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Visualizzazione post con etichetta Matteo (Vangelo). Mostra tutti i post
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lunedì 10 novembre 2014

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro dei Proverbi (Pr 31,10-13.19-20.30-31)
Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Stende la sua mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero. Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città.
 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési (1Ts 5,1-6)
Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.
 
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 25,14-30)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
 
Il testo che la liturgia ci propone per questa 33^ Domenica del Tempo Ordinario è quello della parabola dei talenti. Essendo un testo molto noto, usato spesso nelle aule del catechismo e anche in quelle dell’educazione laica per insegnare ai bambini che devono imparare a mettere a frutto le loro capacità e non passare la vita bighellonando, rischia di essere frainteso.
Perché, per quanto la morale della favola ricavata dal buon senso comune che invita tutti all’operosità sia un messaggio condivisibile, in realtà il testo del vangelo è un po’ più complesso, come pure il suo messaggio.
Innanzitutto il brano va collocato nel suo contesto. Siamo al capitolo 25 di Matteo, che sta sviluppando il discorso escatologico (capp. 24 e 25), l’ultimo dei 5 grandi discorsi contenuti nel Primo vangelo, quello che fa riferimento alle “cose ultime”, cioè al fine della storia; collocato non a caso immediatamente prima dell’inizio del racconto della passione.
Siamo dunque in questa atmosfera, tanto che il padrone che ritorna dal viaggio e vuole regolare i conti coi suoi servi è stato assimilato a Dio che alla fine della storia o della nostra vita regolerà i conti con noi.
Il discorso è dunque quello del “giudizio” sul nostro operare.
Ma andiamo con ordine, perché – avendo sentito così tante volte questo testo – ci viene fin troppo facile far correre la mente e pensare: eh già, si parla del giudizio; il Signore ha dato a ciascuno delle doti e se le mettiamo a frutto, bene (andremo in paradiso), se le nascondiamo sotto la sabbia, male (andremo all’inferno).
Invece, vorrei che provassimo ad arrestare la mente che corre e provare a guardare un po’ più da vicino il testo.
Innanzitutto dal punto di vista semantico.

lunedì 20 ottobre 2014

XXX Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro dell’Èsodo (Es 22,20-26)

Così dice il Signore: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso».

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési (1Ts 1,5-10)

Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedònia e dell’Acàia. Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 22,34-40)

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

 

Il vangelo che la liturgia ci propone per questa Trentesima Domenica del Tempo Ordinario, segue, saltando pochi versetti (l’episodio dei sadducei che interrogano Gesù sulla risurrezione, Mt 22,13-33), quelli delle settimane scorse. Siamo sempre a Gerusalemme e sempre nello stesso contesto di tensione con i capi religiosi ebrei.

Il brano di Mt 22,34-40, quello odierno, propone infatti nuovamente il tentativo di uno dei gruppi religiosamente più intransigenti di Israele, di mettere alla prova Gesù: tornano infatti alla carica i farisei, già messi a tacere – come ci raccontava la liturgia di settimana scorsa – in occasione della discussione sul tributo a Cesare (Mt 22,15-22): essi ripropongono ora capziosamente una nuova domanda a Gesù: «Qual è il grande comandamento?».

lunedì 13 ottobre 2014

XXIX Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 45,1.4-6)

Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Per amore di Giacobbe, mio servo, e d’Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio; ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall’oriente e dall’occidente che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri».

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési (1Ts 1,1-5)

Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicési che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace. Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro. Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 22,15-21)

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Il brano del vangelo di Matteo proposto dalla Chiesa in questa Ventinovesima Domenica del Tempo Ordinario, è molto famoso… spessissimo, infatti, soprattutto negli ultimi anni, è stato da più parti ripreso, in particolare nella citazione celebre che esso contiene: «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». La si è usata per esempio come richiamo alla chiesa, quando la si percepiva troppo ingerente negli affari dello Stato (per esempio sugli innumerevoli dibattimenti etici e bioetici dell’ultimo decennio: legislazione sul fine vita, sulla regolazione delle coppie di fatto anche omosessuali, sulla fecondazione artificiale, ecc…); la si è usata come richiamo al fatto che anche la chiesa dovrebbe dare la sua parte a Cesare (per esempio con la discussione rispetto al pagamento dell’IMU); ma la si è usata anche come monito della chiesa ai cristiani-cittadini perché pagassero le tasse; o come rivendicazione della chiesa stessa per la sua autonomia dalle ingerenze politiche; addirittura la si usa come “proverbio” da citare indipendentemente dal fatto che la chiesa sia o meno implicata nella discussione.

