Pagine
ATTENZIONE!
Ci è stato segnalato che alcuni link audio e/o video sono, come si dice in gergo, “morti”. Se insomma cliccate su un file e trovate che non sia più disponibile, vi preghiamo di segnalarcelo nei commenti al post interessato. Capite bene che ripassare tutto il blog per verificarlo, richiederebbe quel (troppo) tempo che non abbiamo… Se ci tenete quindi a riaverli: collaborate! Da parte nostra cercheremo di renderli di nuovo disponibili al più presto. Promesso! Grazie.
martedì 13 ottobre 2015
XXIX Domenica del Tempo Ordinario: Un Dio con il grembiule
martedì 16 ottobre 2012
XXIX Domenica del Tempo Ordinario
mercoledì 16 febbraio 2011
giovedì 17 giugno 2010
lunedì 26 ottobre 2009
J'assume moi aussi!

giovedì 22 ottobre 2009
Il potere nella Chiesa
Ciò che è interessante in questa scansione, è il fatto che proprio quest’ultimo elemento sia lasciato alla fine, precisamente a ridosso del racconto della passione di Gesù; tale interesse ha origine in un doppio ordine di motivi: da un lato, il fatto che questo posizionamento, sottolinei una preoccupazione prioritaria, di chi organizza il materiale evangelico, proprio per questa problematica. E la storia della Chiesa non può che confermare tale intuizione originaria… Il potere è il vero pericolo del discepolo.
Dall’altro, e più radicalmente, la posizione di questa pericope, fa intravedere come in essa sia anticipato il problema del riconoscimento del crocifisso come messia; in altre parole nel nostro brano odierno, starebbe in qualche modo l’incipit narrativo, la chiave di lettura, anche di quanto segue: precisamente il dramma della morte in croce di Gesù.
In essa infatti è all’opera esattamente il problema capitale del cristianesimo: e cioè l’inaudito potere impotente di Dio… qui infatti sta precisamente l’incomprensione radicale – di allora e di sempre – dei discepoli del Signore: che non a caso è tematica che emerge anche in prossimità di ogni annuncio della passione che Gesù fa.
Ma che cosa, propriamente, è oggetto di incomprensione, fraintendimento, scandalo per i discepoli?
Scrive P.A. Sequeri ne Il Dio affidabile: «La reazione sconcertata dei discepoli di fronte al progressivo delinearsi della ‘fine’ di Gesù è tema di cospicuo rilievo nella testimonianza. Lo sconcerto è direttamente – e significativamente – legato alle parole e ai gesti di Gesù che esprimono, insieme con la consapevolezza di tale fine, la propria decisione di non sottrarvisi in alcun modo. È questo che i discepoli propriamente non comprendono: ciò a cui cercano in tutti i modi di resistere. In verità, i discepoli non possono avere dubbi sul fatto che i capi giudaici rifiutano il radicalismo con il quale si assume la rappresentanza della verità di Dio; e cercano di contrastare con ogni mezzo l’autorevolezza con la quale egli esercita la sua anomala missione tra il popolo. Non possono aspettarsi dunque che Gesù venga accettato come suprema autorità religiosa: in una forma come quella alla quale sembra dare corpo Gesù, che appare con i tratti e le pretese del rifondatore messianico della religione giudaica. L’opposizione e il rifiuto, di cui Gesù è così acutamente consapevole, sono per così dire scontati. La paura della contrapposizione e della eventuale rappresaglia d’altra parte non spiega tutto: c’è anche chi è disposto ad accettare l’eventualità di una lotta cruenta. Nemmeno la mancanza di fede in Gesù è indicata dai testi come la radice dello sconcerto e della crisi: nessun cenno troviamo ad una qualche ritrattazione della professione di fede nella messianicità di Gesù di cui riferiscono i testi. La cosa veramente sconvolgente – realmente incomprensibile – per i discepoli è un’altra: Gesù manifesta anticipatamente la propria convinzione che la reazione dei sacerdoti e dei capi avrà successo; che essi riusciranno ad avvallarla con una pubblica condanna; e che la sua eliminazione avrà la forma pubblica di una oggettiva smentita della sua pretesa rappresentanza di Dio. Il quadro delineato dall’atteggiamento con il quale Gesù ‘punta pericolosamente’ su Gerusalemme non sembra includere l’intenzione di dare battaglia per la rivendicazione della propria pretesa. E l’epilogo previsto da Gesù esclude il suo insediamento al vertice di una struttura politico-religiosa entro la quale i suoi discepoli sostituiranno gli attuali detentori del potere di rappresentare Dio presso il popolo».
