. Finché si può, credo che intendesse dire con quel foglio conservato come un amuleto, finché si può resistere si deve». [C. DE GREGORIO, Malamore, Mondadori, Milano 2008, 143-145].

Andres Serrano, di morte e d'arte


Ho rivisto poco tempo fa questa immagine di Andrès Serrano. Se non se ne conoscesse il titolo, verrebbe da dire che è una foto "tenera".



Il suo titolo, però, non lascia spazio ad interpretazioni: Fatal meningitis, meningite fatale. Lo scatto appartiene ad una serie esposta per la prima volta nel 2006 al PAC di Milano, intitolata The morgue (L'obitorio). Si tratta di una serie di fotografie che, come spesso accade con questo artista, sono impeccabili dal punto di vista formale, soddisfano anche tutti i canoni e le regole del buon fotografare, con una ricerca di effetti pittorici, pur ritraendo soggetti quantomeno duri da digerire. E' significativa, al proposito, questa dichiarazione dell'artista:

Credo che sia necessario cercare la bellezza anche nei luoghi meno convenzionali o nei candidati meno insospettabili. Se non incontro la bellezza non sono capace di scattare alcuna fotografia”.

Nel caso in questione, Serrano immortala - strano gioco di parole...- una serie di cadaveri, identificati dalla causa di morte (per i più curiosi, dalla pagina di wikipedia a lui dedicata si può accedere ad una galleria fotografica - le immagini sono decisamente crude).

Tra tutte, però, anche nella mostra milanese, spiccava questa opera. La delicatezza del volto seminascosto della bambina, il contrasto tra il lenzuolo candido e il fondo nero, la luce che accarezza i capelli e la fronte, ne fanno un'immagine, a mio parere, indimenticabile.

Poi, man mano che l'opera si sedimenta negli occhi e nella memoria, ecco emergere un po' di suggestioni; mi viene in mente la Cecilia di Manzoni, in cui ritrovo la stessa commistione di delicatezza e lutto: Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull’omero della madre, con un abbandono piú forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de’ volti non n’avesse fatto fede, l’avrebbe detto chiaramente quello de’ due ch’esprimeva ancora un sentimento.

Ma non solo, di fronte a una foto come questa, non si può che rimanere, ancora una volta, affascinati dalla potenza dell'arte, che riesce a rendere "bello", direi quasi meno drammatico, anche un evento tragico come la scomparsa di un bambino. Mi rendo conto che il cortocircuito delle citazioni - spesso rimproveratomi - deve essere fermato, ma non posso non ricordare alcuni bellissimi versi di Cantor de Oficio, un brano che ho conosciuto attraverso la voce di Mercedes Sosa, che mi sembra ben rappresentare la estrema forza che l'arte ha:

Mi oficio de cantor es el mas lindo
Yo puedo hacer jardin de los desiertos
Y puedo revivir algo ya muerto
Con solo entonar una cancion.

Mi oficio de cantor es tan hermoso
Que puedo hacer amar a los que odian
Y puedo abrir las flores en otoño
Con solo entonar una cancion.


(Il mio mestiere di cantante è il più affascinante
Io posso fare giardini dai deserti
E posso far rivivere qualcuno già morto
Col solo intonare il mio canto

Il mio mestiere di cantante è così bello
che posso far amare quelli che si odiano
e posso far aprire i fiori in autunno
col solo intonare il mio canto)


mercoledì 24 giugno 2009

Messaggio Littizzetto a Maria (Star) Gelmini sulla scuola

..Magari questo aiuta qualcuno a riflettere... perdonate l'ultimissima parte un po' scurrile. Ringraziamo "neumanesimo" di YouTube

Da questo punto invece sovrascrivi a queste parole la sua continuazione in modo che la pagina principale del blog non sia appesantita e chi vuole continuare la lettura deve cliccare su continua. (naturalmente puoi dopo sopprimere la linea vuota

martedì 23 giugno 2009

Il vero gossip!

Leggo sull'Avvenire on-line di oggi:
Minzolini: «Tg1 ha scelto la moderazione e non il gossip»
Il Tg1 ha scelto la linea della moderazione e non del gossip, delle notizie certe e non delle indiscrezioni: lo dice il direttore del Tg1 Augusto Minzolini, in un editoriale in cui stasera commenta le polemiche di questi giorni per la linea informativa scelta sul caso dell'inchiesta di Bari.

Proprio subito dopo una servizio da Bari, in cui parla l'avvocato di Tarantini e che riassume le vicende di questi giorni, Minzolini prende la parola al Tg1 per spiegare ai telespettatori la sua linea. "Voglio spiegarvi perchè - dice dalla sua scrivania - il Tg1 ha assunto una posizione prudente sull'ultimo gossip, l'ultimo pettegolezzo del momento, le famose cene o feste nelle residenze private del premier Berlusconi, Palazzo Grazioli e Villa Certosa. Dentro questa storia piena di allusioni, rancori personali, non c'è ancora una notizia certa nè un'ipotesi di reato che riguardi il premier e i suoi collaboratori".

Casi che a suo avviso vengono strumentalizzati, come quello che coinvolse l'allora presidente del Consiglio Romano Prodi per "la vicenda della foto di un suo collaboratore ripreso in una situazione scabrosa". Minzolini ha spiegato: "Ho visto celebri mangiapreti nelle vesti di novelli Savonarola".

Per il direttore del Tg1 "queste strumentalizzazioni, questi processi mediatici, non hanno nulla a che vedere con l'informazione del servizio pubblico. Questa è la linea che vi ho promesso fin dal primo giorno e che continuerò a garantirvi".


