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lunedì 9 marzo 2015

IV Domenica di Quaresima


Dal secondo libro delle Cronache (2Cr 36,14-16.19-23)

In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme. Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi. Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni». Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 2,4-10)

Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,14-21)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

 

Le letture che la Chiesa ci propone per questa Quarta Domenica di Quaresima sono davvero impegnative, direi quasi scomode…

Risulta faticoso infatti trovare tra di esse un nesso e, anche scegliendo di concentrarsi solo sul vangelo, il compito non pare semplificato.

Questo perché i versetti di Giovanni, proposti dalla liturgia, sono solo una sezione del ben più lungo discorso tra Gesù e Nicodemo, che inizia addirittura 10 versetti prima, e presi così risultano un po’ estemporanei… inoltre il brano scelto consiste in una sorta di approfondimento teologico su quanto precede: una specie di commento a mo’ di monologo, in cui si concentra quasi una sintesi di tutto il messaggio di Gesù nel Quarto Vangelo. Un monologo – non a caso – dal finale aperto (Nicodemo non risponde nulla!)… Ma essendo un discorso che approfondisce quanto precede, per comprenderlo è inevitabile fare un passo indietro e capire cosa lo precede?

Vediamo innanzitutto ciò che l’evangelista ha finora raccontato.

martedì 13 marzo 2012

IV Domenica di Quaresima


Antony Armstrong, Giacobbe lotta con l’angelo



Le letture che la Chiesa ci propone per questa Quarta Domenica di Quaresima sono davvero impegnative, direi quasi scomode…

Risulta faticoso infatti trovare tra di esse un nesso e, anche scegliendo di concentrarsi solo sul vangelo, il compito non pare semplificato.

Questo perché i versetti di Giovanni, proposti dalla liturgia, sono solo una sezione del ben più lungo discorso tra Gesù e Nicodemo, che inizia addirittura 10 versetti prima, e presi così risultano un po’ estemporanei… inoltre il brano scelto consiste in una sorta di approfondimento teologico su quanto precede: una specie di commento a mo’ di monologo, in cui si concentra quasi una sintesi di tutto il messaggio di Gesù nel Quarto Vangelo. Un monologo – non a caso – dal finale aperto (Nicodemo non risponde nulla!)… Ma essendo un discorso che approfondisce quanto precede, per comprenderlo è inevitabile fare un passo indietro e capire cosa lo precede?

Vediamo innanzitutto ciò che l’evangelista ha finora raccontato.


Se prendiamo il vangelo di Giovanni al primo capitolo, primo versetto, e iniziamo a sfoglialo fino al versetto 1 del capitolo 3, ci accorgiamo che, dopo il PROLOGO POETICO (Gv 1,1-18), troviamo un PROLOGO STORICO (1,19-2,12), che narra alcuni eventi organizzandoli in un tempo (simbolico ed evocativo) di una settimana:

I GIORNO: 1,19-28 ® Giovanni Battista;

II GIORNO: 1,29-34 ® compare Gesù;

III GIORNO: 1,35-42 ® i primi discepoli;

IV GIORNO: 1,43-51 ® Natanaele;

V GIORNO – VI GIORNO: x

VII GIORNO: 2,1-12 ® le nozze di Cana.



Dopo le nozze di Cana, leggiamo in Gv 2,13: «Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme».

Il vangelo di Giovanni, infatti, a differenza dei sinottici, è organizzato in base alle festività ebraiche, che diventano occasioni per Gesù per andare più volte a Gerusalemme:

I VOLTA: 12,13 ® Pasqua ebraica;

4,3: «lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea»

II VOLTA: 5,1 ® «Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme»;

6,1: «Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea»

III VOLTA: 7,2.10 ® Festa delle Capanne.

Non è narrato il rientro in Galilea, ma sono citate altre feste ebraiche che collocano Gesù a Gerusalemme (La festa della dedicazione del Tempio, 10,22 e quella finale di Pasqua).



La salita a Gerusalemme che interessa a noi, oggi, è la prima.

Gesù sale a Gerusalemme, va al Tempio e compie il gesto della cacciata dei venditori e dei cambiavalute che abbiamo letto settimana scorsa.

I Giudei intervengono: «“Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo».



È a questo punto che compare il nostro Nicodemo, che fa parte dei giudei “ortodossi”; quelli però favorevoli a Gesù perché entusiasti dei segni da lui operati.

