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martedì 16 ottobre 2012

XXIX Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 53,10-11)
Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità.

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 4,14-16)

Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10,35-45)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

 

In questa Ventinovesima Domenica del Tempo Ordinario il brano di vangelo che la Chiesa ci propone, va a completare l’itinerario che l’evangelista Marco – prima di addentrarsi nell’ultima parte del suo vangelo – sta facendo fare ai suoi lettori all’interno delle dinamiche profonde che costituiscono l’uomo di sempre: la sessualità (27° Domenica del Tempo Ordinario: Mc 10,1-16) – l’economia (28° Domenica del Tempo Ordinario: Mc 10,17-29) – il potere (la tematica odierna).

Ciò che è interessante in questa scansione, è il fatto che proprio quest’ultimo elemento sia lasciato alla fine, immediatamente dopo al terzo annuncio di passione e precisamente a ridosso del racconto dell’entrata di Gesù a Gerusalemme, dove troverà la morte; tale interesse ha origine in un doppio ordine di motivi: da un lato, il fatto che questo posizionamento, sottolinei una preoccupazione prioritaria, di chi organizza il materiale evangelico, proprio per questa problematica. E la storia della Chiesa non può che confermare tale intuizione originaria… Il potere è il vero pericolo del discepolo.

Dall’altro, e più radicalmente, la posizione di questa pericope, fa intravedere come in essa sia anticipato il problema del riconoscimento del crocifisso come messia.

In essa infatti è all’opera esattamente il problema capitale del cristianesimo: e cioè l’inaudito potere impotente di Dio… qui infatti sta precisamente l’incomprensione radicale – di allora e di sempre – dei discepoli del Signore: che non a caso è tematica che emerge anche in prossimità degli altri annunci della passione che Gesù aveva fatto.

Ma che cosa, propriamente, è oggetto di incomprensione, fraintendimento, scandalo per i discepoli?

Scrive P.A. Sequeri ne Il Dio affidabile: «La reazione sconcertata dei discepoli di fronte al progressivo delinearsi della ‘fine’ di Gesù è tema di cospicuo rilievo nella testimonianza. Lo sconcerto è direttamente – e significativamente – legato alle parole e ai gesti di Gesù che esprimono, insieme con la consapevolezza di tale fine, la propria decisione di non sottrarvisi in alcun modo. È questo che i discepoli propriamente non comprendono: ciò a cui cercano in tutti i modi di resistere. In verità, i discepoli non possono avere dubbi sul fatto che i capi giudaici rifiutano il radicalismo con il quale si assume la rappresentanza della verità di Dio; e cercano di contrastare con ogni mezzo l’autorevolezza con la quale egli esercita la sua anomala missione tra il popolo. Non possono aspettarsi dunque che Gesù venga accettato come suprema autorità religiosa: in una forma come quella alla quale sembra dare corpo Gesù, che appare con i tratti e le pretese del rifondatore messianico della religione giudaica. L’opposizione e il rifiuto, di cui Gesù è così acutamente consapevole, sono per così dire scontati. La paura della contrapposizione e della eventuale rappresaglia d’altra parte non spiega tutto: c’è anche chi è disposto ad accettare l’eventualità di una lotta cruenta. Nemmeno la mancanza di fede in Gesù è indicata dai testi come la radice dello sconcerto e della crisi: nessun cenno troviamo ad una qualche ritrattazione della professione di fede nella messianicità di Gesù di cui riferiscono i testi. La cosa veramente sconvolgente – realmente incomprensibile – per i discepoli è un’altra: Gesù manifesta anticipatamente la propria convinzione che la reazione dei sacerdoti e dei capi avrà successo; che essi riusciranno ad avvallarla con una pubblica condanna; e che la sua eliminazione avrà la forma pubblica di una oggettiva smentita della sua pretesa rappresentanza di Dio. Il quadro delineato dall’atteggiamento con il quale Gesù ‘punta pericolosamente’ su Gerusalemme non sembra includere l’intenzione di dare battaglia per la rivendicazione della propria pretesa. E l’epilogo previsto da Gesù esclude il suo insediamento al vertice di una struttura politico-religiosa entro la quale i suoi discepoli sostituiranno gli attuali detentori del potere di rappresentare Dio presso il popolo».

