Pagine

ATTENZIONE!


Ci è stato segnalato che alcuni link audio e/o video sono, come si dice in gergo, “morti”. Se insomma cliccate su un file e trovate che non sia più disponibile, vi preghiamo di segnalarcelo nei commenti al post interessato. Capite bene che ripassare tutto il blog per verificarlo, richiederebbe quel (troppo) tempo che non abbiamo… Se ci tenete quindi a riaverli: collaborate! Da parte nostra cercheremo di renderli di nuovo disponibili al più presto. Promesso! Grazie.

Visualizzazione post con etichetta Luca (Vangelo). Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Luca (Vangelo). Mostra tutti i post

mercoledì 8 giugno 2016

XI Domenica del Tempo ordinario


Dal secondo libro di Samuèle (2Sam 12,7-10.13)

In quei giorni, Natan disse a Davide: «Così dice il Signore, Dio d’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa d’Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi aggiungerei anche altro. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Urìa l’Ittìta, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammonìti. Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Urìa l’Ittìta». Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (Gal 2,16.19-21)

Fratelli, sapendo che l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno. In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 7,36-8,3)

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

 

«L’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo».

La frase di Paolo potrebbe essere usata come titolo per il vangelo di questa domenica. Gesù, infatti, pronuncia qui, come tante altre volte: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».

Ciò che rimanda in pace la donna, che più volte nel testo è definita “peccatrice”, è la sua fede, il suo amore: «sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato».

Ma dobbiamo stare attentissimi, perché purtroppo la cultura cattolica in cui siamo cresciuti rischia di farci fraintendere il tutto e rovinare quello che, a mio giudizio, è uno dei più bei brani del vangelo. Il pericolo è, infatti, quello di interpretare la vicenda e le parole di Gesù dentro ad uno schema che, invece, Gesù stesso vuole far scoppiare dal di dentro.

Provo a spiegarmi.

Il testo è articolato in questo modo: da una parte c’è il fariseo, che si crede giusto di fronte a Dio (e probabilmente lo è davvero), e dall’altra c’è la donna peccatrice. In mezzo c’è Gesù, che ha il ruolo di mostrare il punto di vista di Dio (anche il fariseo gli riconosce infatti autorevolezza).

Il senso comune fa pensare che Dio considererà con benevolenza il giusto, mentre guarderà torvo la peccatrice. A meno che la peccatrice non si penta e non metta in atto dinamiche di penitenza e conversione.

Questo era il retro pensiero del fariseo e di tutti i farisei della storia.

I cattolici pensano di aver fatto un grande passo in avanti rispetto ai farisei, perché sanno che Dio non guarda storto i peccatori, ma è misericordioso e pronto a riaccoglierli. Forti di questa convinzione, di questo “guadagno”, non si identificano più col fariseo del vangelo e quindi non riescono a immedesimarsi nella vicenda, perdendo il vero fulcro del brano, che non è che Gesù non guarda male i peccatori, ma che non gli chiede un pentimento, una conversione, una penitenza per essere riammessi nella relazione con lui.

Perdendo questo, i cattolici interpretano tutto ciò che la donna fa e tutto ciò che Gesù dice, come un esempio di confessione riuscita: una peccatrice va da Gesù, Gesù è accogliente, lei esprime i suoi peccati (con le lacrime) e poi fa opere di penitenza (asciuga i piedi di Gesù con i capelli, glieli bacia, porta il profumo…). Gesù, infine, la rimanda in pace.

Detto un po’ meno poeticamente: una peccatrice va da Gesù e paga il perdono con lacrime, profumo e qualche gesto umiliante o per lo meno servile.

 

Pensare così di questa donna, di Gesù e di questo brano del vangelo vuol dire violentarlo.

 

Non bisogna infatti dimenticare che all’interno del testo è posta una parabolina, che Gesù racconta al fariseo («Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?»), dove il punto centrale è che i debitori non avevano di che restituire. Non ce l’avevano, non ce l’abbiamo e Dio lo sa. E cosa fa? Ci dà più tempo per raccogliere la somma? Ci tiene per una vita in scacco perché siamo debitori? No, ci libera dal giogo del debito, condonandolo.

