Dal secondo libro delle Cronache (2Cr 36,14-16.19-23)
In
quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le
loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e
contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme. Il
Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi
messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua
dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole
e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo
popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici]
incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero
alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi.
Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero
schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi
così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia
scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino
al compiersi di settanta anni». Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché
si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore
suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo
regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del
cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di
costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene
al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli
Efesìni (Ef 2,4-10)
Fratelli,
Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da
morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia
siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli,
in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della
sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia
infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di
Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera
sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in
esse camminassimo.
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,14-21)
In
quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto,
così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in
lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio
unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita
eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il
mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è
condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel
nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel
mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro
opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene
alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità
viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state
fatte in Dio».
Le letture che la Chiesa ci propone per
questa Quarta Domenica di Quaresima sono davvero impegnative, direi quasi
scomode…
Risulta faticoso infatti trovare tra
di esse un nesso e, anche scegliendo di concentrarsi solo sul vangelo, il
compito non pare semplificato.
Questo perché i versetti di
Giovanni, proposti dalla liturgia, sono solo una sezione del ben più lungo
discorso tra Gesù e Nicodemo, che inizia addirittura 10 versetti prima, e presi
così risultano un po’ estemporanei… inoltre il brano scelto consiste in una
sorta di approfondimento teologico su quanto precede: una specie di commento a
mo’ di monologo, in cui si concentra quasi una sintesi di tutto il messaggio di
Gesù nel Quarto Vangelo. Un monologo – non a caso – dal finale aperto (Nicodemo
non risponde nulla!)… Ma essendo un discorso che approfondisce quanto precede,
per comprenderlo è inevitabile fare un passo indietro e capire cosa lo precede?
Vediamo innanzitutto ciò che
l’evangelista ha finora raccontato.
Se prendiamo il vangelo di
Giovanni al primo capitolo, primo versetto, e iniziamo a sfoglialo fino al
versetto 1 del capitolo 3, ci accorgiamo che, dopo il PROLOGO POETICO (Gv
1,1-18), troviamo un PROLOGO STORICO (1,19-2,12), che narra alcuni eventi
organizzandoli in un tempo (simbolico ed evocativo) di una settimana:
I GIORNO:
1,19-28 ®
Giovanni Battista;
II GIORNO:
1,29-34 ®
compare Gesù;
III GIORNO:
1,35-42 ®
i primi discepoli;
IV GIORNO:
1,43-51 ®
Natanaele;
V GIORNO – VI
GIORNO: x
VII GIORNO:
2,1-12 ®
le nozze di Cana.
Dopo le nozze di Cana, leggiamo
in Gv 2,13: «Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a
Gerusalemme».
Il vangelo di Giovanni, infatti,
a differenza dei sinottici, è organizzato in base alle festività ebraiche, che
diventano occasioni per Gesù per andare più volte a Gerusalemme:
I VOLTA:
12,13 ®
Pasqua ebraica;
4,3: «lasciò la Giudea e si diresse di nuovo
verso la Galilea»
II VOLTA: 5,1
®
«Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme»;
6,1: «Gesù passò all’altra riva del mare di
Galilea»
III VOLTA:
7,2.10 ®
Festa delle Capanne.
Non è narrato il rientro in Galilea, ma sono
citate altre feste ebraiche che collocano Gesù a Gerusalemme (La festa della
dedicazione del Tempio, 10,22 e quella finale di Pasqua).
La salita a
Gerusalemme che interessa a noi, oggi, è la prima.
Gesù sale a
Gerusalemme, va al Tempio e compie il gesto della cacciata dei venditori e dei
cambiavalute che abbiamo letto settimana scorsa.
I Giudei intervengono: «“Quale segno ci mostri per fare queste cose?”.
Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò
risorgere”. Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in
quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Ma egli parlava del
tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si
ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola
detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti,
vedendo i segni che egli compiva,
credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva
tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli
infatti conosceva quello che c’è nell’uomo».
È a questo
punto che compare il nostro Nicodemo, che fa parte dei giudei “ortodossi”;
quelli però favorevoli a Gesù perché entusiasti dei segni da lui operati.