Il primo versetto del nostro capitolo 3 introduce il personaggio. Il suo obiettivo è rispondere alla domanda “Chi è?”, in quattro modi:

-          Con una formula di generica introduzione narrativa «Vi era un uomo…»;

-          Con una formula di appartenenza: «tra i farisei»;

-          Con il suo nome proprio: «Nicodemo» (= colui che vince nel popolo / colui che prevale nel consiglio; che è un nome un po’ ironico riferito al nostro personaggio…);

-          Con la sua carica religiosa: «uno dei capi dei Giudei» – quindi probabilmente membro del Sinedrio (dove la maggioranza è di sadducei, non di farisei – e dove quindi Nicodemo appartiene ad una minoranza).

Va aggiunto che è una figura sconosciuta ai sinottici; che di lui, Gesù al versetto 10 dirà che è «un maestro d’Israele»; che probabilmente è ricco (cfr. la quantità di aromi che porta in Gv 19,39).



Il secondo versetto risponde invece alla domanda”Cosa fa?”:

-          «Andò da Gesù di notte», dove la sottolineatura cade – appunto – su quel di notte. Nicodemo viene di notte per non compromettersi di fronte al proprio gruppo di appartenenza. La sua posizione è fin dall’inizio contrastata tra il “venire a Gesù” e il farlo “di notte”, che esprime una situazione ambigua e inadeguata, che attende un salto di qualità.



Tutti noi siamo Nicodemo, sempre un po’ a mezza via tra l’andare da Gesù e l’andarci di notte.



-          «Gli disse: “Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui”».

Nicodemo apre il suo discorso con una captatio benevolentiae in netto contrasto con la contestazione di quei Giudei che poco prima nel Tempio avevano chiesto a Gesù una legittimazione del suo agire. Per lui Gesù non ha bisogno di esibire “prove” della propria autorevolezza, se può fare i segni che fa è evidente che “Dio è con lui”. Cioè, è un po’ come se Nicodemo dicesse a Gesù “Altri non ti hanno capito, noi invece sì! Con noi puoi parlare, ti puoi fidare…”. Nicodemo tenta una sorta di complicità, chiama Gesù “maestro” anche se senza articolo… cioè, non “il maestro”, ma “un maestro”.

Gesù smaschera questo suo atteggiamento (non senza ironia, cfr. v. 10-11: «Tu sei maestro d’Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza») e sposta il discorso dalla “possibilità di Gesù di fare segni”, alla “possibilità di accedere al regno di Dio”.

C’era infatti un’implicita problematica che turbava questo fariseo, capo dei giudei e maestro in Israele, che suonava più o meno in questi termini: Che cos’è necessario alla salvezza? Come si entra nel Regno? O più precisamente – dato che stiamo parlando di un rabbino fariseo – quali opere bisogna compiere per entrare nel Regno?

In sostanza, è la stessa problematica del capo giudeo di cui parla Luca nel capitolo 18 al versetto 18: «Che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?» o del giovane ricco in Matteo: è cioè il problema dei problemi, il campo su cui il contrasto con Gesù diventerà forte, radicale, fonte di incomprensioni… tanto da risultargli fatale.

Infatti nei versetti che seguono («In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto», Gv 13,5-7) emerge con chiarezza la prospettiva di Gesù contrapposta a quella farisaica di Nicodemo: «Non sono le opere dell’uomo a inaugurare i tempi messianici e il Regno, ma le opere di Dio! […] È quest’opera di Dio, non la buona volontà dell’uomo, o le sue azioni, o anche la sua conversione, che gli permettono di entrare “nel Regno di Dio”. La “carne”, cioè l’umanità nella sua povera nudità, abbandonata a se stessa, non può che offrire risultati di “carne”, cioè di umanità mortale e fragile. “Non può” arrivare a compiere opere di tipo superiore e divino, come l’ingresso nel regno, partecipazione alla vita di Dio nel mondo stesso di Dio. Solo Dio, mediante il suo Spirito, lo può realizzare. […] Siamo così nel cuore stesso del vangelo: la divina iniziativa per la salvezza dell’uomo e la sconfitta di tutte le (farisaiche) presunzioni umane» [M. Laconi, in il racconto di Giovanni, pp. 76-78].



Nel versetto 3 c’è infatti la risposta e la replica di Gesù.

