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domenica 20 ottobre 2013

Chi la dura la vince

contagio di luce

A una prima lettura appare evidente nella liturgia di oggi il riferimento all’impegno costante sia nella preghiera che nell’annuncio missionario…

Così nel libro dell’Esodo, Mosè con le braccia alzate appare il vero autore della vittoria di Giosuè contro i nemici di Israele. Non è la forza di Giosuè ma la costante preghiera di Mosè – e in ultima analisi, Dio – ciò che fa vincere Israele!
La conclusione appare quindi ovvia: Senza la preghiera non riusciamo a vincere (Esodo)… e ad ottenere giustizia (Vangelo)! A questo livello di interpretazione, avere fede è perseverare con la preghiera incessante, fiduciosi nella promessa di Dio. Fiducia in Dio che salverà il suo fedele nonostante la storia sembri smentirla! Riappare quindi nel Vangelo il tema della costanza nella preghiera che abbiamo visto in un Mosè stanco e sostenuto dalla comunità (rappresentata da Aronne e Cur)… Esortazione alla costanza (a “tener duro”, endurance) che ritroviamo in san Paolo nella lettera a Timoteo!
Fin qui la lettura “tradizionale” (In questa chiave anche la preghiera iniziale della Colletta: O Dio, che per le mani alzate del tuo servo Mosè hai dato la vittoria al tuo popolo, guarda la Chiesa raccolta in preghiera; fa’ che il nuovo Israele cresca nel servizio del bene e vinca il male che minaccia il mondo, nell’attesa dell’ora in cui farai giustizia ai tuoi eletti, che gridano giorno e notte verso di te).
Tutte cose belle e giuste e che ci hanno guidato per anni e guidano ancora la vita di molti cristiani. Ma mi chiedo, “sperare contro ogni speranza” anche quando i fatti sembrano contraddirla, è ancora speranza? È questo il senso che intendeva Paolo? Non siamo davanti a «un ottimismo che toglie alle decisioni morali e alle nostre azioni quel senso acuto di responsabilità che invece dovremmo avere»? (Ernesto Balducci). Tanto Dio – si badi bene: Dio! – prima o poi vince(rà)! E l’uomo? Personalmente penso che una fede siffatta non sia molto diversa da quella del bambino che crede alla Fatina delle favole. Non è fede, è fideismo! L’ottimismo della volontà contro il pessimismo della ragione (Antonio Gramsci) è da schizofrenici, non da uomini che fondano sulla lucidità del pensiero l’agire della volontà.

Leggendo e rileggendo passi interi della bibbia e del vangelo abbiamo imparato a conoscere la figura di Mosè, di Paolo e di Gesù. E così decidiamo di non sorvolare più su certe sue espressioni fino a ieri oscure, perché pian piano sembrano illuminarsi di luce propria mentre altre assumono riflessi di significato nuovo. Cosa vorrà dire per esempio la frase spiazzante di Gesù: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Di che fede sta parlando?

E allora rifacciamo il percorso che abbiamo fatto tante volte, cercando di guardare con occhi diversi i testi che abbiamo imparato a conoscere!
E ci accorgiamo che nella prima lettura l’unico che prega, se prega, è Mosè… e gli altri? Ma sta proprio pregando? Almeno nel senso nostro di preghiera. Cioè se Mosè prega, che preghiera è? In cosa si differenzia dalla nostra?… C’è forse qualcosa nel nostro modo di pregare che non sia preghiera?
Già sappiamo dalla bibbia che c’è un modo di pregare che Dio non sopporta, perché non ci umanizza, perché ci rende schiavi di ritualità vuota. Le invettive di Isaia ci fanno tremare: 1,4 «Guai, gente peccatrice, popolo carico d’iniquità! Razza di scellerati, figli corrotti!» 1,11 «Perché mi offrite i vostri sacrifici senza numero?… Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di pingui vitelli. Il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. 12 … chi richiede a voi questo: che veniate a calpestare i miei atri? 13 Smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio, i noviluni, i sabati e le assemblee sacre: non posso sopportare delitto e solennità. 14 Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli. 15 Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue». Di che sangue grondano le nostre mani?

Torniamo a Mosè: Mosè non aveva bisogno di pregare… almeno non nel senso nostro! Salvato dalle acque, poteva ringraziare la figlia del faraone se era ancora in vita! Crescendo avrà fatto le sue offerte rituali al dio Rha insieme a tutta la famiglia del Faraone. Aveva tutto Mosè: forza, ricchezza, salute, giovinezza e potere… Che cosa poteva dargli di più un dio? Ci viveva in casa (Faraone)! Certo aveva un grosso difetto Mosè che gli uomini potenti credono di non potersi permettere perché temono di perdere il loro potere (tirannico): aveva un forte senso di giustizia che lo porterà ad uccidere pur di difendere l’operaio ebreo vittima dell’arroganza di un egiziano. E così come Caino, fuggirà nel deserto! Forse in quella vita da fuggitivo il rischio di Mosè era che vivesse di nostalgia… ma in fondo aveva una vita tranquilla… s’era persino sposato!

E qui, rifugiato nel deserto, che accade a Mosè? Un Dio fino ad allora a lui sconosciuto, gli parla attraverso un roveto ardente! Se qualcuno l’avesse visto l’avrebbe preso per matto: parlare con un rovo in fiamme!

Ma il dialogo tra Mosè e il “roveto” è significativo: è il “rovo” (e non un albero maestoso!) che si rivolge a Mosè e gli chiede di esaudire un suo desiderio che aveva coltivato da sempre: libera il mio popolo! Sembra una fiaba! Ma non racconta favole: La vita di Mosè cambia radicalmente per la terza volta e la sua vita consisterà nell’impegno – fino alla morte – ad esaudire la richiesta di Dio. Anzi non Dio, ma Yhwh! Non è Yhwh che esaudisce le sue richieste ma lui che esaudisce le richieste di Yhwh! Se Mosè chiederà qualcosa a Yhwh, sarà solo per realizzare efficacemente ciò che Egli gli aveva chiesto. Ecco perché quando Mosè si arrabbia – dice il testo – è punito da Yhwh. Come a dire: Mosè, non è mica un tuo progetto! Se ti arrabbi stai trasformando il progetto di liberazione di Yhwh in un tuo progetto di potere!
La vita di Mosè insomma ci insegna che la preghiera non è quella “cosa” con cui chiediamo a Dio di esaudire le nostre esigenze, ma è preghiera quella che cerca di comprendere i desideri di Dio per poterli esaudire nella storia! Anzi non di Dio, ma del Padre!
La vita dell’uomo si realizza, l’uomo si umanizza, nell’appagamento dei desideri dell’altro (Padre, prossimo) non dei propri! Perché i propri sono solo progetti di potere!

Yhwh sa che il popolo di Israele è la propria “memoria” storica. Se viene distrutto Israele, viene distrutta la sua presenza storica e Yhwh sparisce dalla storia! – Ogni antisemitismo mira a questo e anche per questo non potrà vincere mai! – Tra Israele e Yhwh c’è un solidum esistenziale sancito con Alleanza eterna mai superata e superabile. Così la storia dell’uno dipende dalla vita dell’altro e viceversa! La richiesta di Yhwh a Mosè, agli israeliti, a ogni uomo, in fondo è: “Fammi vivere”! Che è ciò che invece siamo soliti chiedere noi a Dio!

Nella Bibbia, i poli della preghiera quindi sono capovolti rispetto ai “nostri”! E scopriamo che solo esaudendo i desideri di Dio, possiamo esaudire i nostri! La radice dell’uomo immagine di Dio, sta a questo livello. Mangiare dell’albero della conoscenza del male (e del bene) è mangiare un frutto che nemmeno Dio mangia: l’uomo se vuol vivere non può che mangiare solo ciò che Dio mangia. Perché può nutrirsi solo se si nutre di ciò di cui si nutre Dio.

Le mani alzate di Mosè quindi non sono le preghiere di Mosè a Dio, ma l’esaudimento (da parte di Mosè) della preghiera fatta da Yhwh a Mosè: salva/libera il mio popolo e così salverai anche me e te con noi! Mosè accetta di essere strumento di questa liberazione di Yhwh e di Israele. E così costruisce la propria. Ha il “bastone di Dio” in mano, ma il vero bastone è lui, le sue braccia, la sua fragilità, la sua ostinata passione per l’avventura di Dio. Su cui Dio e la storia si appoggiano.

Tutto il popolo di Israele, e noi con lui, dobbiamo imparare questo passaggio per vivere la “preghiera” – il modus orandi – di Mosè: passare dalla preghiera dello schiavo (Dio liberami, salvami, guariscimi, dammi…), alla preghiera dell’uomo libero che si prende cura della libertà altrui (di Dio e dell’uomo).
A partire da questa rapida comprensione rinnovata, noi possiamo accedere alle altre letture con uno sguardo nuovo: la missione, l’annuncio del vangelo, se non vuole essere la realizzazione di un proprio progetto di potere, non può non partire da un ascolto assiduo della Parola di Dio! «Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture» (Paolo) per attuarle nella storia! Se c’è preghiera di domanda non può che essere in questa direzione: e infatti Paolo prega Timoteo di attuarla! Paolo non scrive come un padrone ai suoi sudditi… come un Cesare a Pilato…! Non ordina, supplica!

La parabola di Gesù non si discosta da questa logica: la preghiera non è relazione intimistica con Dio! Non è un abbraccio tra due narcisisti! E ancor meno un “volemose bene”, ma è il lavoro (braccia, gambe, lingua, sguardi…) diuturno di attuazione della giustizia del Padre nella storia: solo così il Padre vive e l’uomo con lui.

Il Padre non è colui che deve attuare la nostra giustizia, ma è colui che è giustizia già attuata. La sua! E che prega, supplica, sprona ciascuno di noi a farla propria! Storicizzandola!

Il linguaggio paradossale della parabola non può contraddire ciò che nella storia biblica è stato un guadagno culturale e cultuale dell’umanità!
Dire che Dio attua prontamente, significa che Dio da parte sua ha già attuato questa giustizia, semmai tocca all’uomo farsene carico! Dio c’è, è l’uomo che a volte, troppe volte, non c’è! Non siamo stati a Lampedusa come non siamo stati ad Auschwitz; non siamo a San Vittore come non ci siamo a Guantanamo; non siamo a Bruxelles perché non vogliamo essere ad Atene; non siamo a Wall Street come non siamo a Francoforte; fingiamo di esserci al Palazzo di Vetro come fingiamo di esserci a Palazzo Madama; eliminiamo ogni presenza umanizzante a Torino come la togliamo a Pomigliano… Crediamo di poterla difendere nella propria casa (“ah! casa, dolce casa”) ignorandola nel quartiere!...
E ci stupiamo poi di trovare tanto acida la casa che credevamo così dolce!

Ecco i luoghi (alcuni) dove avremmo dovuto custodire la fede nella giustizia e nei quali invece rischiamo di perderla! Per sempre!

Come l’ultimo gradino indifeso della scala sociale e religiosa della vedova; come il balbuziente Mosè; come il fragile e perseguitato Paolo (2Cor 11,23-12,10), l’attuazione di questa giustizia di Yhwh/Padre nella storia, non sta nella nostra forza, ma nella nostra disponibilità a rompere gli indugi e gli schemi sociali e culturali per farci incessanti rompiscatole. “Maggioranza rumorosa” contro ogni forma di ingiustizia e facitori di giustizia nuova. Nuova perché non nostra ma del Padre!
Solo così il “giudice dell’imperatore”, se non per convinzione, per spossatezza (spossatezza che il facitore della giustizia del Padre – seppur stanco – non ha! cfr 2Cor 4,8ss), vinto come il Faraone, diventa “giudice del Padre”. Attuatore storico – suo malgrado – della misericordia di Yhwh!

