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sabato 5 marzo 2011

IX Domenica del Tempo Ordinario: Vivere come Dio comanda!

Le letture che la Chiesa ci propone per questa nona domenica del Tempo Ordinario – l’ultima prima che inizi la Quaresima –, mi pare, propongano una vasta serie di spunti per la riflessione. Mi piacerebbe oggi soffermarmi su un paio di essi.


Innanzitutto quello che emerge dalla prima lettura e dall’ultima parte del vangelo (che coincide con l’ultima parte del Discorso della montagna), e cioè una riflessione sul ruolo della Legge (della Parola di Dio) nella vita del credente.

In questi testi infatti si legge: «Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione: la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione, se non obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio» e «chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».

Sono frasi che paiono indicare come – in qualche modo – la corretta modalità per guardare alla Legge (Parola) di Dio non sia quella “retributiva”, che vede nelle indicazioni di Dio dei moniti, trasgrediti i quali si incorre – come contropartita – in una punizione; quanto piuttosto quella “indicativa”, che vede nei comandamenti di Dio quei consigli che amichevolmente (o paternamente) Dio dà per vivere una vita buona. A chi li segue, Dio pare assicurare una buona riuscita della vita (una felicità – beatitudine – per la persona che, vivendo, si costruisce, si diventa); mentre a chi non li segue – per seguire altre vie («vi allontanerete dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri, che voi non avete conosciuto») – Dio non promette una punizione… semplicemente non assicura una buona riuscita: quelle sono altre vie, non le sue; legittime e possibili, ma – che dal suo punto di vista – conducono ad un probabile franare della propria consistenza interiore.

Questa precisazione non mi pare cosa da poco, perché – anzi – riscrive totalmente il modo di concepire Dio, il suo modo di proporsi all’uomo e il nostro modo di relazionarci a Lui. Perché se la sua Parola non è l’imposizione di un dio anonimo e lontano, di un legislatore freddo e distante, incurante delle nostre persone e preoccupato solo che i suoi dettami vengano osservati, ma è il consiglio di un amico-Padre che dice quel che dice perché ci ha a cuore (ha a cuore il nostro destino), allora anche il nostro modo di porci di fronte ad essa cambia radicalmente. In particolare vien meno il presupposto che abilita e fomenta la necessità di una ribellione ad una legge sulla nostra vita posta da qualcun che non siamo noi (e che prende solitamente le sembianze di un tiranno), per far nascere piuttosto un atteggiamento di ascolto e di buona disposizione verso quanto ha da dirci…
È l’esperienza che comunemente facciamo quando nella nostra vita ci si avvicina qualcuno con cui non abbiamo o a cui non riconosciamo nessun rapporto profondo (perché non si è mai interessato a noi) e che vuole imporci la sua visione delle cose, i suoi dettami, le sue leggi… spesso i nostri adolescenti sentono così l’avvicinarsi degli adulti… per quello si ribellano… e anche noi ci ribelliamo. Che però è proprio un’esperienza diversa rispetto a quando veniamo/vengono approcciati da qualcuno che stimiamo/stimano, da cui ci sappiamo/si sanno voluti bene, per i quali nutriamo/nutrono una fiducia… Quando infatti è qualcuno così che si avvicina (un volto amico, paterno, fraterno…), allora la reazione è diversa. Scatta un ascolto diverso di quanto ha da dirci, consigliarci, suggerirci…

Il dramma cristiano è che Dio è stato troppo spesso presentato con i tratti della prima esperienza e non di quest’ultima… Per ciò la gente si ribella… noi ci ribelliamo…

In realtà da tutta la testimonianza biblica e in particolare neotestamentaria, Dio ha un’altra faccia e un altro cuore… è Colui che – appunto – propone amichevolmente/paternamente una via all’uomo perché questi possa essere felice… Dal nostro osservare la sua Legge infatti Dio non ci guadagna niente (non è che diventa più Dio!), siamo noi che diventiamo più uomini!

Ecco perché il grande inquisitore dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij rimprovera a Gesù proprio questo: «Invece di impadronirti della libertà degli uomini. Tu l’hai ancora accresciuta! Avevi forse dimenticato che la tranquillità e perfino la morte è all’uomo più cara della libera scelta fra il bene ed il male? Nulla è per l’uomo più seducente che la libertà della sua coscienza, ma nulla anche è più tormentoso. Ed ecco che, in luogo di saldi principi, per acquetare la coscienza umana una volta per sempre, Tu hai scelto tutto quello che c’è di più inconsueto, enigmatico e impreciso, hai scelto tutto quello che superava le forze degli uomini, e hai perciò agito come se Tu non li amassi per nulla, e chi mai ha fatto questo? Colui che era venuto a dare per essi la Sua vita! Invece d’impadronirti della libertà umana, Tu l’hai moltiplicata e hai per sempre gravato col peso dei suoi tormenti la vita morale dell’uomo. Tu volesti il libero amore dell’uomo, perché Ti seguisse liberamente, attratto e conquistato da Te. In luogo di seguire la salda legge antica, l’uomo doveva per l’avvenire decidere da sé liberamente, che cosa fosse bene che cosa fosse male, avendo dinanzi come guida la sola Tua immagine».

