Pagine

ATTENZIONE!


Ci è stato segnalato che alcuni link audio e/o video sono, come si dice in gergo, “morti”. Se insomma cliccate su un file e trovate che non sia più disponibile, vi preghiamo di segnalarcelo nei commenti al post interessato. Capite bene che ripassare tutto il blog per verificarlo, richiederebbe quel (troppo) tempo che non abbiamo… Se ci tenete quindi a riaverli: collaborate! Da parte nostra cercheremo di renderli di nuovo disponibili al più presto. Promesso! Grazie.

Visualizzazione post con etichetta Silvano Petrosino. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Silvano Petrosino. Mostra tutti i post

domenica 20 settembre 2015

XXVI Domenica del Tempo ordinario


Dal libro dei Numeri (Nm 11,25-29)

In quei giorni, il Signore scese nella nube e parlò a Mosè: tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta uomini anziani; quando lo spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito. Ma erano rimasti due uomini nell’accampamento, uno chiamato Eldad e l’altro Medad. E lo spirito si posò su di loro; erano fra gli iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda. Si misero a profetizzare nell’accampamento. Un giovane corse ad annunciarlo a Mosè e disse: «Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento». Giosuè, figlio di Nun, servitore di Mosè fin dalla sua adolescenza, prese la parola e disse: «Mosè, mio signore, impediscili!». Ma Mosè gli disse: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!».

 

Dalla lettera di san Giacomo apostolo (Gc 5,1-6)

Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza.

 

Dal vangelo secondo Marco (Mc 9,38-43.45.47-48)

In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nelle Geenna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geenna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

 

Il vangelo che la Chiesa ci propone in questa Ventiseiesima Domenica del Tempo Ordinario, si presenta – ad una prima lettura – di non facile comprensione perché sembra racchiudere discorsi di Gesù accostati in un secondo momento e – almeno apparentemente – non troppo lineari tra di loro: vi è una prima parte in cui si parla dell’episodio di un tale che scacciava i demoni nel nome di Gesù, con il disappunto dei discepoli; vi è una seconda parte in cui si parla dell’accoglienza di chi crede in Lui e dello scandalo a cui spesso è sottoposto; vi è, infine, una terza parte il cui tema è legato all’immagine del “tagliare” ciò che, dei discepoli, crea scandalo.

Ulteriore motivo di fatica nella lettura del testo è il facile travisamento in cui alcune espressioni possono essere (e sono state) interpretate, soprattutto per quanto riguarda l’ultimo argomento trattato.

Ci facciamo allora instradare dal commento che Bruno Maggioni fa di questo brano in Il racconto di Marco, Cittadella Editrice, Assisi 199912, 140-142: «Si tratta di insegnamenti disparati tenuti insieme da parole-chiave, che hanno il merito, da una parte, di facilitare la memorizzazione e, dall’altra, di indicarne aspetti salienti. Nel nostro caso le parole-chiave sono due: nel mio nome e scandalo. Sono insegnamenti disparati che però hanno in comune l’uditorio (la comunità) e, più interiormente, devono tutti essere letti alla luce della Passione di Cristo: sono infatti precedute dalla seconda predizione della Passione [cfr. il vangelo di Domenica scorsa]: indicano alcuni contenuti della sequela.

mercoledì 1 ottobre 2014

XXVII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaia ( Is 5,1-7)
Canterò per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva vangata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato scelte viti; ci aveva costruito in mezzo una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica. Or dunque, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa devo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (Fil 4,6-9)
Fratelli, non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!
 
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 21,33-43)
In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò suo figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». Gli risposero: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri”? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare».
 
Il vangelo che la Chiesa ci propone per questa ventisettesima domenica del tempo ordinario è la diretta continuazione del brano di settimana scorsa: durante il duro scontro con i principi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, Gesù aveva proposto la parabola dei due figli e ora racconta quella dei vignaioli omicidi (domenica prossima racconterà la terza e ultima della serie: quella del banchetto di nozze – Mt 22,1-14).
Non si tratta più delle miniparabole sul Regno («Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo», Mt 13,44), ma di elaborazioni più complesse, che non a caso hanno uditori diversi (gli anziani, i sacerdoti…), anch’essi più “complessi” rispetto alle folle di semplici che circondavano Gesù all’inizio del suo ministero…
E, esattamente come settimana scorsa, la parabola è costruita con un marchingegno tale da rigirarsi contro gli interlocutori, chiamati a prendere posizione: «“Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?” – chiede Gesù. Gli risposero: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: ‘La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri’? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”».
Gesù, cioè, ribalta addosso ad essi, il giudizio che loro stessi avevano espresso… sono loro i vignaioli malvagi a cui sarà tolto il regno di Dio!
Interessante, allora, diventa andare a cercare che cosa ha reso questi “vignaioli”, cioè questi sacerdoti e anziani di Israele, talmente deprecabili da ricevere un giudizio così duro!

mercoledì 28 maggio 2014

Ascensione


Dagli Atti degli Apostoli (At 1,1-11)

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 1,17-23)

Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore. Egli la manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 28,16-20)

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

 

Spiego ai miei bimbi a scuola:

-          l’Ascensione è la festa in cui si fa memoria del ritorno di Gesù risorto presso Dio.

-          Avviene 40 giorni dopo Pasqua.

-          40 giorni di incontri tra il Risorto e le sue amiche e i suoi amici, fatto di non riconoscimento (che ci fa capire che Gesù non è semplicemente ritornato in vita, come Lazzaro, ma è entrato in una vita nuova, in qualche modo diversa… per questo non lo riconoscono: perché in qualche modo è diverso da prima: ha un copro che entra a porte chiuse… lo scambiano per un fantasma…)…

-          … e successivo riconoscimento (per la sua voce, per i segni della crocifissione, perché compie gli stessi gesti di prima: spezza il pane, mangia con loro…), che ci fa capire che il Risorto è il crocifisso (è sempre Gesù, lo stesso di prima!).