Giustizia che è già presente nella storia, accolta inizialmente solo dai poveri di Yhwh quale la vedova (che a mio avviso qui rappresenta Dio che ottiene soddisfazione da noi uomini cattivi cfr Mt 7,11)! Poveri che non badando alla propria insignificanza storica, e senza voler diventare “politicamente significativi” (sarebbe una lotta di potere!), se ne fanno audace istanza senza scoraggiarsi. E vincono sempre!
Al giudice iniquo infatti, come ad ogni promotore di ingiustizia restano dunque tre strade: o elimina il “disturbatore” della sua falsa quiete (con la certezza di diffondere ulteriormente la protesta dilazionandola), o accetta di lasciarsi perennemente disturbare (col risultato di minare la propria autorità), o più furbescamente cominciare, seppur controvoglia, ad ascoltare il popolo che sta opprimendo! In ogni caso, come si può notare qualunque scelta faccia, è scacco matto!
A una condizione però, lo ribadisco perché a mio parere è di decisiva importanza: La vedova bussa alla porta, non gliela sfonda! La rivendicazione della giustizia non può usare il metodo dell’ingiustizia che vuol combattere, altrimenti l’oppresso non solo giustificherebbe la propria eliminazione da parte del potere costituito, ma nel gioco della inversione delle parti, in caso di vittoria dell’oppresso non sarebbe eliminata l’ingiustizia! Il fallimento di ogni rivoluzione violenta è tutta qui!

La preghiera dopo questo percorso perde così ogni tradizionale connotazione spirituale per assumere una dimensione nuova in cui l’accoglienza del Sogno (cfr Lc 11,13) di Gesù e del Padre diventa discernimento operativo, fattualità storica!
Pregare vuol dire allora, non incrociare le dita o le braccia, ma assumersi la responsabilità di una ostinata, pacifica quanto scomoda “guerriglia” di rivendicazione della giustizia del Padre. Perché anche nella fede come nella vita, “chi la dura la vince”! E… non conosco nessuno più ostinato di Dio!

lunedì 4 febbraio 2013

Panem et circenses

Mario Balotelli

Molto è stato detto sulle promesse elettorali di Berlusconi: di abbassare le tasse prima e ora di restituire in contanti quell'IMU che peraltro lui stesso aveva votato e difeso sui giornali. Quest’ultima è stata chiamata “la proposta choc”! E sotto certi aspetti lo è veramente. Vediamo perché.

Berlusconi (coi suoi alleati) sta applicando, direi attualizzando, un vecchio metodo ben noto fin dagli albori di ogni potere assolutista e sintetizzato efficacemente nel primo secolo dal poeta latino Decimo Giunio Giovenale con l’espressione “panem et circenses”! Metodo che trasformava e trasforma ogni parvenza di democrazia nella concreta dittatura della demagogia. Manifestando anche a ben vedere un profondo disprezzo verso il proprio popolo: come se fosse un cane a cui basta un osso e una palla per renderlo felice! (Cosa che in realtà neanche al cane basterebbe!).

In Berlusconi, al pane corrisponde la restituzione dell’IMU e al circo, il circo calcistico del gladiatore Balotelli! È ovvio che costa di più dare da mangiare al popolo che acquistare un gladiatore! Se a Berlusconi è riuscita la seconda, è impossibile che gli riesca la prima!

Infatti Roma si indebitò per questo e andò in rovina anche per questo (altra causa fu il degrado morale. Ma guarda un po’ com’è attuale la storia!)! Così sarà per l’Italia se glielo permetteremo (ammesso che intenda e voglia realmente realizzarlo: anzi per le ragioni che dirò sotto è auspicabile che ancora una volta menta!).

Oggi, in un mondo globalizzato, se le casse sono vuote, non è più possibile fare come nel passato. A meno di scatenare il nostro esercito alla conquista dei continenti. E se anche dichiarassimo guerra, questo non potrà che generare lutto, rovina, distruzione, perdita di sovranità: proprio come nell’antichità e nel passato più recente. I sogni di ricchezza e gloria per il popolo italiano di Mussolini si sono infranti nell’impossibilità di conquistare un mondo che già allora cominciava – in qualche modo col colonialismo – a globalizzarsi.

Non è un caso che proprio “Roma Antica” fosse il modello che ispirava l’azione mussoliniana.
Che l’elogio di Berlusconi allo statista Mussolini (escludendo solo le leggi razziali “ha fatto cose buone”: quali di grazia?) vada ad iscriversi in questa logica? Io credo di sì: un filo rosso sangue li unisce. Non c’è solo l’occhiolino strizzato alle falange estreme dell’astensionismo. Certo non penso che Berlusconi lancerà i futuri F35 (temporale permettendo) alla conquista dell’Africa… la cosa non è così banale, ma come interpretare la “dichiarazione di guerra” contro l’Europa, la Cancelliera Angela Merkel, la BCE, il PPE, l’euro…?

Quanto detto credo inviti a non prendere sottogamba le sparate di Berlusconi… Non è a mio avviso una cosa su cui riderci sopra, insomma! Siamo agli albori, se gli italiani ci cascano, di una rovina più grande e forse senza ritorno del paese: che solidarietà potremmo aspettarci dagli altri popoli quando noi stessi abbiamo eletto colui che sarà causa della nostra e loro rovina? Perché qui in gioco non c’è solo l’Italia e/o l’Europa, ma – piaccia o non piaccia la globalizzazione – gli equilibri politici ed economici del pianeta. Non siamo il Liechtenstein dobbiamo assumerci anche il ruolo geopolitico che la storia, nel bene e nel male, ci ha consegnato.

Gli altri partiti e o coalizioni hanno il dovere di raccogliere la sfida scardinandone la logica di (s)governo soggiacente (“panem et circenses”) per mostrare nei fatti che oggi il consenso si fonda su un’attenzione all’uomo che si esplicita in valori che vanno oltre l’IMU e la risata facile: giustizia, pace, moralità, responsabilità, onestà, condivisione, solidarietà, ecologia, rispetto per l’uomo e la donna indipendentemente dal proprio status (religioso, affettivo, economico, culturale, etico…), multiculturalità, ecc.

Il consenso per produrre benessere per tutti non può che essere democratico: si deve fondare sulla conoscenza e sulla possibilità data a tutti e a ciascuno di decidere del proprio destino, personale e comunitario, per il bene globale. Altrimenti smettiamola di dire “poverino” quando vediamo persone ai margini della storia: della nostra compassione ed elemosina non se ne fa niente nessuno e men che meno la nostra coscienza.

Spiace vedere come una Chiesa, più preoccupata di non perdere posizione sociale (che peraltro – per fortuna per questa chiesa – continua inesorabilmente a perdere) che a illuminare la storia, sia sfuggita ancora una volta i rischi della sua (falsa) neutralità politica!

Piace invece notare che il testimone evangelico, di cui la Chiesa nel suo insieme è istituzionalmente apostola, sia da tempo ormai passato in altre mani “eretiche” molto più attente e premurose nel lenire – oltre il caritatevole e l’elemosina e anche a costo di sbagliare – le piaghe di un’umanità ferita (cfr Lc 10,33-35: ricordo che i Samaritani erano considerati all’epoca eretici e apostati).

mercoledì 16 maggio 2012

La preghiera di Aiace

Aiace in un dipinto di Henri Serrur
di Barbara Spinelli

Ci abituiamo talmente presto ai luoghi comuni che non ne vediamo più le perversità, e li ripetiamo macchinalmente quasi fossero verità inconfutabili: la loro funzione, del resto, è di metterti in riga. Il pericolo di divenire come la Grecia, per esempio: è una parola d’ordine ormai, e ci trasforma tutti in storditi spettatori di un rito penitenziale, dove s’uccide il capro per il bene collettivo. Il diverso, il difforme, non ha spazio nella nostra pòlis, e se le nuove elezioni che sono state convocate non produrranno la maggioranza voluta dai partner, il destino ellenico è segnato.

Lo sguardo di chi pronuncia la terribile minaccia azzittisce ogni obiezione, divide il mondo fra Noi e Loro. Quante volte abbiamo sentito i governanti insinuare, tenebrosi: “Non vorrai, vero?, far la fine della Grecia”? La copertina del settimanale Spiegel condensa il rito castigatore in un’immagine, ed ecco il Partenone sgretolarsi, ecco Atene invitata a scomparire dalla nostra vista invece di divenire nostro comune problema, da risolvere insieme come accade nelle vere pòlis.
L’espulsione dall’eurozona non è ammessa dai Trattati ma può essere surrettiziamente intimata, facilitata. In realtà Atene già è caduta nella zona crepuscolare della non-Europa, già è lupo mannaro usato per spaventare i bambini. Chi ha visto la serie Twilight zone conosce l’incipit: “C’è una quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce. È senza limiti come l’infinito e senza tempo come l’eternità. È la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere”. Lì sta la Grecia: lontana dalle vette luminose dell’eurozona, usata come clava contro altri.

L’editorialista di Kathimerini, Alexis Papahelas, ha detto prima delle elezioni: “Ci trasformeranno in capro espiatorio. Angela Merkel potrebbe punire la Grecia per meglio convincere il suo popolo ad aiutare paesi come Italia o Spagna”. Il tracollo greco è “un’opportunità d’oro” per Berlino e la Bundesbank, secondo l’economista Yanis Varoufakis: nell’incontro di oggi tra la Merkel e Hollande, l’insolvenza delle Periferie europee (Grecia, e domani Spagna, Italia) “sarà usata per imporre a Parigi le idee tedesche su come debba funzionare il mondo”. Agitare lo spauracchio ellenico è tanto più indispensabile, dopo la disfatta democristiana in Nord Reno-Westfalia e il trionfo di socialdemocratici e Verdi, pericolosamente vicini a Hollande. La speranza è che Berlino intuisca che la sua non è leadership, ma paura di cambiare paradigmi.

Può darsi che la secessione greca sia inevitabile, come recita l’articolo di fede, ma che almeno sia fatta luce sui motivi reali: se c’è ineluttabilità non è perché il salvataggio sia troppo costoso, ma perché la democrazia è entrata in conflitto con le strategie che hanno preteso di salvare il paese. Nel voto del 6 maggio, la maggioranza ha rigettato la medicina dell’austerità che il Paese sta ingerendo da due anni, senza alcun successo ma anzi precipitando in una recessione funesta per la democrazia: una recessione che ricorda Weimar, con golpe militari all’orizzonte. Costretti a rivotare in mancanza di accordo fra partiti, gli elettori dilateranno il rifiuto e daranno ancora più voti alla sinistra radicale, il Syriza di Alexis Tsipras. Anche qui, i luoghi comuni proliferano: Syriza è forza maligna, contraria all’austerità e all’Unione, e Tsipras è dipinto come l’antieuropeista per eccellenza.

La realtà è ben diversa, per chi voglia vederla alla luce. Tsipras non vuole uscire dall’Euro, né dall’Unione. Chiede un’altra Europa, esattamente come Hollande. Sa che l’80 per cento dei greci vuol restare nella moneta unica, ma non così: non con politici nazionali ed europei che li hanno impoveriti ignorando le vere radici del male: la corruzione dei partiti dominanti, lo Stato e il servizio pubblico servi della politica, i ricchi risparmiati. Tsipras è la risposta a questi mali – l’Italia li conosce – e tuttavia nessuno vuol scottarsi interloquendo con lui. Neanche Hollande ha voluto incontrare il leader di Syriza, accorso a Parigi subito dopo il voto. E avete mai sentito le sinistre europee, che la solidarietà dicono d’averla nel sangue, solidarizzare con George Papandreou quando sostenne che solo europeizzando la crisi greca si sarebbe trovata la soluzione? Chi prese sul serio le parole che disse in dicembre ai Verdi tedeschi, dopo le dimissioni da Primo ministro? “Quello di cui abbiamo bisogno è di comunitarizzare il nostro debito, e anche i nostri investimenti: introducendo una tassa europea sulle transazioni finanziarie, e sulle energie che emettono biossido di carbonio. E abbiamo bisogno di eurobond per stimolare investimenti comuni”. L’idea che espose resta ancor oggi la via aurea per uscire dalla crisi: “Agli Stati nazionali il rigore, all’Europa le necessarie politiche di crescita”.