Esattamente questo insediamento invece hanno ancora in testa Giacomo e Giovanni… ma non solo loro… stando a quanto emerge dal vangelo…
La reazione alla loro richiesta («Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra») infatti, a fronte di un Gesù non per niente indispettito, è per gli altri discepoli di indignazione. Immaginando la vicenda, però, tale reazione appare più determinata dal nervosismo suscitato dall’esplicitazione di alcuni del desiderio inespresso di tutti (per vergogna o pudore; o per il tacito accordo che il “primo” lo avrebbe scelto il maestro o lo avrebbe fatto emergere la vita, la qualità della vita), che per un’interiorizzazione autentica della prospettiva di Gesù espressa dalla sua risposta: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Prova di questo è appunto il fatto che Gesù morirà da solo! Quelli che si indignano con Giovanni e Giacomo infatti non sono fuori dalla medesima logica di quelli. Infatti – continua Sequeri – «lo sconcerto – ma poi lo ‘scandalo’ – dei discepoli dipende propriamente dal fatto che essi vivono la passione e la morte di Gesù [o – per stare al nostro testo – il fatto che il Figlio dell’uomo sia venuto per servire] nella forma di una contraddizione ‘teologica’ decisiva. Essi sono sicuramente ‘dalla parte’ di Gesù di Nazaret, ‘contro’ io rappresentanti ufficiali della religione giudaica, ma continuano a credere esattamente nella teologia messianica alla quale questi ultimi fanno riferimento. La forza del dominio storico è anche per i discepoli la rappresentazione ovvia della potenza di Dio. E la legittimità della rappresentanza storica della verità di Dio fa circolo con quella rappresentazione. Essi perciò, proprio perché sono convinti della legittimità della rappresentanza di Gesù, non riescono a concepire che egli preveda e accetti l’impossibilità di affermare tale legittimità: imponendo storicamente l’evidenza del suo buon diritto ed esercitandolo nella forma del dominio. L’eccezionale potere taumaturgico e l’irresistibile autorevolezza profetica esibiti da Gesù sono soltanto anticipazioni – essi ne sono convinti (“abbiamo visto un profeta potente in parole ed opere”) – della irresistibile potenza di cui egli può disporre da parte di Dio in vista dell’affermazione di sé. Il punto critico di ‘differenziazione’ fra la fede di Gesù e quella dei discepoli» consiste invece nella smentita delle convinzioni dei discepoli e nell’identificazione che essi sono chiamati a fare tra Gesù e il Crocifisso.
«Il criterio ermeneutico di saldatura [di tale identificazione] fra Gesù e il Crocifisso è l’interpretazione della dedizione incondizionata di Dio come rifiuto delle forme storiche del dominio». Questo è il consenso che i discepoli – per il momento – non riescono a pronunciare; forse, per ora, nemmeno a comprendere.
«La forma del dominio storico potrebbe infatti anche essere intesa – in perfetta buona fede – come la garanzia inevitabile della dedizione, per lo meno nel momento in cui viene in gioco la sopravvivenza della sua verità di fronte alla tenacia della reazione opposta dall’incredulità. […] Ma secondo Gesù la richiesta e la ricerca di tale garanzia sono l’estrema tentazione della fede: la sollecitazione del Satana, che si serve della parola di Dio per legittimarsi. […] Nella prospettiva di quella tentazione la fede testimoniale è destinata a perdere il proprio sostanziale rapporto con la scena originaria: nella quale non si rivela un nuovo e più affidabile ‘padrone del mondo’: bensì la fine di ogni ‘padronato’. Dunque è proprio la buona fede che trae argomento dalla efficacia della testimonianza, la debolezza pericolosa in ordine alla fedeltà richiesta. La fede cioè disposta alla esibizione del potere di liberare dal male a proprio vantaggio, anche contro l’altro. La fede che mira a legittimarsi seducendo con segni prodigiosi, indiscutibilmente seducenti. La fede insomma che sarebbe disposta a lasciarsi definitivamente persuadere della irresistibile violenza del potere di Dio, ma resiste invece alla rivelazione della sua disarmata dedizione. Essa va respinta, da essa è necessario prendere irreversibile distanza: perché alla radice di quella fede, anche quando essa pronunci il nome di Dio e difenda i diritti della sua verità, c’è il peccaminoso assenso accordato alla identificazione tra la signoria della verità trascendente e la forma del dominio prevaricatore, tra l’affermazione di sé e la negazione dell’altro».
Ma è proprio a questo che i discepoli – di allora e di oggi – fanno fatica ad accedere: essi infatti «ormai conquistati dal successo di Gesù, si vedono proiettati sul ‘dopo’: nel momento della sua definitiva acquisizione di un ‘potere religioso’ che gli spetta di diritto. E che ora è invece indegnamente detenuto dai capi del popolo. Ma il punto è proprio questo: Gesù mostra di non avere la stessa ‘fede’ dei suoi discepoli. E si consegna ‘volontariamente’ a quella morte, dove sembra scomparire persino la memoria del potere e dell’autorevolezza fino a quel momento esibiti e rivendicati come connaturali alla sua persona.