Mi viene un dubbio, e vado a cercare in un dizionario on-line la definizione di gossip, eccola:

gossip
[Enciclopedie - Enciclopedia generale]
gossip s. inglese usato in italiano come sm. (abbreviazione di
gossip writer, propr. scrittore da chiacchiera). Scrittore o giornalista incline alle descrizioni mondane, agli argomenti salottieri e spesso con spiccate attitudini alla maldicenza.

Ne deduco, che definire gossip, cioè chiacchiera, argomento maldicente da salotto, quello che si sta manifestando con vertiginosa e alluccinante manifestazione dell'arroganza del potere, sia lui un gossip! Se c'è uno che ha fatto "gossip" è proprio il TG1 con l'autointervista di Minzolini (e naturalmente coloro che sono d'accordo con lui)...

lunedì 22 giugno 2009

Strana sensazione

Ieri sono andato a votare, soprattutto per i referendum... Già prima del voto avevo una strana sensazione, percepivo che in qualche modo questi referendum assomigliavano alle elezioni del 6 aprile 1924 che sancì la vittoria del partito fascista...
Solo una analogia, certo, ma qualcosa di simile nell'aria c'è... Paura, timori infondati, idiosincresia leghista... Forse, resta comunque che mi dava fastidio anche il fatto che i più non capivano l'importanza di partecipare a questi referendum...
Comunque sia, qualche indizio in questa direzione ce l'avevo e continuo ad averlo... Quali?
Primo. Come mai gli italiani che vogliono un governo che governi, erano così assenteisti? Votare per l'abrogazione favorisce la formazione del bipartitismo e sostanzialmente eliminerebbe ciò di cui gli italiani continuamente si lamentano: il proliferare dei partitini... Chi allora li "ha convinti" a non votare i referendum? Hanno di colpo cambiato tutti idea? Strano!
Secondo: altra cosa che non capisco. Sul fallimento del referendum ci ha puntato soprattutto la Lega: possibile che gli italiani siano così felici di farla contenta?
Terzo. Arrivato al seggio (sezione elettorale 148 di via Giusti a Milano) colui che mi chiede i documenti mi domanda se intendo votare anche per i referendum... La cosa mi irrita perché semmai dovrei essere io a chiederlo non loro: la domanda puzza molto di "sollecitazione" visto che al seggio io sono presente... e per quale ragione avrei dovuto esserci se non per votare? La domanda in sé innocua aveva in sé un non so che di "provocazione"... al non voto. Insomma mi sembra che fosse un invito a lasciar perdere i referendum... Rispondo con fermezza e dico "certo"... E quello si mette a scrivere... L'altro collega, che non si era mai alzato e che aveva ben seguito la conversazione e non so cosa doveva anche lui scrivere, evidentemente duro di orecchi mi riformula la domanda (e fanno due), la terza (è una ragazza) arriva e si siede e riformula la domanda (e fanno 3!)... Io ho risposto solo alla prima e alla seconda, alla terza si sono risposti da sé... E io sono restato con una sensazione strana di aver vissuto qualcosa che non mi era mai capitata... Non solo le domande, ma che un numero così grande di persone si fossero occupate del mio voto... Ma non era finita...
Dopo il voto metto le schede nelle urne e ritiro i documenti, esco e con l'intenzione di non metterci più piede fino alle prossime elezioni... Non sono andato al seggio da solo, ma con un amico che molto più pignolo di me alla fine del voto, uscito dal seggio nel corridoio della scuola, controlla che sia stato posto il timbro sulla scheda elettorale e non lo trova... prendo la mia scheda e scopro che anche la mia scheda non ha il timbro... Rientriamo nel seggio e dal presidente del seggio ci facciamo mettere il timbro...
Non so cosa possa comportare il timbro o la sua assenza e se la sua assenza potesse favorire o rendere inverificabili eventuali brogli elettorali... Unite a questo il "teatrino" a cui ho assistito alla notizia "incredibile" che io volessi tutte le schede... e capite perché il tutto continua a lasciarci perplessi (me e l'amico)...

Io spero che la mia sensazione sia solo una sensazione... ma ora mi sento in obbligo di dirvi: andate a votare e votate quel che vi pare, ma non lasciate cadere nel nulla la possibilità di dire la vostra su qualcosa che nessuno ha il diritto di impedirvi di dirla (se non la vostra pigrizia, figlia della "disperazione"...).