La parole di Papandreou, ascoltate solo dai Verdi, caddero nel vuoto: quasi fosse vergognoso oggi ascoltare un Greco. Quasi fosse senza conseguenze, l’ebete disinvoltura con cui vien tramutato in reietto il Paese dove la democrazia fu inaugurata, e le sue tragiche degenerazioni spietatamente analizzate. Sono le degenerazioni odierne: l’oligarchia, il regno dei mercati che è la plutocrazia, la libertà quando sprezza legge e giustizia. Naturalmente le filiazioni dall’antichità son sempre bastarde. Anche la nostra filiazione da Roma lo è. Ma se avessimo un po’ di memoria capiremmo meglio l’animo greco. Capiremmo lo scrittore Nikos Dimou, quando nei suoi aforismi parla della sfortuna di esser greco: “Il popolo greco sente il peso terribile della propria eredità. Ha capito il livello sovrumano di perfezione cui son giunte le parole e le forme degli antichi. Questo ci schiaccia: più siamo fieri dei nostri antenati (senza conoscerli) più siamo inquieti per noi stessi”. Ecco cos’è, il Greco: “un momento strano, insensato, tragico nella storia dell’umanità”. Chi sproloquia di radici cristiane d’Europa dimentica le radici greche, e l’entusiasmo con cui Atene, finita la dittatura dei colonnelli nel 1974, fu accolta in Europa come paese simbolicamente cruciale.

Il non-detto dei nostri governanti è che la cacciata di Atene non sarà solo il frutto d’un suo fallimento. Sarà un fallimento d’Europa, una brutta storia di volontaria impotenza. Sarà interpretato comunque così. Non abbiamo saputo combinare le necessità economiche con quelle della democrazia. Non siamo stati capaci, radunando intelligenze e risorse, di sormontare la prima esemplare rovina dei vecchi Stati nazione. L’Europa non ha fatto blocco come fece il ministro del Tesoro Hamilton dopo la guerra d’indipendenza americana, quando decretò che il governo centrale avrebbe assunto i debiti dei singoli Stati, unendoli in una Federazione forte. Non ha fatto della Grecia un caso europeo. Non ha visto il nesso tra crisi dell’economia, della democrazia, delle nazioni, della politica. Per anni ha corteggiato un establishment greco corrotto (lo stesso ha fatto con Berlusconi), e ora è tutta stupefatta davanti a un popolo che rigetta i responsabili del disastro.
Le difficoltà greche sono state affrontate con quello che ci distrugge: con il ritorno alle finte sovranità assolute degli Stati nazione. È un modo per cadere tutti assieme fuori dall’Europa immaginata nel dopoguerra. Ci farà male, questa divaricazione creatasi fra Unione e democrazia, fra Noi e Loro. La loro morte sarebbe un po’ la nostra, ma è un morire cui manca il conosci te stesso che Atene ci ha insegnato. Non è la morte greca che Aiace Telamonio invoca nell’Iliade: “Una nebbia nera ci avvolge tutti, uomini e cavalli. Libera i figli degli Achei da questo buio, padre Zeus, rendi agli occhi il vedere, e se li vuoi spenti, spegnili nella luce almeno”.

Repubblica, 16 maggio 2012

lunedì 19 marzo 2012

L'ultimo profeta


Beppe Grillo

La storia di Beppe Grillo la conosciamo, seppur spesso a spanne: non proprio quella di un uomo qualunque…
Il “tipo” pure: comico, sarcastico, satirico, cafone, politicamente scorretto, anticlericale, a volte persino dissacrante e “bestemmiatore”, in alcune sue “visioni” altrettanto ingenuo e bambinesco, ultimamente additato anche come “autoritario” eppur “anarchico”… L’antipolitico che fa politica, anche se per interposta persona. Insomma tutto e il contrario di tutto.
È un personaggio che “seguo” – insieme a molti altri – prima per ridere, ora per piangere. Non che qualcuno possa mai votarlo, perché mai lui si presenterà (se ben l’ho capito).

Cosa mi spinge allora a scrivere un post tutto su di lui? Il disagio.
Il disagio che provo leggendo articoli, analisi, commenti (anche sul suo blog) di quelli che lo criticano e di quelli che lo lodano: non riesco mai a ritrovarmi. L’impressione è che ai più manchi la chiave di lettura del “fenomeno” Beppe Grillo e della sua non-creatura il “Movimento 5 stelle”. La cosa che mi lascia allibito è che persino i suoi più convinti sostenitori non sembrano cogliere il “nodo” centrale della sua proposta (al di là delle declinazioni contingenti: TAV, economia, ecc.). E mi chiedo a volte se lo stesso Grillo ne sia pienamente consapevole. Pienamente forse no!
Ci provo (non-umilmente) io.

Se guardiamo alle qualità (o difetti scegliete voi) sopra descritti, senza troppa fatica troveremmo che calzano a pennello con alcune caratteristiche fondamentali di un personaggio biblico chiave: il profeta.
Come su un aereo guardo il panorama biblico e lo sorvolo dall’alto, fermando lo sguardo ora qua, ora là, senza un ordine preciso, confidando sulla vostra conoscenza generale della bibbia. In fondo è solo un post, ma potrebbe suggerire un lavoro di dottorato in… teologia.

Il profeta dunque. Anarchico, ma non senza un principio guida: la giustizia. Apparentemente antipolitico quindi, ma in realtà altamente politico, purché sia una politica veramente nuova. Accusato di essere contro il sistema, in realtà è contro il sistema di chi (“la volpe”!) lo accusa di essere contro il sistema… Perché è contro “il sistema di ingiustizia dei furbi”, propugna un sistema nuovo, fondato sulla catena di relazioni umane rinnovate (Ah! Se ai tempi di Isaia ci fosse stato internet!). Per questo non guarda in faccia a nessuno, re o sacerdote che sia. Diventando non raramente antimonarchico, anticlericale e “blasfemo” verso la religione ridotta a “ragion di stato” è da questa continuamente perseguitato. Sempre “ateo” del dio “mistico” e quindi innocuo dei potenti, propugna la fede in una giustizia sociale in cui sia riconoscibile il “Dio degli schiavi”. Visionario quindi, fino a risultare ingenuo nel sognare un mondo dove l’uomo non sia più divoratore di uomini e distruttore del suo mondo (habitat). Per questo il profeta è sempre politicamente scorretto in obbedienza al proprio Arché. Celebrato da morto per essere meglio ignorato dal sistema, è irriso o peggio falsamente lodato da vivo. Assolutamente incompreso in ogni caso, spesso dai suoi stessi seguaci.
Persecuzione, calunnia, diffamazione, adulazione e infine commemorazione, sono le diverse fasi di un processo di rigetto del potere politico, religioso, economico coalizzatisi per difendere la propria sopravvivenza storica.
Tutto questo fa del profeta un uomo generalmente solo e solitario.
A volte sarcastico, non senza una vena di sana ironia spesso persino comica. Irremovibile nelle sue invettive, al punto da apparire più despota del dispotismo che stigmatizza.

Il suo ruolo fondamentale è la critica radicale al sistema non in quanto sistema ma in quanto sistema di poteri. Per questo alla sua critica, non regge nessun sistema. Né quello comunista, né quello capitalista. Né quelli di ieri, né quelli di domani.
Temuto e blandito quindi.
Ed è qui che si ricongiungono fortemente attuali i punti nodali tra l’intuizione di Grillo e la Profezia. Che li porta a scontrarsi con i suoi stessi seguaci. Che “ovviamente” non capiscono! Perché non sono loro i profeti. Non lo sono non perché non potrebbero, ma perché non vogliono essere “veggenti”. Al massimo guardano il deserto, non l’oasi a cui conduce. Non che non gli venga additata… ma per arrivarci dovrebbero attraversare il deserto della solitudine, dello scherno, degli stenti. Chiamali fessi!
Fessi!
Fessi perché comunque vada moriranno nel deserto. Senza mai nemmeno esser riusciti a sognare l’oasi.
E qual è questo nodo? L’errore che facciamo tutti: Proporre al profeta di condurre il sistema per cambiarlo dal didentro!
Ma se la profezia si fa sistema chi lo potrà mai più criticare? La profezia cessa di esistere (è già accaduto! E più volte). Ci vorrà un altro fuori dal sistema che critichi il sistema degli (ex)profeti. E allora sarà lui il profeta non quelli che stanno cambiandolo facendo “sistema”.

Ritornando a bomba. Se il movimento “profetico” si fa “partito”, cessa di essere movimento profetico. E avrà in sé tutte quelle dinamiche proprie di un sistema di poteri. Anche se non andasse eticamente alla deriva (impossibile!), chi potrà essergli di pungolo se cessa il movimento profetico?

E si capisce come a questo livello di critica e autocritica, la “rete”, il web diventi lo strumento chiave di controllo profetico dell’agire politico ed economico (come si capisce perché abbiamo conosciuto l’e-mail di Giovanni Paolo II solo dopo che è morto)!...
E se siete arrivati a leggermi fin qui potete cominciare a intuire perché proprio un comico cacciato dal sistema abbia potuto elaborare certe intuizioni… La nostra storia non è mai sganciata dal nostro pensare.

Ecco perché Grillo qui ha ragione da vendere nel cacciare, dal suo movimento, chi si costituisce come “partito”. O di dichiarare altrimenti “morto” il suo movimento.
Fallirà (come tutti i profeti), ma vincerà. Perché il “suo sogno” – che non è suo ma del “Dio degli schiavi” – ci sarà sempre qualcuno a riproporlo. Perché l’umanità non morirà cessando di crederci: finirebbe la storia.

Fattevi ora un excursus sulla storia della profezia anche all’interno della chiesa: tutte le volte che la profezia è stata istituzionalizzata, è arrivata un profezia che ha mandato in crisi istituzione e profezia istituzionalizzata. Ecco perché nascono e nasceranno sempre nuovi ordini e nuovi movimenti. Ecco perché sbaglia chi dice, che nuovi movimenti non servono a niente perché prima o poi tutti ricadono negli stessi errori di coloro che li hanno preceduti. Questo è accaduto perché si è ceduto alla tentazione dell’istituzionalizzazione. Perché si è temuto di essere storicamente irrilevanti (la più subdola tentazione del sistema!). Perché si è temuto di essere lievito che sparisce nella pasta, sale che si scioglie nel tutto… Perché si è cessato di camminare, considerando finito il cammino attuato dai fondatori. È accaduto e accadrà perché il controllo dell’istituzione istituzionalizza sempre la profezia. E l’istituzione cesserà solo al compimento della storia.

Chi non comprende questa struttura della storia, non capirà mai le dinamiche dell’oggi, del “suo presente” e le scambierà o per una perdita di valori, o per una fuga verso il futuro a cui risponderà con una fuga verso il passato o in un irrigidimento del presente o in una proclamazione sulla fine della storia. Roba da disperati che avranno sempre la sensazione di trovarsi altrove (alienati appunto)!

Ecco perché ciò che i giornali e i politici trattano con la superficialità del gossip in realtà appartiene più che mai ai destini decisivi della storia di liberazione – cioè di salvezza – dell’uomo.

Ecco perché l’intuizione di Grillo fa paura. Anche ai “suoi”. Forse persino a se stesso, ma anche e soprattutto a chi, per convenienza, non vuol capire.

giovedì 9 febbraio 2012

dePILiamoci

Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jpnes, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.

Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.

Quando e da chi è stato fatto questo attualissimo discorso? Cliccare qui per scoprirlo e da cui (grazie a un amico) l'ho copiato.

martedì 6 dicembre 2011

Le lacrime e le parole


di Barbara Spinelli su Repubblica.it

Tendiamo a dimenticare che in tutti i monoteismi, il cuore non è la sede di passioni o sentimenti sconnessi dalla ragione. Nelle tre Scritture, compresa la musulmana, il cuore è l’organo dove alloggiano la mente, la conoscenza, il distinguo.