La testimonianza evangelica conferma che questa è obiettivamente l’alternativa – la prova/tentazione – che l’esercizio effettivo della sua missione e la percezione dell’imminenza della sua fine violenta hanno posto anche a Gesù di Nazaret. Essere fedele alla missione della rappresentanza storica della verità di Dio, e consegnarsi ad una fine ormai costruita come rappresentazione storica dell’inattendibilità di quella pretesa, sono gli elementi del conflitto angoscioso vissuto da Gesù di fronte a Dio. La morte di Gesù sta per essere consegnata alla storia come evento che falsifica la pretesa della sua assoluta rappresentanza: può egli stesso accettare di essere tolto di mezzo in quel modo?
Il modo in cui effettivamente Gesù ha vissuto la sua passione e la sua morte davanti agli occhi dei suoi stessi discepoli conferma che egli accettò l’ambiguità della sua stessa eliminazione, a fronte del loro stesso ‘teismo’, per rimanere assolutamente fedele alla inaudita verità di Dio che era oggetto della sua ‘rivelazione’. Nessun miracolo per salvare se stesso. Nessuna esibizione di potenza destinata a colpire i suoi persecutori. Nessuna maledizione divina destinata a sigillare la fine di ogni rapporto con la storia che lo respinge. La verità di Dio rappresentata da Gesù rimane quella che coincide con l’implacabile tenacia della dedizione: e unicamente nella forma della dedizione può essere rappresentata sulla scena storica. Nemmeno l’interesse per l’affermazione della particolarità storica di colui che a quella verità rende testimonianza. Anzi, proprio questo è il caso in cui la forma della verità di Dio e la forma della testimonianza devono assolutamente coincidere».
Per questo un altro grande teologo del Novecento – Bruno Maggioni – può scrivere: «nella misura in cui i modi coi quali i discepoli esercitano la loro autorità assomigliano a quelli delle altre autorità, insospettitevi» [in Il racconto di Marco]!
sabato 13 giugno 2009
Mani schifate

Quei guanti di lattice, che servono a non toccare l'orrore, sono come il nostro pensiero, come i nostri ragionamenti sull'immigrazione-sì e l'immigrazione-no, le quote, i conteggi, i controlli, le leggi. Le guardie di finanza usano guanti di gomma e noi usiamo guanti mentali. Proprio come loro li indossiamo per non entrare in contatto con il male fisico, con la sofferenza dei corpi.
Ma bastano una, due, tre foto come queste per farci scoprire la fisicità. Le guardiamo infatti senza più la mediazione della logica, ne percepiamo l'efferatezza e la bruttura. E saltano i ragionamenti, non c'è più bibliografia, spariscono i distinguo del "però questo è un problema complesso". Ecco dunque la banalissima verità che sta dietro ai nostri dibattiti, al nostro accapigliarci sull'identità e sulle frontiere: stiamo buttando fuori a calci in faccia dei poveretti che ci pregano in ginocchio stringendo le mani delle nostre guardie di finanza, mani schifate e dunque inguantate.
E ci cade a terra anche la penna perché l'occhio è molto più veloce e diretto dell'intelligenza con la quale siamo abituati a mentalizzare il mondo. Ci cade la penna perché capire e spiegare è già tradire l'orrore, significa infatti infilarsi il guanto dell'orientamento politico, dei libri che abbiamo letto, della nostra battaglia contro la xenofobia, significa parlare dell'esplosione demografica e del deflusso inarrestabile dell'umanità dai paesi dell'infelicità a quelli dell'abbondanza... E invece qui non si tratta né di cultura né di generosità, qui il pensiero si mostra per quel che è: un guanto di lattice, appunto.
Qui ci sono da un lato i corpi tozzi, grassi e forti della Legge, la nostra legge, e dall'altro lato i corpi umiliati e maltrattati dei disperati che non vogliamo in casa nostra e che respingiamo. E nella loro sofferenza c'è un surplus di mistero che non si esprime necessariamente nella magrezza e nelle cicatrici perché - guardateli bene - quei corpi avviliti sono ben più vigorosi dei corpi sformati degli aguzzini che ci rappresentano, degli italiani "brava gente" con il manganello. Sembrano addirittura più sani, certamente sono più vivi.
Dunque ancora una volta è l'occhio l'organo vincente. Ancora una volta scopriamo che la mente ci abitua a non vedere le cose. E' infatti facile dire che in casa nostra devono entrare solo quelli che hanno un permesso di lavoro e che ci vuole un legge per facilitare le espulsioni dei clandestini. Grazie alle foto dei reporter di Paris Match ora sappiamo che tutto questo significa una scarponata sulle dita di una mano aggrappata alla murate di un'imbarcazione, o un pugno sui denti o...