Dico tutto questo in apertura, perché – leggendo il testo evangelico – il rischio è di essere trascinati immediatamente ed inesorabilmente in queste questioni… Io invece vorrei stare un passo indietro… soprattutto perché tutte queste questioni del nostro tempo non possono essere così automaticamente sovrapposte ad un brano scritto quasi due millenni fa.

Veniamo dunque al testo: esso fa parte del grande scontro, avvenuto a Gerusalemme, che abbiamo avuto sotto gli occhi nelle scorse domeniche tra Gesù a i capi religiosi ebraici. Esso infatti segue i brani della cacciata dei venditori dal tempio (Mt 21,12-17) e della conseguente animata discussione di Gesù con i sommi sacerdoti e gli anziani (Mt 21,23-22-14), con le parabole dei due figli, dei vignaioli omicidi e del banchetto nuziale. Ora, dopo i sommi sacerdoti e gli anziani, sono i farisei e gli erodiani che si avvicinano a Gesù per coglierlo in fallo. Essi, come gli altri, sono infatti infastiditi dalle pretese (sulla sua persona e sulla sua missione) con cui quest’uomo è giunto a Gerusalemme.

Il quesito che gli pongono (anzi che mandano a porgli tramite i loro discepoli), riguarda la sfera delle relazioni tra mondo religioso e mondo politico: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Il rapporto tra religione e potere era l’argomento anche dei precedenti scontri tra Gesù e i capi religiosi – con la grande denuncia, vista nelle settimane scorse, della commistione di questi due elementi. Ma – mentre fino a questo momento, oggetto della discussione è il rapporto tra religiosità ebraica e potere dei capi religiosi ebrei – ora la controversia incontra uno slittamento: il problema in questione diventa il rapporto tra religiosità ebraica e potere politico straniero.

In particolare il tranello in cui i farisei vogliono attirare Gesù è il seguente: come ci si deve comportare con la dominazione straniera? Va combattuta con le armi (come dicevano gli zeloti), gli va opposta una “resistenza passiva” (come sostanzialmente proponevano i farisei) o si può scendere a patti con essa (che era la posizione – almeno pratica – dei sadducei)?

martedì 7 ottobre 2014

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 25,6-10)

Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 4,12-14.19-20)

Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù. Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 22,1-14)

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

 

Il brano che abbiamo letto settimana scorsa, quello della parabola dei vignaioli omicidi, terminava – nella liturgia – con il versetto 43 del cap. 21 di Matteo: «Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

Il testo di oggi è la continuazione del discorso di Gesù con i capi dei sacerdoti e gli anziani, che ci accompagna ormai da qualche settimana. Ma tra il brano di domenica scorsa e quello odierno ci sono 3 versetti che la liturgia omette (Mt 21,44-46). Il primo, il v. 44, è la conclusione di discorso di Gesù, ed è omesso probabilmente per la sua durezza: «Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato».

Gli altri 2, i vv. 45-46, sono un commento dell’evangelista: «Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta».

In quel “capirono che parlava di loro” è svelata la strategia di Gesù che abbiamo cercato di delineare in queste settimane: Gesù attira in un tranello i suoi interlocutori, costringendoli ad esprimere un giudizio che poi ribalta contro di loro.

So di averlo già più volte scritto, ma lo ripeto per 2 motivi:

mercoledì 1 ottobre 2014

XXVII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaia ( Is 5,1-7)
Canterò per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva vangata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato scelte viti; ci aveva costruito in mezzo una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica. Or dunque, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa devo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (Fil 4,6-9)
Fratelli, non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!
 
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 21,33-43)
In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò suo figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». Gli risposero: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri”? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare».
 