-          In questi 40 giorni promette di regalare ai suoi un dono: lo Spirito santo, che essi riceveranno 10 giorni dopo l’Ascensione, cioè 50 giorni dopo Pasqua (a Pentecoste).

-          In questi 10 giorni – ci dicono gli Atti degli apostoli – i discepoli si ritrovano insieme (11 apostoli, con Maria, alcune donne e diversi altri discepoli: 120 ne contano il giorno dell’elezione di Mattia), pregano, eleggono il nuovo 12° apostolo.

 

Noi sappiamo che questa scansione temporale è pedagogica, serve cioè a s-piegare (nel tempo per s-piegare nella testa) il mistero della Risurrezione di Gesù, che ha suscitato domande cui Luca (nel vangelo e negli Atti) e tutti gli altri evangelisti e scrittori neotestamentari ha provato a rispondere con questa sistematizzazione logica:

-          Dove è andato Gesù?

-          E noi? Ora siamo soli (orfani)?

-          E cosa dobbiamo fare in questa storia che non finisce?

 

Il mistero dell’Ascensione che celebreremo domenica vuole rispondere alla prima di queste domande: dove è andato Gesù? Perché non è più incontrabile, consultabile, accessibile?

Per capire questa festa, dobbiamo dunque fare nostre queste domande e non accontentarci del dato registrato nella memoria in qualche momento della nostra infanzia quando ci spiegavano l’Ascensione.

Dobbiamo sentire sulla nostra pelle il problema del fatto che Gesù diventi l’assente.

Anche se forse non faremo fatica a immedesimarci, in questo caso, nei discepoli… quante volte infatti patiamo questa orfanità, questo cielo vuoto che non ci pare per niente pieno della gloria di Dio, come cantiamo a messa.

E allora mi tornavano in mente le parole ascoltate recentemente durante una conferenza del prof. Petrosino, che vorrei tentare di riproporvi, perché presentano questa apparente e insieme reale “assenza” di Dio dalla storia, in una prospettiva che io trovo molto interessante.

Egli sosteneva che quando Dio crea l’uomo lo fa perché egli stia in piedi da sé: è come se si ritraesse e facesse spazio ad altro da sé. Non come un orologiaio distratto che ha fatto un’opera imperfetta e deve continuamente intervenire per aggiustarla. Sta in piedi da sé.

La creatura resta creatura: infatti è creatura e non creatore perché poteva non esserci, perché non si è creata da sé, eppure da quando c’è, ha una sua autonomia, sta in piedi da sola (può fare “senza Dio”).

Il dono della vita che Dio fa, infatti, non è un prestito (ti lascia in vita solo se ti comporti bene…) ma è – appunto – un dono (non dobbiamo restituire niente a Dio: la vita che ci ha donato è nostra!), ma se è donato è donato: la creatura è un assoluto, è autonoma.

In questo modo Dio ha dimostrato di essere capace di altro da sé (altrimenti non saremmo altro da Lui, ma servi, adoratori, in ultima analisi schiavi, in funzione sua: fatti per adorarlo, o compiacerlo, o accontentarlo): «Non vi chiamo più servi … ma vi ho chiamato amici» (Gv 15,15).

A questo Dio ci ha chiamati, a essere uomini, a stare in piedi da soli, a stargli di fronte in piedi: ecco perché Dio si ritrae e Gesù stesso torna presso Dio!

Perché Dio continua a ripetere all’uomo: “Io non ti dico cosa devi fare” – “Io ti ho fatto bene” – “Ora fai tu!”.

Lui è talmente libero da essere libero anche dal suo essere Dio: per questo la Bibbia insiste così tanto contro l’idolatria: Dio dice anche di sé “Non idolatratemi”, “Fate voi”.

In gioco infatti non c’è il suo primato (figuratevi se Dio ha il problema del suo primato: lui è sicuro della sua identità, non ha il problema di dover avere qualcuno che lo conferma): siamo noi che di fronte a questa proposta di Dio continuiamo a chiedergli conferme sulla nostra esistenza, perché il brivido di stare in piedi, di stargli di fronte, di essere uomini, di fare noi, di fare bene, ci spaventa e preferiamo rifugiarci nelle sicurezze delle leggi, del tutto stabilito, del ditemi cosa devo fare… Perché di fronte a questa autonomia, a questa libertà (come mostra bene il Grande Inquisitore di Dostoevskij) cerchiamo sempre qualcosa su cui appoggiarci, qualcuno di fronte a cui inchinarci.

Allora, questa Ascensione che abbiamo sempre festeggiato, ma con un fondo di amarezza nel cuore per questo “lasciarci” di Gesù, forse potremmo ricomprenderla come la grande festa della dignità dell’uomo che Dio stesso pone: la dignità di poter essere uomini (non schiavi), amici (non servi), che stanno in piedi (non incurvati)…

Capaci di una responsabilità… che è la custodia di questo mondo (dalla formica ad ogni figlio dell’uomo che nasce… a cui raccontare di un Dio così!).

domenica 2 dicembre 2012

Cammino di perfezione



Incontro tenuto il 24 novembre 2011, presso la "Comunità Missionarie Laiche" PIME a Legnano.