Forse agli italiani onesti, la parola “condono” piace poco, ma piace poco perché è stata usata male, non perché sia brutta in sé. Anzi… Dio stesso potrebbe avere il soprannome di “condonatore”. Egli è colui che sa che non abbiamo, ne mai avremo di che restituire, e perciò ci libera dal giogo. Non vuole che la relazione con lui sia legata a un do ut des, ti perdono, se paghi con penitenze, sacrifici, o altro. La relazione da parte sua è sempre come vergine, animata dall’entusiasmo e dalla fiducia di chi ama per la prima volta («quante volte ho amato … come se non avessi amato mai», Vecchioni, Le rose blu).

Per questo lo ama di più colui che ha peccato di più, perché gli è stato condonato di più.

Ecco che allora tutti i gesti della donna, invece che essere stuprati dalla nostra interpretazione volgare che li leggeva come “prezzo” del perdono, diventano i gesti affettuosi e teneri di chi ama, perché per primo si è sentito amato nonostante fosse una schifezza («Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi», Rm 5,8).

E allora, ecco, che quelle lacrime, quei capelli, quel profumo, diventano i gesti della sensualità che si fa tenerezza, appartenenza, custodia… come quando, nelle nostre relazioni, i corpi si avvolgono reciprocamente e ognuno diventa nido per l’altro.

 

Paolo aveva capito tutto… «per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno», per questo aveva deciso di vivere «nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me».

mercoledì 4 maggio 2016

Ascensione


Dagli Atti degli Apostoli (At 1,1-11)

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

 

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 9,24-28;10,19-23)

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza. Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,46-53)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

 

Negli anni del ciclo liturgico C, come questo in corso, la Chiesa ci fa leggere le due versioni del racconto di ascensione narrate da Luca: una negli Atti degli apostoli e l’altra nel vangelo.

Il III evangelista è l’unico che traccia la scansione temporale dei 40 giorni dopo Pasqua per descrivere l’ascensione; scansione che è entrata poi anche nella liturgia: Pasqua – 40 giorni – Ascensione – 10 giorni – Pentecoste.

Nelle altre testimonianze neotestamentarie il ritorno di Gesù presso Dio e il dono dello Spirito santo sono invece piuttosto ravvicinati e quasi iscritti dentro alla Risurrezione.

Possiamo concludere che il dato della scansione temporale sia stato introdotto da Luca per motivi liturgico-pedagogici e che non rispecchi la cronologia degli eventi in senso stretto.

Resta però da chiarire quale sia il motivo che ha originato questi testi.

Il problema di fondo – che gli altri evangelisti lasciano aperto e che invece Luca vuole approfondire – potrebbe essere espresso in questo modo: perché, se Gesù è risorto, non lo si può incontrare come prima?

Luca cioè si preoccupa di dare una risposta ai cristiani delle generazioni successive a quella apostolica, che domandavano come fosse per loro possibile credere a Gesù, senza averlo mai visto, né vivo né risorto. È la stessa problematica che traspare anche nella prima finale di Giovanni, quando al cap. 20 v. 29 diceva: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Uno dei problemi delle prime comunità cristiane è stato perciò quello di rendere ragione dell’assenza di Gesù, o meglio dell’impossibilità di un incontro con lui nelle modalità precedenti (non è più incontrabile in carne ed ossa perché è morto; ma non è più incontrabile nemmeno da risorto, nelle apparizioni, come era invece stato possibile per i discepoli).

Ecco perciò che si introduce – come risposta a questa realtà – l’ascensione: Gesù non è più incontrabile nella modalità precedente, perché è asceso al cielo, cioè è tornato presso Dio.

Il racconto non è da prendere alla lettera: come dico ai miei bimbi a scuola, non è che Gesù è partito come un missile per raggiungere lo spazio. È un testo che va interpretato.

Per chiarirci le idee, vi racconto la lezione sull’ascensione che tengo in II elementare. Innanzitutto chiedo: “Che parola vi fa venire in mente ‘ascensione’?”. E loro rispondono: “Ascensore!”.

