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lunedì 10 novembre 2014

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro dei Proverbi (Pr 31,10-13.19-20.30-31)
Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Stende la sua mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero. Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città.
 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési (1Ts 5,1-6)
Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.
 
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 25,14-30)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
 
Il testo che la liturgia ci propone per questa 33^ Domenica del Tempo Ordinario è quello della parabola dei talenti. Essendo un testo molto noto, usato spesso nelle aule del catechismo e anche in quelle dell’educazione laica per insegnare ai bambini che devono imparare a mettere a frutto le loro capacità e non passare la vita bighellonando, rischia di essere frainteso.
Perché, per quanto la morale della favola ricavata dal buon senso comune che invita tutti all’operosità sia un messaggio condivisibile, in realtà il testo del vangelo è un po’ più complesso, come pure il suo messaggio.
Innanzitutto il brano va collocato nel suo contesto. Siamo al capitolo 25 di Matteo, che sta sviluppando il discorso escatologico (capp. 24 e 25), l’ultimo dei 5 grandi discorsi contenuti nel Primo vangelo, quello che fa riferimento alle “cose ultime”, cioè al fine della storia; collocato non a caso immediatamente prima dell’inizio del racconto della passione.
Siamo dunque in questa atmosfera, tanto che il padrone che ritorna dal viaggio e vuole regolare i conti coi suoi servi è stato assimilato a Dio che alla fine della storia o della nostra vita regolerà i conti con noi.
Il discorso è dunque quello del “giudizio” sul nostro operare.
Ma andiamo con ordine, perché – avendo sentito così tante volte questo testo – ci viene fin troppo facile far correre la mente e pensare: eh già, si parla del giudizio; il Signore ha dato a ciascuno delle doti e se le mettiamo a frutto, bene (andremo in paradiso), se le nascondiamo sotto la sabbia, male (andremo all’inferno).
Invece, vorrei che provassimo ad arrestare la mente che corre e provare a guardare un po’ più da vicino il testo.
Innanzitutto dal punto di vista semantico.

La parola «capacità», contenuta all’inizio della storia («Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì»), forse andrebbe tradotta meglio. Vi riporto qui sotto come è usata tutte le altre volte nei vangeli:
 
Mt 22,29 ® E Gesù rispose loro: «Vi ingannate, perché non conoscete le Scritture e neppure la potenza di Dio».
 
(+ txt parallelo: Mc 12,24)
 
Mc 5,30 ® E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?».
 
(+ txt parallelo: Lc 8,46)
 
Mc 6,5 ® E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì.
 
Mc 9,39 ® Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me.
 
Lc 9,1 ® Convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie.
 
Lc 10,19 ® Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi.
 
Lc 24,49 ® Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto.
 
Dunque non si tratta di “doti” e nemmeno di “capacità”. Forse neppure la parola “responsabilità” (come a volte è stato tradotto il termine greco) è la più adatta. Meglio sarebbe dire: diede a ciascuno secondo il suo potere; nel senso di poter fare; secondo le sue possibilità.
Il padrone della storia riconosce cioè una diversità tra gli uomini (una diversità che non pone lui, ma che si trova già data nella vicenda) e in base ad essa affida dei soldi, cioè qualcosa di suo, di prezioso. Non dice cosa ne debbano fare.
Eppure immediatamente dopo i primi due servi “subito” andarono a «trafficarli».
Anche questa parola è interessante. Cosa vuol dire? Mi sono chiesta. E cercando nel NT ho trovato che è usata solo in altri 2 testi, paralleli tra loro: Mt 26,10 e Mc 14,6, in occasione dell’episodio in cui una donna con un vaso di alabastro lo versa sul capo di Gesù. Di fronte allo sdegno dei discepoli, Gesù dice «Perché infastidite questa donna? Ella ha compiuto un’azione buona verso di me».
C’è poi il terzo servo, quello che va a nascondere il talento e lo restituisce senza averlo “trafficato”.
È lui a definire il padrone «duro», usando un termine contenuto un’altra sola volta nel NT, in Gv 6,60, durante il discorso sul pane di vita in cui l’evangelista commenta: «Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”».
La parola “dura” di Gesù è quella riguardante il suo darsi da mangiare: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Mettendo insieme tutti questi dati semantici, verrebbe forse da pensare che la prospettiva è molto diversa da quella con cui usualmente guardiamo al testo dei talenti (rispetto al quale il terzo servo ci fa un po’ di compassione perché la reazione del padrone ci pare un po’ troppo forte).
Infatti, forse, la prospettiva è questa: ogni uomo che nasce su questa terra ha la possibilità di vivere, amando come Gesù ha mostrato, cioè dandosi da mangiare, “trafficando” ciò che è, ponendo azioni di dedizione come quella della donna che ha profumato Gesù sprecandosi, sprecando del suo… chi non lo fa, chi nasconde la sua possibilità di amare, per paura o per pigrizia o per qualsiasi altro motivo, non può che trovare “duro” il Dio dell’amore, che per dare vita non sceglie la via dell’usurpazione, ma quella della consegna.

1 commento:

Daniele Namara ha detto...

Salve, mi chiamo Daniele. Ho letto i contenuti del sito.
Chiedo di poter mandare a voi uno scritto di testimonianza, in rivelazione, che io e mio padre Isaia stiamo mandando per il mondo, ma avrei bisogno di un indirizzo mail, essendo la testimonianza da spedire come allegato pdf.
Chiedo se potreste cortesemente segnalarmi un vostro indirizzo mail, cosicché potrò inviarvelo, certamente con vostro permesso.
Nel caso mi inviaste l’indirizzo, chiedo se potete cortesemente inviarmelo al mio indirizzo mail di illuineormal@gmail.com
Un saluto di pace.

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