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mercoledì 27 aprile 2016

VI Domenica di Pasqua


Dagli Atti degli Apostoli (At 15,1-2.22-29)

In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati». Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agl’idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».

 

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 21,10-14.22-23)

L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,23-29)

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

 

Le letture che la liturgia ci propone per questa Sesta Domenica di Pasqua mostrano uno spaccato della prima comunità cristiana, l’idea di Chiesa che si aveva.

È una Chiesa al cui centro c’è la parola: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».

È una Chiesa senza templi: «In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio».

È una Chiesa in cui le decisioni vengono prese dallo Spirito santo e noi: «È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi…».

Queste pilastri meritano di essere approfonditi.

Innanzitutto va detto che tutti e tre si fondano sulla presenza di Dio: è sua la parola da osservare (cioè da ascoltare, conoscere, studiare, sedimentare, incarnare), è lui il tempio che abilita una vita senza templi, è suo lo Spirito che insieme a noi decide.

In altre parole: è la rivelazione che Gesù ci ha fatto del volto di Dio che permette di riscrivere la vita personale e la vita comunitaria su nuove basi (diverse da quelle precedenti, diverse anche da quelle proposte dalla religiosità classica, innata…), proprio perché l’annuncio cristiano ha in sé quella novità di cui si parlava domenica scorsa. Se Dio è così e non più quello che si è sempre pensato, anche il mio modo di pensare me stesso, gli altri, le relazioni non può più essere lo stesso.

Per questo al centro della vita ecclesiale deve esserci la parola di Dio, perché il legame con la sorgente della novità non deve essere dimenticato, perso, annacquato.

L’aspetto curioso è che, mentre nel vecchio modo di pensare, si riteneva che la parola di Dio fosse da osservare per avere come contraccambio il suo amore (o per lo meno per evitare le sue punizioni e magari ottenere qualche grazia), qui la logica è completamente capovolta: la parola di Dio non va osservata per così essere da lui amati, ma la si osserva perché lo si ama. Chi ama Dio, osserva la sua parola. Ciò che fonda la relazione non è l’osservanza per paura, ma l’amore. È, cioè, accogliendo il volto amante di Dio proposto da Gesù che si può accedere ad una relazione che non fa paura, ma che ha i tratti dei rapporti in cui ci si vuole bene… E quando ci si vuole bene, ci si ascolta, si presta credito alla parola altrui, si fonda addirittura la vita sulla quella parola.

È poi proprio questa relazione d’amore che consente all’uomo di staccarsi dalle finte, ma tangibili sicurezze che danno le pietre, le statue, gli oggetti sacralizzati… gli idoli. Non c’è bisogno di nessun tempio, perché il tempio è Dio, è la relazione di bene in cui ci propone di entrare e restare… una relazione di bene, che – come ci suggeriva il comandamento nuovo – non è mai bilaterale, ma sversa sempre di lato, sul mio fratello, umano come me.

Per questo le decisioni non sono mai calate dall’alto, ma vanno ogni volta pensate, discusse, riviste dentro alla storia. Dire che le decisioni ecclesiali sono prese dallo Spirito santo e noi, non vuol dire – come a volte sembra che qualcuno pensi – mettersi intorno ad un tavolo, in silenzio, dire una preghierina e aspettare l’ispirazione…

Se si leggono i versetti, che la liturgia necessariamente deve omettere, si scoprirà che il primo Concilio della storia della Chiesa, il Concilio di Gerusalemme, è stato tutt’altro che un incontro di quel tipo: gli apostoli hanno discusso animatamente, duramente, usando passione, testa, lacrime, sudore, innervosimenti e tutte le cose che si usano quando si discute.

Cosa vuol dire che hanno deciso con lo Spirito santo? Che nel discutere hanno cercato di far tralucere dai loro ragionamenti, dalle loro convinzioni, dai loro moti appassionati il modo in cui Gesù avrebbe guardato alla medesima questione. Decidere con lo Spirito vuol dire fare memoria di chi è stato Gesù, di come si è posto nelle vicende di questa terra; vuol dire provare a guardare i problemi (e soprattutto le persone coinvolte) con il suo sguardo, con il suo cuore, con il suo spirito (appunto)…

Nelle prossime domeniche (festa dell’Ascensione e di Pentecoste) avremo modo di tornare sullo Spirito, ma già da ora mi sembra importante mettere lì il primo mattoncino: lo Spirito non è qualcosa di staccato né da Gesù e dal Padre (un solo Dio in tre persone), né da noi (dice infatti Gesù: «noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui», cioè presso l’uomo); non è una “cosa” estrinseca e occulta che non si sa bene come e quando colpisce, come una specie di secchiata illuminante che si riversa in testa a qualcuno in certe circostanze.

Si chiama Spirito proprio perché attraversa le viscere, le molecole, i nervi, la materia grigia, così come “fanno” i pensieri, i sentimenti, le emozioni… e con essi si mischia, si immischia, discute, partorisce decisioni…

Mi piacerebbe che le comunità ecclesiali, in questo tempo di diminuzione numerica, di crisi, ecc… provassero a ristrutturarsi su questi tre pilastri: la parola al centro, l’assenza di templi di pietra che distolgono dall’unico vero tempio della relazione con Dio e coi fratelli, le discussioni appassionate che partoriscano decisioni prese dallo Spirito santo e noi… dovremmo dire “decisioni spirituali”, se la parola non ci facesse subito venire in mente l’ultimo posto in cui abbiamo fatto un ritiro…

È un bel lavorio… lo suggerisce anche il fatto che quest’anno la VI Domenica di Pasqua cade il 1° maggio…

Dunque, buona festa dei lavoratori e buon lavoro.

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