“Bene. E a cosa serve l’ascensore?”. “A salire”.

“Eh già… Infatti ‘ascendere’ è il contrario di ‘scendere’. È uguale a ‘scendere’, ma con la ‘a’ davanti, che serve per dire il contrario della parola che viene dopo. Quindi ‘ascendere’ = il contrario di ‘scendere’ = salire”.

“Ma dove è salito Gesù?”; “In cielo”.

“Sì, ma attenti, non è partito come un missile per andare su marte! Il cielo era un modo per dire ‘Dio’. E siccome si è sempre pensato che Dio fosse in cielo, per dire che Gesù era tornato da Dio, hanno scritto che è salito in cielo!”.

Ecco spiegata l’ascensione… ai bambini… ed ecco spiegato il problema che ha originato i testi di Luca… per i grandi… L’evangelista aveva bisogno di spiegare alle nuove generazioni cristiane perché esse non potessero incontrare Gesù nella modalità delle apparizioni del risorto, perciò gli ha narrato l’ascensione. La risposta è che dopo la morte e la risurrezione Gesù non è più presente nella storia nella modalità precedente: Egli è presso Dio.

È da qui che nascerà il passo successivo. Perché la domanda veniva da sé: ma allora Dio, ora, è assente dalla storia? No, risponderà Luca, è presente in Spirito… ecco il racconto di Pentecoste (che lasciamo a domenica prossima).

Non prendere alla lettera tutto ciò che è scritto nella Bibbia non ci deve spaventare: anzi, è il prendere tutto alla lettera che è sbagliato. La Chiesa da sempre ha ritenuto che i testi biblici fossero da interpretare, perché – come dice la Dei Verbum, un documento che il Concilio Vaticano II ha scritto proprio riguardo alla Parola di Dio – la fede si fonda su ciò che l’autore biblico aveva inteso comunicarci, la sua intenzione profonda, non su quello che capisco io o su quello che una prima lettura fa saltare all’occhio. Ecco perché nella Chiesa si sono sviluppati tutta una serie di studi letterari e linguistici per andare a capire cosa volevano dire gli autori, quando scrivevano i loro testi. Nella Chiesa c’è anche chi fa questo si mestiere: gli esegeti, che attraverso lo studio dei generi letterari, dell’epoca storica, del significato delle parole, ecc… ci presentano l’interpretazione dei testi.

Anche per l’ascensione è così: una lettura letterale ci porta ad un Gesù-missile…

Una lettura ragionata, ci inserisce invece in uno dei problemi con cui la Chiesa di sempre si deve confrontare: Gesù non è più incontrabile come prima. Come si può, dunque, credergli?

«Perché è degno di fede colui che ha promesso», risponde la lettera agli Ebrei.

E come faccio a sapere che è degno di fede uno che non posso incontrare in carne ed ossa e nemmeno da risorto, in un’apparizione? Lo posso sapere leggendo la sua storia e valutando chi ha deciso di essere… ecco la centralità dei vangeli e della loro conoscenza per poter accedere, oggi, ad una relazione con Gesù.

E leggendo i vangeli, non si può non concludere che chi si consegna alla morte (perdonando i suoi carnefici) per non smentire l’annuncio d’amore che traspare da ogni gesto che ha compiuto e da ogni parola che ha pronunciato sia davvero degno di fede.

mercoledì 16 marzo 2016

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Luca


Dal libro del profeta Isaìa (Is 50,4-7)
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 2,6-11)
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.
 