Se il cuore di una persona trema, se quello del buon Samaritano addirittura si spacca alla vista del dolore altrui, vuol dire che alla radice delle emozioni forti, vere, c’è un sapere tecnico del mondo. Per questo il pianto del ministro Fornero, domenica quando Monti ha presentato alla stampa la manovra, ha qualcosa che scuote nel profondo.

Perché dietro le lacrime e il non riuscire più a sillabare, c’è una persona che sa quello di cui parla: in pochi attimi, abbiamo visto come il tecnico abbia più cuore (sempre in senso biblico) di tanti politici che oggi faticano a rinnovarsi. Pascal avrebbe detto probabilmente: il ministro non ha solo lo spirito geometrico, che analizza scientificamente, ma anche lo spirito di finezza, che valuta le conseguenze esistenziali di calcoli razionalmente esatti. Balbettavano anche i profeti, per esprit de finesse.

È significativo che il ministro si sia bloccato, domenica, su una precisa parola: sacrificio. La diciamo spesso, la pronunciano tanti politici, quasi non accorgendosi che il vocabolo non ha nulla di anodino ma è colmo di gravità, possiede una forza atavica e terribile, è il fondamento stesso delle civiltà: l’atto sacrificale può esser sanguinoso, nei miti o nelle tragedie greche, oppure quando la comunità s’incivilisce è il piccolo sacrificio di sé cui ciascuno consente per ottenere una convivenza solidale tra diversi.

Non saper proferire il verbo senza che il cuore ti si spacchi è come una rinascita, dopo un persistente disordine dei vocabolari. È come se il verbo si riprendesse lo spazio che era suo. Nella quarta sura del Corano è un peccato, “alterare le parole dai loro luoghi”. Credo che l’incessante alterazione di concetti come sacrificio, riforma, bene comune, etica pubblica, abbia impedito al ministro del Lavoro – un segno dei tempi, quasi – di compitare una locuzione sistematicamente banalizzata, ridivenuta d’un colpo pietra incandescente. Riformare le pensioni e colpire privilegi travestiti da diritti è giusto, ma fa soffrire pur sempre.

Di qui forse la paralisi momentanea del verbo: al solo balenare della sacra parola, risorge la dimensione mitica del sacrificio, il terrore di vittimizzare qualcuno, la tragedia di dover – per salvare la pòlis – sgozzare il capro espiatorio, l’innocente.

Medicare le parole presuppone che si dica la verità ai cittadini, e anche questo sembra la missione che Monti dà a sé e ai partiti. Riportare nel loro luogo le parole significa molto più che usare correttamente i dizionari: significa rimettere al centro concetti come il tempo lungo, il bene comune, il patto fra generazioni.

Significa, non per ultimo: rendere evidente il doppio spazio – nazionale, europeo – che è oggi nostra cosmo-poli e più vasta res publica. Il presidente del Consiglio lo sa e con cura schiva il lessico localistico, pigro, in cui la politica s’è accomodata come in poltrona. Stupefacente è stato quando ha detto, il 17 novembre al Senato: “Se dovete fare una scelta – mi permetto di rivolgermi a tutti – ascoltate! non applaudite!”.

L’applauso, il peana ipnotico (meno male che Silvio c’è), le grida da linciaggio: da decenni ci inondavano. Era la lingua delle tv commerciali, del mondo liscio che esse pubblicizzavano, confondendo réclame e realtà: illudendo la povera gente, rassicurando la fortunata o ricca. Erano grida di linciaggio perché anch’esse hanno come dispositivo centrale il sacrificio: ma sacrificio tribale, che esige il capro espiatorio su cui vien trasferita la colpa della collettività.

Erano capri gli immigrati, i fuggitivi che giungevano o morivano sui barconi. E anche, se si va più in profondità: erano i malati terminali che reclamano una morte senza interferenze dello Stato e di lobby religiose. La nostra scena pubblica è stata dominata, per decenni, dalla logica del sacrificio: solo che esso non coinvolgeva tutti, proprio perché nel lessico del potere svaniva l’idea di un bene disponibile per diversi interessi, credenze. Solo contava il diritto del più forte, che soppiantava la forza del diritto.

Ascoltare quello che effettivamente vien detto e fatto non ci apparteneva più. Anche il ministro Giarda si è presentato domenica come medico delle parole: “Son qui solo per correggere errori”. Non ha esitato a correggere i colleghi, e ha avuto l’umiltà di dire: “Se avessimo più tempo, certo la nostra manovra sarebbe migliore”.

Monti ha fatto capire che questa, “anche se siamo tecnici”, è però politica piena: “L’esperienza è nuova per il sistema politico italiano. A noi piace esser cavie da questo punto di vista”. Singolare frase, in un Paese dove a far da cavie sono di solito i cittadini. Ma frase coerente alla politica alta: dotata di una veduta lunga, indifferente alla popolarità breve.

Pensare i sacrifici non è semplice, perché gli italiani e gli europei da tempo si sacrificano, e tuttavia constatano disuguaglianze scandalose. Perché sacrificandosi deprimono oltre l’economia. Lo stesso Sarkozy, che campeggiò come Presidente che poteva abbassare le tasse ai ricchi visto che le cose andavano così bene, è oggi costretto ad ammettere che i francesi “stringono la cinghia da trent’anni”.

Quel che è mancato, nel sacrificio cui i popoli hanno già consentito, è l’equità, l’abolizione della miseria, delle disuguaglianze. Forse – l’emozione dei potenti resta misteriosa – Elsa Fornero ha pianto perché le misure sono dure per chi ha pensioni grame. Se solo le pensioni sotto 936 euro saranno indicizzate all’inflazione, tante pensioni basse rattrappiranno come pelle di zigrino.

Si poteva fare diversamente forse, e non tutte le misure sono ardite. La lotta all’evasione fiscale iniziata dall’ultimo governo Prodi ricomincia, ma più blanda. La cruciale tracciabilità introdotta da Vincenzo Visco (1000 euro come soglia, da far scendere in due anni a 100) è fissata durevolmente a 1000. Oltre tale cifra è vietato accettare pagamenti in contanti, che sfuggono al fisco: una draconiana stretta anti-evasione è evitata. Né si può dire che tutto sia equo, e la crescita veramente garantita.

Il fatto è che si parla di decreto salva-Italia, ma si manca di chiarire come il decreto sia anche salva-Europa. Non è un’omissione irrilevante, perché il doppio compito spiega certe durezze del piano. Speriamo sia superata. Ogni azione italiana, infatti, è urgentissimo accompagnarla simultaneamente ad azioni in Europa: per smuovere anche lì incrostazioni, privilegi, dogmi.

Per dire che non si fa prima “ordine in casa” e poi l’Europa, come nella dottrina tedesca, ma che le due cose o le fai insieme, con un nuovo Trattato europeo più solidale e democratico, o ambedue naufragheranno.

mercoledì 2 novembre 2011

L'olocausto economico



È veramente allucinante quello che sta accadendo nel mondo occidentale, di qua e di là dell’Atlantico. E cioè il definitivo strangolamento del potere politico da parte del potere economico. Con la conseguente fine di ogni forma di vera democrazia, cioè del potere (politico, economico, sociale) gestito dal popolo.
Il potere vero appare sempre di più nelle mani degli gnomi della finanza, e i vari Sarkozy, Merkel  (“diabolici” li ha definiti Prodi.) e Obama, si rivelano sempre di più come burattini guidati dalla mentalità di burattinai che stanno altrove e ben nascosti. Altro che teatrino della politica, qui siamo al circo dei mangiafuoco!

Non che ciò non sia accaduto anche in passato, anche non troppo lontano, in forme più o meno velate e persino occulte (P2 e P4), ma che sia fatto in modo così spudoratamente palese come ora, forse non si era mai visto prima.

Significativa a questo proposito è la “reazione” dei più all’annuncio del premier greco George Papandreou di indire un referendum popolare sulle condizioni poste dall’Europa per il “salvataggio” della Grecia da un fallimento… La Greciadecide di ridare il potere al popolo sovrano? E che fa l’Europa? Insieme ai “mercati”, va in panico!
Ora che vadano in panico i barracuda (li chiamano “mercati”: “cose” – notare il plurale – senza volto e senza nome, ma evidentemente con più “teste”!) abituati ad arricchirsi alle spalle delle dittature di ogni colore e grado (dalle dittature fasciste dell’America Latina, alla dittatura comunista cinese passando per quelle personalistiche alla Putin e Castro…) può essere logico anche se aberrante, ma che siano anche le istituzioni europee e le cancellerie democratiche ad essere shockate dalla decisione greca e cerchino di ostacolarla è preoccupante.

Con tutta evidenza la Grecia, non è l’Africa! E questo coloro che hanno dissanguato l’Africa fino ad oggi grazie a governi compiacenti, proprio non se lo aspettavano… Ma forse ancora una volta la Grecia può diventare la culla di una nuova vera democrazia… Al di là delle furbizie che hanno spinto il leader greco a tale scelta, c’è mi sembra una verità da trarre: solo ridando il potere a chi legittimamente lo detiene si può sperare di combattere il mostro di un’economia impazzita! È necessaria infatti la nascita di una nuova Europa, magari sulle ceneri di quella che si sta sfaldando. Non per restaurare quella che si sta divorando la coda e noi con lei, come propone anche il presidente francese nel discorso qui sotto, ma un’Europa dove finalmente al centro non ci siano gli speculatori ma la gente che le dà forma costituendone il tessuto sociale e culturale. L’Europa dei popoli, democratica, più che (di queste) nazioni succube dei diktat degli speculatori.

Per questo non mi ha fatto una bella impressione leggere quanto scrive il nostro Presidente della Repubblica: “Nell'attuale, così critico momento il paese può contare su un ampio arco di forze sociali e politiche consapevoli della necessità di una nuova prospettiva di larga condivisione delle scelte che l'Europa, l’opinione internazionale e gli operatori economici e finanziari si attendono con urgenza dall'Italia. Il capo dello Stato ritiene suo dovere verificare le condizioni per il concretizzarsi di tale prospettiva”. Napolitano parla di “nuova prospettiva”. E quale sarebbe questa nuova prospettiva? Quella che porterebbe a una condivisione “delle scelte che l’Europa, l’opinione internazionale e gli operatori economici e finanziari si attendono con urgenza dall’Italia”! Solo che l’Europa, l’opinione internazionale e gli operatori economici e finanziari, di fatto sono la stessa unica mostruosa entità: quella di un capitalismo cannibale che sta mettendo a ferro e fuoco nazioni intere pur di poter portare a casa il proprio rendiconto speculativo. E condividere queste scelte non è per niente una “nuova prospettiva”.

Bene fa quindi la Grecia ad opporsi a tale saccheggio, e bene faranno i greci a bocciare queste proposte europee che di fatto non sono europee ma anti-europee: come può essere europea un’Europa che riduce alla fame e porta al suicidio collettivo un intero popolo europeo?… e meglio farebbero i partiti italiani a dire un chiaro e netto “no!” a questo diffuso sciacallaggio dei risparmi (e quindi di una vita passata e futura!) di tanti milioni e onesti cittadini.

Le conseguenze di questo “no!” saranno forse catastrofiche per questa Europa, forse seguiranno dei default a catena… ma non per quella nuova Europa che ne potrebbe rinascere. E che porrà finalmente a proprio fondamento la solida roccia di una giustizia sociale ed economica per tutti.