Ecco – dunque – cos’era (cos’è!) la Parola di Dio: la sua immagine… il suo volto amichevole e paterno che consiglia all’uomo come costruire una vita buona…

Che non è il mito dell’uomo artefice del suo destino… Per chi è nato dopo le stragi del Novecento (ma forse anche per tutte le altre generazioni di uomini), questo è un disinganno ormai superato… Certo è però quello che suggeriva Etty Hillesum: «Mi sembra presuntuoso che un uomo possa determinare il proprio destino dall’interno. Quel che invece un uomo ha in mano è il proprio orientamento interiore verso il destino». È qui che “lavora” la Parola di Dio… è qui che quel volto conquista… è qui che l’uomo deve decidere per cosa (per Chi!) decidersi…

Ma è qui anche che si apre il secondo fronte di riflessione di quest’oggi… perché il problema che la prima parte del vangelo inaugura, con quel suo «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli», è conseguente a quanto abbiamo appena finito di dire: non basta ascoltare quella Parola, lasciarsi affascinare da quel volto, invocarlo come “Signore” della nostra vita, riconoscere buona la sua volontà… bisogna anche farla!

La questione sembra allora quella del “che cosa è più importante fare?”: pregare o fare le opere; andare a messa tutti i giorni o darsi da fare per i poveri; stare chiusi in monastero o andare in missione?

Sono i “luoghi comuni” che spesso sentiamo, con i rispettivi schieramenti… Qualcuno che cita l’episodio di Marta e Maria per dire che è più importante andare a messa o far la monaca di clausura… Qualcuno che cita le dispute sul sabato per dire che è più importante il bene fatto alle persone che l’osservanza dei precetti religiosi…

E anche la Scrittura non pare venire in grande aiuto se san Paolo dice, per esempio nella seconda lettura di oggi: «Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge»; e Giacomo risponde: A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? (Gc 2,14)…

Si tratta dunque di una questione insolubile? Io credo si tratti semplicemente di una questione mal posta… Le “opere” e il “cuore” nell’antropologia del NT non sono divise, tanto meno in contrapposizione. Piuttosto sono le une espressione dell’altro e viceversa… è solo la riflessione culturale successiva (più analitica che sintetica) che divide (per analizzare), senza riuscire più ad unire…

Ma basterebbe questa osservazione empirica (mutuata dalla rinnovata antropologia del XX secolo) a risolvere il problema che non c’è, cioè a riformulare la questione in modo che si sgonfi da sé l’apparente contraddizione:

- Le opere che facciamo rivelano chi siamo (Gesù ha appena finito di dire «Dai loro frutti li riconoscerete» e, commenta Maggioni: «è dalla vita quotidiana che si deduce se abbiamo o no un solo padrone, è dalla vita quotidiana che si comprende quale sia davvero il nostro Signore», da il racconto di Matteo, 104);

- Ma anche… siamo/diventiamo ciò che facciamo (non a caso la filosofia del Novecento riconosce come l’uomo sia prima azione e poi riflessione… C’è sempre un primato dell’agire sul pensare, che certo poi entra come in un circolo biunivoco, ma… basti guardare ad un bambino… prima succhia il latte dalla mamma… e poi la riconosce – riflessivamente – “mamma!”…).

Questo per dire che è un finto enigma quello del primato delle opere o della disposizione del cuore… un enigma figlio anch’esso dell’ansia di sapere “Cosa devo fare per salvarmi la vita? Per far più felice Dio? Dunque per non incorrere nella sua punizione? Pregarlo 10 volte al giorno o fare 10 opere di carità?”… È cioè figlio di quella stessa errata mentalità che mi fa sentire la Legge di Dio come oppressiva…

La questione allora è forse molto meglio prenderla (o per lo meno più evangelico prenderla) da quest’altro lato: se il Dio che ci ha rivelato Gesù è un Padre amico che ha come unica preoccupazione la buona riuscita della nostra vita, cioè l’umanizzazione della nostra interiorità, la costruzione di una nostra consistenza amante e per far ciò ci dà una via da seguire (che è la vita di suo figlio!) senza che gli vengano minimamente in testa punizioni o retro pensieri, forse val davvero la pena di dargli fiducia e provare a mollare gli ormeggi, per vivere “come Dio comanda”!

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