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Luca (Lc 22,14-23,56)
Quando venne l’ora, [Gesù] prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio». Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi. Ma ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito, ma guai a quell’uomo dal quale egli viene tradito!». Allora essi cominciarono a domandarsi l’un l’altro chi di loro avrebbe fatto questo. E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande. Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele.
Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: oggi il gallo non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di conoscermi».
Poi disse loro: «Quando vi ho mandato senza borsa, né sacca, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla». Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così chi ha una sacca; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: “E fu annoverato tra gli empi”. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento». Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli disse: «Basta!». Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».
Mentre ancora egli parlava, ecco giungere una folla; colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo?». Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate! Basta così!». E, toccandogli l’orecchio, lo guarì. Poi Gesù disse a coloro che erano venuti contro di lui, capi dei sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Come se fossi un ladro siete venuti con spade e bastoni. Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete mai messo le mani su di me; ma questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre».
Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: «Anche questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.
E intanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo deridevano e lo picchiavano, gli bendavano gli occhi e gli dicevano: «Fa’ il profeta! Chi è che ti ha colpito?». E molte altre cose dicevano contro di lui, insultandolo. Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al loro Sinedrio e gli dissero: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi». Rispose loro: «Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma d’ora in poi il Figlio dell’uomo siederà alla destra della potenza di Dio». Allora tutti dissero: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli rispose loro: «Voi stessi dite che io lo sono». E quelli dissero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L’abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». Tutta l’assemblea si alzò; lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re». Pilato allora lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». Pilato disse ai capi dei sacerdoti e alla folla: «Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna». Ma essi insistevano dicendo: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui». Udito ciò, Pilato domandò se quell’uomo era Galileo e, saputo che stava sotto l’autorità di Erode, lo rinviò a Erode, che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme.
Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla. Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nell’accusarlo. Allora anche Erode, con i suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia.
Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà». Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba!». Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.
Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?».
Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori. Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò.
Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo. Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del Sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatèa, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. Era il giorno della Parascève e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.
 
Il venerdì santo si ascolta il racconto della passione di Gesù secondo l’evangelista Giovanni La domenica delle Palme la Chiesa ci invita invece a leggere la medesima narrazione nella versione dell’evangelista dell’anno liturgico in corso, che quest’anno è Luca.
La vicenda è nota a tutti e i sinottici (Matteo, Marco e Luca) ricalcano pressoché lo stesso schema, così che anche chi non è un frequentatore assiduo di messe e vangelo sa rinarrare ciò che accadde a Gesù dall’ultima cena alla crocifissione.
Un po’ meno immediato è invece, forse, andare ad individuare le peculiarità di ciascun evangelista. Ce ne sono diverse.
Io oggi vorrei soffermarmi in particolare sulle seguenti, proprie di Luca:

mercoledì 2 marzo 2016

IV Domenica di Quaresima: La parabola del padre misericordioso


Dal libro di Giosuè (Gs 5,9-12)

In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto». Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.

 

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (2Cor 5,17-21)

Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15,1-3.11-32)

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

 

Il vangelo di questa IV domenica di quaresima ci racconta la parabola del padre misericordioso, altrimenti nota come la parabola del figliol prodigo. A mio giudizio è una delle pagine più belle, se non la più bella, del vangelo e, per questo, è anche tra le più famose.

È divisa in due parti: la prima che ci narra la vicenda del figlio minore di questo padre protagonista e la seconda che ci parla del figlio maggiore.

Queste due parti sono scritte per i due gruppi di ascoltatori che Luca ci riferisce sono presenti al momento in cui Gesù si inventa questa storia: i pubblicani e i peccatori, da un parte; i farisei e gli scribi, dall’altra.

Il primo gruppo poteva facilmente identificarsi col figlio minore, mentre chi si sentiva giusto – come farisei e scribi – è rappresentato nella parabola dal figlio maggiore.

Non si tratta però di due parabole diverse, con destinatari diversi. Sono due parti della medesima parabola, che io credo restino intimamente connesse.

Infatti la narrazione riguardante il figlio minore ci mostra un volto di Dio (rappresentato dal padre della storia) inaccettabile per il figlio maggiore: ecco dunque la seconda parte della parabola, raccontata per chi, sentendo la prima, ha un moto di repulsione verso quel volto di Dio che Gesù ha mostrato.

Io trovo che la genialità di Gesù e poi dell’evangelista Luca, qui raggiungano un vertice sorprendente, perché non solo c’è il racconto di una parabola e poi la registrazione delle reazioni; ma le reazioni sono già previste dentro alla parabola, che quindi si allunga in una seconda parte, che serve proprio per rispondere a quelle reazioni.