(unico "refuso" quando dice "perfezione perfetta ma non compiuta" intedeva - come mi ha confermato a voce - "creazione perfetta ma non compiuta")

Ringraziamo Silvano Petrosino per aver concesso l'autorizzazione alla publicazione.

martedì 25 settembre 2012

XXVI Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro dei Numeri (Nm 11,25-29)

In quei giorni, il Signore scese nella nube e parlò a Mosè: tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta uomini anziani; quando lo spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito. Ma erano rimasti due uomini nell’accampamento, uno chiamato Eldad e l’altro Medad. E lo spirito si posò su di loro; erano fra gli iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda. Si misero a profetizzare nell’accampamento. Un giovane corse ad annunciarlo a Mosè e disse: «Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento». Giosuè, figlio di Nun, servitore di Mosè fin dalla sua adolescenza, prese la parola e disse: «Mosè, mio signore, impediscili!». Ma Mosè gli disse: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!».

 

Dalla lettera di san Giacomo apostolo (Gc 5,1-6)

Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza.

 

Dal vangelo secondo Marco (Mc 9,38-43.45.47-48)

In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nelle Geenna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geenna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

 

Il vangelo che la Chiesa ci propone in questa Ventiseiesima Domenica del Tempo Ordinario, si presenta – ad una prima lettura – di non facile comprensione perché sembra racchiudere discorsi di Gesù accostati in un secondo momento e – almeno apparentemente – non troppo lineari tra di loro: vi è una prima parte in cui si parla dell’episodio di un tale che scacciava i demoni nel nome di Gesù, con il disappunto dei discepoli; vi è una seconda parte in cui si parla dell’accoglienza di chi crede in Lui e dello scandalo a cui spesso è sottoposto; vi è, infine, una terza parte il cui tema è legato all’immagine del “tagliare” ciò che, dei discepoli, crea scandalo.

Ulteriore motivo di fatica nella lettura del testo è il facile travisamento in cui alcune espressioni possono essere (e sono state) interpretate, soprattutto per quanto riguarda l’ultimo argomento trattato.

Ci facciamo allora instradare dal commento che Bruno Maggioni fa di questo brano in Il racconto di Marco, Cittadella Editrice, Assisi 199912, 140-142: «Si tratta di insegnamenti disparati tenuti insieme da parole-chiave, che hanno il merito, da una parte, di facilitare la memorizzazione e, dall’altra, di indicarne aspetti salienti. Nel nostro caso le parole-chiave sono due: nel mio nome e scandalo. Sono insegnamenti disparati che però hanno in comune l’uditorio (la comunità) e, più interiormente, devono tutti essere letti alla luce della Passione di Cristo: sono infatti precedute dalla seconda predizione della Passione [cfr. il vangelo di Domenica scorsa]: indicano alcuni contenuti della sequela.

Dietro la rimostranza di Giovanni (abbiamo visto un estraneo scacciare demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito) si vede con chiarezza quell’egoismo di gruppo (così frequente), quella meschina paura della concorrenza, che spesso si maschera di fede (infatti la sua pretesa è di tutelare l’amore di Dio), ma che in realtà è una delle sue più profonde smentite. Il discepolo puntiglioso e gretto – ma anche profondamente insicuro – mal sopporta che lo Spirito soffi dove vuole. Ne è invidioso, si sente smentito e tradito: non dovrebbe lo Spirito di Dio essere solo nelle nostre mani, così che appaia con chiarezza che noi, noi soli, ne siamo i portatori? Torna alla mente un episodio dell’A.T. [cfr. la prima lettura di questa XXVI Domenica]: Mosè comunicò lo Spirito di Dio a settanta anziani, che erano usciti dal campo e si erano radunati presso il tabernacolo. Ma un giovane notò con sorpresa che lo Spirito si era posato anche su Eldad e Medat, due anziani che non si erano uniti al gruppo e che non erano usciti dal campo, e anch’essi si misero a profetizzare. E Giosuè esclamò: Mosè, Signore mio, proibisciglielo! Mosè invece rispose: sei tu geloso per me? Fosse profeta tutto il popolo di Dio e avesse il Signore posto il suo Spirito su ciascuno di loro! (Numeri 11,16-30). Gli autentici amici di Dio, come Mosè e Gesù, godono della liberalità dello Spirito. Non se ne sentono smentiti, perché amano Dio e non se stessi, e questo è il punto. Invece molti puntigliosi sostenitori di Dio – vorrei dire tutti i puntigliosi sostenitori di Dio – in realtà sostengono se stessi, il proprio recinto.

Ma è anche vero che non ogni gesto è di Cristo, non ogni tentativo di liberazione gli appartiene: gli appartiene solo ciò che viene fatto nel suo nome (“abbiamo visto un estraneo scacciare un demonio nel tuo nome… non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome, e poi possa dir male di me”). Soltanto che il “nome” non indica il recinto, ma la logica.

La sentenza con la quale Gesù chiude questo insegnamento [e la prima parte dell’odierno brano di vangelo] è sorprendente: “Chi non è contro di noi, è con noi”. […] “La tolleranza di Gesù esclude ogni forma di puntigliosa ortodossia” [R. Schnackenburg]».

Inizia poi la seconda parte del testo che stiamo leggendo: quella sull’accoglienza / scandalo nei confronti dei discepoli, definiti “piccoli che credono”.

Per comprendere il senso di queste parole di Gesù ed evitarne letture fuorvianti (per esempio usare il testo «Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa», per avvalorare la tesi che vede l’accoglienza dell’altro uomo – predicata da Gesù – come da declinare solo nei confronti dei credenti in Lui – cfr. il dibattito sull’interpretazione di Mt 25, rispetto al quale qualcuno legge in quel “miei fratelli più piccoli” delle espressioni «Tutto quello che avete / non avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete / non l’avete fatto a me», come riferito ai soli discepoli e non ai piccoli in senso lato; oppure vedere nel testo «Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare», un riferimento alla pedofilia), è necessario ricostruirne il contesto.