A Porta a Porta o a Ballarò si può trovare una motivazione per tutto, si può spiegare ogni cosa. Ma davanti a queste foto ragionare diventa un crampo. Guardate che cosa è la fisicità della politica della dolce e bella Italia: respingere a calci, prendere di peso gli infelici e buttarli fuori dalla Bovienzo che fa servizio da Lampedusa a Tripoli, portarli davanti alle coste libiche e far credere loro che è ancora Italia, trascinarli a terra nudi. E non sono foto di scena, immagini di un film, non sono finzioni. E' davvero questa la nostra politica, con un rapporto stretto tra quello che qui stiamo vedendo e quello che qui non si vede. La nave Bovienzo infatti è come le nostre strade di notte dove piccole creature nere si vendono ai camionisti. La Bovienzo è la violenza sulle donne, anche quella che ci viene restituita in forma di stupro. La Bovienzo sono i soprusi e il disprezzo per i miserabili. La Bovienzo sono le ronde razziste e i barboni bruciati. La Bovienzo è l'Italia dei mille divieti e dei mille egoismi. La Bovienzo è l'Italia generosa che è diventata feroce per paura. La Bovienzo è l'Italia che guardando queste foto si riconosce irriconoscibile: ma davvero siamo noi? di Francesco Merlo in Repubblica.it
lunedì 25 maggio 2009
New Italian Style... ciò che i media italiani si guardano bene dal mostrare...

Foto di Enrico Dagnino, acquisite dalla rivista francese Paris Match, n° 3130 del 14-20 maggio 2009. Cliccare sulla foto per ingrandirle.
New Italian Style... Immigrati: il sogno infranto

Dal nostro inviato speciale a bordo del “Bovienzo”, François de La Barre – ParisMatch
Credeva di lasciare l’inferno, ma ci è riaffondato. L’Italia lo riporta nel continente da cui è fuggito con i suoi 79 compagni di sventura. Per la prima volta, degli immigrati africani vengono respinti col manganello e restituiti alla brutalità degli aguzzini libici, sotto gli occhi dei nostri reporter. Nel 2008, 36.900 “naufraghi” si sono arenati nei pressi dell’isola di Lampedusa. Per arginare quest’ondata, Silvio Berlusconi ha fatto votare una legge, in spregio ai diritti dell’uomo, che riqualifica la domanda d’asilo come reato passibile di 18 mesi di reclusione. L’anno scorso 3 immigrati su 4 avevano depositato una richiesta di asilo politico: il 50 per cento di esse era stato accettato. Poi è stato siglato un accordo con Gheddafi, gli espulsi vengono riportati a Tripoli senza che la loro sicurezza e la loro dignità venga minimamente garantita. Ma non c’è nessun argine alla miseria. A Tripoli, non ci saranno più fotografi a testimoniare…
La scaletta! Bisogna raggiungere questo pezzo di ferraglia e venir fuori dal canotto pneumatico in panne, che si sgonfia, beccheggia e, con un’ondata, sbatte contro la fiancata dell’imbarcazione della guardia di finanza. Questa scaletta è il percorso più breve tra l’Africa e l’Europa. Tra la miseria e la speranza. Sul fondo dello Zodiac alla deriva, prostrata, incastrata, c’è una ragazza di cui si vedono solo gli occhi spalancati. Lo sgardo è spaventato…Il pigia-pigia ai piedi della scala, l’assalto per sfuggire al relitto, l’abbordaggio della disperazione ha qualche cosa di dantesco. Spaventoso, anche per i marinai del “Bovienzo”, che non sono al loro primo salvataggio di disperati nel Mediterraneo. Uno di loro grida: “Aspettate! Uno alla volta!” Non serve a niente. Come ci può essere disciplina? Sono dei sopravvissuti. Gli ordini del comandante Christian Acero non ottengono migliore effetto. D’altronde, la sua voce roca è coperta dal rumore assordante di un elicottero che sorvola la scena. Il comandante è esasperato: “ Se ne va di qui o no, quello?” Un membro dell’equipaggio picchia col manganello sulle sbarre della scaletta., per tentare di dissuadere i fuggitivi dal precipitarsi tutti assieme. Se ne fregano, del suo manganello. Salgono come possono, gli uni sugli altri, rischiando di cadere in mare, di annegare. E l’angoscia si impadronisce dell’equipaggio del “Bovienzo”.