Ma andiamo con ordine: cosa della prima parte della parabola risulta così inaccettabile per chi si sente giusto?

mercoledì 24 febbraio 2016

III Domenica di Quaresima


 

Dal libro dell’Èsodo (Es 3,1-8.13-15)

In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele». Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 10,1-6.10-12)

Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto. Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13,1-9)

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

 

Il vangelo che la Chiesa ci propone per questa III domenica di Quaresima è una parabola tratta dal vangelo di Luca. È la prima parabola che la liturgia domenicale ci fa incontrare in questo anno liturgico.

Ad una prima lettura nascono alcune domande:

I-  Perché il vignaiolo non gli ha zappato intorno e non gli ha messo il concime prima? Cioè perché non ha fatto subito, alle prime avvisaglie di infecondità, ciò che poteva aiutare il fico a dare frutti?

II-    Dov’è che abbiamo già sentito parlare di alberi che non danno frutto e di come ci si comporta in questi casi?

Riguardo alla prima questione non dobbiamo stupirci troppo. Le parabole sono storie inventate, che vogliono condurci verso un momento di svolta. E per costruire letterariamente questo percorso sono necessari degli escamotage: il fatto che da 3 anni il fico sia sterile serve al narratore per sottolineare quanto fosse sensata la richiesta di tagliarlo.

È proprio questa costruzione narrativa infatti che ci conduce al vertice della parabola, che consiste nel fatto che – contro ogni buon senso o senso comune – il fico alla fine non venga tagliato.

La seconda questione è invece più interessante, perché se andiamo a rileggerci Lc 3,9, troviamo quanto diceva Giovanni Battista durante la sua predicazione nel deserto: «Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco».

Fatte queste considerazioni preliminari dobbiamo stare attenti ancora ad un aspetto. Con troppa facilità infatti noi quando leggiamo le parabole, usciamo dal racconto e identifichiamo i personaggi della storia con persone reali. Istintivamente in questo caso ci verrebbe da dire che Dio è il padrone dell’albero e Gesù il vignaiolo.

In realtà io non credo che questa identificazione sia legittima. Piuttosto mi pare sensato identificare il proprietario con la logica umana (ben esemplificata da Giovanni Battista) e il vignaiolo con il volto di Dio che Gesù vuole far conoscere.

 

Fatte tutte queste premesse, e provando a ripercorrere il testo, possiamo chiederci cosa esso ci dice:

 

 
DI DIO
 
DELLA STORIA
 
Non è cieco sulla sterilità della storia
 
lascialo ancora quest’anno
 
È sterile
Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò
 
 
La sua logica è che ciò che è sterile ha bisogno di cure
 
finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime
 
La sua logica è che ciò che è sterile vada tagliato
Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque
 
Ciò che è sterile può tornare a dare frutto
Vedremo se porterà frutti per l’avvenire
 
Ciò che è sterile va tagliato perché non solo non dà frutto, ma sfrutta / rende inutilizzabile altro
Perché deve sfruttare il terreno?
 

 

Lo sguardo che Gesù ha sulla storia, dunque lo sguardo che Egli ci dice che Dio ha sulla storia, non coincide con quello di Giovanni Battista.

Dio non sta con la scure alla radice degli alberi, pronto a tagliare chi non porta frutto, quasi con una foga vendicativa e un compiacimento, tipico di chi pensa di liberare il mondo dal male estirpando i malvagi o i non particolarmente fervorosi per la causa…

Il volto vero di Dio, secondo Gesù, è un altro: è un volto che guarda alla storia diversamente, con un’incrollabile fiducia, che se amati, curati, aiutati, tutti possono dare frutto.

In questo percorso che la quaresima ci sta facendo fare della riscoperta del volto di Dio, credo che questo testo, forse meno noto di altri, sia un passo importante, anche perché si tratta di una narrazione semplice, lineare, chiara.