Che la “destra” liberista – in Italia come altrove – questo non lo possa capire mi sembra ovvio, come certo non possono capirlo i semiliberisti del cosiddetto centro, ma che non lo comprendano quelli che di questo liberismo si dichiarano avversari ponendosi a sinistra – tra cui non pochi cattolici – mi sconcerta non poco: come è possibile che la sinistra sia così lesta a correre al capezzale di un capitalismo cinico ancorché moribondo che per curarsi divora i propri figli? Evidentemente c’è una deficit culturale (e non solo tra i politici) da colmare  prima di poter superare quello economico.

Abbiamo bisogno di “nuove prospettive”, su questo ha ragione Napolitano, solo che evidentemente noi intendiamo ben altra cosa: non il prolungamento del vecchio ma la nascita di qualcosa di veramente nuovo. Vorremmo poter scorgere all’orizzonte un nuovo giorno che dia speranza a chi da tempo vive nella notte di un lavoro disumanizzante.
C’è bisogno di più di Europa, ma non di più di questa Europa- Perché non sarà certo questa Europa dei banchieri che ci aiuterà a costruire una maggiore giustizia: funzionari e operatori economici che esultano davanti alla prospettiva di licenziamenti facili, a turni di lavoro schiavizzanti, a salari sempre più bassi, a diritti sempre più ridotti, non possono essere la soluzione dei nostri problemi. Non saranno certo i “mercati” in mano a speculatori, evasori fiscali, lobbie antidemocratiche e spesso “mafiose” che potranno accrescere le sorti del nostro futuro.

Si dirà che non sono tutti così… Io penso che se anche in passato qualcuno avesse agito in buona fede e se anche avesse cercato di essere fondamentalmente onesto e persino caritatevole… dico che se anche fosse esistito o esistesse ancora qualcuno così, questi oggi sarebbe doppiamente colpevole, perché sta reggendo un gioco che si sta rivelando sempre più omicida. Se proprio questo qualcuno si ritiene onesto, usi la propria onestà e il proprio ingegno per scardinare un sistema che oramai è criminale. Altrimenti non si illuda sulla propria onestà perché il suo ruolo non sarebbe molto diverso da quello dei kapò.

Si tratta come si vede di un superamento della mentalità che ci ha guidati fin qui e questo non può non coinvolgere anche l’ambito religioso di qualunque religione. È fuorviante ad esempio la proposta fatta da Vaticano di un direttorio economico mondiale. Evidentemente la proposta, seppur in buona fede, rivela una incapacità di comprendere che il problema non è tanto morale ma strutturale e con questa economia che sforna questi economisti, saremo definitivamente schiavi!

A questa nuova dittatura mondiale dobbiamo opporci con tutte le forze del nostro ingegno ridisegnando dalle fondamenta una nuova economia che non si fondi sull’accumulo di capitale e sui caprici delle borse.

Questa è la vera fretta che Napolitano dovrebbe metterci (e Berlusconi o chi per lui, attuare) e non quella di consegnarci anima e corpo ai nostri aguzzini…
Storicamente non abbiamo alternative vivibili. Se non metteremo mano allo smantellamento di questo capitalismo si apriranno scenari veramente apocalittici, che non sono i tanto temuti default di una nazione, ma quelli che – o per evitarli o per sormontarli – si apriranno con i diktat degli speculatori e che porteranno alla definitiva distruzione di quella civiltà che con tanta fatica abbiamo costruito in duemila anni di storia.

Noi che abbiamo vissuto per anni con la memoria di un probabile olocausto nucleare, ci rendiamo conto che in fin dei conti anche quella possibilità non era altro che una delle tante ipotetiche concretizzazioni di variabili economiche… A furia di aver così paura della “fine nucleare”, ci eravamo dimenticati che alla sua origine c’erano ben più tragici fini economici.
Certo quando col martello ci pestiamo il dito diciamo che abbiamo preso una “martellata” a nessuno viene in mente di dire che abbiamo preso una “manata”, prendendosela con la mano che lo impugnava… ma è ovvio che se scrivevamo “olocausto nucleare” avremmo dovuto leggere “olocausto economico”!

Sparito o quasi il rischio dell’olocausto nucleare propriamente detto, riamane infatti ancora viva e vegeta la matrice che l’aveva ipotizzato. Ed è questa matrice che sta ora imperversando sui mercati finanziari mondiali. Abbiamo (quasi) smantellato l’atomica, ma non basta né basterà, occorre ora smantellare i mercati che l’hanno finanziata e che continuano ad agire con ben maggiore potenza distruttiva! Loro, ieri come oggi, sono la vera minaccia di distruzione di massa.

P.S. Leggo stamattina l’articolo di Barbara Spinelli su repubblica, condivisibile, solo che anche lei credo che pecchi di ingenuità su un’Europa che sembra sempre più succube di una logica economica che non ha veramente a cuore i destini dei suoi popoli e dare più poteri a questa Europa, non è la soluzione della crisi, ma estenderla a tutto il continente. Insomma il problema non è solo come intitola l’articolo “…dare più poteri all’Europa” ma semmai: “A quale Europa dare più poteri?”!

giovedì 27 ottobre 2011

Come dovrebbe (almeno) parlare un capo di stato

"Siamo passati a due dita dalla catastrofe... di publicsenat dove si trova anche il testo scritto.
Data? giovedì 25 settembre 2008!!
L'analisi è condivisibile anche se si può notare che il problema non è semplicemente (anche!) etico!
Le soluzioni quindi peccano di "ingenuità" e producono false speranze:
non si può guarire di una malattia con ciò che l'ha causata!...
...E hanno un gusto propagandistico! Il che spiega perché in tutto questo tempo la crisi non solo non è stata risolta ma si è anzi  aggravata!

venerdì 7 ottobre 2011

Controcorrente...



Più leggo di Jobs e più mi preoccupo. Ha fatto nella vita quello che più gli è piaciuto. E credo che questo possa essere un bene. Ha dato a molti quello che più piaceva loro, e forse questo potrebbe anche essere un bene. Ma è proprio quello di cui avevano (abbiamo) veramente bisogno? L’umanità può veramente dire “Grazie Jobs!”? L’umanità dico, tutta! Non quella parte che può permettersi spensierata e sulle spalle dell’altra, l’oggetto dei propri (indotti?) desideri. Ne dubito! Oh sì! fortemente ne dubito…

martedì 12 aprile 2011

Non basta dire: «Europa, Europa!»


La nuova Europa
di Barbara Spinelli (il grassetto è mio)

Il Presidente Napolitano, che quando parla d’Europa usa veder lontano e ha sguardo profetico, ha fatto capire nel giorni scorsi quel che più le manca, oggi: il senso dell’emergenza, quando una crisi vasta s’abbatte su di essa non occasionalmente ma durevolmente; l’incapacità di cogliere queste occasioni per fare passi avanti nell’Unione anziché perdersi in «ritorsioni, dispetti, divisioni, separazioni». Son settimane che ci si sta disperdendo così, attorno all’arrivo in Italia di immigrati dal Sud del Mediterraneo. Numericamente l’afflusso è ben minore di quello conosciuto dagli europei nelle guerre balcaniche, ma i tempi sono cambiati. Lo sconquasso economico li ha resi più fragili, impauriti, rancorosi verso le istituzioni comunitarie e le sue leggi. Durante il conflitto in Kosovo la Germania accolse oltre 500mila profughi, e nessuno accusò l’Europa o si sentì solo come si sente Roma. Nessuno disse, come Berlusconi sabato a Lampedusa: «Se non fosse possibile arrivare a una visione comune, meglio dividersi». O come Maroni, ieri dopo il vertice europeo dei ministri dell’Interno che ha isolato l’Italia: «Mi chiedo se ha senso rimanere nell’Unione: meglio soli che male accompagnati». La sordità alle parole di Napolitano è totale.

La democrazia stessa, che contraddistingue gli Stati europei e spinge i governi a preoccuparsi più dell’applauso immediato che della politica più saggia, si trasforma da farmaco in veleno. Di qui la sensazione che l’Unione non sia all’altezza: che viva le onde migratorie come emergenza temporanea, non come profonda mutazione. Governi e classi dirigenti sono schiavi del consenso democratico anziché esserne padroni e pedagoghi con visioni lunghe. Non a caso abbiamo parlato di spirito profetico a proposito di Napolitano. È la schiavitù del consenso a secernere dispetti, rancori, furberie. Tra le furberie che ci hanno isolato c’è la protezione temporanea eccezionale che il nostro governo ha concesso a 23.000 immigrati. La protezione è prevista dal Trattato di Schengen, ma solo per profughi scampati a guerre e persecuzioni: non vale per i tunisini, come ci hanno ricordato ieri la Commissione e gli Stati alleati. Non è violando le regole che l’Italia suscita solidarietà. Può solo acutizzare le diffidenze: un altro veleno che mina l’Unione.

Per questo vale la pena soffermarsi sul significato, in politica, dello spirito profetico. Vuol dire guardare a distanza, intuire le future insidie del presente, ma innanzitutto comporta un’operazione verità: è dire le cose come stanno, non come ce le raccontiamo e le raccontiamo per turlupinare, istupidire, e inacidire gli elettori. Di questo non è capace Berlusconi ma neanche gli altri Stati e le istituzioni europee: i primi perché sempre alle prese con scadenze elettorali, le seconde perché intimidite dalle resistenze nazionali. La lentezza con cui si risponde alle rivoluzioni arabe non è la causa ma l’effetto di questi mali.

La prima verità non detta è quasi banale, e concerne l’intervento in Libia e il nostro voler pesare sui presenti sconvolgimenti arabi e musulmani. Condotta con l’intento di apparire attivi, la guerra sta confermando il contrario: una grande immobilità e vuoto di idee. È un attivarsi magari sensato all’inizio, ma che mai ha calcolato le conseguenze (compresa un’eventuale vittoria di Gheddafi) sui paesi arabi-africani e sui nostri. Fra le conseguenze c’è l’esodo di popoli. Un esodo da assumere, se davvero vogliamo esserci in quel che lì si sta facendo. Invece siamo entrati in guerra senza pensarci, né prepararci.

La seconda verità, non meno cruciale, riguarda l’Europa e i suoi Stati. L’occultamento è in questo caso massiccio, ed è il motivo per cui il capro espiatorio della crisi migratoria non è l’Italia come gridano i nostri ministri ma – se non si inizia a parlar chiaro – l’Unione stessa. L’evidenza negata è che da quando vige il Trattato di Lisbona, molte cose sono cambiate nell’Unione. Le politiche di immigrazione erano in gran parte nazionali, prima del Trattato. Ora sono di competenza comunitaria, e la sovranità è passata all’Unione in quanto tale. Questo anche se agli Stati vengono lasciati, ambiguamente, ampli spazi di manovra, in particolare sul «volume degli ingressi da paesi terzi».

Risultato: l’Unione, anche perché guidata a Bruxelles da un Presidente debole, prono agli Stati, non sa che fare della propria sovranità. Non ha una politica verso i paesi arabi, di cooperazione e sviluppo. Tuttora non ha norme chiare sull’asilo, sull’integrazione dei migranti, né possiede il corpo comune di polizia di frontiera che aveva promesso. Ma soprattutto, non ha le risorse per tale politica perché gli Stati gliele negano, riducendo la sovranità delegata a una fodera senza spada. Per questo alcuni spiriti preveggenti (l’ex ministro socialista Vauzelle, il presidente del consiglio italiano del Movimento europeo Virgilio Dastoli) propongono una cooperazione euro-araba gestita da un’Autorità stile Ceca (la prima Comunità del carbone e dell’acciaio). Come allora viviamo una Grande Trasformazione, e Monnet resta un lume: «Gli uomini sono necessari al cambiamento, le istituzioni servono a farlo vivere».