venerdì 19 giugno 2009

Chi è dunque costui? …che le forze della natura gli obbediscono

Un mondo nuovo
Dopo il lungo e intenso ciclo pasquale torniamo con questa domenica alla lettura del Vangelo di Marco. E subito ci è riproposta la domanda centrale della sua catechesi: Chi è costui? Dopo le parabole che spiegano la forza misteriosa ed efficace della Parola seminata nel mondo, i discepoli sono coinvolti da Gesù in eventi che mettono alla prova “praticamente” la loro fede nella sua “potenza”: Gesù è “il Signore”, con uno strano dominio su tutto: sulle forze della natura (infatti il vento e il mare gli obbediscono 4,41 – cammina sulle acque 6,45); sui demòni (tutti ne erano meravigliati 5,20); sulle malattie mortali (emorroissa e anoressica 5); sulla cultura degli scribi e farisei (che sapienza è mai questa che gli è data? 6,2; 7,1ss). Ma i discepoli non riescono a capire (non capite ancora? 8,21). L’obiettivo del vangelo non sono i miracoli (occasionali e irripetibili), ma portare i discepoli a scoprire cosa vuol dire la fede in lui, scuoterli mentre sono immersi nelle vicende del mondo e della propria vita personale, in questa storia tribolata, dove siamo tutti dominati dall’angoscia e dalla paura di essere travolti e andare a fondo… Scopo dunque non è il miracolo, come toccasana che toglie il fedele devoto dai lacci della vita, come nei racconti pagani analoghi, ma la ri/fondazione della fede. Come imparare a seguire il Signore, dopo l’adesione a lui, quando lui sparisce dalla scena del mondo (dorme!), quando le forze del male sembrano prevalere e la paura ci intontisce?
La forza della natura, né intelligente, né matrigna
La natura non si preoccupa… dell’uomo! È l’uomo che proietta i suoi desideri, sentimenti e idee sulla natura. Mentre per la natura le leggi fisiche e chimiche, biologiche e psichiche, subatomiche e astronomiche non hanno proprio in conto l’uomo più di una farfalla - né che sia piccolo o grande, malvagio o innocente. Il problema di Giobbe, il problema del male nel mondo, è un problema strettamente umano, non è un problema della natura. Ma è nel contempo l’ingresso inevitabile al problema della fede, della ricerca di un’ulteriorità per svincolarsi dalla natura. Che sembra aver dentro di sé un limite, un’autoinsufficenza! L’uomo di oggi può esser convinto o meno, a differenza di quello antico, che proprio Dio, in qualche modo, abbia messo i confini al mondo, agli oceani e alle nebulose e sia comunque misteriosamente al principio e alla fine e al di dentro dell’esplosione di energia che da più di 13 miliardi di anni muove l’universo, ma rimane ugualmente muto di fronte alla realtà storica del male! La misteriosa finalità interna all’evoluzione della natura che a noi sembra di vedere nel cammino indecifrabile del cosmo, a un certo punto diventa “cultura”, quando l’uomo si scopre capace di manipolare la casa in cui è nato e trasforma lei e sé stesso… Un pezzo della natura diventa storia! E subito all’uomo brucia dentro il mistero del male: suo e di natura! Che non è anzitutto questione di fede o di ateismo, è prima una domanda radicale di senso. Ambedue questi atteggiamenti del cuore dell’uomo, fede e ateismo, sono tentativi di risposta alla stessa ineludibile domanda che morde il cuore di ognuno: importa a qualcuno che noi moriamo? – o invece sprofondiamo totalmente riassorbiti nel pozzo vuoto dalla natura? Gesù risponde con la sua vita e con il Vangelo a questa domanda, ma i discepoli non capiscono. Ancor meno capiranno quando lo scandalo e la delusione scaverà un abisso nel loro cuore sentendolo gridare anche lui, sulla croce, allo stesso modo, prima dell’urlo inarticolato della morte: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?
Una nuova proposta
Gesù tenta di traghettare i discepoli ad un’altra dimensione della vita, ad un’altra comprensione del male e della sofferenza: «Passiamo all’altra riva». Il racconto segna i passi del nostro ripetuto itinerario di maturazione cristiana. Dopo un giorno pesante, racconta Marco, mentre la gente era tanta che Gesù dovette entrare in una barca per non essere schiacciato dalla folla, finita la predicazione, domanda appunto di passare all’altra sponda, ma lungo la traversata si addormenta a poppa, la parte della barca che per prima va a fondo… La tempesta porta il discepolo alla disperazione che cova nel fondo di ogni uomo… di fronte alla vita che delude le sue attese. Gesù si sveglia non a causa delle onde, ma per il grido angosciato dei discepoli: «Non ti importa che moriamo?» Sistemate le cose, si rivolge ai suoi discepoli e dice loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Con la sua domanda cambia la direzione del racconto. L’attenzione non è più rivolta al prodigioso potere sulle forze della natura, ma alla fede del credente. Il discepolo, che ebbe abbastanza fede per staccarsi dalla folla e seguire Gesù, ora che è schierato dalla sua parte, deve imparare una diversa presenza del suo “Signore”. Il miracolo è solo per mostrare una volta per tutte che Gesù c’è anche quando non c’è! La fede matura è fiducia in lui anche nelle difficoltà e nelle sofferenze. È nello stile di Marco “offrire un messaggio di speranza alla Chiesa perseguitata e forse scoraggiata di fronte al silenzio del Cristo risorto. Insomma ogni cristiano viene avvertito che si può essere uomo di poca fede in due modi: c’è la poca fede di chi non ha il coraggio di lasciare tutto per Gesù, e c’è la poca fede di chi, avendo lasciato tutto per Gesù, pretende però (soprattutto nei momenti difficili) una presenza chiara del Signore, consolante, accompagnata da ripetute verifiche. È questa una fede ancora immatura, perché confonde il «silenzio» con l’assenza del Signore, confonde il permanere dell’opposizione con la sconfitta del Regno. E oltre che immatura è anche una fede poco coraggiosa, incapace di scelte nuove, rischiose secondo le cautele del buon senso dell’uomo, ma possibili per chi si affida alla potenza di Dio. Il vero discepolo però si sente al sicuro in compagnia del Signore, anche quando le difficoltà sono grandi e il Signore sembra dormire.” (B. Maggioni)
«Chi è quest’uomo?»
…a questo passo del cammino del discepolo s’impone la domanda che guida tutto il vangelo, la cui risposta è il Vangelo stesso. «Chi è costui a cui obbediscono perfino il mare ed il vento?» (come del resto – nelle pagine seguenti! le forze del male di ogni tipo… fisiche, biologiche, psichiche, demoniache, culturali, religiose…). Malgrado gli anni ormai trascorsi al suo seguito, i discepoli non sanno chi veramente è Gesù – ma la stessa domanda sgorga dal cuore di chiunque abbia cercato di seguirlo con qualche passione. Chi è dunque quest’uomo con cui mi sono imbarcato nella vita? Marco inizia il suo vangelo dicendo: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1). E lo conclude, nell’ora della morte di Gesù, con la dichiarazione del soldato romano: «Costui era veramente Figlio di Dio!». Dentro questo percorso i titoli e nomi che cercano di individuare questa misteriosa presenza sono tanti: Messia cioè Cristo, l’Unto, Signore, Figlio amato, Santo di Dio, Nazareno, Figlio dell’uomo, Sposo, Figlio di Dio, Figlio di Dio altissimo, Falegname, figlio di Maria, Profeta, Maestro o buon Maestro o Rabbuni, Figlio di Davide, Benedetto, Rabbi, Pastore, Figlio di Dio benedetto, Re dei Giudei, Re di Israele… Tutti questi titoli indicano un aspetto che insieme illumina e nasconde la sua figura… tant’è vero che Gesù stesso talora li mette in dubbio e li contesta, per denunciarne l’ambiguità che possono contenere. Ma ad un certo punto della vita il discepolo non può più eludere la domanda senza rinnegare e tradire se stesso, Gesù e la gente con cui vive: chi è Gesù per me?
L’amore di Cristo ci possiede…
Ma Paolo sembra ribaltare il problema, e si domanda piuttosto: chi sono io per Gesù? È Dio che ci ha amati per primo e ci ha donato il figlio per salvarcinell’affidamento a lui. Noi, dunque, non conosciamo più secondo la carne – e la carne è la natura! Anche se abitiamo pienamente in essa, che ci ha fatti, non siamo più soggiogati dalla sua “logica” deterministica di necessità. Perché questo vorrebbe dire lasciarci ancora rinchiudere nel nudo bisogno di affermazione della propria sopravvivenza. Per portarci infine alla consunzione della morte senza speranza, perché ciò che è nato dalla carne è carne. Oramai, invece siamo, presi (posseduti!) dall’interno da una nuova energia spirituale, non prodotta dai meccanismi di natura. Ed è l’amore di Cristo seminato in noi, come nuova spinta propulsiva (chiamata la forza dello Spirito At 1,8), esplosa, come suo dono, con la sua morte. Perché Gesù, superando la logica di paura della carne, è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi. Ha dunque aperto dentro la “natura” una nuova possibilità inedita, ha iscritto un nuovo gene nel DNA umano, che ci rende capaci di donare la vita, capaci di sbilanciarci dalla paura paralizzante alla fede operosa.
Le leggi “naturali” vanno avanti per il loro corso, ma non sono più assolute come catene che ci imprigionano nella schiavitù della paura! Ormai il cristiano sa chi è il Signore che misteriosamente le spezza e lo libera! E le rende “relative” e finalizzate al nuovo fermento profetico che Gesù attraverso il suo Spirito semina incessantemente nell’umanità… Solo la paura ci impedisce di svincolarci dal loro fascino ambiguo e alla fine idolatrico! Non è da ingenui o da poeti dire: siamo ormai una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. La novità di cui parla Paolo, come il “passare all’altra sponda” di Gesù, vuol dire dunque liberarsi dagli ormeggi che ci tengono legati e succubi dei condizionamenti della natura, della malattia, della cultura, delle credenze religiose (i demoni) e assillati dalle domande angoscianti: dorme? – gli importa che moriamo? Quale luce nuova questa qualità di fede apporterebbe ai dibattiti di oggi sulla legge naturale della morte e della vita, della sessualità e dell’economia, della sicurezza e dei respingimenti!… dove è chiaro che la cruda legge della necessità vede un’unica preoccupazione: conservare anzitutto se stessi, a tutti i costi (costi… “altrui”, naturalmente!). Nel Regno dell’umanità nuova nello Spirito, invece, l’unico assoluto non è più la legge naturale o positiva, ma anzitutto l’Amore seminato nei nostri cuori, perché proprio questo è il nucleo della fede: egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro.