Il vangelo che la Chiesa ci propone per questa ventisettesima domenica del tempo ordinario è la diretta continuazione del brano di settimana scorsa: durante il duro scontro con i principi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, Gesù aveva proposto la parabola dei due figli e ora racconta quella dei vignaioli omicidi (domenica prossima racconterà la terza e ultima della serie: quella del banchetto di nozze – Mt 22,1-14).
Non si tratta più delle miniparabole sul Regno («Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo», Mt 13,44), ma di elaborazioni più complesse, che non a caso hanno uditori diversi (gli anziani, i sacerdoti…), anch’essi più “complessi” rispetto alle folle di semplici che circondavano Gesù all’inizio del suo ministero…
E, esattamente come settimana scorsa, la parabola è costruita con un marchingegno tale da rigirarsi contro gli interlocutori, chiamati a prendere posizione: «“Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?” – chiede Gesù. Gli risposero: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: ‘La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri’? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”».
Gesù, cioè, ribalta addosso ad essi, il giudizio che loro stessi avevano espresso… sono loro i vignaioli malvagi a cui sarà tolto il regno di Dio!
Interessante, allora, diventa andare a cercare che cosa ha reso questi “vignaioli”, cioè questi sacerdoti e anziani di Israele, talmente deprecabili da ricevere un giudizio così duro!

martedì 23 settembre 2014

XXVI Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Ezechièle (Ez 18,25-28)

Così dice il Signore: «Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà».

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 2,1-11)

Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21,28-32)

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

La parabola che costituisce il vangelo di questa ventiseiesima domenica del tempo ordinario, per essere ben compresa, va collocata nel contesto in cui Matteo la inserisce. Il rischio, altrimenti, sarebbe quello di una sua interpretazione riduttiva: qui infatti il senso non è tanto quello di un generico appello alla pronta osservanza della volontà di Dio, o una sottolineatura del primato dell’azione sulla parola, per cui elogiato sarebbe il primo figlio che, nonostante all’invito del padre in prima battuta, avesse detto «Non ne ho voglia, poi si pentì e vi andò»; il senso piuttosto va cercato altrove: in particolare tentando di delineare chi è rappresentato in questi due figli.

martedì 16 settembre 2014

XXV Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 55,6-9)

Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 1,20-24.27)

Fratelli, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 20,1-16)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

 

Il Vangelo che la Liturgia ci propone per questa XXV Domenica del Tempo Ordinario, è costituito interamente da una parabola. Essa è collocata immediatamente dopo l’episodio del giovane ricco (Mt 19,16-22) e le considerazioni che Gesù fa a proposito della ricchezza («Difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli», Mt 19,23ss) e della rinuncia («Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna», Mt 19,27ss). Queste considerazioni terminano con il versetto 30 («Molti dei primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi»), che, non a caso, è del tutto identico a quello con cui finisce anche il brano successivo, cioè il nostro. In questo modo infatti si crea una certa continuità, tanto che qualche studioso afferma che, a differenza della classica divisione dei brani, questo versetto 30 sarebbe quello iniziale della parabola degli operai della vigna e non tanto quello finale di ciò che precede.

In ogni caso ciò che interessa è come questa cornice in cui la parabola è incastonata (19,30 e 20,16: «gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi»), ne suggerisca immediatamente la tematica: essa è infatti quella del giudizio, della giustizia di Dio: «Molti dei primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi»... anche se poi, seguendo la narrazione, sarà curioso notare che non è vero che nella parabola i primi sono abbassati; piuttosto saranno innalzati gli ultimi...

Ma procediamo con calma... soffermandoci per un attimo sulle caratteristiche che delineano questa parabola e le sue simili in una vera e propria “categoria”.

Le parabole evangeliche infatti potrebbero essere classificate in due gruppi:

-          vi sono “le miniparabole del Regno”, che, forse anche per la loro breve estensione, tutti ricordano;

-          e vi sono “le macroparabole” in cui prevale invece la forma della narrazione («Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti...», Mt 10,30ss; «Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano...», Lc 19,12ss) e che per questo hanno anche dimensioni più rilevanti.

Le parabole di quest’ultimo tipo oltre ad avere un’estensione narrativa più elaborata (è raccontata una vicenda), si presentano spesso anche come enigmatiche e difficili da capire. Si deve supporre perciò, che quando Gesù le pronuncia, lo fa rivolgendosi ad un contesto di interlocutori religiosamente colti, in grado di percepirne la complessità e la paradossalità; a gente quindi allenata a questo tipo di racconto e alla discussione che poi ne nasce: non a caso infatti nascono solitamente in un contesto a lui ostile.

Anche le tematiche che affrontano, confermano questa sensazione di complessità: non si tratta più semplicemente dell’annuncio diretto dell’arrivo del Regno di Dio, ma si intavolano argomenti quali la ricchezza, la giustizia di Dio, il giudizio, il perdono... mettendo in scena tra l’altro non più semplicemente il contadino, ma un amministratore, un fattore, ecc...