Il primo versetto del nostro capitolo 3
introduce il personaggio. Il suo obiettivo è rispondere alla domanda “Chi è?”,
in quattro modi:
-
Con una formula di generica introduzione narrativa «Vi
era un uomo…»;
-
Con una formula di appartenenza: «tra i farisei»;
-
Con il suo nome proprio: «Nicodemo» (= colui che vince
nel popolo / colui che prevale nel consiglio; che è un nome un po’ ironico
riferito al nostro personaggio…);
-
Con la sua carica religiosa: «uno dei capi dei Giudei»
– quindi probabilmente membro del Sinedrio (dove la maggioranza è di sadducei,
non di farisei – e dove quindi Nicodemo appartiene ad una minoranza).
Va aggiunto
che è una figura sconosciuta ai sinottici; che di lui, Gesù al versetto 10 dirà
che è «un maestro d’Israele»; che probabilmente è ricco (cfr. la quantità di
aromi che porta in Gv 19,39).
Il secondo versetto risponde invece alla
domanda”Cosa fa?”:
-
«Andò da Gesù di notte», dove la sottolineatura cade –
appunto – su quel di notte. Nicodemo
viene di notte per non compromettersi di fronte al proprio gruppo di
appartenenza. La sua posizione è fin dall’inizio contrastata tra il “venire a
Gesù” e il farlo “di notte”, che esprime una situazione ambigua e inadeguata,
che attende un salto di qualità.
Tutti noi siamo Nicodemo, sempre un po’ a mezza via tra
l’andare da Gesù e l’andarci di notte.
-
«Gli disse: “Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come
maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui”».
Nicodemo apre
il suo discorso con una captatio
benevolentiae in netto contrasto con la contestazione di quei Giudei che
poco prima nel Tempio avevano chiesto a Gesù una legittimazione del suo agire.
Per lui Gesù non ha bisogno di esibire “prove” della propria autorevolezza, se
può fare i segni che fa è evidente che “Dio è con lui”. Cioè, è un po’ come se
Nicodemo dicesse a Gesù “Altri non ti
hanno capito, noi invece sì! Con noi puoi parlare, ti puoi fidare…”. Nicodemo
tenta una sorta di complicità, chiama Gesù “maestro” anche se senza articolo…
cioè, non “il maestro”, ma “un maestro”.
Gesù smaschera
questo suo atteggiamento (non senza ironia, cfr. v. 10-11: «Tu sei maestro
d’Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi
parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non
accogliete la nostra testimonianza») e sposta il discorso dalla “possibilità di
Gesù di fare segni”, alla
“possibilità di accedere al regno di Dio”.
C’era infatti un’implicita
problematica che turbava questo fariseo, capo dei giudei e maestro in Israele,
che suonava più o meno in questi termini: Che cos’è necessario alla salvezza?
Come si entra nel Regno? O più precisamente – dato che stiamo parlando di un
rabbino fariseo – quali opere bisogna compiere per entrare nel Regno?
In sostanza, è
la stessa problematica del capo giudeo di cui parla Luca nel capitolo 18 al
versetto 18: «Che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?» o del giovane
ricco in Matteo: è cioè il problema
dei problemi, il campo su cui il contrasto con Gesù diventerà forte, radicale,
fonte di incomprensioni… tanto da risultargli fatale.
Infatti nei
versetti che seguono («In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua
e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è
carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t’ho
detto: dovete rinascere dall’alto», Gv 13,5-7) emerge con chiarezza la
prospettiva di Gesù contrapposta a quella farisaica di Nicodemo: «Non sono le
opere dell’uomo a inaugurare i tempi messianici e il Regno, ma le opere di Dio!
[…] È quest’opera di Dio, non la buona volontà dell’uomo, o le sue azioni, o
anche la sua conversione, che gli permettono di entrare “nel Regno di Dio”. La
“carne”, cioè l’umanità nella sua povera nudità, abbandonata a se stessa, non
può che offrire risultati di “carne”, cioè di umanità mortale e fragile. “Non
può” arrivare a compiere opere di tipo superiore e divino, come l’ingresso nel
regno, partecipazione alla vita di Dio nel mondo stesso di Dio. Solo Dio,
mediante il suo Spirito, lo può realizzare. […] Siamo così nel cuore stesso del
vangelo: la divina iniziativa per la salvezza dell’uomo e la sconfitta di tutte
le (farisaiche) presunzioni umane» [M. Laconi, in il racconto di Giovanni, pp. 76-78].
Nel versetto 3 c’è infatti la risposta e la
replica di Gesù.
Come dicevamo
egli sposta la questione dalle condizioni di possibilità dei propri segni a
quelle della partecipazione al regno di Dio. Il problema su cui deve misurarsi
Nicodemo non è anzitutto “Cosa ci sta dietro ai segni di Gesù?”, ma “Cosa ha da
fare l’uomo per entrare nel regno?”.