A partire da essa potremmo tornare a chiederci, nella nostra situazione o nelle tante altre situazioni umane che ci troviamo ad incontrare, qual è lo sguardo che Dio pone su di esse… e provare ad essere figli di un Dio che ha questo volto e non quello scuro di chi ha in mano la scure…

martedì 16 febbraio 2016

II Domenica di Quaresima


Dal libro della Genesi (Gn 15,5-12.17-18)
In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo». Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò. Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io dò questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate».
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (Fil 3,17-4,1)
Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose. Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!
 
Dal vangelo secondo Luca (Lc 9,28-36)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
 
In questa Seconda Domenica di Quaresima, la Chiesa – come di consueto – ci invita a riflettere sul brano della Trasfigurazione.
È un evento della vita di Gesù particolarmente ostico per noi lettori, o almeno per me. È difficile, dietro al linguaggio degli evangelisti, ricomprendere cosa sia accaduto e quale sia il senso di questa esperienza che Gesù, per primo, e poi i suoi tre discepoli, vivono.
Anche perché le espressioni “il suo volto cambiò d’aspetto”, “la sua veste divenne candida e sfolgorante” possono essere interpretate sia con un senso letterale, sia con un senso figurato.
Nel primo caso la nostra mente si immagina uno (spaventevole) cambiamento dei tratti del volto di Gesù (spaventevole, non perché assuma tratti mostruosi, ma perché il solo fatto di assistere alla modificazione dei connotati del volto è un po’ spaventoso); nel secondo, ci vengono forse più in mente alcune esperienze che anche noi abbiamo fatto di incontrare persone raggianti, per qualsiasi motivo. Davvero, anche in questo caso si potrebbe dire “il suo volto cambiò d’aspetto”.
Io credo che il rischio di interpretare la trasfigurazione nel primo senso (quasi catalogandola insieme all’immaginario di tutti quei cartoni animati o film in cui ci sono questi effetti speciali di trasformazione dei volti) sia forte e apportatore di molti fraintendimenti: ci viene infatti un misto di reazioni disgustate, timorose, sarcastiche.
Lo stesso si può dire dell’incontro con Mosè ed Elia: come va interpretato quell’“apparsi nella gloria”?
Come sempre il problema è il background culturale a cui il linguaggio e le immagini attingono. Bisognerebbe chiedersi se coloro che hanno scritto hanno i nostri medesimi riferimenti, per esempio quando parlano di “gloria”.
Quello che voglio suggerire è che un’interpretazione troppo legata alla lettera, alla plasticità della scena descritta, rischia di farci perdere il senso di questo evento.
L’arte, da questo punto di vista, non ci ha aiutato nel corso dei secoli, sottolineando eccessivamente la extra-ordinarietà dell’episodio.
Forse dovremmo riuscire a non fermarci alla coreografia scenica, per andare al messaggio della rappresentazione che gli evangelisti tratteggiano.

martedì 9 febbraio 2016

I Domenica di Quaresima: Le tentazioni secondo Luca


Dal libro del Deuteronòmio (Dt 26,4-10)
Mosè parlò al popolo e disse: «Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: “Mio padre era un Aramèo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio».
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 10,8-13)
Fratelli, che cosa dice [Mosè]? «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore», cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso». Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato».
 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4,1-13)
In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la dò a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
 