Esattamente questo insediamento invece hanno ancora in testa Giacomo e Giovanni… ma non solo loro…

La reazione alla loro richiesta («Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra») infatti, a fronte di un Gesù non per niente indispettito, è per gli altri discepoli di indignazione. Immaginando la vicenda, però, tale reazione appare più determinata dal nervosismo suscitato dall’esplicitazione di alcuni del desiderio inespresso di tutti (per vergogna o pudore), che per un’interiorizzazione autentica della prospettiva di Gesù espressa dalla sua risposta: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così».

Prova di questo è appunto il fatto che Gesù morirà da solo! Quelli che si indignano con Giovanni e Giacomo infatti non sono fuori dalla medesima logica di quelli. Infatti – continua Sequeri – «lo sconcerto – ma poi lo ‘scandalo’ – dei discepoli dipende propriamente dal fatto che essi vivono la passione e la morte di Gesù [o – per stare al nostro testo – il fatto che il Figlio dell’uomo sia venuto per servire] nella forma di una contraddizione ‘teologica’ decisiva. Essi sono sicuramente ‘dalla parte’ di Gesù di Nazaret, ‘contro’ i rappresentanti ufficiali della religione giudaica, ma continuano a credere esattamente nella teologia messianica alla quale questi ultimi fanno riferimento. La forza del dominio storico è anche per i discepoli la rappresentazione ovvia della potenza di Dio. E la legittimità della rappresentanza storica della verità di Dio fa circolo con quella rappresentazione. Essi perciò, proprio perché sono convinti della legittimità della rappresentanza di Gesù, non riescono a concepire che egli preveda e accetti l’impossibilità di affermare tale legittimità: imponendo storicamente l’evidenza del suo buon diritto ed esercitandolo nella forma del dominio. L’eccezionale potere taumaturgico e l’irresistibile autorevolezza profetica esibiti da Gesù sono soltanto anticipazioni – essi ne sono convinti (“abbiamo visto un profeta potente in parole ed opere”) – della irresistibile potenza di cui egli può disporre da parte di Dio in vista dell’affermazione di sé. Il punto critico di ‘differenziazione’ fra la fede di Gesù e quella dei discepoli» consiste invece nella smentita delle convinzioni dei discepoli e nell’identificazione che essi sono chiamati a fare tra Gesù e il Crocifisso.

«Il criterio ermeneutico di saldatura [di tale identificazione] fra Gesù e il Crocifisso è l’interpretazione della dedizione incondizionata di Dio come rifiuto delle forme storiche del dominio». Questo è il consenso che i discepoli – per il momento – non riescono a pronunciare; forse, per ora, nemmeno a comprendere. «Capiranno dopo … E’ un Dio troppo diverso (dal loro!) quel Padre che ha mandato Gesù nel mondo. Un Padre nel quale, appunto, Gesù è rimasto l’unico a credere. Un Dio troppo diverso dal dio che ci hanno insegnato e che elaboriamo continuamente dentro di noi … anche dopo il Vangelo, a costo di  manipolare e stropicciare continuamente la sua esperienza e le sue parole» [Giuliano].