Tutto questo per dire che la nostra parabola rientra proprio nel gruppo di quelle “difficili”; di quelle cioè che richiedono un percorso più impegnativo per essere capite fino in fondo e che è quindi giustificata la sensazione di frastornamento che abbiamo avuto ad una prima lettura.

martedì 2 settembre 2014

XXIII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Ezechièle (Ez 33,1.7-9)

Mi fu rivolta questa parola del Signore: «O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 13,8-10)

Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18,15-20)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

 

Se dovessimo porre un titolo alle letture che la Liturgia di questa Ventitreesima Domenica del Tempo Ordinario ci presenta, forse quello più indicato sarebbe: “Come si deve comportare un cristiano di fronte ad un altro cristiano che commette una colpa contro di lui?”. Cioè, cosa si deve fare con i peccatori?

giovedì 28 agosto 2014

XXII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Geremìa (Ger 20,7-9)

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: «Violenza! Oppressione!». Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 12,1-2)

Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16,21-27)

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

 

Il vangelo che la Chiesa ci propone per la XXII Domenica del Tempo ordinario contiene due espressioni molto usate (e abusate) nella vita ecclesiale che tutti noi a vario libello abbiamo sperimentato:

1- «Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno»;

2- «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

Nella prima di queste due espressioni è contenuto il verbo “doveva”, spesso ritornante nei vangeli. È Gesù stesso che lo usa, è lui che dice di se stesso che “doveva” soffrire, patire, morire…

Il punto critico però è capire il significato di questo “dovere”. Perché “doveva” soffrire, patire, morire? Chi glielo imponeva? Chi glielo chiedeva?

Tendenzialmente a queste domande, la risposta che ci giunge spontanea è “Dio”. “Dio, il Padre, glielo chiedeva”. Ma, il bambino che c’è in ognuno di noi, aggiunge subito: “Perché?”.

E a partire da questo colloquio interiore con noi stessi – che anche la Chiesa nella sua storia ha portato giustamente avanti (perché cercare di capire è sempre giusto!) – abbiamo formulato tutta una serie di risposte… risposte diverse, alcune letterariamente ben formulate, altre stilisticamente più grezze; alcune con un’articolazione logica complessa, altre più dirette e semplici… spesso però tutte riassumibili in un ragionamento di questo tipo: se Gesù di fatto ha sofferto, patito ed è morto in quel modo e se lui stesso ha legato questa sofferenza, questo patimento e questa morte ad una “necessità” (dovevo), e se il referente ultimo di questa necessità era Dio, allora significa che ci dev’essere stato un motivo per cui Dio chiedeva a suo Figlio questo inevitabile destino.

Un motivo teologico, una ragione ultraterrena, nascosta nella sua mente per noi irraggiungibile: il suo “piano” prevedeva così. Per salvare gli uomini, era necessario fare così. D’altronde – ci diciamo – c’è sempre qualcuno che si deve sacrificare per un’alta causa. E Gesù sarebbe il sacrificato. Lui soffre per tutti, lo fa al posto nostro, lo fa per noi. Per riscattare, per salvare, per pagare quel che c’era da pagare… il prezzo… di sofferenza, imposto… da chi? Da Dio ovviamente.

In queste riflessioni, tutte logiche e consequenziali, che portiamo avanti nel nostro ragionare, ci pare di trovare la quadratura del cerchio. Ci pare che la razionalità di questo discorso sia un argomento sufficiente per dire la validità delle nostre risposte e così chiudiamo l’argomento.

Solo che… in tutto questo ragionare rimangono in ombra una serie di questioni che – se messe in luce – mostrano come il nostro tanto logico argomentare non sia una vera quadratura del cerchio…

mercoledì 20 agosto 2014

XXI Domenica del Tempo ordinario (A)


Dal libro del profeta Isaìa (Is 22,19-23)

Così dice il Signore a Sebna, maggiordomo del palazzo: «Ti toglierò la carica, i rovescerò dal tuo posto. In quel giorno avverrà che io chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkìa; lo rivestirò con la tua tunica, lo cingerò della tua cintura e metterò il tuo potere nelle sue mani. Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda. Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire. Lo conficcherò come un piolo in luogo solido e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 11,33-36)

O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio? Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16,13-20)

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

 

Il testo del vangelo che la Liturgia ci propone per questa Ventunesima Domenica del Tempo ordinario è tratto dal capitolo 16 di Matteo.