Come dicevamo egli sposta la questione dalle condizioni di possibilità dei propri segni a quelle della partecipazione al regno di Dio. Il problema su cui deve misurarsi Nicodemo non è anzitutto “Cosa ci sta dietro ai segni di Gesù?”, ma “Cosa ha da fare l’uomo per entrare nel regno?”.



Questo credo sia istruttivo anche per noi: le nostre domande vanno collocate nella giusta prospettiva. Il nostro interrogare la vita, la fede, la parola di Dio, Dio stesso non può avvenire a monte di una decisione di fiducia. Decido di entrare in relazione con te/Te e perciò pongo domande per conoscerti. E NON: Pongo domande per vedere se poi decidere di entrare in relazione con te…



La risposta di Gesù è di quelle autorevolissime («In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio»). All’uomo spetta la consapevolezza di dover rinascere dall’alto.



Versetto 4: Nicodemo non capisce e formula infatti quella domanda che ci fa sorridere («Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?»), che è un escamotage dell’evangelista Giovanni per approfondire il discorso.



Versetti 5-8: Gesù riprende infatti la parola e dice: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».



Ma, versetto 9, Nicodemo non capisce ancora: «Come può accadere questo?»; e Gesù prosegue a parlare per altri 12 versetti (10-21), con un monologo dal finale aperto: Nicodemo non risponde.



Questi ultimi versetti sono i nostri…

Ho voluto però dilungarmi maggiormente nella prima parte, perché – dicevamo – contiene la premessa per capire quanto segue, in particolare nella tematica del rinascere dall’alto



Annotazione previa: vorrei che non chiudessimo subito il discorso sul “rinascere dall’alto” nel sacramento del battesimo! Perché se diciamo “Certo, rinascere dall’alto è ricevere il battesimo”, abbiam già perso la partita e buonanotte. Infatti noi, che siamo tutti battezzati, il problema ce l’abbiamo tale e quale agli altri.

Il percorso da fare è al contrario. Arrivare a capire il senso del battesimo a partire dal problema dell’uomo di sempre e cioè che C’È BISOGNO DI UNA SECONDA NASCITA (non a caso il battesimo in origine si faceva da adulti!).

Per tentare di spiegare cosa è in questione nel nostro brano, mi rifaccio ad una conferenza del prof. Silvano Petrosino, docente di Semiotica e Filosofia Teoretica all’Università Cattolica di Milano e Piacenza, dal titolo “Si diventa uomini. Tra gettatezza e cura”.

«La prima cosa che dico è una cosa che mi sembra banale; ma mi sembra importante ridircela. E cioè che non si nasce uomini.

Questa è una cosa presente in tutte le favole ad esempio. Tutte le favole non fanno che ridire questo: che si nasce una prima volta, si nasce come nascono i gatti, i castori e i topi e poi si deve rinascere una seconda volta. Bisogna diventare uomini.

Noi abbiamo nella nostra tradizione una cosa enorme, che è Pinocchio. Perché Pinocchio è una grande favola sull’uomo e riguarda proprio il fatto del diventare uomo.

“Diventare uomo” che non riguarda solo Pinocchio, che da burattino deve diventare bambino, ma riguarda Geppetto: che deve diventare padre.

Non si è padri perché si genera. E non si è madri perché si genera!

Anche l’idea che circola spesso in ambienti cattolici “Siamo tutti figli”, mio nonno in cariola! Dobbiamo diventare figli!

Anzi noi dovremmo essere particolarmente lucidi su questo perché tutta la vicenda di Gesù è lì a dircelo! Gesù è l’uomo che vive totalmente l’idea di figlio.

Ma non è che tu sei figlio, perché sei nato. Tu sei nato e sei nato. Sei un generato, non sei figlio.

Fra l’altro è una cosa che noi sappiamo (però bisognerebbe rifletterci): è col tempo che uno capisce che cos’è una mamma o cos’è un padre.

L’umano infatti è il dramma della libertà. Se tu togli il dramma, togli l’umano.

E quindi uno diventa padre, deve decidere di diventare padre, deve scegliere di diventare padre; deve decidere di diventare figlio.

Ci si scandalizza quando qualcuno tratta male i genitori e invece è normale, quello è naturale. È meraviglioso quando ciò non avviene. Bisognerebbe cambiare la prospettiva!

È naturale che tu dopo qualche anno di matrimonio ti scocci. Ma dai, diciamocelo! Ma dov’è lo scandalo, ti stufi!