Scrive ancora Maggioni: «Al tempo di Gesù c’erano i maestri della legge che con il peso della loro autorità e col fascino del loro prestigio – ma anche con la minaccia delle loro scomuniche (Giov. 9,22; 12,42) – dissuadevano i semplici dal seguire Gesù: turbavano la loro fede, erano la pietra di scandalo. Più in generale, il “piccolo” è il discepolo perennemente smentito nella sua fede, smentito non solo dal mondo, ma dalla sua stessa comunità, persino da coloro che pretendono di essere i suoi maestri».

Questo è dunque il senso delle parole di Gesù sull’accoglienza / scandalo di chi crede in Lui: chiunque – anche chi è fuori dalla comunità – intuisca e favorisca la logica del Regno “è dei nostri” e chiunque – anche chi è dentro alla comunità – ostacoli questa logica, se ne sta tirando fuori.

Di nuovo emerge quanto si sottolineava in precedenza: Gesù non ragiona mai con la logica del recinto discriminante, al cui centro sta l’appartenenza o meno (il tesseramento nel circolo cattolico o no); Egli, piuttosto, vede in ciascun uomo (che sia formalmente dei suoi o meno) sempre la medesima viscosità per cui in tutti c’è sempre dentro contemporaneamente il germe di bene che ha voglia di instaurare logiche evangeliche e il meccanismo mortifero che le chiude. Per ciascun uomo spera che nel cuore germini la dinamica del Regno e per ciascun uomo “frigge” per la paura che la paura ci invada e ci paralizzi la vita.

 

Infine c’è l’ultima parte… la più ostica, a mio avviso… perché la più travisata lungo i secoli. Infatti quella frase «Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nelle Geenna, nel fuoco inestinguibile», è facile che sia usata per avvalorare l’idea moralistica della castrazione per evitare il peccato. Non a caso la “mano da tagliare perché crea scandalo” è – nelle nostre menti – immediatamente associata alla mano che fa qualcosa di sessualmente deprecabile. Dunque tale mano sarebbe da “tagliare” perché altrimenti se non segui il dettame cattolico (insegnato nei seminari fino a qualche anno fa!) del “non toccare, non toccarti e non farti toccare”, finiresti all’inferno…

A parte la totale incongruenza di questo modo di pensare con quella che è la logica di Gesù proposta dai quattro vangeli, io – comunque – non credo che quello sia il senso da dare a queste parole. Vi propongo perciò una lettura della quale ringrazio il prof. Silvano Petrosino, il quale in un suo intervento – già più volte citato in queste mie riflessioni – mi ha aperto uno squarcio su quel «è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nelle Geenna, nel fuoco inestinguibile».

La conferenza di cui parlo è quella intitolata “Si diventa uomini. Tra gettatezza e cura”. Ad un certo punto del suo discorrere, Petrosino interviene in questo modo: «Pensate a Giacobbe (in Gen 32), che arriva al fiume Yabbok; passan tutti (si chiama esperienza, passare un limite, fango, viaggio, l’attraversamento di un limite, fare esperienza, diventare uomini, non si nasce uomini, c’è bisogno di un’esperienza. E non c’è esperienza umana senza l’accettazione del limite e del dolore e del fallimento. È l’opposto di quello che dicono).

Passa… Bang… un ostacolo… già questo la dice lunga: non è un trionfo, è un impatto. La vita è un ostacolo. Nasci col sedere grosso. Ti muore la mamma. I tuoi si separano. O tuo padre si fidanza con una della tua età… Bang… L’impatto. Enorme no?

Giacobbe ha il suo impatto e si mette a lottare contro questo qui. Tutta la notte, tutta la giornata. Che vuol dire tutta la vita.

Alla fine quell’altro dice che deve andare… “Come devi andare? Dimmi chi sei!”. “No! Però ti devo dire la verità, tu hai vinto”.

Come ha vinto? È sempre lì in mezzo, il fiume non l’ha passato. Quegli altri chissà dove sono. Lui è in ritardo… Ma gli dice: “Tu hai combattuto con Dio e hai vinto”. Cioè sei rimasto uomo. Hai combattuto. Non hai fatto il giro. Hai combattuto.

“E già che ci sono ti faccio un dono…”.

E uno pensa a un cioccolatino, a una coppa, a uno scudetto…

“Già che ci sono ti slogo l’anca”.

E questo tutta la vita si porterà dietro l’anca slogata. Perché è meglio entrare nel regno dei cieli senza un occhio, che perdersi. Ma è vero. Non è una pillola di saggezza di Gesù. È vero.

Dobbiamo diventare uomini. Il che non vuol dire eccellenti. Vuol dire uomini. E questa è l’eccellenza».

Il senso allora di quel “tagliala”, “taglialo”, “gettalo via” è quello di chi si decide per il fronteggiamento della vita («prendi la tua croce»): anche a costo di rimanere menomato, testimonierò fino alla fine che la tua logica, Signore, quella di chi spende/perde la vita per amore degli altri, è l’unica vera.

martedì 13 marzo 2012

IV Domenica di Quaresima


Antony Armstrong, Giacobbe lotta con l’angelo



Le letture che la Chiesa ci propone per questa Quarta Domenica di Quaresima sono davvero impegnative, direi quasi scomode…

Risulta faticoso infatti trovare tra di esse un nesso e, anche scegliendo di concentrarsi solo sul vangelo, il compito non pare semplificato.