Dopo l’episodio della cananea di settimana scorsa (Mt 15,21-28) e dopo alcuni episodi che la Liturgia domenicale non ha lo spazio di presentare (le guarigioni di Gesù presso il lago – Mt 15,29-31; la seconda moltiplicazione dei pani, Mt 15,32-39; la discussione coi farisei e i sadducei e l’istruzione ai discepoli sul loro lievito, Mt 16,1-12), al v.13 si dice che Gesù giunse nella regione di Cesarea di Filippo.

È questo un posto diventato famoso, perché qui – come raccontano Matteo e Marco – Gesù pose ai suoi discepoli la decisiva duplice domanda su cosa la gente e poi i discepoli stessi avessero percepito della sua identità: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?», «Voi, chi dite che io sia?».

Sono domande che giungono – sia per i discepoli, sia per i lettori del vangelo – quando ormai la vita pubblica di Gesù è già ben delineata (per questo ciascuno dovrebbe dare la sua risposta!)… a questo punto del vangelo infatti Egli ha già detto molte cose (Matteo, per esempio, nei capitoli precedenti ha riportato il discorso della montagna, il discorso missionario, il discorso in parabole)… ne ha anche già fatte molte (a partire dai racconti sulla sua infanzia, l’inizio della sua vita pubblica, fino ai miracoli e alle controversie coi farisei)…

Proprio a questo punto, quindi, Gesù sembra voler fermare un attimo il flusso degli eventi e fare il punto della situazione: Cosa ha capito di me la gente? Cosa han capito di me i miei?

martedì 19 agosto 2014

XX Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 56,1.6-7)

Così dice il Signore: «Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi. Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 11,13-15.29-32)

Fratelli, a voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti? Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 15,21-28)

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Il vangelo che la liturgia ci propone è molto noto e, rispetto a quanto scrivevo 6 e 3 anni fa, non avrei molto altro da dire.

Userò perciò lo spazio del commento di questa domenica per provare a riflettere sul mio presente a partire da quanto i testi suggeriscono.

(Chi invece fosse interessato ad un commento più puntuale del brano può andarsi a rileggere le vecchie lectio su questo blog)

venerdì 8 agosto 2014

XIX Domenica del Tempo Ordinario


Dal primo libro dei Re (1Re 19,9.11-13)

In quei giorni, Elia, [essendo giunto al monte di Dio, l’Oreb], entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Esci e fèrmati sul monte alla presenza del Signore». Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 9,1-5)

Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 14,22-33)

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

 

Anche l’episodio che la liturgia ci narra in questa diciannovesima domenica del tempo ordinario, come quello di settimana scorsa della moltiplicazione dei pani (di cui quello odierno è la diretta continuazione) è molto noto.

Sono molti gli aspetti su cui ci si potrebbe soffermare, ma quest’anno mi ha colpito in particolare la frase di Pietro: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque».

Egli è sulla barca, con gli altri discepoli, di notte, distante «già molte miglia da terra», con il vento contrario… senza Gesù, che non era andato con loro per salire «sul monte, in disparte, a pregare».

In questa situazione, vede qualcuno avvicinarsi alla barca, qualcuno che cammina sul mare. Lui, insieme ai suoi compagni, scambia questa figura che gli si fa vicino per un fantasma e grida di paura. «Ma subito Gesù parlò loro dicendo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”».

È a questo punto che Pietro pronuncia questa strana frase: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque».

mercoledì 23 luglio 2014

XVII Domenica del Tempo ordinario


Dal primo libro dei Re (1Re 3,5.7-12)
In quei giorni a Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». Salomone disse: «Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per la quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?». Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te».
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,28-30)
Fratelli, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.
 
