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mercoledì 24 luglio 2013

XVII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro della Gènesi (Gen 18,20-32)

In quei giorni, disse il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque». Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi (Col 2,12-14)

Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 11,1-13)

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

 

Le letture che la Chiesa ci propone per questa Diciassettesima Domenica del Tempo Ordinario, hanno come evidente tematica centrale la preghiera. Innanzitutto il brano tratto dalla Genesi: esso contiene la famosa “contrattazione” tra Dio ed Abramo, riguardo alla sorte di Sodoma e Gomorra. Un dialogo che di primo acchito stride con il volto di Dio proposto da Gesù e tramandato nei Vangeli, perché il risultato finale è quello della distruzione delle due città. Ma tenendo conto del fatto che, nel leggere i testi biblici, non bisogna mai dimenticare che si tratta sempre della rilettura che gli uomini fanno della storia (della salvezza) e non di una “presa diretta” dei fatti così come si sono svolti (dunque che si tratta di un racconto a posteriori della distruzione di Sodoma e Gomorra – cioè di un racconto che a partire dal dato storico della fine di queste città, prova a rileggerlo teologicamente, con una teologia legata alla cultura e mentalità del tempo – che prevedeva un Dio retributivo!), ciò che di questo testo risulta fondamentale non è tanto l’episodio “storico” (anche perché poi – di fatto – quanto sia c’entrato Dio con Sodoma e Gomorra è davvero difficile dirlo), quanto piuttosto la convinzione ad esso soggiacente che con Dio si può parlare! «Il nostro Dio – infatti – non è il Fato, un destino irreversibile, già tutto predestinato, contro il quale ogni domanda o anelito o lacrima è senza senso. È questa la grande scoperta di Abramo, l’uomo collettivo che condensa la sofferenza di tutti i samaritani feriti dalla compassione per gli uomini! Ha scoperto che con Dio si può discutere» [Giuliano].

Un’evidenza (?!) forse, per i più, ma anche una grande chiave orientativa: perché per le nostre orecchie di uomini e donne postmoderni fa una certa differenza sentirsi dire “Con Dio si può parlare/discutere”, rispetto al più tradizionale “Si può pregare Dio”. Perché, pur essendo frasi che indicano la medesima possibilità di relazione, esse in realtà evocano istintivamente orizzonti diversi. Troppo spesso infatti oggi il “pregare Dio” rimanda al mero “dire preghiere” (che non sono certo da svilire, ma che a volte rimangono formulazioni vuote, quasi magiche, senza che riescano a coinvolgere la libertà personale dell’orante); mentre la notizia che a Dio si può parlare, riesce – oggi – forse a dire meglio la possibilità di coinvolgere realmente la vita con Lui, con Qualcuno dunque che, per definizione era separato, e invece – liberamente – ha deciso di rendersi accessibile, incontrabile, “im-mischiato” con noi: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (DV 2).

Si tratta dunque dell’inaudita e insperata possibilità di poter parlare a Dio, di avere una relazione con Lui, di pensarsi in relazione a Lui. Ecco perché i discepoli, che diverse volte avevano visto Gesù vivere (di) questa relazione, ad un certo punto gli fanno la domanda diretta: «Signore, insegnaci a pregare»: perché avevano intuito che il volto di Dio che Gesù – vivendo – mostrava non poteva non andare a con-vertire anche le strutture tradizionali del relazionarsi a Lui. Come scriveva H. Küng infatti «La preghiera è il test pratico della comprensione di Dio: come viene espresso Dio, così viene praticata la preghiera. E come si prega, così viene anche compreso Dio. [Ma anche] Da come uno prega si capisce che uomo egli è» [H. Küng, Preghiera e problema di Dio, in G. Moretto (ed.), Preghiera e filosofia, Morcelliana, Brescia 1991, 42]. E di fatti Gesù, nel “test pratico” della preghiera che dice in risposta alla domanda dei suoi («Quando pregate, dite: “Padre”»), conferma la comprensione di Dio che aveva già fatto emergere nella sua vita e cui manterrà fede fino alla fine («Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito», Lc 23,46) e anche che «uomo egli è».

A chi – dunque – scopre che a Dio si può parlare e chiede come a Lui ci si deve rivolgere, Gesù risponde: “A Dio si parla, chiamandolo Padre”! Dove – appunto – il “chiamarlo Padre” non è il suggerimento su quale titolo sia più appropriato usare, per evitare di toppare col galateo… ma è il dar credito alla possibilità reale di accedere ad una relazione filiale con Lui.