I primi sono a bordo. Si siedono subito, si stendono col dorso contro la lamiera del cockpit. Gambe stese, braccia spenzoloni, fiato corto. Nessuno si sdraia, tranne Adill, che ha barcollato ed è crollato. Adesso, si trascina gemendo per avvicinarsi ad Amal, un altro naufrago con un cappello beige, suo amico. Amal lo prende tra le braccia, lo stringe. Adill ci squadra, le sue labbra tremano. “Acqua”, chiede Amal. Gli si tende una bottiglia. Discretamente, cosparge Adill, poi la bottiglia passa di mano in mano, e in qualche secondo è vuota. Non finiscono più di invadere il ponte. Quanti sono? Dieci, venti, trenta… E continua. I marinai ordinano loro di stringersi per fare posto a quelli che stanno imbarcando. Dirigono gli uomini in avanti – adesso sono 68, e le donne dietro, sono 12. 80 esseri umani che erravano da giorni e notti in quel maledetto Zodiac, che i marinai del “Bovienzo” lasciano affondare senza recuperare quello che galleggia sul fondo. Non c’è nulla che valga la pena: tessuti a brandelli, magliette sporche, una bottiglia di plastica vuota.Non avevano più niente, né acqua né cibo né benzina. Per arrivare in Sicilia, avrebbero dovuto percorrere ancora più di 100 miglia nautiche. Senza viveri, non avevano la minima possibilità. “Gli abbiamo salvato la vita”, sussurra un membro dell’equipaggio. Per lui, è un salvataggio. Il comandante tace, si accende una sigaretta e torna a prendere il timone della nave…
Sul ponte, Amal aiuta Adill a riprendersi. Adill è nato nel 1983. “Il 1 aprile”, dice. “Sono designer. Voglio lavorare, andare a scuola non importa in che paese d’Europa. Farò tutto ciò che volete”. Gesticola, Amal lo calma. Amal viene dal Ghana, ha 26 anni. Ha trascorso 4 anni in Libia, tempo di guadagnare 1500 dollari, il prezzo della traversata. Vuole raggiungere suo fratello in Spagna. Non gli piace parlare del suo tentativo di traversata, bisogna quasi cavargli fuori le parole. Uno sconosciuto che ha incontrato al mercato di tripoli gli ha proposto di imbarcarsi. Di notte, Amal è salito in un pick up con degli altri africani. Gli hanno bendato gli occhi. Si è ritrovato in una casa dove gli hanno preso i suoi soldi. Poi, una spiaggia, lo Zodiac, la partenza…
Nessuno può valutare quanto tempo hanno passato in mare
“Quanto tempo avete passato in mare?” Amal non lo sa. Uno dei suoi compagni, in tee short arancio, con un orecchino, alza la mano con due dita alzate e dice;”tre giorni. Poi, non c’era più benzina”. Si chiama Franck. Gli occhi arrossati, le labbra gonfie e tagliate a causa del sole e del sale, è confuso come gli altri. Qualcuno afferma che il viaggio è durato cinque giorni. Un marinaio dice che è impossibile:” Dopo cinque giorni in queste condizioni, nessuno avrebbe più la forza di parlare”. Nessuno di essi sembra capace di valutare con esattezza il tempo passato in mare. Hanno imparato una storia che si sono ripetuti sullo Zodiac, da raccontare alla polizia e ai giudici. Una storia incredibile di un lungo viaggio, di una guida caduta in mare che ci racconta una giovane nigeriana con i capelli arruffati. Si chiama Gift, porta un jeans scolorito e mi chiede cosa succederà adesso.
Le rispondo ciò che ho già visto, ciò di cui sono convinto. Ciò che si aspetta, d’altronde. Ci si dirige al porto nuovo di Lampedusa, dove la Croce Rossa, la Caritas e l’unhcr [l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati] si occuperanno di loro. Verranno loro offerti del the, dei biscotti, delle coperte, un’assistenza legale, delle cure, dei vestiti ed anche una carta telefonica. Tutta l’Africa sa che quelli che approdano a Lampedusa sono trattati come dei naufraghi, non come dei clandestini. Anche se questo esaspera la maggior parte degli abitanti dell’isola, che non amano vedersi sfilare davanti tutta la miseria del mondo e detestano che la loro spiaggia si trasformi in cimitero a cielo aperto. Comunque, la consueta umanità. Il minimo di solidarietà, di carità. Allora dico a Gift e agli altri: “Non preoccupatevi…non preoccupatevi…”
Però sono preoccupato anch’io: risalendo nella cabina di pilotaggio, vengo a sapere che la destinazione è cambiata. Lampedusa è a un’ora di mare, ad ovest. E la vedetta della guardia di finanza naviga direzione sud. Cala la notte, comincia a fare freddo. I naufraghi indeboliti sono ghiacciati, mancano di sonno, hanno fame. “Ieri” dice Amal”ha piovuto, siamo ancora tutti inzuppati”. Fa un tiro della sigaretta che gli hanno dato, poi la passa ai suoi compagni. Un uomo smilzo domanda del cibo. Non avrà nulla. Un altro, con la maglietta di Francesco Totti, dell’as Roma, chiede dei vestiti asciutti, ma non ce n’è. E nemmeno delle coperte. Dappertutto sul ponte, delle figure sedute o sdraiate, avviluppate in pezzi di stoffa luridi. Dei piedi sporgono. L’odore è forte e nauseabondo. Meglio non immaginare come 80 persone si liberavano in mare. A volte, qualcuno si alza per andare a vomitare; un marinaio l’accompagna.
Nel retro, un militare napoletano distribuisce alle donne delle bottiglie d’acqua e dei biscotti farciti al cioccolato, e del cotone per tapparsi le orecchie. Sono sistemate al di sopra dei due motori di 3000 cavalli ciascuno. Fa meno freddo di prima, ma il rumore è insopportabile.