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,44-52)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
 
I testi che la liturgia ci propone per questa Diciassettesima Domenica del Tempo ordinario si aprono, nella prima lettura tratta dal libro dei Re, con una domanda, già da sola, capace di far sussultare mente e cuore di chi legge; infatti «In quei giorni a Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: “Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda”».
«Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda» è l’inaspettato che irrompe nella storia, la richiesta che tutti, specialmente in alcuni momenti della vita, vorremmo sentirci porre, in special modo da Dio...
Certo, non potendolo fare abbiamo elaborato tutta una teologia capace, se non di rendere ragione, almeno di acquietare l’animo di fronte a questa impossibilità, e dunque tutta una schiera di ben pensanti – a ragione – si solleverebbe a ricordarci che Dio non è una bacchetta magica, che dunque non ci si può rapportare a lui come ad una macchina dei desideri... Eppure, anche se queste indicazioni sono vere e ci aiutano a non avere un approccio di fede ingenuo, ciò che in esse viene taciuto è che nel fondo del cuore di ogni uomo, anche il più istruito o teologicamente preparato, rimane l’atavico, arcaico e forse infantile anelito di poter esprimere e veder realizzati i propri desideri in modo facile: senza la fatica di una storia, la preoccupazione di un esito mai certo, la complessità delle situazioni in gioco...
È lo stesso anelito che sta alla base di tutte le storie e leggende che ci parlano di geni che escono dalle lampade coi famosi tre desideri, di fate con le loro bacchette magiche e via discorrendo...
Esse però non devono ingannarci sulla portata della domanda. Sono storie per bambini, è vero, ma, a ben guardare, nelle loro versioni originali, non sono mai banali e per questo sono anche “storie per i grandi”.
Dico “nelle loro versioni originali” perché poi effettivamente si è andati incontro, per mezzo della satira e dell’ironia (quante barzellette hanno i “tre desideri della lampada”), ad un uso ridicolo della domanda «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda».
Essa invece – come dicevamo – è molto più pregnante di quanto le sue volgarizzazioni mostrino. Essa infatti presenta il profilo del volere («Chiedimi ciò che vuoi») nel suo legame stretto a quello dell’essere: Cosa vuoi? Dunque chi sei? Sintetizzabili nella domanda: Chi vuoi essere?

giovedì 17 luglio 2014

XVI Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro della Sapienza (Sap 12,13.16-19)

Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose, perché tu debba difenderti dall’accusa di giudice ingiusto. La tua forza infatti è il principio della giustizia, e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti. Mostri la tua forza quando non si crede nella pienezza del tuo potere, e rigetti l’insolenza di coloro che pur la conoscono. Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,26-27)

Fratelli, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,24-43)

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”». Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo». Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

I testi che la liturgia ci propone per questa sedicesima domenica del tempo ordinario sono ricchissimi, sia dal punto di vista della mole che del contenuto. Proprio per questo, a partire da essi, si potrebbero sviluppare innumerevoli tematiche, col rischio però, nel commento, di disperdersi.

Per evitare tale pericolo, focalizziamo l’attenzione in modo specifico sulla cosiddetta “parabola della zizzania” (Mt 13,24-30), stando bene attenti però a non scivolare immediatamente dalla parabola vera e propria alla sua spiegazione (Mt 13,36-43), che forse, per deformazione (cattolica), ci è più nota. Quest’ultima infatti ha tutt’altri intenti e tutt’altre finalità rispetto alla parabola e punta interamente l’interesse sulla tematica della fine del mondo; tematica che invece nella parabola occupa solo lo spazio di mezzo versetto (il 30b «al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio») e che dunque non ne costituisce di certo il centro.

Precisato l’intento di concentrarsi soprattutto sulla parabola della zizzania, va chiarita in primo luogo la sua collocazione; essa infatti non è casuale, ma davvero significativa per la comprensione: siamo al capitolo 13 del Vangelo di Matteo, ai versetti 24-30, e cioè immediatamente dopo la spiegazione della parabola di domenica scorsa: quella del seminatore. Ciò che risulta così interessante è il fatto che mentre quella terminava con il riferimento al terreno buono («Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende; questi dà frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta», Mt 13,23), questa inizia con la menzione del seme buono («Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo», Mt 13,24). Questo richiamarsi così evidente delle due parabole ha una motivazione ben precisa: il fatto cioè che la problematica della seconda è in qualche modo lo sviluppo dell’esito della prima. Mentre in quella infatti si concludeva sottolineando la responsabilità dell’uomo (dei terreni) per la fecondità del seme, in questa nasce una domanda nuova: Perché da un seme buono e da un terreno buono, da cui dobbiamo aspettarci ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta, non viene solo un frutto buono, ma anche dell’altro?

martedì 8 luglio 2014

XV Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 55,10-11)

Così dice il Signore: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,18-23)

Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,1-23)

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice: “Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!”. Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

 

In questa quindicesima domenica del Tempo Ordinario, la Chiesa, sopratutto nella prima lettura e nel vangelo, ci propone il tema della Parola di Dio, una delle vie di accesso imprescindibili alla relazione col Signore.