Ma già di fronte a questa prima parola della preghiera che Gesù ci insegna (l’unica che Gesù ci insegna, quella dunque che dovrebbe mettere d’accordo tutti – cattolici, ortodossi, protestanti –, quella di fronte alla quale e nella quale ogni cristiano si dovrebbe riconoscere) sorgono i problemi (che proseguiranno in tutto il testo…).

Perché: che cosa vuol dire “padre” e dunque cosa vuol dire “essere figlio”?

Al di là dell’abusata retorica per cui chi ha avuto un’esperienza familiare drammatica (la mancanza di un padre in famiglia, la presenza di un padre violento o violentatore, ecc…) farebbe fatica a identificare Dio con la figura del “padre”, il problema resta per tutti, anche per quelli che un padre ce l’hanno avuto e ce l’hanno avuto bravo. Si tratta infatti del problema del senso che si dà alle parole… a partire dalla propria esperienza personale, ma anche dal proprio contesto sociale, culturale…

Lo si vede bene su un’altra espressione (a me tanto cara) di questa preghiera: “Venga il tuo Regno”. Anche qui: cosa si intende per “Regno” e soprattutto per “Regno di Dio”? Se ognuno di noi dovesse pensare a quale circostanza esistenziale vissuta assomigli di più al realizzarsi del regno, credo che emergerebbero tante immagini quanti uomini ci sono sulla faccia della terra… Ma più radicalmente ancora: non tutte queste immagini – seppure singolari – farebbero riferimento al medesimo sostrato evangelico… Qualcuno – tra i cattolici (riconosciuti tali) – pensano che il Regno di Dio coincida con la divisione del mondo tra santi in paradiso e dannati all’inferno!

Il problema è – più in generale – quello (ormai improrogabilmente da mettere all’ordine del giorno) del fatto che – non solo tra cristiani ma anche – tra cattolici si legge il vangelo in maniera diversa… Non nel senso bello e un po’ poetico per cui ciascuno dà sfumature personali alla medesima attestazione scritta della rivelazione, ma in quello drammatico e inconciliabile per cui dai medesimi testi emergono idee di Gesù e dunque di Dio e dunque di tutto il resto (uomo, mondo, relazioni, morale, ecc…) non solo diverse ma cozzanti in maniera talvolta brutale.

Qualcuno cerca di smorzare la questione dicendo che il bello della Chiesa è quello di avere in se stessa spazio per san Francesco e il Grande Inquisitore…

Qualcuno, al contrario, parla già di scisma sotterraneo in atto, rispetto al quale il Magistero farebbe “orecchie da mercante”, perché qualora si pronunciasse perderebbe una grossa fetta dei suoi fedeli…

Qualcuno – da una parte e dall’altra – si avventura in crociate che tentino di convertire alla propria visione “gli altri”.

La cosa è ancora più drammatica (in occidente) se – analizzando con occhi smagati la situazione – ci si accorge che i sedicenti cattolici sono poi rimasti in pochi nella società e dunque la loro divisione risulta ancora più agghiacciante: ennesimo sintomo forse del decadimento della comunità ecclesiale.

A me pare che non si possa far finta che il problema non esista: non si può andare in un confessionale e trovare accoglienza affettuosa e col medesimo peccato essere scacciati malamente da un altro; non si può sentire una predica che annuncia la misericordia incondizionata di Dio e – sul medesimo brano evangelico – sentirne un’altra che minaccia le pene dell’inferno…

Di fronte dunque all’emergere del problema in tutta la sua evidenza io credo che l’unica pista vera da battere – sia come singoli che come comunità – sia quella di ritornare al vangelo. Non in senso spiritualistico (perché il problema si riproporrebbe: il problema infatti è che leggiamo le stesse parole, ma vangeli diversi; crediamo tutti a Gesù, ma sono Gesù diversi; crediamo tutti a Dio, ma sono dei diversi e del “dio degli altri” noi siamo atei!)… dunque non in senso spiritualistico, ma con la passione della ricerca, dello studio, dell’andare a capire cosa vogliono dire le cose… (per stare solo agli esempi di oggi: cosa vuol dire “padre” per Gesù? Da tutto il vangelo e non solo da questa riga, cosa emerge del suo rapporto con l’“Abbà suo”? E Regno? Come lo descrive, come lo racconta? Provate a leggervi Mt 11,2ss).