In questa Prima Domenica di Quaresima, la Chiesa ci propone il brano delle tentazioni secondo l’evangelista Luca.
È un testo con cui abbiamo già avuto a che fare molte volte e sul quale già è stato detto molto. Quest’anno vorrei concentrarmi su uno dei tanti punti di vista da cui questo testo può essere guardato, ed in particolare provare a guardare alle tentazioni di Gesù come al messia che avrebbe potuto essere e che, invece, ha scelto di non essere.
Dietro a questo approccio restano sullo sfondo due questioni fondamentali per tutto il Vangelo: chi è Dio e che dio ha deciso di non essere; che uomo decido io di essere e dunque che tipo di uomo decido di non essere.
Ma torniamo al testo.
La prima tentazione secondo Luca è «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane».
Gesù cioè avrebbe potuto essere il messia che fa le magie, quello che affronta e risolve i problemi della vita (la fame è quello primario per ciascun uomo) attraverso prodigi.
Come ha ben messo in luce Dostoevskij nel Grande inquisitore (capitolo insuperabile de I fratelli Karamazov), in questo modo, Gesù avrebbe incontrato un grande – forse un indiscusso – consenso.
Eppure… avrebbe rinunciato a instaurare con l’uomo una relazione libera. L’uomo l’avrebbe sì seguito, gli avrebbe dato ascolto, avrebbe fatto tutto quello che Egli voleva. Ma non per amore, bensì per il pane, per vedere soddisfatti i propri bisogni.
E Gesù ha deciso di non essere questo tipo di messia.
Dovremmo farci interpellare molto da questa sua scelta: troppo spesso noi abbiamo instaurato e continuiamo a instaurare con lui una relazione che ha queste caratteristiche: gli chiediamo di intervenire nella storia per risolverci i problemi (dai più sciocchi “Fammi andar bene l’interrogazione” ai più seri “Fammi guarire dal tumore”) e siamo disposti a fare di tutto in cambio dei suoi prodigi (quanti voti, quante preghiere, quante rinunce…). Ma, ponendoci in questo atteggiamento, ci stiamo rivolgendo alla persona sbagliata: Gesù ha deciso di non essere questo tipo di messia. Il Dio che ci ha fatto conoscere non è un dio così e non vuole uomini così.
La seconda tentazione, secondo l’evangelista Luca, suona in questi termini: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la dò a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo».
Gesù cioè avrebbe potuto essere il messia che domina, con potere e gloria, il mondo, rinunciando ad essere figlio del Padre e adoratore del divisore (diavolo vuol proprio dire “colui che divide”). In gioco non ci sono le accuse medievali di adorazione del demonio; qui il diavolo è una figura letteraria che serve per esplicitare le tentazioni e che non a caso Luca chiama “diavolo” (divisore) e a cui non a caso fa dire «se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo»: infatti ciò che “sarà suo” è il potere e la gloria, cioè ciò che di più divisorio esiste al mondo, come mirabilmente ha colto anche De Andrè: «Non ci sono poteri buoni». Il potere infatti divide sempre il mondo tra chi non ce l’ha e chi ce l’ha. Non può esserci il “potere di tutti”, altrimenti non è più potere.
Gesù ha perciò rifiutato di essere il potente che decide per gli altri, che fa andare bene le cose con l’imposizione, l’autorità, con la sua scelta. Fosse pur stata una scelta buona, una decisione giusta, il solo fatto che venisse imposta la rendeva coercitiva. Ma come dirà altrove, Egli non voleva servi, ma amici e gli amici si conquistano nella storia delle libertà, non con la forza.
Anche questa tentazione dovrebbe interpellare da vicino la nostra relazione con Lui: quante volte ci siamo riempiti la bocca di “fare la sua volontà”, interpretando la parola “volontà” assimilandola a quella di un imperscrutabile sovrano, che non comprendiamo, ma che sicuramente – se ci obbliga – ci obbliga per il nostro bene? Ci siamo costretti e abbiamo costretto altri dentro a dinamiche di potere, di coercizione, di soffocamento, di mortificazione, di sudditanza attribuendo questo atteggiamento alla volontà di Dio, mentre suo figlio, quel modo di essere “Signore” lo aveva rifiutato in nome di una relazione diversa con gli uomini.
La terza e ultima tentazione è infine: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». È la più subdola e la più pericolosa: se la prima riguarda l’economia (il pane) e la seconda la politica (il potere), la terza riguarda la religione (il volto di Dio). La figura letteraria del diavolo si fa infatti più raffinata e cita per ben due volte la Scrittura (cita la Bibbia, non qualche giornaletto porno!); e la cita per dire una cosa verissima e bellissima del Dio che il popolo di Israele aveva conosciuto: Dio è un custode.
Come se il diavolo dicesse: “non vuoi essere il messia delle magie, che cerca il consenso dell’uomo intervenendo nella storia risolvendogli i problemi; non vuoi essere il messia potente, che governando la storia col suo dominio può farla andare per il verso giusto; vorrai almeno essere il figlio di un Dio che custodisce?”. Il gioco del diavolo è quello di andare ad attirare Gesù dentro al suo territorio, di dargli ragione, di parlargli di un volto di Dio consonante a quello che Lui ha in testa: un Dio che non cerca consenso con le magie, un Dio che non vuole dominare la storia con la coercizione, un Dio custodente. Ma ecco il colpo dello scorpione: se è un Dio che custodisce, perché non ti butti giù e lo dimostri a tutti e prima di tutto a te stesso (che Dio è davvero così)?
Ma Gesù non si butta (così come non scenderà dalla croce), non accetta cioè di essere quel messia che dimostra come è fatto Dio, che ne dà una prova. Perché la dimostrazione, la prova, così come il pane e il potere impediscono di intessere una relazione personale, da cuore a cuore, da storia a storia, da libertà a libertà.
Anche questa tentazione, anzi, forse soprattutto questa, dovrebbe farci riflettere sulla nostra relazione col Signore: quante volte riduciamo la sua personalità ad uno schemino in cui tutto torna, quante volte citiamo la Bibbia solo in funzione di questo schemino e quanto poco lo lasciamo essere ciò che ha deciso di essere.