Lo fa, appunto, con il bellissimo testo di Isaia 55 e poi sopratutto nel brano evangelico, il quale è tratto dal capitolo 13 di Matteo, cioè esattamente dal punto di inizio del cosiddetto “Discorso in parabole”.

Questo tredicesimo capitolo segue il dodicesimo (che la liturgia domenicale non ci propone), che è un capitolo molto duro, tutto incentrato sulle contestazioni cui Gesù pian piano è sottoposto, e che si chiude con le forti parole di Gesù «chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre». È a questo punto che l’evangelista riferisce: «Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse»...

Inizia così il racconto della famosissima parabola del seme, riportata da tutti i sinottici (cfr. Mc 4,3ss e Lc 8,5ss).

Essa è sempre proposta accostata alla sua spiegazione e questi due momenti del discorso di Gesù sono inframmezzati da un piccolo, ma intensissimo, dialogo coi suoi discepoli.

Dato che – però – spesso nei percorsi automatici del nostro pensiero si sono fissati per lo più i dati della spiegazione della parabola (per esempio le associazioni tra i vari tipi di terreno e i possibili gruppi di ascoltatori della Parola), piuttosto che quelli della parabola stessa, mi pare utile procedere con ordine.

venerdì 4 luglio 2014

XIV Domenica del Tempo ordinario: "C'è qualcosa di nuovo sotto il sole"


Dal libro del profeta Zaccaria (9,9-10)
«Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra».

 Dalla Lettera ai Romani (8, 9. 11-13)
Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete.

Dal Vangelo secondo Matteo (11, 25-30)
In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

 Il vangelo di questa quattordicesima domenica del tempo ordinario esordisce con una frase che io credo vada spiegata, perché così com’è presentata anche nella nuova traduzione Cei del 2008 rischia di travisare il senso del testo originario, che suona così:

«Ti benedico, Padre, signore del cielo e della terra, che hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e ai saggi (= quelli che hanno esperienza di vita) e le hai rivelate ai bambini (= infanti)».

In verità anche su quel “ti benedico” iniziale la traduzione potrebbe essere meglio precisata, ma in generale “ti benedico” rende il senso dell’originale greco. È invece il resto della frase che si discosta notevolmente da come solitamente viene tradotta. Perché: un conto è porre il binomio intelligenti/semplici, un conto è porre quella saggi (per l’età)/infanti.

martedì 8 aprile 2014

Domenica delle Palme


Ho cercato di raccogliere i personaggi della trama della passione e morte di Gesù.

Ve ne sono diversi collettivi (i capi dei sacerdoti, i discepoli, la folla con spade e bastoni, gli scribi e gli anziani, i falsi testimoni, i presenti nel cortile del sommo sacerdote, i soldati romani, quelli che passavano nei pressi della croce, molte donne, i farisei, le guardie dei capi religiosi), alcuni dei quali ritornano in più circostanze, ma tra di essi emergono anche alcuni singoli.

Alcuni di questi hanno una sorta di funzione rappresentativa del gruppo cui appartengono o comunque sono personaggi singoli – che dicono o fanno qualcosa in prima persona – ma funzionali alla narrazione (Pietro + i due figli di Zebedeo al Getsèmani, il discepolo che era con Gesù e impugna la spada, il servo del sommo sacerdote cui viene staccato l’orecchio, Caifa, i 2 falsi testimoni che riportano le parole di Gesù, le due serve nel cortile del Sommo sacerdote, il soldato che dà la canna con l’aceto + quelli che dicevano “Vediamo se viene Elia”, le donne presenti tra le molte: Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo).

Vi sono poi i personaggi realmente tali, quelli che non sono solo funzionali alla vicenda, ma vi prendono parte in prima persona, in modo tale che non solo la loro storia intervenga su quella di Gesù, ma anche viceversa.