Dobbiamo riprenderla in mano questa parola, riappassionarci, non pensare che sia roba per intellettuali… e se proprio abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti andiamo da quei padri e quelle madri nella fede che incarnano questa parola… andiamo da quelli che assomigliano a questo maestro della Galilea… li troveremo immersi nella polvere, circondati da diseredati, stanchi morti per la troppa dedizione, ma con gli occhi puliti dal troppo amore ricevuto e contagiato. Degli altri meglio diffidare… anche se hanno le “mostrine”. Perché anche con “parole religiose” si può predicare l’antivangelo.

lunedì 4 febbraio 2013

Panem et circenses

Mario Balotelli

Molto è stato detto sulle promesse elettorali di Berlusconi: di abbassare le tasse prima e ora di restituire in contanti quell'IMU che peraltro lui stesso aveva votato e difeso sui giornali. Quest’ultima è stata chiamata “la proposta choc”! E sotto certi aspetti lo è veramente. Vediamo perché.

Berlusconi (coi suoi alleati) sta applicando, direi attualizzando, un vecchio metodo ben noto fin dagli albori di ogni potere assolutista e sintetizzato efficacemente nel primo secolo dal poeta latino Decimo Giunio Giovenale con l’espressione “panem et circenses”! Metodo che trasformava e trasforma ogni parvenza di democrazia nella concreta dittatura della demagogia. Manifestando anche a ben vedere un profondo disprezzo verso il proprio popolo: come se fosse un cane a cui basta un osso e una palla per renderlo felice! (Cosa che in realtà neanche al cane basterebbe!).

In Berlusconi, al pane corrisponde la restituzione dell’IMU e al circo, il circo calcistico del gladiatore Balotelli! È ovvio che costa di più dare da mangiare al popolo che acquistare un gladiatore! Se a Berlusconi è riuscita la seconda, è impossibile che gli riesca la prima!

Infatti Roma si indebitò per questo e andò in rovina anche per questo (altra causa fu il degrado morale. Ma guarda un po’ com’è attuale la storia!)! Così sarà per l’Italia se glielo permetteremo (ammesso che intenda e voglia realmente realizzarlo: anzi per le ragioni che dirò sotto è auspicabile che ancora una volta menta!).

Oggi, in un mondo globalizzato, se le casse sono vuote, non è più possibile fare come nel passato. A meno di scatenare il nostro esercito alla conquista dei continenti. E se anche dichiarassimo guerra, questo non potrà che generare lutto, rovina, distruzione, perdita di sovranità: proprio come nell’antichità e nel passato più recente. I sogni di ricchezza e gloria per il popolo italiano di Mussolini si sono infranti nell’impossibilità di conquistare un mondo che già allora cominciava – in qualche modo col colonialismo – a globalizzarsi.

Non è un caso che proprio “Roma Antica” fosse il modello che ispirava l’azione mussoliniana.
Che l’elogio di Berlusconi allo statista Mussolini (escludendo solo le leggi razziali “ha fatto cose buone”: quali di grazia?) vada ad iscriversi in questa logica? Io credo di sì: un filo rosso sangue li unisce. Non c’è solo l’occhiolino strizzato alle falange estreme dell’astensionismo. Certo non penso che Berlusconi lancerà i futuri F35 (temporale permettendo) alla conquista dell’Africa… la cosa non è così banale, ma come interpretare la “dichiarazione di guerra” contro l’Europa, la Cancelliera Angela Merkel, la BCE, il PPE, l’euro…?

Quanto detto credo inviti a non prendere sottogamba le sparate di Berlusconi… Non è a mio avviso una cosa su cui riderci sopra, insomma! Siamo agli albori, se gli italiani ci cascano, di una rovina più grande e forse senza ritorno del paese: che solidarietà potremmo aspettarci dagli altri popoli quando noi stessi abbiamo eletto colui che sarà causa della nostra e loro rovina? Perché qui in gioco non c’è solo l’Italia e/o l’Europa, ma – piaccia o non piaccia la globalizzazione – gli equilibri politici ed economici del pianeta. Non siamo il Liechtenstein dobbiamo assumerci anche il ruolo geopolitico che la storia, nel bene e nel male, ci ha consegnato.