Questo
credo sia istruttivo anche per noi: le nostre domande vanno collocate nella
giusta prospettiva. Il nostro interrogare la vita, la fede, la parola di Dio,
Dio stesso non può avvenire a monte di una decisione di fiducia. Decido di
entrare in relazione con te/Te e perciò pongo domande per conoscerti. E NON:
Pongo domande per vedere se poi decidere di entrare in relazione con te…
La risposta
di Gesù è di quelle autorevolissime («In
verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il
regno di Dio»). All’uomo spetta la consapevolezza di dover rinascere dall’alto.
Versetto 4: Nicodemo non capisce e
formula infatti quella domanda che ci fa sorridere («Come può nascere un uomo
quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e
rinascere?»), che è un escamotage
dell’evangelista Giovanni per approfondire il discorso.
Versetti 5-8: Gesù riprende infatti la
parola e dice: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e
Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è
carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho
detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce,
ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
Ma, versetto 9, Nicodemo non capisce
ancora: «Come può accadere questo?»; e Gesù prosegue a parlare per altri 12 versetti (10-21), con un monologo dal finale aperto: Nicodemo non risponde.
Questi ultimi
versetti sono i nostri…
Ho voluto
però dilungarmi maggiormente nella prima parte, perché – dicevamo – contiene la
premessa per capire quanto segue, in particolare nella tematica del rinascere
dall’alto
Annotazione previa: vorrei che non
chiudessimo subito il discorso sul “rinascere dall’alto” nel sacramento del
battesimo! Perché se diciamo “Certo, rinascere dall’alto è ricevere il
battesimo”, abbiam già perso la partita e buonanotte. Infatti noi, che siamo
tutti battezzati, il problema ce l’abbiamo tale e quale agli altri.
Il percorso
da fare è al contrario. Arrivare a capire il senso del battesimo a partire dal
problema dell’uomo di sempre e cioè che C’È BISOGNO DI UNA SECONDA NASCITA (non
a caso il battesimo in origine si faceva da adulti!).
Per tentare
di spiegare cosa è in questione nel nostro brano, mi rifaccio ad una conferenza
del prof. Silvano Petrosino, docente di Semiotica e Filosofia Teoretica
all’Università Cattolica di Milano e Piacenza, dal titolo “Si diventa uomini.
Tra gettatezza e cura”.
«La prima
cosa che dico è una cosa che mi sembra banale; ma mi sembra importante
ridircela. E cioè che non si nasce uomini.
Questa è una
cosa presente in tutte le favole ad esempio. Tutte le favole non fanno che
ridire questo: che si nasce una prima volta, si nasce come nascono i gatti, i
castori e i topi e poi si deve rinascere una seconda volta. Bisogna diventare uomini.
Noi abbiamo
nella nostra tradizione una cosa enorme, che è Pinocchio. Perché Pinocchio è
una grande favola sull’uomo e riguarda proprio il fatto del diventare uomo.
“Diventare
uomo” che non riguarda solo Pinocchio, che da burattino deve diventare bambino, ma riguarda Geppetto:
che deve diventare padre.
Non si è
padri perché si genera. E non si è madri perché si genera!
Anche l’idea
che circola spesso in ambienti cattolici “Siamo tutti figli”, mio nonno in
cariola! Dobbiamo diventare figli!
Anzi noi dovremmo
essere particolarmente lucidi su questo perché tutta la vicenda di Gesù è lì a
dircelo! Gesù è l’uomo che vive totalmente l’idea di figlio.
Ma non è che
tu sei figlio, perché sei nato. Tu sei nato e sei nato. Sei un generato, non
sei figlio.
Fra l’altro è
una cosa che noi sappiamo (però bisognerebbe rifletterci): è col tempo che uno
capisce che cos’è una mamma o cos’è un padre.
L’umano
infatti è il dramma della libertà. Se tu togli il dramma, togli l’umano.
E quindi uno diventa padre, deve decidere di diventare padre, deve scegliere di diventare padre; deve decidere di diventare figlio.
Ci si
scandalizza quando qualcuno tratta male i genitori e invece è normale, quello è
naturale. È meraviglioso quando ciò non avviene. Bisognerebbe cambiare la
prospettiva!
È naturale
che tu dopo qualche anno di matrimonio ti scocci. Ma dai, diciamocelo! Ma dov’è
lo scandalo, ti stufi!