Ne risulterebbe una sorta di schema di questo tipo (fatto artigianalmente e perciò del tutto opinabile):

Giuda Iscariota

Capi dei sacerdoti

I discepoli

Il tale cui Gesù manda a dire: “Farò la Pasqua da te con i miei discepoli”

Pietro

Pietro + i due figli di Zebedeo

Giuda

Folla con spade e bastoni

Quello che era con Gesù e impugna la spada

Il servo del sommo sacerdote cui viene staccato l’orecchio

Caifa + scribi e anziani

Falsi testimoni

I 2 falsi testimoni che riportano le parole di Gesù

Pietro + giovane serva + un’altra serva + i presenti

Giuda

Pilato

Capi dei sacerdoti e gli anziani+ folla

Barabba

Soldati

Simone di Cirene

Quelli che passavano di lì

I capi dei sacerdoti + scribi + gli anziani

Quello della canna di aceto + gli altri che dicevano “Vediamo se viene Elia”

Il centurione

Molte donne, tra queste: Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo

Giuseppe d’Arimatea

Pilato

I capi dei sacerdoti + i farisei

Guardie

 

Per ognuno di quelli in neretto ci vorrebbe un trattato…

Sui personaggi “positivi” (penso in particolare al centurione e a Simone di Cirene) è peraltro già stato detto molto e sostanzialmente “non fanno problema”. Ma forse proprio questo “non far problema” dovrebbe darci da pensare… non è che ci scivolano via troppo rapidamente?

Su quelli “negativi” (penso a Giuda e Barabba) le cose dette sono invece più contrastanti (basti paragonare Nostro fratello Giuda, di Primo Mazzolari con l’idea comunemente diffusa che Giuda sia all’inferno, qualsiasi cosa questo voglia dire; oppure il fatto che questo delinquente si chiami proprio Bar-Abba = Figlio del Padre…). Necessiterebbero allora di un approfondimento superserio.

Su quelli “ambigui” – nel senso che evolvono lungo la storia o che sono probabilmente inficiati da una lettura a posteriori (penso a Pilato e Pietro) – bisogna fare ogni volta la fatica di andare a ripercorrere questa evoluzione.

Infine ci sono i “meno considerati” (Il tale cui Gesù manda a dire: “Farò la Pasqua da te con i miei discepoli” e Giuseppe d’Arimatea) che meriterebbero invece di diventare oggetto della nostra attenzione.

Insomma – ognuno per il suo verso – sono questi i compagni di viaggio su cui concentrarsi in questi ormai pochi, ma intensissimi giorni che ci mancano a Pasqua.

Sarebbe bello scegliersene almeno uno e starci un po’ in compagnia.

Il “mio” quest’anno è Giuseppe d’Arimatea, di cui mi colpisce questo uscire dal nulla per ritornarvi (niente è raccontato di lui prima di questo episodio, niente è raccontato dopo). In questa “emersione” però c’è tutto il coraggio (quello dato dal bene che si prova per qualcuno e dal dolore della morte, che azzera ogni argine fittizio) e la presa in carico (fisica – togliere il corpo dalla croce, vuol dire portarne il peso – e vitale) del corpo morto del proprio maestro e amico (segreto, fino a un attimo prima).

Questa cura di un corpo morto (che tornerà anche nell’episodio delle donne che vanno al sepolcro per ungerlo) può apparire macabra o raggelante per chi se lo immagina così, come se il corpo in questione fosse il cadavere di chicchessia, ma per chi ha provato a sentire sotto le proprie dita la carne fredda di chi ha amato (fosse un padre, un marito, un figlio, un amico, un fratello…) credo possa percepire che portata abbia il gesto di Giuseppe.

Un uomo che porta il medesimo nome di quell’altro Giuseppe che aveva fatto da padre a un figlio non suo e che proprio come questo, d’Arimatea, era comparso e sparito dal e nel nulla.

In più, non si può non considerare il contesto in cui il Giuseppe del Passio opera: rischiando la sua stessa vita, venendo allo scoperto quando tutti si nascondono… come accennavo è il segno dell’amore disperato che fa perdere i confini normali che la convivenza civile abituale ci porta a mettere: gli argini del buon senso, del buon costume, della convenienza, dell’opportunità o meno del nostro mostrarci…

Argini che crollano e si frantumano quando la realtà dura ma vera della vita ci si presenta in tutta la sua radicalità, come oggi… quando la liturgia ci invita a non correre troppo avanti nella lettura (pensando “tanto poi è risorto”), per farci stare come bloccati con quel corpo morto tra le braccia, simbolo di una fine assoluta, che non ha alcun “però” da obiettare… è morto, però… No. È morto, punto.
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