È quando ciò non avviene (ma questo richiede una decisione, una scelta, un dramma, una rinuncia) che è enorme, cioè umano.

Quindi non si è uomini, si diventa uomini.

Non a caso tutta la narrazione biblica è sempre ritmata in un doppio tempo, c’è sempre un due, mai un uno.

Basti vedere, per esempio il fatto sorprendente che Dio fa una cosa e poi vede che è buona.

C’è sempre un due. Ma perché?

Il due è il superamento dell’uno, cioè del magico. La magia è l’uno. La magia è “Io voglio che lei si innamori di me”. Dò la pozione e lei si innamora di me! Tac! Questa è la magia.

L’amore è il due. L’amore implica una decisione, un tempo, una scelta, un dramma, il dipanarsi di una storia.

Per questo la magia è strepitosa e però perversa, perché bypassa la libertà. Tutto il dramma dell’innamoramento: che implica l’attesa, la paura e aspetto che tu mi chiami e non mi chiami… il timore del tradimento… l’amore.

La magia dice uno. E Dio, invece, Dio stesso, dice due. Si deve nascere una seconda volta. Già questo per me è pazzesco, perché vuol dire molti di noi non diventeranno uomini.

Forse il tempo che ci è dato, la storia, ci è data proprio per diventare uomini. Per poter scegliere e poter contribuire a diventare uomini.

Come in Pinocchio…

Cosa accade a Pinocchio?

Pinocchio incontra Lucignolo, Lucifero. E Lucignolo chiede a Pinocchio: “Dove stai andando?”. E Pinocchio gli risponde: “A scuola”. E Lucignolo dice: “Ma perché vai a scuola? C’è una paese, il paese dei balocchi, dove non si studia, non si lavora e ci si diverte tutto il giorno. Andiamo” [è la magia]. Pinocchio va.

E cosa succede?

Quello che dice Lucignolo è vero! Non è finto. È vero: ci si diverte, si mangia e non si va a scuola. È vero!

Se non si capisce questo, si fa subito la critica a Lucignolo. Ma se fosse così sarebbe banale.

Perché si deve andare a scuola? Perché devi andare a scuola? C’è un paese dei balocchi!

Il paese dei balocchi è il nostro, eh! I computer, la roba… Il paese dei balocchi è “hai il naso storto lo facciamo dritto”, “hai il seno piccolo lo facciamo grosso”, “vuoi un figlio vai alla banca del seme”, senza il dramma del rapporto umano con l’altro...

È il paese dei balocchi.

E cosa succede poi?

Una cosa terrificante: si sveglia il giorno dopo e parla, ma gli viene fuori il raglio. Non è umano.

E poi ha le orecchie. Ti trasformi nel fisico, non sei umano. Hai goduto e non sei umano.

E ad un certo momento uno dei ciuchini dice l’unica cosa che si può dire: “Mamma”; cioè l’aggancio all’umano, alla possibilità dell’umano. Ma il padrone che li vuole vendere dice: “No, non c’è più la mamma. È passato. È finito”.

È finita, non sei diventato un uomo!

Il diventare uomo è allora la questione.

Ma non si diventa uomini gratuitamente.

Diventare uomo ti modifica, ti cambia. Perché l’umano invecchia e poi muore.

E io penso che tutta la questione religiosa sia questa: la vera questione religiosa è la questione antropologica.

Figuriamoci se la Bibbia è un testo in cui Dio parla di sé! Scusate… Ma Dio non è Narciso.

Dio continua a dire all’uomo “Sii uomo, stai in piedi da uomo. Non perderti come uomo”.

E poi lo dettaglia nella Bibbia. Non puoi diventare uomo al di fuori del rapporto con me e al di fuori del rapporto coi fratelli.

Non parla di eccellenza, non parla di successo. Infatti è una storia di uomini che non hanno successo.

Pensate a Giacobbe (Gen 32,23-33), che arriva al fiume Yabbok; passan tutti (si chiama esperienza, passare un limite, fango, viaggio, l’attraversamento di un limite, fare esperienza, diventare uomini, non si nasce uomini, c’è bisogno di un’esperienza. E non c’è esperienza umana senza l’accettazione del limite e del dolore e del fallimento. È l’opposto di quello che dicono).