È quando ciò
non avviene (ma questo richiede una decisione, una scelta, un dramma, una
rinuncia) che è enorme, cioè umano.
Quindi non si
è uomini, si diventa uomini.
Non a caso
tutta la narrazione biblica è sempre ritmata in un doppio tempo, c’è sempre un
due, mai un uno.
Basti vedere,
per esempio il fatto sorprendente che Dio fa una cosa e poi vede che è buona.
C’è sempre un
due. Ma perché?
Il due è il
superamento dell’uno, cioè del magico. La magia è l’uno. La magia è “Io voglio
che lei si innamori di me”. Dò la pozione e lei si innamora di me! Tac! Questa
è la magia.
L’amore è il
due. L’amore implica una decisione, un tempo, una scelta, un dramma, il
dipanarsi di una storia.
Per questo la
magia è strepitosa e però perversa, perché bypassa la libertà. Tutto il dramma
dell’innamoramento: che implica l’attesa, la paura e aspetto che tu mi chiami e
non mi chiami… il timore del tradimento… l’amore.
La magia dice
uno. E Dio, invece, Dio stesso, dice due. Si deve nascere una seconda volta.
Già questo per me è pazzesco, perché vuol dire molti di noi non diventeranno
uomini.
Forse il
tempo che ci è dato, la storia, ci è data proprio per diventare uomini. Per
poter scegliere e poter contribuire a diventare uomini.
Come in
Pinocchio…
Cosa accade a
Pinocchio?
Pinocchio
incontra Lucignolo, Lucifero. E Lucignolo chiede a Pinocchio: “Dove stai
andando?”. E Pinocchio gli risponde: “A scuola”. E Lucignolo dice: “Ma perché
vai a scuola? C’è una paese, il paese dei balocchi, dove non si studia, non si
lavora e ci si diverte tutto il giorno. Andiamo” [è la magia]. Pinocchio va.
E cosa
succede?
Quello che
dice Lucignolo è vero! Non è finto. È vero: ci si diverte, si mangia e non si
va a scuola. È vero!
Se non si
capisce questo, si fa subito la critica a Lucignolo. Ma se fosse così sarebbe
banale.
Perché si
deve andare a scuola? Perché devi andare a scuola? C’è un paese dei balocchi!
Il paese dei
balocchi è il nostro, eh! I computer, la roba… Il paese dei balocchi è “hai il
naso storto lo facciamo dritto”, “hai il seno piccolo lo facciamo grosso”,
“vuoi un figlio vai alla banca del seme”, senza il dramma del rapporto umano
con l’altro...
È il paese
dei balocchi.
E cosa
succede poi?
Una cosa
terrificante: si sveglia il giorno dopo e parla, ma gli viene fuori il raglio.
Non è umano.
E poi ha le
orecchie. Ti trasformi nel fisico, non sei umano. Hai goduto e non sei umano.
E ad un certo
momento uno dei ciuchini dice l’unica cosa che si può dire: “Mamma”; cioè
l’aggancio all’umano, alla possibilità dell’umano. Ma il padrone che li vuole
vendere dice: “No, non c’è più la mamma. È passato. È finito”.
È finita, non
sei diventato un uomo!
Il diventare
uomo è allora la questione.
Ma non si
diventa uomini gratuitamente.
Diventare
uomo ti modifica, ti cambia. Perché l’umano invecchia e poi muore.
E io penso
che tutta la questione religiosa sia questa: la vera questione religiosa è la
questione antropologica.
Figuriamoci
se la Bibbia è un testo in cui Dio parla di sé! Scusate… Ma Dio non è Narciso.
Dio continua
a dire all’uomo “Sii uomo, stai in piedi da uomo. Non perderti come uomo”.
E poi lo
dettaglia nella Bibbia. Non puoi diventare uomo al di fuori del rapporto con me
e al di fuori del rapporto coi fratelli.
Non parla di
eccellenza, non parla di successo. Infatti è una storia di uomini che non hanno
successo.
Pensate a
Giacobbe (Gen 32,23-33), che arriva al fiume Yabbok; passan tutti (si chiama
esperienza, passare un limite, fango, viaggio, l’attraversamento di un limite,
fare esperienza, diventare uomini, non si nasce uomini, c’è bisogno di
un’esperienza. E non c’è esperienza umana senza l’accettazione del limite e del
dolore e del fallimento. È l’opposto di quello che dicono).