Gift è accovacciata, lo sguardo vuoto e spento. Ha infilato le mani nelle tasche del vestito. Ha mal di denti e non riesce ad inghiottire niente. Per un istante, esce da questo stato semi comatoso, contempla il cielo, la luna a babordo, la stella polare che brilla in cielo. “Dove siamo?” domanda Gift. Dove andiamo? Non ottiene risposta. È mezzanotte. Si avvistano due battelli della guardia costiera , che portano anch’essi dei clandestini. Via radio, il comandante del “Bovienzo” chiede delle coperte di sopravvivenza e un aiuto medico. Qualche minuto più tardi, il medico giunge a bordo. Senza coperte di sopravvivenza. Piccolo uomo raggrinzito, dallo sguardo deciso, il dr. Arturo porta un berretto e l’uniforme rossa dell’ordine della croce di Malta ( Corpo italiano soccorso di Malta). Porta una valigetta di medicinali, roba da rimettere tutti in forma. Parla solo italiano; Enrico, il nostro fotografo, gli fa da interprete assieme a me. Due malati si sono rifugiati nello Zodiac del “Bovienzo”. “Fuel burn”, dice uno di loro indicando i genitali. “Ho i guanti sporchi”, dice il medico. Mi chiede di prendere dalla sua borsa un prodotto spray. Ne cosparge i genitali del paziente, che fa una smorfia prima di riallacciarsi i jeans.
Gli altri clandestini capiscono che il prodotto allevia il dolore. La benzina si era riversata nel relitto dove sono rimasti seduti senza muoversi per lunghe ore, a mollo nel carburante. Soffrono di bruciori alle natiche. Si alzano uno dopo l’altro, abbassano i pantaloni mostrando le natiche. Quelli che ne hanno ancora la forza ridono. Un senegalese in giacca zippata nera dice in francese che ha continui nausea e vomito. “Lo vedremo più tardi” dice il dottore. Qualcuno ha mal di testa. “Da quanto tempo?” “Due mesi”. “Non posso farci niente, sono qui solo per le urgenze”. Un altro apre una vecchia borsa di plastica e fa vedere due boccette vuote. “Le mie medicine, sono asmatico e nel mio paese non ci sono più medicine. Mio padre mi ha detto di andare”… “Che cos’ha?” interrompe il medico prima di voltarsi. “Andiamo a vedere le donne…” Una di loro sembra stare male. Si tocca i fianchi ed il petto facendo smorfie. Non parla inglese e Gift non ha più la forza di tradurre. Il dottore l’ausculta un momento, sospira e passa alla vicina, che abbassa i pantaloni :“fuel burn”…
Gift parla del suo mal di denti. “Vedremo dopo” dice di nuovo il medico. Dopo cosa? Non risponde. Delle lacrime scendono sulle guance di Gift. Il medico termina il suo giro: “Non posso mica occuparmi di tutti!” Rivolto a me, aggiunge: “ È sempre così, si lamentano delle irritazioni dovute all’acqua di mare. Questi qua sembra che stiano bene invece”. Gli restituisco la sua valigetta. Era piena di garze, siringhe e medicine che non sono servite a niente. Ha almeno portato dei sacchi dell’immondizia. I marinai li distribuiscono. Gli uomini li tagliano e se li infilano come delle giacche. Dietro, le donne, rannicchiate le une contro le altre, le usano come coperte.
Grazie a Sam per la traduzione
sabato 23 maggio 2009
New Italian Style...
E gli faceva eco il ministro Frattini: "non hanno mai usato la forza". "Non c'è stato alcun ordine al capo di Stato maggiore della Marina o al comandante della nave Spica, che è quella che ha fatto i riaccompagnamenti, ad usare la forza. E la forza non è mai stata usata, non c'è stata mai alcuna azione coercitiva, si è rispettata l'antica legge del mare che è un dovere per un marinaio: quello di accompagnare nel porto più vicino chi è in difficoltà, se vuole essere accompagnato. Questo è successo e io sentirmi dire che l'Italia, attraverso i marinai, si comporta in modo inumano...".
Ecco la delicatezza ammirabilmente umanitaria con cui i marinai, e persino il comandante (il primo con gli occhiali a destra) della nave "Bovienzo" hanno gentilmente accompagnato "chi è in difficoltà"... appare anche con tutta evidenza quale bramosia avessero queste persone in difficoltà di essere aiutate dai nostri marinai...!
Giudicate voi, quanto siano affidabili le parole di due ministri della Repubblica italiana...
L'articolo, per ora in francese in attesa di trovare il tempo di tradurlo, lo trovate qui sul sito di ParisMatch e sono di Enrico Dagnino, pubblicate nel N° 3130 del 14 al 20 maggio 2009...
Io oltre alle foto del sito, aggiungo nel tempo quelle scannarizzate dalla rivista acquistata in edicola... Credo che le foto possano ampiamente anticipare il contenuto stesso dell'articolo e forse ne rendono persino inutile la traduzione...
Qui sotto vi riporto i tre links con cui potete direttamente leggere l'articolo e vedere il filmato che commenta le foto... (in attesa che concluda la pubblicazione)...
Immigrati: il sogno infranto
Il dramma dei clandestini
I segreti di uno scoop


domenica 8 febbraio 2009
Il ricatto etico...