Se il Trattato di Lisbona significasse qualcosa, non dovrebbero essere Berlusconi e Frattini a negoziare con Tunisia o Egitto, con Lega araba o Unione africana. Dovrebbero essere il commissario all’immigrazione Cecilia Malmström e il rappresentante della politica estera Catherine Ashton. Resta che per negoziare ci vogliono progetti, iniziative: e questi mancano perché mancano risorse comuni. La condotta dei governi europei è schizoide, e tanto più menzognera: gli Stati hanno avuto la preveggenza di delegare all’Europa una parte consistente di sovranità, su immigrazione e altre politiche, ma fanno finta di non averlo fatto, e ora accusano l’Europa come se gli attori del Mediterraneo fossero ancora Stati-nazione autosufficienti.
La terza operazione-verità, fondamentale, ha come oggetto l’immigrazione e il multiculturalismo. È forse il terreno dove il mentire è più diffuso, tra i governanti, essendo legato alla questione della democrazia, del consenso, della mancata pedagogia, degli annunci diseducativi. Risale all’ottobre scorso la dichiarazione di Angela Merkel, secondo cui il multiculturalismo ha fatto fallimento. Poco dopo, il 5 febbraio in una conferenza a Monaco sulla sicurezza, il premier britannico Cameron ha decretato la sconfitta di trent’anni di dottrina multiculturale. Il fatto è che il multiculturalismo non è una dottrina, un’opinione. È un mero dato di fatto: in nazioni da tempo multietniche come Francia Inghilterra o Germania, e adesso anche in Italia e nei paesi scandinavi. L’operazione verità non consiste nel proclamare fallito il multiculturalismo: se un dato di fatto esiste, fallisce solo se estirpi o assimili forzatamente i diversi. Se fossero veritieri, i governi dovrebbero dire: il multiculturalismo c’è già, solo che noi – Stati sovrani per finta – non abbiamo saputo né sappiamo governarlo.

Dire la verità sull’immigrazione è essenziale per l’Europa perché solo in tal modo essa può osare e fare piani sul futuro. Urge cominciare a dire quanti immigrati saranno necessari nei prossimi 20 anni, e quali risorse dovranno esser mobilitate: sia per mitigare gli arrivi cooperando con i paesi africani o arabi, sia edificando politiche di inclusione per gli immigrati economici e per i profughi (la frontiera spesso è labile: la povertà inflitta è una forma di guerra).

Tutto questo costerà soldi, immaginazione, pensiero durevole. Comporterà, non per ultimo, un ripensamento della democrazia. Ci sono cose che non si possono fare perché maturano nei tempi lunghi e l’elettorato capisce solo i risultati immediati, spiega l’economista Raghuram Rajan in un articolo magistrale sulle crisi del debito (Project Syndacate, 9 aprile 2011). Il bisogno di immigrati che avremo fra qualche decennio in un’Europa che invecchia è, paradossalmente, quello che dà forza ai nazional-populisti: in Italia, Francia, Belgio, Olanda, Ungheria, Svezia, Finlandia. Il dilemma delle democrazie è questo, oggi. Esso costringe governanti e governati a fare quel che non vogliono: smettere l’inganno delle sovranità nazionali, guardare alto e lontano, insomma pensare. E far politica, ma con lo spirito profetico che vede la possibile rovina (il «passo indietro» paventato da Napolitano) e la via d’uscita non meno possibile, se è vero che il futuro non cessa d’essere aperto.

venerdì 18 marzo 2011

Anatomia di un disastro: le menzogne strutturali


L’articolo di Carlo Bonini, qui sotto, che ho tratto da repubblica.it, fa la cronistoria delle menzogne (sempre a fin di bene, per non allarmare la popolazione! – lo dico ironicamente) del governo giapponese e della società che gestisce gli impianti e della società statale di controllo. Tutti mentono!

Dall’articolo però si potrebbe trarre la conclusione che da noi queste menzogne non accadrebbero. Falso! Quando gli incidenti dei reattori accaddero negli USA e in Francia, come in Gran Bretagna e altrove… tutti mentirono a loro tempo! Anche gli USA e la Francia che qui fanno la figura di guardiani della trasparenza. A suo tempo il governo francese, mentì persino sulla estensione e sul livello delle radiazioni di Chernobyl in territorio francese, i cui cittadini al nord mangiarono allegramente frutta e verdura dei loro orti e campi, ignari del pericolo a cui andavano incontro!

Non è un problema di “onestà”: la menzogna è “strutturale” a questo sitema
Queste società che hanno come fine ovvio e di per sé legittimo di guadagnare dalle loro attività produttive, hanno tutto l’interesse a nascondere la propria (vera o presunta) inefficienza! Ecco perché mai è accaduto che una società di qualunque tipo, riveli subito al mondo gli “incidenti” sulla propria attività produttiva. Almeno fino a quando non ci scappa il morto e non si riesce a nascondere il cadavere. Da parte loro i governi e le agenzie di controllo, che hanno concesso le autorizzazioni necessarie all’attività lavorativa, e hanno il compito di vigilare al rispetto delle norme, soprattutto se riguardano un’attività delicata, tendono naturalmente a nascondere (fin che ci riescono) le proprie, seppur a volte indirette, responsabilità.

Una ragione in più, se ce ne fosse bisogno di mettere al bando ogni attività non solo nucleare che comporti, anche se ci fossero indiscussi vantaggi economici (cosa da escludere per le centrali nucleari ove i dati dei nuclearisti sono necessariamente manipolati in quanto non considerano né le spese stoccaggio e riciclaggio rifiuti, né le spese di dismissione della centrale: come dire la menzogna fin dall’origine) rischi per la popolazione. È chiaro che una tale decisione comporti la necessità di rivedere in profondità fine e forma del presunto progresso. Conoscete voi dei politici capaci di questa rivoluzione copernicana? Io no!

Nel giorno sei della Grande Paura, sostiene Washington e, nei fatti, Parigi, che Tokyo abbia sin qui nascosto la verità. Cosa è successo, dunque, e cosa può ancora davvero accadere nella centrale di Fukushima Daiichi? Di quali e di quante informazioni "privilegiate" il governo di Tokyo, l'agenzia nazionale per la sicurezza nucleare (la Nisa), il gestore dell'impianto (la Tepco, Tokio Electric power company) non hanno reso partecipe il mondo?

LO SCHIAFFO AMERICANO
Il pugno sul tavolo battuto dagli americani è storia di ieri. Ma a Vienna, già martedì sera, il giapponese Yukia Amano, direttore dell'Aiea (Agenzia Internazionale per l'energia atomica), mette da parte ogni diplomazia: "Abbiamo bisogno di maggiori informazioni, di più dettagli, di tempi più rapidi di comunicazione". Nelle stesse ore, il russo Iouli Andreev, uno degli specialisti che lavorò allo "spegnimento" del mostro di Cernobyl, è di una franchezza brutale. "So per esperienza - dice alla Reuters - che le autorità giapponesi sono in una situazione di tranquillo panico. Le loro parole e le loro azioni, come quelle della Aiea, dipendono dall'industria atomica, che richiede disciplina e burocrazia". Una "verità" che Kuni Yogo, ingegnere della "Japan Science Technology Agency", declina al New York Times in modo ancora più asciutto: "Il governo giapponese e la Tepco stanno svelando solo ciò che ritengono necessario".

È un fatto che l'agonia dei quattro reattori di Fukushima appare oggi non solo e non tanto la sgomenta presa d'atto di un incidente in divenire. Ma il progressivo svelamento di una verità che il governo giapponese e la Tepco intuiscono già nelle prime ore della catastrofe, ma provano ostinatamente a dissimulare. Nella speranza che quei reattori possano tornare sotto controllo prima che il mondo cominci ad averne paura.

EMERGENZA PRECAUZIONALE

Conviene dunque tornare alle 19.46, ora di Tokyo, dell'11 marzo. Sono trascorse cinque ore dalla scossa al largo del Pacifico e meno di quattro dall'onda di Tsunami. La Tepco sa che i sistemi di raffreddamento dei reattori 1, 2 e 3 di Fukushima sono fuori uso. È avvertita del rischio legato a un prolungato surriscaldamento del loro combustibile. La Tepco ha una storia di significativa opacità. Nel 2002, ha ammesso di aver falsificato negli anni '90 e '80 i test di sicurezza delle sue centrali (e tra questi quelli di Fukushima). Nel 2007, ha mentito sull'entità di una fuga radioattiva dalla centrale di Kashiwazaki-Kariwa dopo una scossa di terremoto. Anche l'11 marzo, non brilla per loquacità. In modo asciutto informa il Governo del "problema del raffreddamento dei reattori". Ma la circostanza, nelle parole che alle 19.46 pronuncia Yukio Edano, portavoce del premier giapponese, non appare neppure sullo sfondo. "È stata dichiarata l'emergenza nucleare a scopo precauzionale - spiega - Non c'è fuga radioattiva. La linea di evacuazione è di 3 chilometri dal sito". Nella notte, i toni si fanno ancora più rassicuranti. Perché se è vero che alle 21.55 fonti del governo ipotizzano già "una prima fuga radioattiva" dalla centrale, all'1 e 27 del mattino, la prefettura di Fukushima informa che per il pomeriggio del 12 marzo "i sistemi di raffreddamento dei reattori saranno nuovamente in funzione".

INCIDENTE DI LIVELLO 4
In realtà, nella notte tra l'11 e il 12, la Tepco sa che il sistema di raffreddamento dei reattori non ha nessuna possibilità di riprendere vita. Al punto che, nella mattinata del 12, il gestore avverte che nei reattori 1 e 2 il livello dell'acqua che copre le barre di combustibile è sceso per la progressiva evaporazione e che "un rilascio di materia radioattiva è possibile". La notizia è propedeutica allo sfiato controllato nell'atmosfera di vapore di idrogeno radioattivo che abbassi la pressione nei reattori. Manovra che il governo autorizza. Insieme al pompaggio nel sistema di raffreddamento di acqua marina e boro. C'è una prima esplosione che scoperchia l'edificio del reattore 1. Ma a Vienna, la Aiea, sulla scorta delle informazioni che arrivano da Tokyo, rassicura. La sera del 12, quando in Giappone è ormai la mattina del 13, un comunicato annuncia infatti che "la Nisa ha classificato l'incidente di livello 4 della scala Ines. Con conseguenze locali".

IL NERVOSISMO FRANCESE
C'è un'oggettiva incongruenza tra le rassicurazioni di Tokyo e le misure che il governo dispone sul terreno. Il 13 marzo, l'area di evacuazione intorno alla centrale sale a 20 chilometri e comincia la distribuzione di pillole di iodio alla popolazione. Mentre alle 11 del mattino del 14 marzo un'esplosione scuote l'edificio del reattore 3. È la prova che a Fukushima, a distanza ormai di tre giorni, le operazioni di raffreddamento dei reattori, non hanno prodotto nessun effetto. Ce ne sarebbe per rivedere il giudizio sulla classificazione dell'incidente. Ma le autorità giapponesi non tornano sui propri passi. Neppure la mattina del 15 marzo, quando si liberano due esplosioni dai reattori 2 e 4. Il primo ministro Naoto Khan ne viene informato dalla stampa e, pubblicamente, mostra la sua furia con la Tepco: "Vorrei sapere che diavolo sta succedendo". Quindi, aggiunge: "Il rischio di fuga radioattiva sta crescendo".

LA VERITÀ VIENE A GALLA
È Parigi, allora, a decidere di bucare la bolla di dissimulazione. Il livello di radiazioni registrate nella centrale il 15 marzo - i primi a essere diffusi - documentano 400 millisievert l'ora. Duecento volte la dose che un essere umano assorbe naturalmente nell'arco di un anno. Di più: i francesi, sulla base di proprie informazioni (hanno un team della Protezione civile a Sendai), ritengono di poter affermare con sicurezza che il nocciolo e il combustibile di almeno due dei tre reattori "è danneggiato" (circostanza che i giapponesi confermeranno solo nelle 24 ore successive). Che l'esplosione dell'edificio che ospita il reattore 4, in corrispondenza della piscina di decadimento del combustibile esausto aggiunge un nuovo elemento di assoluta criticità. Che, come era possibile prevedere, la catastrofe ora si allarga anche a quei reattori che pure erano in manutenzione al momento del terremoto. "È un incidente di livello 6". È la verità, appunto. Che, ora, anche i giapponesi cominciano ad ammettere.

giovedì 17 marzo 2011

Criminale menzogna

All’interno di questo blog, troverete il link che porta ai video e articoli di Aldo Grasso che nel Corriere della Sera ci aiuta a “decifrare” il linguaggio dell’immagine e in particolare quello televisivo.