Questo perché i versetti di Giovanni, proposti dalla liturgia, sono solo una sezione del ben più lungo discorso tra Gesù e Nicodemo, che inizia addirittura 10 versetti prima, e presi così risultano un po’ estemporanei… inoltre il brano scelto consiste in una sorta di approfondimento teologico su quanto precede: una specie di commento a mo’ di monologo, in cui si concentra quasi una sintesi di tutto il messaggio di Gesù nel Quarto Vangelo. Un monologo – non a caso – dal finale aperto (Nicodemo non risponde nulla!)… Ma essendo un discorso che approfondisce quanto precede, per comprenderlo è inevitabile fare un passo indietro e capire cosa lo precede?

Vediamo innanzitutto ciò che l’evangelista ha finora raccontato.


Se prendiamo il vangelo di Giovanni al primo capitolo, primo versetto, e iniziamo a sfoglialo fino al versetto 1 del capitolo 3, ci accorgiamo che, dopo il PROLOGO POETICO (Gv 1,1-18), troviamo un PROLOGO STORICO (1,19-2,12), che narra alcuni eventi organizzandoli in un tempo (simbolico ed evocativo) di una settimana:

I GIORNO: 1,19-28 ® Giovanni Battista;

II GIORNO: 1,29-34 ® compare Gesù;

III GIORNO: 1,35-42 ® i primi discepoli;

IV GIORNO: 1,43-51 ® Natanaele;

V GIORNO – VI GIORNO: x

VII GIORNO: 2,1-12 ® le nozze di Cana.



Dopo le nozze di Cana, leggiamo in Gv 2,13: «Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme».

Il vangelo di Giovanni, infatti, a differenza dei sinottici, è organizzato in base alle festività ebraiche, che diventano occasioni per Gesù per andare più volte a Gerusalemme:

I VOLTA: 12,13 ® Pasqua ebraica;

4,3: «lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea»

II VOLTA: 5,1 ® «Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme»;

6,1: «Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea»

III VOLTA: 7,2.10 ® Festa delle Capanne.

Non è narrato il rientro in Galilea, ma sono citate altre feste ebraiche che collocano Gesù a Gerusalemme (La festa della dedicazione del Tempio, 10,22 e quella finale di Pasqua).



La salita a Gerusalemme che interessa a noi, oggi, è la prima.

Gesù sale a Gerusalemme, va al Tempio e compie il gesto della cacciata dei venditori e dei cambiavalute che abbiamo letto settimana scorsa.

I Giudei intervengono: «“Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo».



È a questo punto che compare il nostro Nicodemo, che fa parte dei giudei “ortodossi”; quelli però favorevoli a Gesù perché entusiasti dei segni da lui operati.

Il primo versetto del nostro capitolo 3 introduce il personaggio. Il suo obiettivo è rispondere alla domanda “Chi è?”, in quattro modi:

-          Con una formula di generica introduzione narrativa «Vi era un uomo…»;

-          Con una formula di appartenenza: «tra i farisei»;

-          Con il suo nome proprio: «Nicodemo» (= colui che vince nel popolo / colui che prevale nel consiglio; che è un nome un po’ ironico riferito al nostro personaggio…);

-          Con la sua carica religiosa: «uno dei capi dei Giudei» – quindi probabilmente membro del Sinedrio (dove la maggioranza è di sadducei, non di farisei – e dove quindi Nicodemo appartiene ad una minoranza).

Va aggiunto che è una figura sconosciuta ai sinottici; che di lui, Gesù al versetto 10 dirà che è «un maestro d’Israele»; che probabilmente è ricco (cfr. la quantità di aromi che porta in Gv 19,39).



Il secondo versetto risponde invece alla domanda”Cosa fa?”:

-          «Andò da Gesù di notte», dove la sottolineatura cade – appunto – su quel di notte. Nicodemo viene di notte per non compromettersi di fronte al proprio gruppo di appartenenza. La sua posizione è fin dall’inizio contrastata tra il “venire a Gesù” e il farlo “di notte”, che esprime una situazione ambigua e inadeguata, che attende un salto di qualità.



Tutti noi siamo Nicodemo, sempre un po’ a mezza via tra l’andare da Gesù e l’andarci di notte.



-          «Gli disse: “Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui”».

Nicodemo apre il suo discorso con una captatio benevolentiae in netto contrasto con la contestazione di quei Giudei che poco prima nel Tempio avevano chiesto a Gesù una legittimazione del suo agire. Per lui Gesù non ha bisogno di esibire “prove” della propria autorevolezza, se può fare i segni che fa è evidente che “Dio è con lui”. Cioè, è un po’ come se Nicodemo dicesse a Gesù “Altri non ti hanno capito, noi invece sì! Con noi puoi parlare, ti puoi fidare…”. Nicodemo tenta una sorta di complicità, chiama Gesù “maestro” anche se senza articolo… cioè, non “il maestro”, ma “un maestro”.

Gesù smaschera questo suo atteggiamento (non senza ironia, cfr. v. 10-11: «Tu sei maestro d’Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza») e sposta il discorso dalla “possibilità di Gesù di fare segni”, alla “possibilità di accedere al regno di Dio”.

C’era infatti un’implicita problematica che turbava questo fariseo, capo dei giudei e maestro in Israele, che suonava più o meno in questi termini: Che cos’è necessario alla salvezza? Come si entra nel Regno? O più precisamente – dato che stiamo parlando di un rabbino fariseo – quali opere bisogna compiere per entrare nel Regno?

In sostanza, è la stessa problematica del capo giudeo di cui parla Luca nel capitolo 18 al versetto 18: «Che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?» o del giovane ricco in Matteo: è cioè il problema dei problemi, il campo su cui il contrasto con Gesù diventerà forte, radicale, fonte di incomprensioni… tanto da risultargli fatale.