giovedì 18 giugno 2009

La scintilla di Dio presente nella storia...

Che cosa mi sta insegnando quello che sta accadendo Iran?
1° che certe letture razziste sul mondo islamico sono alla prova dei fatti oltretutto stupide: il mondo islamico non è quel mondo monolitico che gli xenofobi di bassa lega vogliono farci credere: ils sont comme nous!...
2° che il principio cardine del sistema democratico, come quello del rispetto del responso del voto, è ormai un sentire comune a tutta l'umanità, senza distinzione di cultura e religione: Su questo l'umanità è già "una"!
3° che gli iraniani hanno una coscienza democratica più grande di noi italiani...
4° che la sete dell'uomo per ciò che egli intende esprimere con la parola "libertà", è più grande di ogni paura e più forte di ogni tortura.



Sono millenni che il potere di ogni colore e di ogni fede cerca di soffocarla o almeno addomesticarla, sembra a volte riuscirci, ma in realtà la obbliga a scavare in profondità e prima o poi essa riemerge, più chiara e più forte...

Ci hanno provato tutti: hanno creato sistemi sofisticati di controllo, dall'Inquisizione di ieri, alla manipolazione mediatica di oggi...
L'abbiamo creduta definitivamente morta, ma dopo qualche giorno è sempre risorta...

Sempre imperfetta e sempre perfettibile, impara dai propri errori... Piccola e fragile come un seme di senape, cresce e si sviluppa come un baobab africano alla cui ombra chiunque può riprendere vita per continuare il cammino...

Cresce, restando piccola; si rafforza, conservandosi fragile... Per questo ci custodisce solo se sappiamo custodirala!

Il suo volto, per chi osa guardarla negli occhi, è quello del Figlio; il suo cuore, per chi vuole posarvi il capo, è quello del Padre; il suo flusso, per chi accetta di viverne, si chiama Spirito...
In una parola, Dio è il suo nome e la sua eco è l'Uomo... E per tutti si chiama Libertà...