«La forma del dominio storico potrebbe infatti anche essere intesa – in perfetta buona fede – come la garanzia inevitabile della dedizione, per lo meno nel momento in cui viene in gioco la sopravvivenza della sua verità di fronte alla tenacia della reazione opposta dall’incredulità. […] Ma secondo Gesù la richiesta e la ricerca di tale garanzia sono l’estrema tentazione della fede: la sollecitazione del Satana, che si serve della parola di Dio per legittimarsi. […] Nella prospettiva di quella tentazione la fede testimoniale è destinata a perdere il proprio sostanziale rapporto con la scena originaria: nella quale non si rivela un nuovo e più affidabile ‘padrone del mondo’: bensì la fine di ogni ‘padronato’. Dunque è proprio la buona fede che trae argomento dalla efficacia della testimonianza, la debolezza pericolosa in ordine alla fedeltà richiesta. La fede cioè disposta alla esibizione del potere di liberare dal male a proprio vantaggio, anche contro l’altro. La fede che mira a legittimarsi seducendo con segni prodigiosi, indiscutibilmente seducenti. La fede insomma che sarebbe disposta a lasciarsi definitivamente persuadere della irresistibile violenza del potere di Dio, ma resiste invece alla rivelazione della sua disarmata dedizione. Essa va respinta, da essa è necessario prendere irreversibile distanza: perché alla radice di quella fede, anche quando essa pronunci il nome di Dio e difenda i diritti della sua verità, c’è il peccaminoso assenso accordato alla identificazione tra la signoria della verità trascendente e la forma del dominio prevaricatore, tra l’affermazione di sé e la negazione dell’altro». Ma è proprio a questo che i discepoli – di allora e di oggi – fanno fatica ad accedere: essi infatti «ormai conquistati dal successo di Gesù, si vedono proiettati sul ‘dopo’: nel momento della sua definitiva acquisizione di un ‘potere religioso’ che gli spetta di diritto. E che ora è invece indegnamente detenuto dai capi del popolo. Ma il punto è proprio questo: Gesù mostra di non avere la stessa ‘fede’ dei suoi discepoli. E si consegna ‘volontariamente’ a quella morte, dove sembra scomparire persino la memoria del potere e dell’autorevolezza fino a quel momento esibiti e rivendicati come connaturali alla sua persona. La testimonianza evangelica conferma che questa è obiettivamente l’alternativa – la prova/tentazione – che l’esercizio effettivo della sua missione e la percezione dell’imminenza della sua fine violenta hanno posto anche a Gesù di Nazaret. Essere fedele alla missione della rappresentanza storica della verità di Dio, e consegnarsi ad una fine ormai costruita come rappresentazione storica dell’inattendibilità di quella pretesa, sono gli elementi del conflitto angoscioso vissuto da Gesù di fronte a Dio. La morte di Gesù sta per essere consegnata alla storia come evento che falsifica la pretesa della sua assoluta rappresentanza: può egli stesso accettare di essere tolto di mezzo in quel modo?

Il modo in cui effettivamente Gesù ha vissuto la sua passione e la sua morte davanti agli occhi dei suoi stessi discepoli conferma che egli accettò l’ambiguità della sua stessa eliminazione, per rimanere assolutamente fedele alla inaudita verità di Dio che era oggetto della sua ‘rivelazione’. Nessun miracolo per salvare se stesso. Nessuna esibizione di potenza destinata a colpire i suoi persecutori. Nessuna maledizione divina destinata a sigillare la fine di ogni rapporto con la storia che lo respinge. La verità di Dio rappresentata da Gesù rimane quella che coincide con l’implacabile tenacia della dedizione: e unicamente nella forma della dedizione può essere rappresentata sulla scena storica. Nemmeno l’interesse per l’affermazione della particolarità storica di colui che a quella verità rende testimonianza. Anzi, proprio questo è il caso in cui la forma della verità di Dio e la forma della testimonianza devono assolutamente coincidere».

Per questo un altro grande maestro – Bruno Maggioni – può scrivere: «nella misura in cui i modi coi quali i discepoli esercitano la loro autorità assomigliano a quelli delle altre autorità, insospettitevi» [in Il racconto di Marco]!

Ma se anche – a questo punto – sarebbe facile addentrarsi nella critica delle forme storiche (di potere) che la Chiesa di Gesù ha assunto e continua ad assumere nella storia, preferisco concludere invitando ciascuno – e me per prima – a guardarsi addosso: perché spesso mi accorgo di quanto – pur avendo tentato di impostare la mia vita (attraverso la collocazione geografica, la gestione del tempo, la compagnia dei fratelli, i criteri per le scelte, ecc…) a partire dalla mia fiducia in Gesù – i meccanismi spontanei della mia interiorità non sono poi così cambiati… anch’io nella vita e nei miei modi di fare tante volte sono trasparenza di un’idea di dio padronale e potente… e non del volto paterno e crocifisso del Dio di Gesù.

E invece è fino alle midolla che dovrebbe penetrarci questa conversione: in quale Dio crediamo e quale mostriamo?

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