Infatti nei versetti che seguono («In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto», Gv 13,5-7) emerge con chiarezza la prospettiva di Gesù contrapposta a quella farisaica di Nicodemo: «Non sono le opere dell’uomo a inaugurare i tempi messianici e il Regno, ma le opere di Dio! […] È quest’opera di Dio, non la buona volontà dell’uomo, o le sue azioni, o anche la sua conversione, che gli permettono di entrare “nel Regno di Dio”. La “carne”, cioè l’umanità nella sua povera nudità, abbandonata a se stessa, non può che offrire risultati di “carne”, cioè di umanità mortale e fragile. “Non può” arrivare a compiere opere di tipo superiore e divino, come l’ingresso nel regno, partecipazione alla vita di Dio nel mondo stesso di Dio. Solo Dio, mediante il suo Spirito, lo può realizzare. […] Siamo così nel cuore stesso del vangelo: la divina iniziativa per la salvezza dell’uomo e la sconfitta di tutte le (farisaiche) presunzioni umane» [M. Laconi, in il racconto di Giovanni, pp. 76-78].



Nel versetto 3 c’è infatti la risposta e la replica di Gesù.

Come dicevamo egli sposta la questione dalle condizioni di possibilità dei propri segni a quelle della partecipazione al regno di Dio. Il problema su cui deve misurarsi Nicodemo non è anzitutto “Cosa ci sta dietro ai segni di Gesù?”, ma “Cosa ha da fare l’uomo per entrare nel regno?”.



Questo credo sia istruttivo anche per noi: le nostre domande vanno collocate nella giusta prospettiva. Il nostro interrogare la vita, la fede, la parola di Dio, Dio stesso non può avvenire a monte di una decisione di fiducia. Decido di entrare in relazione con te/Te e perciò pongo domande per conoscerti. E NON: Pongo domande per vedere se poi decidere di entrare in relazione con te…



La risposta di Gesù è di quelle autorevolissime («In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio»). All’uomo spetta la consapevolezza di dover rinascere dall’alto.



Versetto 4: Nicodemo non capisce e formula infatti quella domanda che ci fa sorridere («Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?»), che è un escamotage dell’evangelista Giovanni per approfondire il discorso.



Versetti 5-8: Gesù riprende infatti la parola e dice: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».



Ma, versetto 9, Nicodemo non capisce ancora: «Come può accadere questo?»; e Gesù prosegue a parlare per altri 12 versetti (10-21), con un monologo dal finale aperto: Nicodemo non risponde.



Questi ultimi versetti sono i nostri…

Ho voluto però dilungarmi maggiormente nella prima parte, perché – dicevamo – contiene la premessa per capire quanto segue, in particolare nella tematica del rinascere dall’alto



Annotazione previa: vorrei che non chiudessimo subito il discorso sul “rinascere dall’alto” nel sacramento del battesimo! Perché se diciamo “Certo, rinascere dall’alto è ricevere il battesimo”, abbiam già perso la partita e buonanotte. Infatti noi, che siamo tutti battezzati, il problema ce l’abbiamo tale e quale agli altri.

Il percorso da fare è al contrario. Arrivare a capire il senso del battesimo a partire dal problema dell’uomo di sempre e cioè che C’È BISOGNO DI UNA SECONDA NASCITA (non a caso il battesimo in origine si faceva da adulti!).

Per tentare di spiegare cosa è in questione nel nostro brano, mi rifaccio ad una conferenza del prof. Silvano Petrosino, docente di Semiotica e Filosofia Teoretica all’Università Cattolica di Milano e Piacenza, dal titolo “Si diventa uomini. Tra gettatezza e cura”.

«La prima cosa che dico è una cosa che mi sembra banale; ma mi sembra importante ridircela. E cioè che non si nasce uomini.

Questa è una cosa presente in tutte le favole ad esempio. Tutte le favole non fanno che ridire questo: che si nasce una prima volta, si nasce come nascono i gatti, i castori e i topi e poi si deve rinascere una seconda volta. Bisogna diventare uomini.

Noi abbiamo nella nostra tradizione una cosa enorme, che è Pinocchio. Perché Pinocchio è una grande favola sull’uomo e riguarda proprio il fatto del diventare uomo.

“Diventare uomo” che non riguarda solo Pinocchio, che da burattino deve diventare bambino, ma riguarda Geppetto: che deve diventare padre.

Non si è padri perché si genera. E non si è madri perché si genera!

Anche l’idea che circola spesso in ambienti cattolici “Siamo tutti figli”, mio nonno in cariola! Dobbiamo diventare figli!

Anzi noi dovremmo essere particolarmente lucidi su questo perché tutta la vicenda di Gesù è lì a dircelo! Gesù è l’uomo che vive totalmente l’idea di figlio.

Ma non è che tu sei figlio, perché sei nato. Tu sei nato e sei nato. Sei un generato, non sei figlio.

Fra l’altro è una cosa che noi sappiamo (però bisognerebbe rifletterci): è col tempo che uno capisce che cos’è una mamma o cos’è un padre.

L’umano infatti è il dramma della libertà. Se tu togli il dramma, togli l’umano.

E quindi uno diventa padre, deve decidere di diventare padre, deve scegliere di diventare padre; deve decidere di diventare figlio.

Ci si scandalizza quando qualcuno tratta male i genitori e invece è normale, quello è naturale. È meraviglioso quando ciò non avviene. Bisognerebbe cambiare la prospettiva!

È naturale che tu dopo qualche anno di matrimonio ti scocci. Ma dai, diciamocelo! Ma dov’è lo scandalo, ti stufi!