Non ha importanza allora se la storia sembrerà smentirci perché chi la invoca oggi, come spesso è accaduto, la soffocherà domani, ora sappiamo che è sua la vittoria e che il nostro sperare non sarà mai vano...

Ma la Provvidenza esiste?

È interessante notare come le diverse situazioni esistenziali in cui nel corso della vita incontriamo i testi biblici, in particolare evangelici, facciano cambiare le nostre reazioni, le nostre sottolineature, le nostre domande di fronte ad essi…
In questa dodicesima domenica del tempo ordinario la Chiesa ci invita infatti a riflettere sulla nostra fede nel Dio di Gesù Cristo, che dovrebbe pacificare ogni paura e preoccupazione: ma è diversissimo leggere questo brano in un momento in cui la storia ci ha ridato l’esperienza di una custodia, o leggerlo in una situazione di precarietà… Nel primo caso forse la reazione sarebbe quella di un affidamento entusiasta a questa parola, di un’iniezione di fiducia per il futuro… Nel secondo invece di un senso di promessa tradita (non sempre il vento cessa e il mare torna calmo) e dunque di rassegnata incredulità…
La Chiesa ha sempre fatto fatica a mettere a tema quest’aspetto così centrale della vita del credente: cioè, sciogliere la polarità tra fiducia nella cosiddetta Provvidenza e necessario rimboccarsi le maniche da parte dell’uomo (“Aiutati che il ciel t’aiuta” dice anche la saggezza popolare).