Passa anche lui, per ultimo…

Passa e bang… un ostacolo… Già questo la dice lunga, non è un trionfo, è un impatto. La vita è un ostacolo: nasci col sedere grosso. Per esempio c’è un bambino nella scuola dove lavora mia moglie che non è tanto eccelnte, perché, non parla, non studia tanto… Però – dicono – ha avuto un piccolo problemino: lui è entrato in casa e ha trovato il papà impiccato. Una robina, no? E lui non sa le tabelline… Ma guardate che è strano, eh!?!?!?

Io già mi chiedo come mai non prenda un mitra e inizi a sparare… La mia ipotesi sarebbe questa. E lui, figuriamoci che impatto nella sua vita… Bang… sta camminando nella sua vita e il papà si suicida… o il papà che muore… o i papà che si separano… o il mio amico che ha l’amante dell’età della figlia… Pensate per la figlia, no? Per la figlia: “Bang”… C’era il papà e la mamma e adesso il papà va con una che ha la sua stessa età. Enorme, no?

Bang… E Giacobbe incontra questo qui e si mettono a lottare, tutta una sera. Tutta una giornata, cioè tutta la vita.

Adesso viene il bello: alla fine questo qua dice: “Uff, devo andare”. È bellissimo. Il personaggio misterioso dice “Enti è tardi, devo andare”. “Come ‘È tardi devo andare’? Dimmi chi sei!”. “No! Però ti devo dire la verità: tu hai vinto”. Vinto che cosa? È sempre lì in mezzo, il fiume non l’ha passato. Quegli altri chissà dove sono. Lui è in ritardo… Però gli dice: “Tu hai combattuto con Dio e hai vinto”. Cioè sei rimasto uomo. Hai combattuto. La vita. Hai combattuto. Non hai fatto il giro, non hai detto: “Lascio perdere”. Hai combattuto!

E qui viene il colpo di cabaret. Dice: “Guarda, già che ci sono ti faccio un dono”. Quell’altro dice: “Orca, menomale”. Uno pensa i cioccolatini, una coppa, lo scudetto…

Non gli ha dato il nome, l’ha tenuto tutta la notte e gli dice: “Già che ci sono ti slogo l’anca”.

Fa morir dal ridere! È meraviglioso.

E questo tutta la vita si porterà dietro l’anca slegata. Altro che eccellenza!

Non mi fai il seno sodo? O il sedere tirato su? No! Bellissimo!

Perché è meglio entrare nel Regno dei cieli senza un occhio che perdersi. Ma è vero, eh! È vero. Non è un pillola di saggezza di Gesù: è vero!

Dobbiamo diventare uomini, il che non vuol dire eccellenti. Vuol dire uomini. Questa è l’eccellenza.».



Ecco… Dobbiamo diventare uomini. Questo mi pare il senso di quella necessità di rinascere di cui Gesù parla a Nicodemo.



E allora la domanda per noi può essere: Nei miei incontri notturni con Gesù, negli impatti che la storia mi ha riservato come Giacobbe al fiume Yabbok, come ho deciso di me? Come sto decidendo di me? Sto decidendo di accettare la sfida di diventare uomo o cerco il paese dei balocchi? Magari un paese dei balocchi molto religioso… ma poco umano.



E, infine, giunti a questo punto… Che senso hanno i versetti di questa Quarta Domenica di Quaresima? Che senso hanno le altre parole che Gesù dice a Nicodemo?



Essi rischiano, ad una prima lettura, di apparire come bruscamente discostanti rispetto al discorso finora portato avanti, ma in realtà sono semplicemente un suo approfondimento.

La prospettiva proposta da Gesù a Nicodemo infatti attende ancora di essere chiarita: Cosa significa nascere dallo Spirito? O rinascere dall’alto? Di che tipo di uomo nuovo sta parlando Gesù? E in che senso è una condizione non da conquistare, ma da accogliere?

Ecco dunque questa sorta di digressione teologica che spazza definitivamente ogni rigurgito farisaico (quali opere devo adempiere per salvarmi?) e fa risplendere l’annuncio evangelico: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui».

Ecco il lieto annuncio: l’entrare nel Regno (che tradotto nel nostro linguaggio potrebbe suonare come il diventare uomini) è insieme frutto dell’iniziativa di Dio e suo desiderio sull’uomo; la buona notizia è perciò questa: che chi ha in mano la storia (Dio) ci aspetta nelle nostre notti, ci aspetta ai nostri Yabbok… nella persona del Figlio suo, che nella sua notte, nel suo Yabbok, non ha lasciato perdere, ma ha combattuto: è diventato uomo e tiene ancora i segni di quella lotta nelle sue mani e nei suoi piedi di risorto.

