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venerdì 25 marzo 2011

III Domenica di Quaresima: Il Signore è in mezzo a noi sì o no?

Le letture che la Chiesa ci propone in questa terza domenica di Quaresima sono talmente ricche da rendere impossibile un’indagine approfondita di tutto ciò che mettono in campo. Per questo mi limito a delineare uno dei possibili percorsi a cui esse ci aprono, e cioè: è soltanto facendo esperienza (e facendo poi memoria) del Signore che mi incontra nel più intimo di me (Gv 4,5-42), che Egli può essere tolto dal banco degli imputati (Es 17,3-7), dov’è guardato con sospetto come un lui qualunque, e diventare un Tu con cui Vivere la vita (Rm 5,1-2.5-8). Cerco di spiegarmi… a partire dall’esperienza del popolo di Israele nel deserto: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». Ecco la domanda inquisitoria nei confronti di Dio che crea un evidente “ribaltamento” dei ruoli “classici” (di solito è dio che mette alla prova l’uomo!): qui invece il deserto, da terra di prova per la fede dell’uomo, diventa luogo dove in discussione vi è Dio in persona.


«Il Signore è in mezzo a noi sì o no?»… è la domanda di Israele nel deserto, ma non è certo una domanda che noi possiamo permetterci di guardare con sufficienza o superiorità: quante volte infatti è salita in gola anche a noi? Soprattutto proprio in quei momenti in cui, come si dice del popolo, si «soffriva la sete per mancanza di acqua»?

Per ognuno certamente l’esperienza del deserto e della sete assume contorni e sfumature personalissime, l’acqua che manca è per ciascuno connotata in modo singolarissimo, ma – mantenendo il paragone – non si può negare che quello della mancanza di acqua sia proprio un tratto caratteristico di questa nostra vita umana, di tutti e di ciascuno. «il credente fa fatica a scoprire il presente di Dio. E quindi va in crisi ad ogni sofferenza e si ribella: il Signore è in mezzo a noi o no? Rischia di regredire nella religione come schiavitù o di fuggir nel futuro apocalittico. Ma il Signore non vuole servi. Si offre come amico, che è presente adesso: io ci sono! è sempre la sua risposta» [Giuliano].
Ma non solo: comune a tutti e a ciascuno pare anche, almeno tendenzialmente, la reazione a questa carenza di acqua, di vita. Essa si connota infatti umanamente con l’inquisire Dio: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». È lui il primo imputato del nostro male di vivere, dei nostri stenti, delle nostre infelicità e solitudini, delle nostre povertà e miserie, dei nostri lutti… della nostra sete di Vita: Dov’era Dio? Interessante a questo proposito è notare come la domanda «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?» sia come urlata ad un cielo vuoto: non è rivolta a Mosè, né a nessun altro membro del popolo; e non è rivolta nemmeno a Dio stesso; Egli vi è infatti citato alla terza persona… Ed è interessante perché rimanda ad un’altra domanda – urlata da una croce – che interrogherà il cielo: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Anch’essa è la domanda di uno che ha sete (sete di vita), di uno che dispera, di uno che muore… ma – a differenza di quell’altra – è una domanda che, anche nel grido dello strazio, tiene aperto il dialogo con il Padre. È infatti la domanda di uno che continua comunque a dargli del Tu, a interpellarlo in prima persona.

È proprio questa la novità cristica, la sua risposta al nostro umanissimo istinto di mettere in discussione Dio: o Dio lo incontri nel dramma della libertà storica di Gesù, o, se rimane un’impalcatura religiosa, un insieme di pratiche e devozioni, non ti disseta, non ti salva, non ti dà Vita; resta sempre un idolo in terza persona… cioè uno sconosciuto.

In questo senso è significativo che il liturgista abbia posto in connessione alla sete di Israele nel deserto, il dialogo che Gesù intrattiene con la Samaritana sull’acqua viva che zampilla per la vita eterna.