Ha fatto fatica anche perché nello stesso Vangelo pare emergere questa doppia linea parallela: citazioni come quelle di Mt 6,25-32 («Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno») e il loro parallelo in Lc 12,22-30 vanno chiaramente nella linea di un affidamento totale (quasi paradossale, perché mangiare, bere e vestirsi sono beni primari); mentre passi come Mt 5,25-26 («Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!») mettono in luce la necessità di un’operosità umana nella storia.
Il problema poi diventa radicale nel confronto con la vita: come affrontare le innumerevoli situazioni in cui ci veniamo a trovare? Come affrontare per esempio le fatiche, le sofferenze, le precarietà, le paure? Qualcuno si affida alla lettera alle parole di Gesù, mettendosi a pregare, chiedendo il “miracolo” come soluzione dei problemi (e non intendo tanto il “miracolo” nel senso di manifestazione del portentoso, ma come soluzione extra-umana dei problemi: dunque non solo una guarigione data per impossibile dai medici, ma anche il tentativo di incrementare le vocazioni pregando, dunque tentando di convincere Dio che questa sia la cosa giusta da fare, come se lui avesse bisogno dei nostri suggerimenti…); qualcuno addirittura con tutta la sua forza si dice testimone o oggetto di questo miracolo e invita, facendo pressioni morali, a credere nell’intervento provvidenziale di Dio; molti sono scettici rispetto a questa prospettiva, ma essa molto più di quanto sembra, non è affatto liquidata dalle nostre coscienze come un ingenuo infantilismo, ma insinua sempre nel nostro pregare, vivere, relazionarci un modo di pensare che in fin dei conti ci spera: “Ci penserà Dio”, si dice infatti quando non si sa più che fare… Eppure che questo modo di pensare sia infantile lo ribadisce in modo fin troppo cinico l’evidenza… ci sono schiere di madri che hanno pregato per la salvezza dei loro figli e non sono state esaudite… e questo fa crollare da sé l’impianto miracolistico di alcuni: non basta (anzi è di un’aberranza disumana) pensare che in quei casi il miracolo non è avvenuto perché queste donne han pregato male; o peggio che Dio ha ascoltato le loro preghiere, ma ha pensato meglio fare altrimenti. Che idea di Dio emerge da queste nostre considerazioni facilone? Per non parlare di quanti di fronte alla morte di un bambino, risolvono il dramma dicendo che c’è un angelo in più in paradiso, o che le anime belle Dio le vuole per sé… Ma queste sono bestemmie! Si sta dicendo di Dio che preferisce strappare un figlio alla madre per averlo per sé? Ma che Dio è? Io non ho un figlio, ma se dio mandasse all’inferno mia madre io seguirei lei, mica lui!
È altrettanto vero però, che bisogna stare attenti alla deriva opposta, quella di chi deluso o disilluso sull’intervento miracolistico di Dio, esclude tout court la sua azione intrastorica, gettandosi nel prassismo autoreferenziale del fare fare fare che tenta di mettere una pezza alle innumerevoli ferite della storia, credendosi per un attimo il salvatore del mondo… perché se Dio è di lassù, noi siamo quaggiù («I cieli sono i cieli del Signore, ma la terra l’ha data ai figli dell’uomo», Sal 115,16).
Interessante che siano entrambe derive cattolicissime (esempi dell’uno o dell’altro fronte si possono trovare abbastanza facilmente nelle nostre conventicole), l’una reazione e contro-reazione dell’altra. Infatti è proprio questo loro contrapporsi netto che ne denuncia l’inadeguatezza a pensare la vita, l’uomo, Dio, la loro relazione, perché è come se importassero l’una il difetto (comune) dell’altra. Sono le premesse di entrambe queste mentalità a essere deboli e dunque a rendere debole tutto il pensiero conseguente.
Ciò che infatti non è sufficientemente chiarito a monte è il significato della promessa fatta da Gesù riguardo alla custodia del Padre su ciascuno (quella che noi chiamiamo “Provvidenza”), dunque dell’identità stessa di Dio. Se ci pensiamo infatti noi al termine “Provvidenza” associamo subito l’idea di quella “potenza” che esaudisce le esigenze materiali di chi in lei crede: “Ci penserà la Provvidenza” a darci da magiare, a farci trovare una fontana d’acqua quando avremo sete; fino alle forme più banalizzanti per cui anche non avendo studiato: “Ci penserà la Provvidenza a farmi passare l’esame”, ecc…
Questa nostra associazione è però indebita: quando Gesù parla della custodia del Padre non ne parla mai in termini materialistici; quando dice di non preoccuparsi per il mangiare, il vestirsi, ecc… o quando – come nel vangelo di oggi – sgrida gli apostoli per la loro paura della tempesta, per la loro paura cioè di morire, dunque per la loro poca fede nella salvezza, non sta facendo di Dio o di se stesso una specie di macchinetta delle merendine per cui basta mettere la moneta (preghiera) che – tac – vien giù la schiacciatina (cioè l’esaudimento della richiesta). Dunque non è questa la fiducia che chiede: fiducia che se lo preghiamo viene assolta la richiesta. E non perché – come qualcuno tenta di dire per salvare dall’obiezione che di fatto non sempre le richieste sono esaudite – Dio è più grande, sa di più quindi se non ci esaudisce è perché sa che non è il nostro bene… Ma perché diversa è la qualità della relazione proposta, dunque della custodia.
Dio è Spirito, è amore, non agisce – diceva già Tommaso d’Aquino – sulle cause seconde. Non interviene a mischiare le carte in tavola, a deviare una freccia, a mettere un cromosoma in più in qualcuno, ecc…
È a un altro livello la sua interazione intrastorica: è al livello dello spirito. È nel cuore dell’uomo che avviene l’incontro: ecco perché l’invito a non temere per il cibo non vuol dire fregarsene delle proprie responsabilità, ma aderire univocamente al fatto che il volto di Dio è paterno, non malefico, non è un padrone. Il senso di quel testo è quello di far percepire come già dentro alla realtà (i gigli, gli uccelli) l’uomo possa intravedere il volto promettente di un Dio che è amore; e dunque sbilanciarsi nel dargli credito, nell’intraprendere con Lui una relazione che lo potrà portare alla Vita, cioè alla conformazione alla vita di Gesù, alla vita nell’amore, che è l’unica che dura in eterno, perché l’amore è l’unica cosa incorruttibile.
Allo stesso modo, il vangelo di questa domenica non sta lì ad indicare che Gesù preferiva continuare a dormire ed era un po’ scorbutico perché gli hanno interrotto il pisolino per una roba da niente, una tempesta che bastava avere un po’ di fede e – tac – era sedata… Piuttosto questo testo ha la pretesa di mettere in questione una domanda seria sull’interiorità dell’uomo: Siete persone che vivono determinate dalla paura della morte? Allora non solo non vivete (perché chi ha paura di morire ha anche paura di vivere), ma neanche potete dire di conoscere Dio, perlomeno il Dio di Gesù: Egli infatti – proprio per come ce l’ha raccontato Gesù – è colui nel quale la morte (e con essa il peccato, la limitatezza, l’inadeguatezza, ecc…) sono vinte. Per questo vivere non fa più paura e neanche morire: perché la nostra vita è in mano al Dio della Vita!
Il problema è allora a questo livello. Ecco perché le “soluzioni medie” non vanno bene: “credo nella Provvidenza, ma a scanso di equivoci ci penso un po’ anch’io”; “credo nella Provvidenza e se non interviene, sarà perché ho pregato male o perché ha pensato sia meglio così per me”; o viceversa: “va bene Dio, ma qui c’è da darsi da fare per il mondo, i poveri, ecc… lui è lassù noi siamo quaggiù…”. Non vanno bene perché, ancora una volta pensano l’uomo e Dio come slegati. Pretendono di parlare della relazione tra l’uomo e Dio (e dunque della pragmatica dell’uno e degli interventi dell’Altro) solo a posteriori, dopo aver definito a priori chi è l’uomo e chi è Dio.
In realtà la prospettiva evangelica è quella per cui non ci sono 2 piani separati, per cui quando serve una correzione nel piano naturale, il dito del soprannaturale tocca e risolve. Ma c’è un’unica realtà che è quella dell’uomo che non può essere senza Dio e contemporaneamente di Dio che non vuole essere senza l’uomo. Solo pensati originariamente in relazione le aporie in cui si incastrano i nostri discorsi sulla Provvidenza si risolvono. Se pensati originariamente in relazione infatti non ci potrà essere niente di quanto fa l’uomo in cui non ne va anche di Dio: e questo ridà piena responsabilità all’uomo, perché non c’è nessun intervento esterno che possa risolvere le cose; ma riafferma anche a gran voce l’intrastoricità dell’azione di Dio, che – proprio perché Spirito – permea ogni interstizio della drammatica umana.

La non notizia

Oltre Vasco, senza Vasco...



Voglio una vita maleducata
di quelle vite fatte, fatte così
voglio una vita che se ne frega
che se ne frega di tutto sì
voglio una vita che non è mai tardi
di quelle che non dormono mai
voglio una vita di quelle che non si sa mai.

E poi ci troveremo come le stars
a bere del whisky al Roxy bar
o forse non c'incontreremo mai
ognuno a rincorrere i suoi guai
ognuno col suo viaggio
ognuno diverso
e ognuno in fondo perso
dentro i fatti suoi!

Voglio una vita spericolata
voglio una vita come quelle dei film
voglio una vita esagerata
voglio una vita come Steve Mc Queen
voglio una vita che non è mai tardi
di quelle che non dormi mai
voglio una vita, la voglio piena di guai!!!

E poi ci troveremo come le stars
a bere del whisky al Roxy bar
oppure non c'incontreremo mai
ognuno a rincorrere i suoi guai
ognuno col suo viaggio
ognuno diverso
e ognuno in fondo perso
dentro i fatti suoi!