Non l’ho messo per capriccio, ma perché sono convinto che oggi bisogna sapersi alfabetizzare sempre più sul linguaggio audiovisivo.
Nessuno di noi potrebbe leggere queste righe se non sapesse interpretare e decodificare le macchie colorate sul suo schermo. Questo ha richiesto a ben vedere a ciascuno di noi anni di studio, nel periodo migliore della propria vita. Oggi diventa sempre più urgente imbarcarsi nello studio del codice linguistico dei messaggi audiovisivi per impedire loro di farci credere vero ciò che vero non è.

Prendiamo ad esempio lo spot che trovate qui in sotto.

Guardatelo una volta poi una seconda, una volta con l’audio, la seconda togliendo l’audio e studiando le immagini e capirete che il semplice fatto di voler far passare un messaggio in questo modo, falsifica tutto il messaggio e svela la disonestà del messaggero.

C’è una partita a scacchi (sinonimo di intelligenza e capacità strategica di prevedere le mosse future!) che è la metafora di un dibattito sul nucleare tra favorevoli e contrari. Solo che il dibattito è falso e vediamo perché.

I due personaggi che giocano sono la stessa persona, la bocca è chiusa, il tono è pacato, tipico in cinematografia del “pensato”: botta e risposta sono la stessa voce, cambia solo in modo quasi impercettibile il tono (fate molta attenzione alle inflessioni sulle parole, riascoltatela più volte), ma sufficiente per notare un non troppo leggero passaggio tra l’ansioso (contrario-nero) e il rassicurante (favorevole-bianco). È il dibattito interno alla coscienza di ciascuno: tra il diavoletto (nero, contrario, cattivo, che vuole il male) e l’angioletto (bianco, favorevole, buono, che vuole il bene)!

Solo che negli scacchi la prima mossa è sempre del bianco, qui invece è il nero che inizia (il diavoletto, il male, la parte negativa di noi, il NO!), il bianco vince (perché è questo sempre il problema all’interno di ogni giornale di enigmistica su cui il lettore deve cimentarsi per trovare la soluzione, tipo: “il nero muove e il bianco vince in due mosse”!
Abile manipolazione coi messaggi subliminali… Notate come gli scacchi del bianco sono candidi e pur presentandosi a sinistra, mostra la parte “destra” del volto: non mostra mai cioè il “volto sinistro”.
Il tono e l’atmosfera hanno lo scopo di farci bere le menzogne abilmente mascherate con mezze verità e rifilate come vere dal falso dibattito…

Per capire “lo scopo” a cui mirano i promotori del nucleare che hanno commissionato lo spot ingannatore occorre affinare quella che io considero la tecnica del judo applicata all’informazione: cedere con intelligenza per poter usare la forza delle argomentazioni dell’assalitore stesso per neutralizzarlo. Proviamo:

Sono contrario all’energia nucleare perché mi preoccupo dei miei figli, dice il nero. E il bianco risponde: Io sono favorevole, perché tra 50 anni non potranno contare solo sui combustibili fossili! Come dire anche io (bianco) sono preoccupato per i nostri figli… e proprio per questo sono favorevole al nucleare: fa niente se omette di dire che tra 50 anni anche il nucleare scarseggerà, con relativa lievitazione dei prezzi! L’astuzia qui sta nel far credere che la preoccupazione, il fine, lo scopo, è identico: salvare la generazione futura dalla catastrofe inevitabile. Ma per far questo deve omettere la verità che il combustibile nucleare è ancor più raro di quello fossile: la menzogna come omissione della verità!

Ci sono dei dubbi sulle centrali – dice il nero (vero). Al ché il bianco risponde mentendo: ma non ce ne sono sulla sicurezza! È spudoratamente falso perché che tipi di dubbi ci possono essere sulle centrali in quanto centrali, se non soprattutto sulla sicurezza? L’abilità sta qui nel separare il dubbio sulla sicurezza dalla sicurezza stessa! A suo modo diabolicamente geniale.

In un crescendo di abile capovolgimento di concetti, ecco che la “Mossa azzardata” del nero diventa “la grande mossa” del bianco: come dire, il futuro è di chi osa! Notare qui come “la grande mossa” è sottolineata dalla mossa del cavallo, sinonimo di forza, libertà, destrezza, virilità… E chi non osa è tutto il contrario di un “cavallo”… come minimo un fifone senza spina dorsale, un “pedone”.

Notare che l’ultima parola, nello pseudo dibattito, è sempre del bianco che contesta il nero, e che a sua volta non ribatte sullo stesso argomento al bianco, ma cambia “argomentazione”. Capito ora perché, contrariamente alle regole del gioco, comincia il nero? Perché il bianco deve avere l’ultima parola! In un dibattito vero il nero avrebbe potuto rispondere come ho risposto io: anche l’atomo si sta già esaurendo; il dubbio è proprio sulla sicurezza; una grossa mossa, se azzardata provoca sempre un grosso danno. E comunque non si gioca d’azzardo con la vita de pianeta e ancor meno con la vita dei propri figli (se arriveremo ad averli e non ci distruggiamo prima!), ecc.

Il colpo finale è ancor più cinico: E tu sei a favore o contro l’energia nucleare? O non hai ancora una posizione? Notare che non chiede se si è favorevoli o contrari alla costruzione di 10, 20, 30… centrali nucleari a due passi da casa propria… ma molto più innocuamente parla di “energia” nucleare! Invitando a prendere posizione che ovviamente con questo spot si cerca di manipolare.

A questo punto si può raccogliere le idee e capire meglio a cosa mira specificatamente lo spot. Cioè in un messaggio non basta capire se uno vuole convincerti ad essere favorevole a una cosa (qui il nucleare) ma occorre domandarsi: quale idea sta cercando di farmi passare nella coscienza? Quale pensiero sta cercando di innestare nella mia mente? Beh, qui è abbastanza facile:
Dopo aver immediatamente identificato il contrari con il male e i favorevoli con il bene: Far credere che ciò che crediamo problema sia la soluzione a tutti i problemi!

Cioè far credere che il nucleare è la soluzione al problema della penuria delle materie prime! E (rovescio della stessa idea) chi è contrario al nucleare è qualcuno che non vuole risolvere il problema ma ci porterà inevitabilmente all’età della pietra.

Non c’è da stupirsi allora se il “Giurì dell’Autodisciplina Pubblicitaria” abbia condannato lo spot del Forum Nucleare Italiano, giudicandolo ingannevole! Anche perché non è proprio la “Croce Rossa” il comitato promotore e finanziatore dello spot! Approfondimenti: qui e qui e qui




mercoledì 16 marzo 2011

C'è sempre un'alternativa

Centrale Nucleare in avaria a Fukushima in Giappone
Ecco che le lobby economiche che fino ad oggi ci hanno inquinato con gli scarichi petrolchimici di motori rumorosi si rifanno vive per arginare l’effetto Fukushima!
Il Corriere della Sera, così sensibile a questi interessi, si lancia oggi con un articolo demenziale di Edoardo Boncinelli. Mi dispiace dirlo perché Boncinelli, che ho incontrato personalmente a un convegno, normalmente sa usare il cervello, ma evidentemente qui mostra di aver perso quella lucidità che ha saputo dimostrare altrove.
Andatevelo a leggere! Io intendo contestare qui il suo delirante ragionamento: Il titolo del post è espressamente antitetico a quello dell’articolo.
Zombie
Le ferali notizie che ci giungono dal Giappone stanno portando tanto inopinatamente quanto perentoriamente alla ribalta le polemiche sull’utilizzazione delle centrali nucleari e i loro rischi.
Non se ne sentiva proprio il bisogno
(sic!), in un momento in cui occorrerebbe fare appello a tutta la nostra lucidità e in un Paese che è sempre pronto a rinunciare a priori a questo o a quello a causa di una tremenda, paralizzante paura delle novità tecnico-scientifiche. È facile in questo momento abbandonarsi all’onda emotiva e rinunciare mentalmente a ogni progetto che coinvolga l’energia nucleare. Sotto la spinta di questa onda, anche alcuni governi non hanno potuto fare a meno di annunciare provvedimenti restrittivi e la chiusura di vecchie centrali. Ma proprio perché il coinvolgimento emotivo di tutti quanti noi è più che evidente, occorre fare appello a tutta la razionalità che abbiamo a disposizione per non lasciarsi portare fuori strada dalle emozioni e soprattutto dalle paure, le meno illuminanti delle emozioni.

Evidentemente Boncinelli si sente uno zombie e l’uomo vero per Boncinelli è lo zombie! Come definire altrimenti una tale antropologia? Per lui l’essere umano è tale solo se è morto dentro, se le sue emozioni non interferiscono nel suo ragionamento. L’uomo come pura razionalità, freddo e impassibile come un cadavere. Ambulante morto.
Che razionalità è, una razionalità che censura parte del reale? E si immagina il mondo e l’uomo non “influenzato” dalla propria realtà sentimentale? Vero è che l’occidente ha censurato il sentimento, diventandone così spesso schiavo! Salvo farvi appello nella pubblicità per la vendita di prodotti inutili. L’economia è fredda, a lei interessa solo il profitto anche a costo di perderci. Sembra paradossale, ma solo apparentemente. Infatti l’inquinamento con la necessità di creare infrastrutture disinquinanti rischia di diventare il gioco perverso di una economia che abbia come fine solo se stessa. Come la società sudafricana che da un lato vendeva mine antiuomo (a Saddam) e dall’altro forniva (per conto dell’Onu) la propria consulenza per disinnescarle. In pace o in guerra ciò che conta è guadagnare.

Ma torniamo alla pseudo lucidità razionale di Boncinelli e adepti (ricordate? tra questi c’è anche il freddo Fini).
Ciascuno è quel che è, il carattere uno alcune volte se lo trova addosso, e ci può fare ben poco per cambiarlo se non dopo anni e anni di ascesi. Ma un conto – mi si perdoni per l’esempio, ma è solo per dare l’idea – è essere pedofili, un altro è sostenere che la pedofilia sia la modalità corretta per amare!
Il sentimento non è dis-trazione dal reale, ma immersione e conoscenza profonda di quello che ci circonda. Anche la paura. Essa ci è data per salvarci la vita avvertendoci, prima ancora di avere il tempo di abbozzare un ragionamento, che siamo davanti a un pericolo. Senza questo sentimento pre-razionale, non credo che oggi ci sarebbero ancora degli esseri umani sulla faccia della terra. Che sia a questo a cui mirano i fautori del nucleare? Il sospetto è legittimo.

Nell'uomo sentimento e razionalità, sono esigite entrambi, perché ciascuno aiuta l’altro a orientare l’uomo nella conoscenza vera di ciò che in generale si chiama Vita. Ma il sentimento arriva prima, di quello che è e sarà, o rischia di essere, il nostro presente e futuro. A volte agisce come un uragano che rischia di far perdere ogni razionalità, ma non per questo esso è irrazionale… solo ha bisogno di essere incanalato verso uno sbocco concreto, che non si limiti a essere solo emozione. Ma una razionalità che ignori il sentimento, porterà l’umanità verso l’autodistruzione. Perché, forse non ci abbiamo mai pensato, ma è il sentimento, l’emotività, che rende razionale la razionalità! Senza il sentimento, l’emotività, e persino la paura, la ragione è cieca e capace solo di sragionare, perché devia dal suo percorso vitale che solo il sentimento tiene desto.