Infatti, «per la sua totale estraneità al male e all’oppressione, per la sua appassionata dedizione all’amore, si sono coalizzati contro di lui i poteri del male, per eliminarlo, perché da lui, inerme ma indomabile, si sentivano minacciati, quasi avesse condensato in sé, come l’antico serpente, tutto il veleno dell’umanità. Stritolato dai meccanismi del potere politico, religioso, economico, Gesù ha vinto il male ed è divenuto così sacramento e modulo di salvezza, per tutti quelli che credono in lui. Che non solo ha salvato, donando la vita per loro e per tutti noi, ma ci ha insegnato il modulo di salvezza, la possibilità cioè di guardare a lui e rinnovare anche in noi, e attorno a noi, la sua salvezza [di diventare anche noi uomini e far diventare altri uomini!]: Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. L’innalzamento del Figlio dell’uomo è l’anticipo della sua morte e risurrezione. Lasciarsi innalzare è lasciarsi crocifiggere dagli uomini. Ma lasciarsi innalzare è anche essere glorificato dal Padre! E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire (12,32). Inizia una salvezza per attrazione! La vita eterna è questa commistione di terra “glorificata”, di passione “salvatrice”, di peccato “santificato” – perché, impregnate dello Spirito, le “nostre cose” diventano evento di salvezza e durano in eterno!» [Giuliano].



Allora, forse è davvero ora di piantarla con tutta la coreografia del sacro e del religioso, con un ordine simbolico che non sa più far esperire il reale, e tornare, noi a riscoprire e incarnare l’autentica proposta evangelica.

Ma per persuadere gli altri che il Dio di Gesù è Dio così e che si diventa uomini così, per fargli intuire che c’è una conversione da fare nella loro idea di Dio e dunque di uomo e dunque di vita e dunque di morte, e dunque di felicità e dunque di amore e dunque di volto dell’altro, ecc… le parole sembrano non servire più…

Forse è il tempo di creare spazi nuovi, dove il vangelo passi attraverso il bene di persone che insieme scelgono di legare il destino tra di loro e a un uomo (che era anche il Figlio di Dio) morto per amore… chissà che questi piccoli nuclei amanti, irraggiando un po’ di bene intorno non riescano a sanare almeno un po’ le ferite di questa nostra umanità disillusa, impaurita, senza speranza… poco umana.

venerdì 20 marzo 2009

IV domenica di Quaresima: Gesù e Nicodemo

Le letture che la Chiesa ci propone per questa quarta domenica di Quaresima sono davvero complicate… Risulta faticoso trovare un nesso tra di esse e, anche scegliendo di concentrarsi solo sul vangelo, il compito non pare semplificato.
Questo forse dipende innanzitutto dal fatto che i versetti di Giovanni proposti dalla liturgia sono solo una sezione del più lungo discorso tra Gesù e Nicodemo, iniziato 10 versetti prima; in secondo luogo forse dal fatto che il brano scelto è una sorta di approfondimento teologico su quanto precede: una specie di commento a mo’ di monologo (non si coglie con precisione se riferito da Gesù o dall’evangelista), in cui si concentra quasi una sintesi di tutto il messaggio di Gesù nel quarto vangelo.Prima di indagare questi nostri versetti è allora forse utile fare un piccolo passo indietro per cogliere cosa si sono detti Gesù e Nicodemo fino a questo punto.