Questo incontro tra la libertà storica di questo uomo – che possiede in sé la fonte della Vita – e questa donna – che invece ha in sé la fonte della sete – è così coinvolgente perché non rappresenta un esempio edificante, un modello stereotipo del rivolgersi al Signore. Esso è piuttosto raccontato nel suo snodarsi, nel suo svolgersi reale; e in questo senso noi lettori siamo come catturati dentro alla scena, dove «il prototipo della fede... è la donna di tanti mariti! ... presso un antico pozzo biblico, a mezzogiorno, fuori orario per andare ad un pozzo, arriva infatti una donna mai vista prima, razza e religione diverse e conflittuali... Gesù, seduto lì, spossato dal viaggio, inizia un approccio sorprendente per lei (e anche per i discepoli, dopo). Un dialogo... come si impara una lingua ignota in terra straniera. Partendo dall’esperienza comune delle cose semplici e concrete, evidenti a tutte due, provoca l’intuizione di un significato nuovo, per successive ambiguità e spiegazioni, equivoci e chiarimenti. Smonta dolcemente un’impalcatura interiore di paure e pregiudizi, bisogni e desideri, legami e rimorsi... e le fa intravedere e le induce nel cuore una costellazione di orizzonti nuovi... e infine un totale sconvolgimento della vita. Attraverso il sentiero difficile dei fraintendimenti: l’acqua e la sete, l’amore e i mariti, Dio e la sua casa, il messia e il suo vangelo, il pane e la fame, il missionario e il salvatore... sono i passi di questa privilegiata catecumena, alla quale un catechista d’eccezione insegna il cammino per diventare... discepola e apostola, come lui la sogna. Un arduo viaggio interiore, per portarla a disseppellire una sorgente d’acqua viva per la sua sete, non chissà dove, ma nel proprio intimo, scavando nei sedimenti induriti che le impediscono la conoscenza di sé e quindi la conoscenza di Dio. Le due immagini infatti sono speculari dentro di noi, e solo nella purificazione e ricostruzione della propria immagine di sé s’illumina l’immagine di Dio, e viceversa. Il racconto vivace dei desideri e delle resistenze, dello stupore e delle riluttanze di questa donna, segna in filigrana i passi critici della fede» [Giuliano].

Così al seguito di questa donna anche noi abbiamo, ancora una volta, la possibilità di accedere al mistero dell’identità di Gesù vedendolo in azione, dal di dentro della sua vita: Egli è accessibile anche ai peccatori! In queste pagine infatti si rivela qualcosa di eccezionale: Dio è quel Gesù che camminando per le strade della Samaria si incontra (e qui il verbo va preso nel senso forte di “si mischia l’anima”) con una donna («Giunge una donna»), una donna considerata eretica («una donna samaritana»), un’eretica peccatrice («Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero») e proprio a lei si rende accessibile come fonte della Vita: «Sono io, che parlo con te». Ecco perché è possibile anche per noi metterci nella nuova prospettiva (convertirci) che «viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. [...] Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità».

Non è più questione di appartenenza etnica, religiosa, di genere, di casta, di santità... L’incontro col Signore è questione di spirito e di verità, o, se volete, di verità di spirito: cioè è questione di lasciarsi incontrare nella trasparenza del proprio essere, di quel centro vitale in cui noi siamo proprio noi... O Dio lo si incontra lì nel nucleo vitale della nostra singolarità, o non è Dio, di certo non è il Signore della mia vita, non può essere la fonte che mi dà Vita. È questa la nuova via aperta da Gesù nell’incontro col Padre: «noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo [...] perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato». E non tengono più neanche le remore etiche che ci facciamo o che ci mettono addosso: «Infatti, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi». Non c’è scusa per non avventurar la vita sulle strade di questa amicizia... neanche il male commesso fa più da ostacolo... nel poter lasciarsi zampillare l’anima.

Infatti: «L’amore non funziona perché non si apre all’altro, ma cerca se stesso, cioè la propria immagine e il proprio soddisfacimento. Non incontrando nessuno che lo ami, la sete insaziata moltiplica i tentativi di dissetarsi e la conseguente frustrazione... Anziché patire una grande sete, sembra più comodo inseguirne molte, piccole e inappaganti. Gesù non rimprovera la donna per i cinque mariti, le fa osservare la sua situazione senza aggressione moralistica... Sa che non ha imparato ad amare, perché nessuno l’ha mai amata gratuitamente, in perdita – per amore! È apprendimento più difficile e più importante della vita. Si impara ad amare per contagio, per esser venuti in contatto con chi ti fa sperimentare che amare vuol dire consegnarsi alla sete dell’altro. Questo amore accende una nuova dinamica interiore, che ha il suo senso e la sua garanzia in se stessa. Lo sappia o no, si è incendiata ad un Amore che genera e nutre ogni amore, senza fine» [Giuliano].

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