Come le argomentazioni simili a quelle di Boncinelli evidenziano.
Definire l’Italia come un paese che è sempre pronto a rinunciare a priori a questo o a quello a causa di una tremenda, paralizzante paura delle novità tecnico-scientifiche, è un a priori che definisce solo la propria cecità. Faccio solo un esempio: Il fatto che siamo il paese con il più alto numero di telefonini sebbene non siano mai venuti meno i dubbi sulla sua capacità di produrre cancro al cervello, non aiuta a smontare dogmi ideologici funzionali ai propri interessi? Evidentemente no! Se gli interessi si contano in migliaia di miliardi di euro.
Compito della ragione è trovare la ragione delle proprie paure. Perché tutto sta a vedere se esse siano reali e immaginarie. Per questo bisogna domandarsi qual è il vero “oggetto” della paura. E non rimuoverla!

Non quindi la novità in sé fa paura agli italiani (anche se il meccanismo del nuovo porta sempre in sé un sospetto legittimo, da cui si capisce – ammesso che ci sia buona fede – la svista di Boncinelli), ma esattamente il contrario: il fatto che non ci sia reale novità!

Non c’è novità in una politica asservita al potere economico…
Non c’è novità in una scienza che continua ad essere finanziata dalle industrie…
Non c’è novità in una economia che pensa solo al profitto…
Non c’è novità in un progresso che non miri al vero progresso dell’uomo ma solo al suo conto in banca (per finanziare i prodotti dell’industria!).
Ditemi voi se c’è mai stato un disastro ecologico che non abbia coinvolto queste non-novità!

Politici inaffidabili…
Non la politica, ma i politici! Come ci si può fidare di politici disposti a rinunciare alle proprie idee e ideali per servire solo i propri interessi? I continui cambi di casacca dei politici italiani, possono ispirare fiducia nel giudizio e nelle scelte di questi politici e di chi li accoglie a braccia aperte? Quanti di questi politici sono veramente sganciati dagli interessi economici delle lobby economiche? In questo quadro, come poter credere alla loro buona fede? Il conflitto di interessi va ben oltre Berlusconi… È un problema mondiale il fatto che la politica non sia in grado, in questa economia, di riformare se stessa. I due terzi del Congresso americano sono in mano alle lobby. E l’Italia non è da meno. Non è una novità che nel disastro di Fukushima non siano esenti responsabilità anche dei politici giapponesi. Che tutto sapevano e tutto han nascosto. E non oso pensare cosa accadrebbe in Italia se questo è potuto accadere in un mondo politico dove un ministro è stato costretto a dimettersi per aver preso 400 euro di offerta! Come si può dare la responsabilità del nostro futuro a degli irresponsabili? Quello che sta accadendo in Libia non è ulteriore prova della loro inettitudine ad agire sulla storia per il bene comune delle popolazioni innocenti? Fin che si tratta di far andare in orario i treni, passi pure qualche ritardo… ma giocare col fuoco atomico con questi senza-coscienza (avete mai notato che a sentir loro, hanno sempre la “coscienza pulita”?) è sì il massimo di irrazionalità. Si ritorni alla vera politica e poi ci risentiremo sul nucleare!

Scienziati inaffidabili…
Non la scienza ma gli scienziati! Come ci si può fidare del giudizio degli scienziati quando questi sono al servizio degli interessi delle società che li finanziano? Altro che conflitto di interessi qui! Senza parlare che gli stessi scienziati sono divisi nel giudizio non per amore di verità scientifica, ma perché le società che finanziano le loro ricerche sono in concorrenza tra loro! Come ci si può fidare ancora del giudizio degli scienziati sulle centrali nucleari, quando sempre degli scienziati hanno dichiarato sicuri medicinali che non lo sono mai stati o hanno mentito sulla nocività di questo o quel prodotto?… O quando hanno dichiarato sicure centrali nucleari che si sono rivelate insicure?… Si sganci la scienza dai mastodontici interessi dell’industria e poi ci risentiremo sul nucleare! Certo che i tagli di Berlusconi-Bossi-Tremonti, non aiutano di certo a rendere autonoma la scienza. Se poi le lobby adesso entrano nel consiglio di amministrazione delle università (legge Gelmini), ben presto gli scienziati dichiareranno mangiabile anche la merda! In fondo è naturale e fa crescere le piante!

Industriali ed economisti inaffidabili…
Non l’economia e non l’industria in sé sono un problema, ma questa economia e questa industria! Come fidarsi ancora di questi industrialotti che passano il tempo a corrompere la politica e la scienza pur di ottenere il loro tornaconto?
Ma le leggiamo le notizie sui disastri ecologici? C’è n’è forse uno che non sia colpa loro? Non ultimo quello del Golfo del Messico? Dove i controllori erano benevoli perché vedevano nei controllati il loro futuro professionale. E questo negli USA, immaginiamoci da noi dove la corruzione imperversa! Eppoi mi vengono a parlare di pregiudizi sugli industriali, questi non sono pregiudizi, ma giudizi basati su fatti concreti.

Le società che costruiscono centrali nucleari, e quelle che le gestiscono, sono veramente al di sopra di ogni sospetto? La nostra è solo paura irrazionale? E non è vero invece che la paura ci sta avvertendo di qualcosa di irrazionale all’orizzonte? Le società private e non, che gestiscono le centrali nucleari, hanno sempre fatto gli interessi dello stato per il quale sono state costruite? Direi proprio di no! La Tepco che gestisce anche quella di Fukushima ha sempre mentito sui veri rischi della centrale. E chi ci dice che si dica il vero sulle altre? La Tepco non è un’eccezione, anzi, per gli industirali mentire è la regola. Si sa che anche quelle francesi, vivono di omertà! Per questo risultano sempre sicure anche se non lo fossero… E come credere che non sia solo fumo negli occhi il test di verifica (stress test) che tutte le capitali si apprestano a fare? Chi ci assicura che sia veritiero? E non sia come quello benevolo che la BCE ha fatto sulle banche? Fumo negli occhi che alla prima crisi pagheremo con la vita.

Eppoi chi ci dice che ciò che è sicuro oggi, sia ancora sicuro domani? La centrale elettronucleare giapponese Fukushima-1 è uno dei 25 maggiori impianti nucleari del mondo, costruito su progetto di General Electric, ed era considerato una delle strutture del genere fra le più sicure esistenti (fonte ANSA). Quando l’americana General Electric ha progettato il contenitore di acciaio (vessel) della centrale di Fukushima lo si credeva sicuro. Solo ora (ore 17,11 del 15 marzo fonte ANSA) si scopre che gli scienziati americani (sic!: ma non erano scienziati americani anche quelli che l’avevano progettata?) lo dichiarano progettualmente antiquato! Tante grazie, col senno di poi ci ero arrivato anch’io! E perché la politica, l’economia e la scienza non hanno fermato subito un impianto non più sicuro al 99,99 %? E chi ci dice che il crimine commesso in Giappone non si stia consumando altrove?

Ma ve la vedete voi un’Italia che costruisce un ostello per studenti universitari all’Aquila che si accartoccia alla prima “scossetta” di terremoto perché non avevano messo abbastanza cemento e omesso qualche pilastro, costruire centrali atomiche sicure? Eppoi la mafia non avrebbe niente da fare che guardare sfuggirle un affare colossale? È razionale pensare che la mafia stia a guardare o pensare che in qualche modo ci metta lo zampino costruendo come si sono costruiti gli impianti di riciclaggio che inquinano le falde a Napoli? Che si emargini la mafia e si riformi l’economia e poi ne riparleremo…

Ci sono sempre delle alternative
Dice ancora Boncinelli: Alla base della mia posizione a favore del nucleare ci sono due considerazioni elementari: al nucleare non ci sono vere alternative e le nazioni più sviluppate e civili ce lo hanno e lo usano da anni.

Certo che non ci sono alternative quando non le si cercano e ancor meno si finanziano! Se si investisse da subito per la ricerca di fonti alternative, dirottando i soldi per il nucleare per la riprogettazione dei “motori” per ridurre lo spreco (lo si è fatto con le lampadine e gli elettrodomestici che si aspetta a farlo col resto sviluppando ulteriormente la ricerca). Ma questo domanda allo stesso tempo una revisione dell’economia capitalista che si fonda sullo spreco. Ma a furia di sprecare stiamo per essere sommersi dai nostri detriti, non solo nucleari. Questo esige di porsi una buona volta la domanda sulla qualità del nostro progresso… E questo è compito anche della politica. Ma abbiamo visto da quali politici è abitata.
In quanto poi alla presunte nazioni più sviluppate e civili mi chiedo se Boncinelli ci inserisce il Giappone. In tal caso si risponde da sé…
Civile e sviluppata è una nazione che non si fonda sullo spreco, sul rischio della salute dei propri cittadini… Che punta sulla qualità della vita e non sulla quantità degli utili… ma qui il discorso rischia di diventare astratto oltre che allargarsi troppo.

Certo che in alcuni punti l’articolo rasenta il ridicolo, Come quando afferma che noi italiani vogliamo fare sempre di testa nostra, senza guardare a quello che fanno gli altri. Ma come, ci hanno sempre accusati di esterofilia! Diciamo che lo siamo spesso e volentieri nel copiare i difetti dei nostri vicini, aggiungendovi dei nostri. Molto più pigri nell’imitarli nelle virtù. A cominciare dal livello di trasparenza e di partecipazione dei cittadini al controllo del territorio e dell’operato dei suoi rappresentanti. La lista sarebbe troppo lunga di come da noi, azioni anche legali contro l’arroganza del potere politico ed economico, sono continuamente frustrati. D’altronde che attendersi da politici che sempre si auto-esonerano dalla responsabilità delle proprie azioni! E si permettono di sindacare su quella dei PM che vorrebbero richiamarli (in nome della legge che i politici hanno approvato!) alle proprie responsabilità almeno davanti alle loro leggi!

Ed è proprio per questo che è falso affermare come fa Boncinelli che il rischio si può contenere e controllare. Non questo rischio e non con questa fauna politica ed economica.

Quando parliamo poi di rischio col nucleare, non parliamo di rischio petrolchimico, dove al massimo si deve evacuare un territorio limitato (cfr Seveso), parliamo di rischio apocalittico di dimensioni planetarie, e sinceramente non possiamo permettercelo proprio perché, come dice Boncinelli, non è, e mai sarà, pari allo zero.

E questo direi che tagli la testa al toro! E chiude definitivamente il discorso: Di zero qui c’è soltanto l’azzeramento totale di ogni tipo di vantaggio davanti ad un rischio seppur piccolo di azzerare tutta la specie umana e un ritorno all’età della pietra per quei poveri deformati dalle radiazioni che sopravviverebbero. Altro che progresso!
Proprio perché, come ci invita a fare Boncinelli, noi guardiamo dritti in faccia i problemi noi sappiamo che quello nucleare ha come unica soluzione il suo bando totale (Bartolomeo I) che ci obbliga a investire risorse umane e finanziare per finalmente trovare le soluzioni che portino a un vero cambiamento, per un vero progresso di tutta l’umanità e non solo di alcuni oscuri personaggi che giocano con la menzogna sulla pelle degli altri e propria. Di questo bando totale, l'Italia dovrebbe farsi promotrice, come lo fece a suo tempo per la pena di morte!

Le persone favorevoli al nucleare mi sembrano come quei piloti che decidono di suicidarsi schiantando l’aereo con tutti i passeggeri a bordo! Ora se i nuclearisti sono stanchi di vivere e proprio non riescono a farvi una ragione del perché vivere, possono sempre spararsi un colpo in testa! Assicuro, da sacerdote, che la misericordia di Dio perdonerà certamente un peccato così orrendo, se lo fanno per lasciar vivere chi ancora lo vuole!

Per non scandalizzare i “piccoli”, informo che questo mio consiglio è moralmente lecito! In teologia morale questo invito consiste nel fatto che “non potendo impedire il male è lecito consigliare il male (che resta male!) minore”! Amen!
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