La storia di Nicodemo e del suo sopraggiungere di notte, con tutti i significati simbolici che sono stati attribuiti a questa oscurità, sono fin troppo noti; per questo preferiamo addentrarci subito sulle parole. Il primo a parlare è Nicodemo («Rabbi, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui», Gv 3,2), che però almeno esplicitamente non pone nessuna questione a Gesù, non gli fa infatti nessuna domanda diretta. Dalla riposta di Gesù però («In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio», Gv 13,3) si può evincere facilmente che c’era un’implicita problematica che turbava questo fariseo, capo dei giudei e maestro in Israele e che essa suonava più o meno in questi termini: Che cos’è necessario alla salvezza? Come si entra nel Regno? O più precisamente – dato che stiamo parlando di un rabbino fariseo – quali opere bisogna compiere per entrare nel Regno?
In sostanza, è la stessa problematica del capo giudeo di cui parla Luca nel capitolo 18 al versetto 18: «Che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?» o del giovane ricco in Matteo: è cioè il problema dei problemi, il campo su cui il contrasto con Gesù diventerà forte, radicale, fonte di incomprensioni… tanto da risultargli fatale.
Infatti nei versetti che seguono («In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto», Gv 13,5-7) emerge con chiarezza la prospettiva evangelica di Gesù contrapposta a quella farisaica di Nicodemo: «Non sono le opere dell’uomo a inaugurare i tempi messianici e il Regno, ma le opere di Dio! […] È quest’opera di Dio, non la buona volontà dell’uomo, o le sue azioni, o anche la sua conversione, che gli permettono di entrare “nel Regno di Dio”. La “carne”, cioè l’umanità nella sua povera nudità, abbandonata a se stessa, non può che offrire risultati di “carne”, cioè di umanità mortale e fragile. “Non può” arrivare a compiere opere di tipo superiore e divino, come l’ingresso nel regno, partecipazione alla vita di Dio nel mondo stesso di Dio. Solo Dio, mediante il suo Spirito, lo può realizzare. […] Siamo così nel cuore stesso del vangelo: la divina iniziativa per la salvezza dell’uomo e la sconfitta di tutte le (farisaiche) presunzioni umane» [M. Laconi, in il racconto di Giovanni, pp. 76-78].
Ed è proprio qui che si inseriscono i versetti di questa nostra quarta domenica di Quaresima.
Essi, come si diceva, rischiano, ad una prima lettura, di apparire come bruscamente discostanti rispetto al discorso finora portato avanti, ma in realtà sono semplicemente un suo approfondimento.
La prospettiva proposta da Gesù a Nicodemo infatti attende ancora di essere chiarita: Cosa significa nascere dallo Spirito? O rinascere dall’alto? Di che tipo di uomo nuovo sta parlando Gesù? E in che senso è una condizione non da conquistare, ma da accogliere?
Ecco dunque questa sorta di digressione teologica che spazza definitivamente ogni rigurgito farisaico (quali opere devo adempiere per salvarmi?) e fa risplendere l’annuncio evangelico: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui».
Ecco il lieto annuncio: l’entrare nel Regno (che tradotto nel nostro linguaggio potrebbe suonare come il trovare senso e pienezza alla vita, il far tralucere da essa autenticità e dedizione, il lasciarsi inondare d’amore rilanciandolo a costo della vita) è insieme frutto dell’iniziativa di Dio e suo desiderio sull’uomo; la buona notizia è perciò questa: che chi ha in mano la storia (Dio) sta dalla parte dell’uomo e non da tifoso lunatico o da freddo calcolatore, ma come un padre, disposto anche a dare suo figlio, per gridare il suo amore per l’uomo. Un Padre dunque che non può essere confuso con un giudice che misura le nostre opere per valutare dove andremo a finire… Non è questo il Dio di Gesù: quello continua a proclamarsi interessato solo ad una relazione d’amore con l’uomo!
Noi invece siamo ancora qua a chiederci come evitare di andare all’inferno, che fare per salvarci l’anima, ecc…
E da questo punto di vista è paradossale la proporzionalità inversa tra l’uso (e abuso) dei versetti del vangelo di oggi («Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna») per reclamizzare eventi cattolici o titolare i volantini della parrocchia, e la consapevolezza media dei cristiani del loro contenuto autentico. Se fossero colti davvero, se fossero davvero presi sul serio, se con fiducia ci si affidasse alla promessa che contengono, avrebbero una portata talmente ribaltante da sconquassare il mondo!
Credere cioè che c’è qualcuno che tiene in mano le nostre vite e che lo fa con amore di Padre, senza una doppia faccia punitiva o retributiva, tanto da dare il suo Figlio unigenito per la nostra vita, sarebbe davvero liberante: libererebbe dalla paura della morte, dalla paura del peccato, dalla paura dell’inferno, dalla paura dell’incompiutezza, dalla paura dei fallimenti… Instaurerebbe davvero una possibilità di vita sempre rinnovata, rigenerata, rinata (dall’alto, appunto!)…