È quando ciò non avviene (ma questo richiede una decisione, una scelta, un dramma, una rinuncia) che è enorme, cioè umano.

Quindi non si è uomini, si diventa uomini.

Non a caso tutta la narrazione biblica è sempre ritmata in un doppio tempo, c’è sempre un due, mai un uno.

Basti vedere, per esempio il fatto sorprendente che Dio fa una cosa e poi vede che è buona.

C’è sempre un due. Ma perché?

Il due è il superamento dell’uno, cioè del magico. La magia è l’uno. La magia è “Io voglio che lei si innamori di me”. Dò la pozione e lei si innamora di me! Tac! Questa è la magia.

L’amore è il due. L’amore implica una decisione, un tempo, una scelta, un dramma, il dipanarsi di una storia.

Per questo la magia è strepitosa e però perversa, perché bypassa la libertà. Tutto il dramma dell’innamoramento: che implica l’attesa, la paura e aspetto che tu mi chiami e non mi chiami… il timore del tradimento… l’amore.

La magia dice uno. E Dio, invece, Dio stesso, dice due. Si deve nascere una seconda volta. Già questo per me è pazzesco, perché vuol dire molti di noi non diventeranno uomini.

Forse il tempo che ci è dato, la storia, ci è data proprio per diventare uomini. Per poter scegliere e poter contribuire a diventare uomini.

Come in Pinocchio…

Cosa accade a Pinocchio?

Pinocchio incontra Lucignolo, Lucifero. E Lucignolo chiede a Pinocchio: “Dove stai andando?”. E Pinocchio gli risponde: “A scuola”. E Lucignolo dice: “Ma perché vai a scuola? C’è una paese, il paese dei balocchi, dove non si studia, non si lavora e ci si diverte tutto il giorno. Andiamo” [è la magia]. Pinocchio va.

E cosa succede?

Quello che dice Lucignolo è vero! Non è finto. È vero: ci si diverte, si mangia e non si va a scuola. È vero!

Se non si capisce questo, si fa subito la critica a Lucignolo. Ma se fosse così sarebbe banale.

Perché si deve andare a scuola? Perché devi andare a scuola? C’è un paese dei balocchi!

Il paese dei balocchi è il nostro, eh! I computer, la roba… Il paese dei balocchi è “hai il naso storto lo facciamo dritto”, “hai il seno piccolo lo facciamo grosso”, “vuoi un figlio vai alla banca del seme”, senza il dramma del rapporto umano con l’altro...

È il paese dei balocchi.

E cosa succede poi?

Una cosa terrificante: si sveglia il giorno dopo e parla, ma gli viene fuori il raglio. Non è umano.

E poi ha le orecchie. Ti trasformi nel fisico, non sei umano. Hai goduto e non sei umano.

E ad un certo momento uno dei ciuchini dice l’unica cosa che si può dire: “Mamma”; cioè l’aggancio all’umano, alla possibilità dell’umano. Ma il padrone che li vuole vendere dice: “No, non c’è più la mamma. È passato. È finito”.

È finita, non sei diventato un uomo!

Il diventare uomo è allora la questione.

Ma non si diventa uomini gratuitamente.

Diventare uomo ti modifica, ti cambia. Perché l’umano invecchia e poi muore.

E io penso che tutta la questione religiosa sia questa: la vera questione religiosa è la questione antropologica.

Figuriamoci se la Bibbia è un testo in cui Dio parla di sé! Scusate… Ma Dio non è Narciso.

Dio continua a dire all’uomo “Sii uomo, stai in piedi da uomo. Non perderti come uomo”.

E poi lo dettaglia nella Bibbia. Non puoi diventare uomo al di fuori del rapporto con me e al di fuori del rapporto coi fratelli.

Non parla di eccellenza, non parla di successo. Infatti è una storia di uomini che non hanno successo.

Pensate a Giacobbe (Gen 32,23-33), che arriva al fiume Yabbok; passan tutti (si chiama esperienza, passare un limite, fango, viaggio, l’attraversamento di un limite, fare esperienza, diventare uomini, non si nasce uomini, c’è bisogno di un’esperienza. E non c’è esperienza umana senza l’accettazione del limite e del dolore e del fallimento. È l’opposto di quello che dicono).

Passa anche lui, per ultimo…

Passa e bang… un ostacolo… Già questo la dice lunga, non è un trionfo, è un impatto. La vita è un ostacolo: nasci col sedere grosso. Per esempio c’è un bambino nella scuola dove lavora mia moglie che non è tanto eccelnte, perché, non parla, non studia tanto… Però – dicono – ha avuto un piccolo problemino: lui è entrato in casa e ha trovato il papà impiccato. Una robina, no? E lui non sa le tabelline… Ma guardate che è strano, eh!?!?!?

Io già mi chiedo come mai non prenda un mitra e inizi a sparare… La mia ipotesi sarebbe questa. E lui, figuriamoci che impatto nella sua vita… Bang… sta camminando nella sua vita e il papà si suicida… o il papà che muore… o i papà che si separano… o il mio amico che ha l’amante dell’età della figlia… Pensate per la figlia, no? Per la figlia: “Bang”… C’era il papà e la mamma e adesso il papà va con una che ha la sua stessa età. Enorme, no?

Bang… E Giacobbe incontra questo qui e si mettono a lottare, tutta una sera. Tutta una giornata, cioè tutta la vita.