C’è lo scontro istituzionale, è vero: preoccupante e inedito per la durezza, giunta - stavolta - fino alla sfida aperta tra capo del governo e Presidente della Repubblica. Ma dietro il conflitto che ha opposto - e probabilmente opporrà ancora nei giorni a venire - Napolitano e Berlusconi c’è molto altro.
A cominciare dall’oggetto dello scontro: la vita di una ragazza in stato vegetativo permanente da 17 anni. «Io non voglio la responsabilità della morte di Eluana», avrebbe detto il premier ai suoi ministri per convincerli a dire sì a un decreto legge che impedisse di sospendere alimentazione e idratazione ad Eluana Englaro. Il che, per deduzione, dovrebbe portare alla conclusione che chi a quel decreto si è poi opposto - Costituzione alla mano - si assume, appunto, la «responsabilità» di quella morte. Messa così, come è evidente, la discussione abbandona ogni profilo di civiltà, diventando quasi incommentabile. Proprio l’«oggetto» della disputa - la vita umana - avrebbe preteso che per una volta almeno la discussione mettesse da parte i calcoli politici e gli utili tatticismi, i tentativi di scaricabarile e le piccole astuzie politiche alle quali siamo abituati. Non è accaduto nemmeno stavolta: e al di là della gravità del conflitto istituzionale in atto, è questo che indigna e lascia senza parole.
Ciò nonostante, lo scontro è in corso. E ieri, dopo tre giorni di tensioni sotterranee e tese consultazioni, è esploso in tutta la sua asprezza. Quattro i passaggi chiave. Primo: una lettera «riservata e personale» fatta giungere in mattinata dal Presidente della Repubblica a Berlusconi nella quale si elencavano le ragioni per le quali il Quirinale non poteva accettare il ricorso ad un decreto. Secondo: la decisione del premier di rendere nota la lettera, andare avanti comunque e convocare una conferenza stampa per denunciare una «innovazione» da parte del Colle («Intervenire anticipando la decisione del Consiglio dei ministri circa la sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza») e annunciare che, se il Presidente non avesse firmato, il governo avrebbe presentato una legge da far approvare in due o tre giorni al Parlamento. Terzo: l’annuncio del Quirinale «di non poter procedere alla emanazione del decreto» per ragioni di ordine costituzionale. Quarto: un nuovo Consiglio dei ministri che trasformava il decreto in disegno di legge, con un successivo «accorato appello» di Berlusconi al presidente del Senato per «l’immediata convocazione di una seduta straordinaria».
Prima e durante questi passaggi, in una giornata assai poco edificante, s’è visto e sentito di tutto: il capo del governo evocare il ricorso al popolo di fronte all’impossibilità di utilizzare lo strumento del decreto legge; esponenti importanti delle gerarchie vaticane intervenire per lodare «il coraggio» dell’esecutivo e manifestare «delusione» verso il Capo dello Stato; il presidente della Camera, Fini, scendere in campo a sostegno delle posizioni di Napolitano per poi vedere i ministri di An votare sì al decreto sotto la pressione di Berlusconi. E di fronte a tutto questo, lo sbigottimento e l’amarezza della famiglia Englaro, sul cui dolore si è giocata e si continuerà a giocare una partita politica che ha ben poco a che vedere con l’etica e i principi richiamati qua e là. Infatti, che maggioranza e opposizione abbiano idee diverse sulle vie da percorrere in materie come testamento biologico, accanimento terapeutico ed eutanasia, è noto da tempo. Nessuno poteva però immaginare che tali differenze venissero messe alla prova di un decreto ad personam, di un provvedimento fatto solo per la povera Eluana: quasi una scimitarra per tagliare il mondo a metà, tra chi la vuole viva e chi - dicendo no al decreto - forse ne determina la morte (al di là della Costituzione e del suo rispetto).
Su questo piano, è evidente, nessun confronto - politico o istituzionale che sia - sembra essere più possibile. Ridurre una discussione delicata e complessa a chi è per la vita (vegetativa) di Eluana e a chi invece no, significa devastare il terreno del possibile confronto e gravare di una responsabilità non sopportabile chiunque abbia dubbi costituzionali, etici e legislativi sull’iniziativa del governo. Ieri questa responsabilità l’ha dovuta assumere il Presidente della Repubblica. Ma da oggi tocca ad altri: alla Camera e al Senato, ai loro membri, ai loro presidenti. Devono approvare il decreto trasformato in disegno di legge e, secondo il premier, devono farlo in fretta. In caso contrario saranno loro i «responsabili» della morte di Eluana. Diciamo la verità: nemmeno i più pessimisti avrebbero mai immaginato che si giungesse a un punto così.
venerdì 6 febbraio 2009
Eutanasia di una democrazia

Ha aspettato che tutti, compreso il Capo dello Stato, venissero allo scoperto, facendo credere che, pur sentendosi come tutti partecipe del dramma, non intendeva farne un "caso" politico forzando la mano ai dettami costituzionali...
Facendo finta di avere "scrupoli di coscienza" (sic!) su un "caso umanitario", con l'approvazione del dl dà scacco matto definitivo a ogni attuale tentativo di ricostruire in Italia una democrazia matura, multireligiosa e multiculturale...