martedì 2 febbraio 2016

V Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 6,1-2.3-8)

Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 15,1-11)

Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano! A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 5,1-11)

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

 

Continuiamo con la lettura del vangelo di Luca, l’evangelista di quest’anno.

Domenica la liturgia ci propone il brano di vangelo che narra l’incontro di Gesù con i suoi primi discepoli, in occasione di quella che diverrà nota come “la pesca miracolosa”.

Ciò che ha attirato la mia attenzione questa settimana sono alcune espressioni usate dai protagonisti in questa vicenda.

Innanzitutto la constatazione di Pietro, quando Gesù gli suggerisce di prendere il largo e gettare le reti: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla».

Quando Gesù si imbatte nelle persone, la sua proposta è sempre una proposta vitale, che suscita energie positive, che muove a rientusiasmarsi per l’esistenza: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca».

La risposta di Pietro, come credo potrebbero essere le nostre, rimanda invece ad una disillusione: tutta la notte (cioè tutta la vita) abbiamo faticato invano… Ci abbiamo provato davvero, e non per modo di dire, a vivere intensamente e con speranza la vita, ma il risultato è stato deludente… che fatica…

Pietro però aggiunge qualcosa: «ma sulla tua parola getterò le reti». Pietro cioè fa la scelta di ri-fidarsi della vita, nonostante la disillusione, la stanchezza, la mortificazione delle speranze… Torna a fidarsi della vita, che gli si presenta nelle vesti di Gesù, quel rabbi in cui ha intravisto qualcosa di promettente. Si fida della sua parola. E il risultato è sorprendente: un pieno di vitalità che contrasta fortemente con la desolazione precedente.

L’evangelista Luca pare suggerirci allora – attraverso questo episodio – cosa accade quando ci si imbatte in Gesù di Nazareth: ci raggiunge nelle nostre vite affaticate e deluse, ci fa una proposta che promette un’iniezione di vitalità e mantiene le sue promesse: «presero una quantità enorme di pesci».

Ma non si tratta di una magia estemporanea, un’euforia passeggera che a breve ci rigetterà nella mediocrità delle nostre sterili fatiche: è un’iniezione di vitalità che apre possibilità nuove, che abilita a fare passi inaspettati, ad instradarci in percorsi insospettati: «d’ora in poi sarai pescatore di uomini».

Chi si lascia fare da Gesù (cioè chi si fida della sua Parola) la puntura di vitalità che propone (l’iniezione del suo spirito nelle nostre vene) diventa capace di trasformarsi da pescatore di pesci a pescatore di uomini, cioè diventa uno che può tirar fuori dal mare (cioè dal male) gli altri uomini. La sua iniezione di vita diventa contagiosa.


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

I più letti in assoluto

Relax con Bubble Shooter

Altri? qui

Countries

Flag Counter