Adesso viene il bello: alla fine questo qua dice: “Uff, devo andare”. È bellissimo. Il personaggio misterioso dice “Enti è tardi, devo andare”. “Come ‘È tardi devo andare’? Dimmi chi sei!”. “No! Però ti devo dire la verità: tu hai vinto”. Vinto che cosa? È sempre lì in mezzo, il fiume non l’ha passato. Quegli altri chissà dove sono. Lui è in ritardo… Però gli dice: “Tu hai combattuto con Dio e hai vinto”. Cioè sei rimasto uomo. Hai combattuto. La vita. Hai combattuto. Non hai fatto il giro, non hai detto: “Lascio perdere”. Hai combattuto!

E qui viene il colpo di cabaret. Dice: “Guarda, già che ci sono ti faccio un dono”. Quell’altro dice: “Orca, menomale”. Uno pensa i cioccolatini, una coppa, lo scudetto…

Non gli ha dato il nome, l’ha tenuto tutta la notte e gli dice: “Già che ci sono ti slogo l’anca”.

Fa morir dal ridere! È meraviglioso.

E questo tutta la vita si porterà dietro l’anca slegata. Altro che eccellenza!

Non mi fai il seno sodo? O il sedere tirato su? No! Bellissimo!

Perché è meglio entrare nel Regno dei cieli senza un occhio che perdersi. Ma è vero, eh! È vero. Non è un pillola di saggezza di Gesù: è vero!

Dobbiamo diventare uomini, il che non vuol dire eccellenti. Vuol dire uomini. Questa è l’eccellenza.».



Ecco… Dobbiamo diventare uomini. Questo mi pare il senso di quella necessità di rinascere di cui Gesù parla a Nicodemo.



E allora la domanda per noi può essere: Nei miei incontri notturni con Gesù, negli impatti che la storia mi ha riservato come Giacobbe al fiume Yabbok, come ho deciso di me? Come sto decidendo di me? Sto decidendo di accettare la sfida di diventare uomo o cerco il paese dei balocchi? Magari un paese dei balocchi molto religioso… ma poco umano.



E, infine, giunti a questo punto… Che senso hanno i versetti di questa Quarta Domenica di Quaresima? Che senso hanno le altre parole che Gesù dice a Nicodemo?



Essi rischiano, ad una prima lettura, di apparire come bruscamente discostanti rispetto al discorso finora portato avanti, ma in realtà sono semplicemente un suo approfondimento.

La prospettiva proposta da Gesù a Nicodemo infatti attende ancora di essere chiarita: Cosa significa nascere dallo Spirito? O rinascere dall’alto? Di che tipo di uomo nuovo sta parlando Gesù? E in che senso è una condizione non da conquistare, ma da accogliere?

Ecco dunque questa sorta di digressione teologica che spazza definitivamente ogni rigurgito farisaico (quali opere devo adempiere per salvarmi?) e fa risplendere l’annuncio evangelico: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui».

Ecco il lieto annuncio: l’entrare nel Regno (che tradotto nel nostro linguaggio potrebbe suonare come il diventare uomini) è insieme frutto dell’iniziativa di Dio e suo desiderio sull’uomo; la buona notizia è perciò questa: che chi ha in mano la storia (Dio) ci aspetta nelle nostre notti, ci aspetta ai nostri Yabbok… nella persona del Figlio suo, che nella sua notte, nel suo Yabbok, non ha lasciato perdere, ma ha combattuto: è diventato uomo e tiene ancora i segni di quella lotta nelle sue mani e nei suoi piedi di risorto.

Infatti, «per la sua totale estraneità al male e all’oppressione, per la sua appassionata dedizione all’amore, si sono coalizzati contro di lui i poteri del male, per eliminarlo, perché da lui, inerme ma indomabile, si sentivano minacciati, quasi avesse condensato in sé, come l’antico serpente, tutto il veleno dell’umanità. Stritolato dai meccanismi del potere politico, religioso, economico, Gesù ha vinto il male ed è divenuto così sacramento e modulo di salvezza, per tutti quelli che credono in lui. Che non solo ha salvato, donando la vita per loro e per tutti noi, ma ci ha insegnato il modulo di salvezza, la possibilità cioè di guardare a lui e rinnovare anche in noi, e attorno a noi, la sua salvezza [di diventare anche noi uomini e far diventare altri uomini!]: Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. L’innalzamento del Figlio dell’uomo è l’anticipo della sua morte e risurrezione. Lasciarsi innalzare è lasciarsi crocifiggere dagli uomini. Ma lasciarsi innalzare è anche essere glorificato dal Padre! E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire (12,32). Inizia una salvezza per attrazione! La vita eterna è questa commistione di terra “glorificata”, di passione “salvatrice”, di peccato “santificato” – perché, impregnate dello Spirito, le “nostre cose” diventano evento di salvezza e durano in eterno!» [Giuliano].



Allora, forse è davvero ora di piantarla con tutta la coreografia del sacro e del religioso, con un ordine simbolico che non sa più far esperire il reale, e tornare, noi a riscoprire e incarnare l’autentica proposta evangelica.

Ma per persuadere gli altri che il Dio di Gesù è Dio così e che si diventa uomini così, per fargli intuire che c’è una conversione da fare nella loro idea di Dio e dunque di uomo e dunque di vita e dunque di morte, e dunque di felicità e dunque di amore e dunque di volto dell’altro, ecc… le parole sembrano non servire più…

Forse è il tempo di creare spazi nuovi, dove il vangelo passi attraverso il bene di persone che insieme scelgono di legare il destino tra di loro e a un uomo (che era anche il Figlio di Dio) morto per amore… chissà che questi piccoli nuclei amanti, irraggiando un po’ di bene intorno non riescano a sanare almeno un po’ le ferite di questa nostra umanità disillusa, impaurita, senza speranza… poco umana.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

I più letti in assoluto

Relax con Bubble Shooter

Altri? qui

Countries

Flag Counter