Non era questo infatti che come Chiesa avremmo dovuto annunciare? Non era di questo che avremmo dovuto rendere persuasi gli uomini e le donne che hanno attraversato 2000 anni di storia? Liberandoli ad una vita che fosse davvero Vita?
Era la bellezza che dovevamo fargli intuire, sentire, scegliere e vivere: la bellezza di una vita fondata su un amore solido, irreversibile, eterno e per questo abilitata a sua volta a farsi irradiazione di quel vero amore per gli uomini di cui parla Etty Hillesum, capace perfino di perdere la vita, per ritrovarla.
Ma forse era troppo difficile: era difficile convincere del bene e col bene e allora la nostra predicazione si è concentrata sull’evitare il male, pensando che non fosse un obiettivo poi così diverso da quello di Gesù… Abbiamo allora inventato l’inferno e le sue pene, perché sempre più ci siamo accorti che le persone – e anche noi – non credevano più che fosse più bello l’amore incondizionato, di una vita in cui accaparrarsi il meglio a scapito degli altri: troppo rischioso per la propria pelle e troppo impegnativo per esserci sempre e incondizionatamente. Ecco che allora si è iniziato a pensare – e si continua tutt’oggi, fuori, ma purtroppo anche dentro nella Chiesa – a credere che il male sia indubbiamente molto meglio, che però – va beh – c’han sempre detto che non va bene e allora tentiamo di contenerlo, di migliorarci un po’, di non esagerare… arriviamo fin dove arrivano tutti, giusto per “saper stare al mondo”… Sarebbe molto meglio avere tante donne che una sola, però va beh, cerchiamo di fare i bravi e concederci solo qualche scappatella ogni tanto; sarebbe bello poter fare l’amore con tante donne prima di sceglierne una, però va beh, cerchiamo di contenerci un po’ e proviamo solo con qualcuna; sarebbe molto meglio prendere un sacco di soldi in più, però va beh truffare è troppo, limitiamoci a qualche aggiustamento sul sette e quaranta; sarebbe molto meglio avere il posto del mio collega che prende di più, però va beh fare carte false è troppo, limitiamoci a “lavorarci” il capo; ecc… ecc… ecc…
E non ci accorgiamo che tutti questi nostri “va beh limitiamoci a”, cioè questi nostri piccoli rattoppi a un male che sentiamo seducente e che però tentiamo di limitare per “paura delle conseguenze” (terrene ed eterne), non hanno niente a che fare con il vangelo e la proposta di Gesù, che proclamava qualcosa di decisamente altro: la possibilità di una vita autenticamente buona/bella (ovviamente non in senso morale ma di pienezza esistenziale).
Non a caso è curioso come oggi i ragazzi non sognino più in grande: ho chiesto a circa cento sedicenni chi volessero diventare – non tanto cosa volessero fare nella vita, ma chi volessero essere – e le loro risposte mi hanno allibita: non perché abbiano scritto chissà che cose oscene o aberranti… ma perché hanno quasi tutti scritto cose normali, senza sogni, senza idealità. Non voglio scadere nei luoghi comuni, eppure mi pare questo il rigurgito attuale del percorso descritto sopra: i ragazzi hanno smesso di sognare in grande (nessuno o pochi credono per esempio nel grande amore di coppia: fare una famiglia risulta un obiettivo equiparabile a trovare un buon lavoro) e contemporaneamente hanno smesso di credere agli spauracchi infernali che le chiese hanno finora proposto per “farli venire a messa”… ma ovviamente dopo dieci volte che provano e vedono che continuano a vederci benissimo… chi glielo fa fare di gestirsi diversamente?
Forse è davvero ora di piantarla con tutta la coreografia del sacro e del religioso, con un ordine simbolico che non sa più far esperire il reale, e tornare, noi adulti per primi (adulti, sia dal punto di vista personale che istituzionale) a riscoprire e incarnare l’autentica proposta evangelica. Ma per persuadere gli altri che il Dio di Gesù è Dio così, per fargli intuire che c’è una conversione da fare nella loro idea di Dio e dunque di uomo e dunque di vita e dunque di morte, e dunque di felicità e dunque di amore e dunque di volto dell’altro, ecc… le parole sembrano non servire più… Forse è il tempo di creare nuovi spazi, dove il vangelo passi attraverso il bene di persone che insieme scelgono di legare il destino tra di loro e a un uomo (che era anche il Figlio di Dio) morto per amore… chissà che questi piccoli nuclei amanti, irraggiando un po’ di bene intorno non riescano a sanare almeno un po’ le ferite di questa nostra umanità disillusa, impaurita, senza speranza.
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