Voglio una vita maleducata
di quelle vite fatte così
voglio una vita che se ne frega
che se ne frega di tutto sì!!!
Voglio una vita che non è mai tardi
di quelle che non dormi mai
voglio una vita
vedrai che vita vedrai!!!

E poi ci troveremo come le star
a bere del whisky al Roxy bar
o forse non c'incontreremo mai
ognuno a rincorrere i suoi guai!!!

Voglio una vita spericolata
voglio una vita come quelle dei film
voglio una vita esagerata
voglio una vita come Steve Mc Queen
Voglio una vita maleducata
di quelle vite fatte così
voglio una vita che se ne frega
che se ne frega di tutto sì!!!




Una vita disordinata spinge sempre di più e sempre più in basso la leadership di Silvio Berlusconi. In un tunnel da cui il premier non riesce a venir fuori con decoro. Nel caleidoscopio delle verità rovesciate le ugole obbedienti accennano al consueto e oggi inefficace gioco mimetico. Creano "in vitro" un nuovo "caso" nella speranza che possa oscurare la realtà. S'inventano così artificialmente un "affare D'Alema" per alzare il polverone che confonda la vista. Complice il telegiornale più visto della Rai che, con la nuova direzione di un dipendente di Berlusconi, ha sostituito alle pulsioni gregarie di sempre una funzione più schiettamente servile.

Dicono i corifei e il Tg1: è stato lui, D'Alema, a parlare di possibili "scosse" in arrivo per il governo, come sapeva dell'inchiesta di Bari? Il ragionamento di D'Alema era con tutta evidenza soltanto politico. Chiunque peraltro avrebbe potuto cogliere lo stato di incertezza e vulnerabilità in cui è precipitata la leadership di Berlusconi che vede diminuire la fiducia che lo circonda a petto del maggiore consenso che raccoglie non lui personalmente - come ci ha abituato da quindici anni a questa parte - ma l'offerta politica della destra.

Legittimo attendersi che quel nuovo equilibrio - inatteso fino a sette settimane fa, fino alla sua visita a Casoria - avrebbe prodotto ai vertici di quel campo un disordine, quindi un riassestamento. In una formula, sussulti, tensioni, una nuova stabilità che avrebbe ridimensionato il gusto del plebiscito, un cesarismo amorfo che, come è stato scritto qui, ha creduto di sostituire "lo Stato con un uomo, il governo con il comando, la politica con il potere assoluto e carismatico".

Era questa idea di politica, questa fenomenologia del potere che, suggeriva D'Alema, riceverà presto delle "scosse" e gli esiti potrebbero essere drammatici.

Vediamo come questa storia trasmuta nella propaganda che manipola e distrae, ora che salta fuori come a Palazzo Grazioli, dove garrisce al vento il tricolore degli edifici di Stato, siano invitate per le cene e le feste di Berlusconi donne a pagamento, prostitute. Le maschere salmodiano la solita litania: l'opposizione, e il suo leader, più le immarcescibili toghe rosse di Magistratura democratica aggrediscono ancora il presidente del Consiglio. Ma è così?

I fatti fluttuano soltanto se la memoria deperisce. Se si ha a mente che è stato il ministro Raffaele Fitto, per primo, a suggerire che Berlusconi poteva essere coinvolto a Bari in un'inchiesta giudiziaria, si può concludere che non D'Alema, ma il governo sapeva del pericolo che incombeva sul premier e oggi lo rovescia in arma contro l'opposizione e, quel che conta di più, in nebbia per abbuiare quel che tutti hanno dinanzi agli occhi: Berlusconi è pericolosamente - per il Paese, per il governo, per le istituzioni, per i nostri alleati - vulnerabile. Le sue abitudini di vita e ossessioni personali (qual è il suo stato di salute?) lo espongono a pressioni e tensioni. A ricatti che il capo del governo è ormai palesemente incapace di prevedere e controllare, come ha fatto sempre in passato immaginando per se stesso un'eterna impunità.

È soltanto malinconico il tentativo del presidente del Consiglio e degli obbedienti corifei di liquidare questo affare come "spazzatura", come violazione della privacy presidenziale. Se il presidente riceve prostitute nelle sue residenze private diventate sedi del governo (è così per Villa Certosa e Palazzo Grazioli), la faccenda è pubblica, il "caso" è politico. Non lo si può più nascondere sotto il tappeto come fosse trascurabile polvere fino a quando ci sarà un giornalismo in grado di informare con decenza il Paese. Di raccontare che la vulnerabilità di Berlusconi è ormai una questione che interpella la credibilità delle istituzioni e minaccia la sicurezza nazionale.

Quante sono le ragazze che possono umiliare pubblicamente il capo del governo? Dove finiscono o dove possono finire le informazioni - e magari le registrazioni e le immagini - in loro possesso?

Da sette settimane (e a tre dal G8) non accade altro che un lento e progressivo disvelamento della vita disordinata del premier e della sua fragilità privata che si fa debolezza e indegnità della sfera pubblica. La festa di Casoria; le rivelazioni degli incontri con Noemi allora minorenne che lo costringono a mentire in tv; i book fotografici che gli vengono consegnati per scegliere i "volti angelici"; la cerchia di prosseneti che gli riempie palazzi e ville di donne a pagamento; migliaia di foto che lo ritraggono, solo, circondato da decine di ragazze di volta in volta diverse; i ricordi imbarazzati e imbarazzanti di capi di Stato che gli hanno fatto visita.

E ora, svelata dal Corriere della Sera, anche la confessione di una donna che è stata pagata per una cena e per una notte con in più la promessa di una candidatura alle Europee e poi in consiglio comunale. La storia può essere liquidata, come fa l'avvocato Ghedini, dicendo Berlusconi comunque non colpevole e in ogni caso soltanto "utilizzatore finale" come se una donna fosse sempre e soltanto un corpo e mai una persona?