Vista l'impossibilità del Capo dello Stato di firmare il decreto, in un colpo solo ottiene:
- La "riconoscenza eterna" e i voti di tutti gli integralisti "vitalisti" (movimenti e singoli, credenti e non);
- L'abolizione di uno dei capisaldi dello "Stato di diritto": la separazione del potere giudiziario dal potere legislativo;
- La delegittimazione dell'attuale sistema costituzionale italiano la cui morte di fatto è sancita da un tale decreto qualora in un modo o nell'altro passasse...
- Le premesse per attuare in tempi rapidi un sistema politico presidenziale di tipo monarchico di cui lui solo ne è il sovrano assoluto: potere economico, politico, legislativo, giudiziario e meditaico riunite sotto il suo insindacabile giudizio.
- Attuare così in tempi rapidi il progetto massonico, del suo amico Gelli...
Scenari possibili? Tutti i peggiori incubi che la storia contemporanea potrà offrirci e tali che quelli che la storia ci ha finora mostrato, appariranno dilettanteschi!
Corollario non marginale: Lo sfascio dell'attuale chiesa italiana che verrà storicamente ritenuta responsabile di aver affondato una democrazia per scopi umanitari (sic!)...
_________________________________
NOTA: LA LETTERA DI NAPOLITANO CHE SPIEGA LE RAGIONI DEL RIFIUTO
giovedì 7 agosto 2008
lunedì 2 giugno 2008
Totalitarismi: la strage di Tibhirine
domenica 20 aprile 2008
Telecrazia
Una denuncia alla quale il Pentagono ha replicato affermando che ci si preoccupava semplicemente di dare agli analisti notizie accurate. In realtà, secondo quanto ricostruisce il quotidiano, alcuni commentatori avevano anche stretti rapporti con società direttamente implicate nello sforzo bellico, ma assai raramente chi ascoltava veniva informato di questo non secondario particolare. Un caso citato dal giornale avvenne nel 2005 quando il Pentagono raccolse un gruppo di militari in pensione e li portò in Iraq sull’aereo normalmente usato dal vice presidente Dick Cheney. Poi molti di loro comparvero in tv, presentati come analisti. Uno di loro nel servizio del New York Times ammette di avere ricevuto palesi pressioni. Altro episodio scandaloso documentato dal giornale è quello legato alla cosiddetta «rivolta dei generali». Nell’aprile del 2006 un gruppo di alti ufficiali in congedo iniziò a criticare duramente e a chiedere esplicitamente le dimissioni di Rumsfeld. Il 14 aprile lo stesso capo del Pentagono ordinò ai suoi collaboratori «di convocare gli analisti la settimana dopo per istruirli». Quattro giorni dopo, secondo la ricostruzione del NYT, «17 di loro erano davanti allo stesso Rumsfeld e al generale Peter Pace, l’allora capo delle forze armate Usa». Il giornale denuncia infine che vista l’efficacia del sistema, anche l’ex ministro della Giustizia, Alberto Gonzales, preoccupato «delle polemiche sulle intercettazioni senza autorizzazioni sul territorio Usa», iniziò a «usare gli analisti» per migliorare la sua immagine. (repubblica.it 20 aprile 2008)
Dove siamo!
Il notro Eremo
previsioni meteo nelle nostre case
I più letti in assoluto
-
Aggiungo qui, per riconoscenza, una parte dell'email ricevuta, che mi ha stimolato a una risposta (che qui integro ulteriormente), che c...
-
Rembrandt, Il cantico di Simeone , 1668-1669, Stoccolma, Nationalmuseum E' curioso come la pittura, arte visiva per eccellenza, abbia ...
-
Un'altra opera d'arte che ci aiuta a riflettere. Con un deciso balzo all'indietro rispetto alla modernità di Ensor, questa volta...
-
Se qualcuno ha delle foto e vuole mandarmele, farà cosa molto gradita! Indirizzo email e postale, nel profilo dell'Eremo. Grazie! NB: T...
-
Una bella bufera non c’è che dire, quella sui preservativi e c’era da aspettarselo… anche perché di una cosa si è certi ancora una volta si...
-
Cliccare sull'immagine per leggere il testo! Per sapere come raggiungerci potete visitare il sito "Cronaca di Cassano" e legg...
-
Leggo su Repubblica.it di oggi: Lucca dice basta ai ristoranti etnici. Il nuovo regolamento del Comune (guidato da una giunta di centrodest...
-
Sentenza assurda di una giustizia più che bendata, cieca. Qui non si tratta di fare un processo al cristianesimo o alla religione, come alc...
-
Conosciamo il travaglio che la trasmissione di Fazio e Saviano ha, fin dai suoi albori, vissuto. Tanto è stato scritto e molto a sproposito....
-
Daniel Zamudio Vorrei proporvi durante questa “Santa Settimana” (vedi nota *) in cui la cristianità fissa il suo sguardo sul “compimento” de...
Relax con Bubble Shooter
Altri? qui