Passa anche
lui, per ultimo…
Passa e bang…
un ostacolo… Già questo la dice lunga, non è un trionfo, è un impatto. La vita
è un ostacolo: nasci col sedere grosso. Per esempio c’è un bambino nella scuola
dove lavora mia moglie che non è tanto eccellente, perché, non parla, non
studia tanto… Però – dicono – ha avuto un piccolo problemino: lui è entrato in
casa e ha trovato il papà impiccato. Una robina, no? E lui non sa le tabelline…
Ma guardate che è strano, eh!?!?!?
Io già mi
chiedo come mai non prenda un mitra e inizi a sparare… La mia ipotesi sarebbe
questa. E lui, figuriamoci che impatto nella sua vita… Bang… sta camminando
nella sua vita e il papà si suicida… o il papà che muore… o i papà che si
separano… o il mio amico che ha l’amante dell’età della figlia… Pensate per la
figlia, no? Per la figlia: “Bang”… C’era il papà e la mamma e adesso il papà va
con una che ha la sua stessa età. Enorme, no?
Bang… E
Giacobbe incontra questo qui e si mettono a lottare, tutta una sera. Tutta una
giornata, cioè tutta la vita.
Adesso viene
il bello: alla fine questo qua dice: “Uff, devo andare”. È bellissimo. Il
personaggio misterioso dice “Senti è tardi, devo andare”. “Come ‘È tardi devo
andare’? Dimmi chi sei!”. “No! Però ti devo dire la verità: tu hai vinto”.
Vinto che cosa? È sempre lì in mezzo, il fiume non l’ha passato. Quegli altri
chissà dove sono. Lui è in ritardo… Però gli dice: “Tu hai combattuto con Dio e
hai vinto”. Cioè sei rimasto uomo. Hai combattuto. La vita. Hai combattuto. Non
hai fatto il giro, non hai detto: “Lascio perdere”. Hai combattuto!
E qui viene
il colpo di cabaret. Dice: “Guarda, già che ci sono ti faccio un dono”.
Quell’altro dice: “Orca, menomale”. Uno pensa i cioccolatini, una coppa, lo
scudetto…
Non gli ha
dato il nome, l’ha tenuto tutta la notte e gli dice: “Già che ci sono ti slogo
l’anca”.
Fa morir dal
ridere! È meraviglioso.
E questo
tutta la vita si porterà dietro l’anca slegata. Altro che eccellenza!
Non mi fai il
seno sodo? O il sedere tirato su? No! Bellissimo!
Perché è
meglio entrare nel Regno dei cieli senza un occhio che perdersi. Ma è vero, eh!
È vero. Non è un pillola di saggezza di Gesù: è vero!
Dobbiamo
diventare uomini, il che non vuol dire eccellenti. Vuol dire uomini. Questa è
l’eccellenza».
Ecco…
Dobbiamo diventare uomini. Questo mi pare il senso di quella necessità di
rinascere di cui Gesù parla a Nicodemo.
E allora la
domanda per noi può essere: Nei miei incontri notturni con Gesù, negli
impatti che la storia mi ha riservato come Giacobbe al fiume Yabbok, come ho
deciso di me? Come sto decidendo di me? Sto decidendo di accettare la sfida di
diventare uomo o cerco il paese dei balocchi? Magari un paese dei balocchi
molto religioso… ma poco umano.
E, infine,
giunti a questo punto… Che senso hanno i versetti di questa Quarta Domenica di
Quaresima? Che senso hanno le altre parole che Gesù dice a Nicodemo?
Essi rischiano, ad una prima
lettura, di apparire come bruscamente discostanti rispetto al discorso finora
portato avanti, ma in realtà sono semplicemente un suo approfondimento.
La prospettiva proposta da Gesù a
Nicodemo infatti attende ancora di essere chiarita: Cosa significa nascere
dallo Spirito? O rinascere dall’alto? Di che tipo di uomo nuovo sta parlando
Gesù? E in che senso è una condizione non da conquistare, ma da accogliere?
Ecco dunque questa sorta di
digressione teologica che fa risplendere l’annuncio evangelico: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il
suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita
eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma
perché il mondo si salvi per mezzo di lui».
Eppure… il nostro
testo contiene anche altri elementi che meritano di essere indagati.
Innanzitutto il proseguimento del discorso: «Chi crede in lui non è
condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel
nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel
mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro
opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene
alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità
viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state
fatte in Dio».