Gli altri partiti e o coalizioni hanno il dovere di raccogliere la sfida scardinandone la logica di (s)governo soggiacente (“panem et circenses”) per mostrare nei fatti che oggi il consenso si fonda su un’attenzione all’uomo che si esplicita in valori che vanno oltre l’IMU e la risata facile: giustizia, pace, moralità, responsabilità, onestà, condivisione, solidarietà, ecologia, rispetto per l’uomo e la donna indipendentemente dal proprio status (religioso, affettivo, economico, culturale, etico…), multiculturalità, ecc.

Il consenso per produrre benessere per tutti non può che essere democratico: si deve fondare sulla conoscenza e sulla possibilità data a tutti e a ciascuno di decidere del proprio destino, personale e comunitario, per il bene globale. Altrimenti smettiamola di dire “poverino” quando vediamo persone ai margini della storia: della nostra compassione ed elemosina non se ne fa niente nessuno e men che meno la nostra coscienza.

Spiace vedere come una Chiesa, più preoccupata di non perdere posizione sociale (che peraltro – per fortuna per questa chiesa – continua inesorabilmente a perdere) che a illuminare la storia, sia sfuggita ancora una volta i rischi della sua (falsa) neutralità politica!

Piace invece notare che il testimone evangelico, di cui la Chiesa nel suo insieme è istituzionalmente apostola, sia da tempo ormai passato in altre mani “eretiche” molto più attente e premurose nel lenire – oltre il caritatevole e l’elemosina e anche a costo di sbagliare – le piaghe di un’umanità ferita (cfr Lc 10,33-35: ricordo che i Samaritani erano considerati all’epoca eretici e apostati).

venerdì 17 luglio 2009

Il “respingimento” cristiano

Ecco un esempio drammatico, nella sua ingenuità selvaggia, della mentalità che è cresciuta nei nostri oratori o comunque sotto i nostri campanili…

«Noi abbiamo chiuso le porte… ma molti gerenzanesi le hanno riaperte!”

Questa amministrazione monocolore leghista, che guida il Comune ormai da diversi anni, non ha mai - e sottolineo mai - agevolato l’afflusso nel nostro paese degli extracomunitari. Tanto è vero che:

• Non ha mai costruito con i soldi dei gerenzanesi case popolari, in quanto vi era il pericolo che ai primi posti della graduatoria, stilata in base a determinati punteggi (redditi bassi, figli a carico, ecc.), ci fossero sempre i soliti noti, ovvero le case sarebbero spettate di diritto non, per esempio, ai nostri anziani, ma a persone che non hanno pagato le tasse nel nostro paese non contribuendo, quindi, alla sua crescita.

• A differenza degli altri Comuni del circondario, non abbiamo mai destinato terreni per la costruzione di moschee e destinato edifici come luoghi di culto agli extracomunitari di religione islamica, nonostante ci fossero giunte richieste di questo genere.

• Non abbiamo mai destinato terreni all’interno del comune di Gerenzano per la sosta, anche solo temporanea, degli zingari: i nomadi che arrivano e sostano all’interno del territorio comunale devono lasciare il paese entro 48 ore.

• Abbiamo contribuito a rivalutare anche dal punto di vista culturale i nostri cortili, attribuendo ad ognuno di essi il vecchio nome utilizzato dai nostri anziani e poi riprodotto su una targa in terracotta posta all’entrata dei cortili stessi. Per rivalutarli dal punto di vista estetico però devono intervenire i proprietari, che - in alcuni casi - piuttosto che mettere mano al portafogli e dare una rinfrescata alle proprie abitazioni, hanno pensato bene di venderle o di affittarle agli extracomunitari.

• L’assessore competente, la Polizia Locale e i funzionari degli Uffici Comunali vanno personalmente, casa per casa, a controllare le residenze e le idoneità degli alloggi: tanto è vero che, con le Forze dell’Ordine, abbiamo fatto diversi sgomberi e anche sequestrato ben cinque appartamenti, anche grazie alle nuove leggi molto più severe contro l’immigrazione clandestina, approvate recentemente dal
Governo.

• Non ha mai favorito gli extracomunitari sotto il profilo dei contributi o dei sussidi economici.
Noi abbiamo fatto e continueremo a fare il nostro dovere… ma i gerenzanesi faranno il loro? Non rendete vani i nostri sforzi: chi ama Gerenzano non vende e non affitta agli extracomunitari… Altrimenti avremo il paese invaso da stranieri e avremo sempre più paura ad uscire di casa!»

L’assessore con delega alla Sicurezza del Comune di Gerenzano
Cristiano Borghi
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