Che cosa deve ancora accadere perché la politica, a cominciare da chi ha sempre sostenuto la leadership di Berlusconi, prenda atto che il capo del governo è vittima soltanto di se stesso? Che il suo silenzio non potrà durare in eterno? Che presto il capo del governo, trasformatosi in una sola notte da cigno in anatra zoppa, non è più la soluzione della crisi italiana, ma un problema in più per il Paese. Forse, il dilemma più grave e più drammatico se non si riuscirà a evitare che la crisi personale di una leadership divenga la tragedia di una nazione. di Giuseppe D'Avanzo in Repubblica.it

mercoledì 17 giugno 2009

Non solo D'Alema

Chi mi conosce e ha scambiato quattro chiacchiere con me, sa che da mesi, molto, ma molto prima delle elezioni e degli ultimi scandali veri o presunti tali, andavo predicendo la possibile "imminente" abdicazione del Re... Non c'era bisogno di essere delle "aquile" per vedere, tra l'altro, nelle continue prese di posizione "istituzionali" di qualcuno dei suoi "alleati", i possibili retroscena di una "conoscenza diversa" della realtà. Dovuta probabilmente a un flusso di informazioni alternativo a quello di noi comuni mortali... Interventi che, per il tenore e la frequenza, di fatto avevano lo scopo non solo di autolegittimarsi nell'eventualità di una sua necessaria sostituzione ma ne facevano presagire persino "l'imminenza"... Chi ha orecchi da intendere intenda! ;o)

sabato 13 giugno 2009

Mani schifate

Per non dimenticare...


Quei guanti di lattice, che servono a non toccare l'orrore, sono come il nostro pensiero, come i nostri ragionamenti sull'immigrazione-sì e l'immigrazione-no, le quote, i conteggi, i controlli, le leggi. Le guardie di finanza usano guanti di gomma e noi usiamo guanti mentali. Proprio come loro li indossiamo per non entrare in contatto con il male fisico, con la sofferenza dei corpi.

Ma bastano una, due, tre foto come queste per farci scoprire la fisicità. Le guardiamo infatti senza più la mediazione della logica, ne percepiamo l'efferatezza e la bruttura. E saltano i ragionamenti, non c'è più bibliografia, spariscono i distinguo del "però questo è un problema complesso". Ecco dunque la banalissima verità che sta dietro ai nostri dibattiti, al nostro accapigliarci sull'identità e sulle frontiere: stiamo buttando fuori a calci in faccia dei poveretti che ci pregano in ginocchio stringendo le mani delle nostre guardie di finanza, mani schifate e dunque inguantate.

E ci cade a terra anche la penna perché l'occhio è molto più veloce e diretto dell'intelligenza con la quale siamo abituati a mentalizzare il mondo. Ci cade la penna perché capire e spiegare è già tradire l'orrore, significa infatti infilarsi il guanto dell'orientamento politico, dei libri che abbiamo letto, della nostra battaglia contro la xenofobia, significa parlare dell'esplosione demografica e del deflusso inarrestabile dell'umanità dai paesi dell'infelicità a quelli dell'abbondanza... E invece qui non si tratta né di cultura né di generosità, qui il pensiero si mostra per quel che è: un guanto di lattice, appunto.

Qui ci sono da un lato i corpi tozzi, grassi e forti della Legge, la nostra legge, e dall'altro lato i corpi umiliati e maltrattati dei disperati che non vogliamo in casa nostra e che respingiamo. E nella loro sofferenza c'è un surplus di mistero che non si esprime necessariamente nella magrezza e nelle cicatrici perché - guardateli bene - quei corpi avviliti sono ben più vigorosi dei corpi sformati degli aguzzini che ci rappresentano, degli italiani "brava gente" con il manganello. Sembrano addirittura più sani, certamente sono più vivi.

Dunque ancora una volta è l'occhio l'organo vincente. Ancora una volta scopriamo che la mente ci abitua a non vedere le cose. E' infatti facile dire che in casa nostra devono entrare solo quelli che hanno un permesso di lavoro e che ci vuole un legge per facilitare le espulsioni dei clandestini. Grazie alle foto dei reporter di Paris Match ora sappiamo che tutto questo significa una scarponata sulle dita di una mano aggrappata alla murate di un'imbarcazione, o un pugno sui denti o...

A Porta a Porta o a Ballarò si può trovare una motivazione per tutto, si può spiegare ogni cosa. Ma davanti a queste foto ragionare diventa un crampo. Guardate che cosa è la fisicità della politica della dolce e bella Italia: respingere a calci, prendere di peso gli infelici e buttarli fuori dalla Bovienzo che fa servizio da Lampedusa a Tripoli, portarli davanti alle coste libiche e far credere loro che è ancora Italia, trascinarli a terra nudi. E non sono foto di scena, immagini di un film, non sono finzioni. E' davvero questa la nostra politica, con un rapporto stretto tra quello che qui stiamo vedendo e quello che qui non si vede. La nave Bovienzo infatti è come le nostre strade di notte dove piccole creature nere si vendono ai camionisti. La Bovienzo è la violenza sulle donne, anche quella che ci viene restituita in forma di stupro. La Bovienzo sono i soprusi e il disprezzo per i miserabili. La Bovienzo sono le ronde razziste e i barboni bruciati. La Bovienzo è l'Italia dei mille divieti e dei mille egoismi. La Bovienzo è l'Italia generosa che è diventata feroce per paura. La Bovienzo è l'Italia che guardando queste foto si riconosce irriconoscibile: ma davvero siamo noi? di Francesco Merlo in Repubblica.it
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