Queste parole contengono il termine “condanna” che ci fa tremare le
gambe e che pare contraddire quanto detto finora. Forse, però, se evitiamo di
farci prendere dall’immaginario legato alla nostra paura dell’inferno, possiamo
collocare queste parole in un altro orizzonte di senso: non quello della condanna
eterna, rispetto alla quale a me pare che la storia di Gesù non lasci molto
spazio, ma quello della vita di quaggiù. La condanna andrebbe cioè intesa in
questo senso: chi non entra nella prospettiva di Gesù (chi non crede in lui,
non nel senso di chi non aderisce ad una dottrina, ma di chi non coglie il modo
di vivere che lui ha proposto, quello dell’amore che si dona), rischia di
vivere una vita da condannato, cioè una vita in cui non trova spazio ciò che
(unicamente) fa bella la vita, e cioè il circolare e ricircolare dell’amore.
Chi non entra in questo circuito di bene continuamente scambiato, si ritrova
tra le mani una vita brutta, una vita che non fa sviluppare il nucleo
incandescente che siamo, una vita che ci riconsegna alla tristezza della
solitudine, dell’intristimento, dell’incattivimento… una vita che ci fa entrare
nella logica del salvare noi stessi e che ci chiude agli altri, che è vero che
non ci capiscono e magari non ci amano come vorremmo, ma ci impediscono
l’autoreferenziale bastare a se stessi, che – se siamo onesti – non basta
proprio a nulla. Ci condanniamo ad una vita triste, se diamo retta alla paura
del male che l’altro può farci, invece che consegnarci alla fiducia in loro.
Ma ci sono anche altre parole che meritano una spiegazione: il ritorno
nel discorso di Gesù della menzione delle opere. Nicodemo era un fariseo e
pensava che il regno si sarebbe realizzato grazie alle buone opere degli uomini
(alla loro fedeltà alla legge mosaica). Gesù rompe questo meccanismo e afferma
che non sono le opere dell’uomo che instaurano il regno di Dio, ma è l’opera di
Dio che regala questa realtà all’uomo. Eppure Gesù stesso parla di “opere
malvagie”, di “chi fa il male”. Dunque le opere dell’uomo non sono
insignificanti, non è che fare il bene o fare il male è lo stesso. Ma da esse
non dipende l’opera di Dio. L’opera di Dio è che il Regno venga, le opere dell’uomo
sono una risposta a questo venire di Dio: risposte di accoglienza o risposte di
rifiuto (per paura). Il venire del Regno non è dipendente da come si comporta
l’uomo: se ti comporti bene, arriva; se ti comporti male, no. Il Regno viene,
comunque: è la scelta originaria e insindacabile di Dio. E viene per tutti. Le
nostre opere (che quindi arrivano come risposta e mai come prima parola)
testimoniano come abbiamo deciso di porci nei confronti dell’arrivo del Regno:
se ci siamo fidati e abbiamo provato a vivere come lui ci ha mostrato
(amandoci) oppure se abbiamo avuto paura dell’amore (perché l’amore è per
definizione disarmato e chi è disarmato è per definizione feribile, anche
mortalmente).
Ecco dunque che trova senso anche la frase con cui si apre il nostro
brano: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia
innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita
eterna». La consegna di Gesù, a cui questa Quaresima ci sta conducendo, è
l’eliminazione dell’illusione che quando si ama, si vive una vita tranquilla,
serena e pacificata. Accogliere il Regno dell’amore, vuol dire credere che
l’amore, per quando feribile e anche mortalmente feribile, merita la nostra
adesione, è la via giusta, per quanto scorticante, è quella che ci fa diventare
uomini, anche se fa morire.
Noi invece, spesso affascinati dalla proposta di Gesù, ci abbiamo
provato, ma scorticati dalle botte prese dallo stare nel mondo disarmati,
abbiamo smesso di credere che fosse la via giusta e abbiamo iniziato a
difenderci, rinunciando alla gratuità vera e alla consegna inerme.
La grandezza di Gesù, invece, è stata quella di sperare contro ogni
speranza che quella fosse la via giusta, fin sulla croce, fin morendo per
davvero. E la risurrezione, questo mistero che celebreremo fra poche settimane,
è la conferma che aveva ragione: ha trovato la vita, consegnandosi all’amore
disarmato.
Accogliere il regno che viene è allora nella vita –
cioè nelle opere, nell’agire, che è quello che costituisce il nostro essere,
come dicevamo qualche lectio fa – collocarsi così, da amanti ostinatamente
disarmati.
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