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giovedì 21 febbraio 2013

Il pastore e il lupo

Lo Spirito di Cristo insegna a vedere oltre la maschera

Riporto integralmente qui quanto pubblicato nel sito “100 passi”.
Il post parla della vicenda sotto certi aspetti surreale di una senatrice del Pdl che scrive ai parroci non solo per avere il voto, ma per chiedere sostegno politico, riducendo di fatto le parrocchie a una succursale politica del suo partito!
Alla lettera della senatrice ammiccante presunti “valori non negoziabili” di cui si sentirebbe lei e il suo partito novelli crociati, segue la risposta franca ma cortesissima di don Gianfranco Formenton che da a lei (e ai cattolici che non l’avessero ancora capito) qualche lezione anche di sani principi morali sui cosiddetti “valori non negoziabili” che non possono non comprendere la dottrina sociale della Chiesa! Mentre – aggiungo io – la miopia pastorale non comprende che da questi dipendono le possibilità di una difesa non ipocrita degli altri: non è un caso, sottolinea anche don Gianfranco, che nei Vangeli proprio quelli sociali hanno l’esclusiva preoccupazione di Gesù e degli Apostoli.
(NB: le sottolineature sono mie)

LA LETTERA DELLA SENATRICE
Perugia, 8 febbraio 2013

Gentile Parroco,
mi sono decisa a scrivere questa lettera ai pastori del popolo cristiano dell'Umbria perché, dopo cinque anni trascorsi in Senato, so con certezza che nei primi mesi della prossima legislatura dovranno essere affrontati in Parlamento parecchi argomenti che riguardano temi etici importanti e delicatissimi. Mi riferisco, tra le altre, alle disposizioni sul fine vita (chi non ricorda il caso Englaro), alla legge sul matrimonio per le coppie omosessuali, all'adozione di bambini nelle stesse coppie omosessuali, alle problematiche sull'uso degli embrioni, all'apertura all'aborto eugenetico (che, di fatto, si va già diffondendo).

In Parlamento, lo scorso anno, ho costituito, assieme ad altri colleghi, l'Associazione parlamentare per la Vita. Una Associazione che è stata un baluardo contro ogni attacco volto a modificare in senso negativo la nostra legislazione. Malgrado ciò recenti orientamenti dei giudici hanno intaccato lo stesso dettato costituzionale in tema di famiglia, di adozioni e di fine vita.
Immagino che sulla politica economica del mio partito non tutto possa essere pienamente condivisibile e che, magari, alcuni preferiscano soluzioni diverse da quelle che abbiamo proposto o che abbiamo in programma di fare. Sui temi etici però, a differenza di altri partiti, il PdL è stato sempre unito e coerente, perché composto da molti cattolici e da altri che si definiscono laici adulti, la cui formazione culturale e politica è in ogni caso improntata al rispetto di tutti i valori non negoziabili. Se di politica economica si può discutere (ma io ho sempre lottato per orientare al bene comune l'azione dello Stato), su queste tematiche non ci sarà possibilità di mediazione. Mediare significherebbe comunque accettare che, prima o poi, si compia un'escalation che ha come traguardo la modificazione dei valori di fondo della nostra società, da ultima, per usare la denuncia dei vescovi spagnoli, la separazione della sessualità dalla persona: non più maschio e femmina, ma il sesso sarebbe un dato anatomico senza rilevanza antropologica.
È necessario che nel futuro Parlamento ci sia un numero di persone sufficienti a non far passare leggi contro la famiglia, l'uomo e la sua vita. Io mi sono impegnata e mi impegnerò in questo senso. Per questo chiedo anche il Suo sostegno e ringrazio per tutto quello che riterrà di fare.
Devotamente saluto,
Ada Urbani
candidata PdL al senato
www.adaurbani.it

LA RISPOSTA DI DON GIANFRANCO FORMENTON
Spoleto, 12 febbraio 2013

Gentile Senatrice,
ho ricevuto la sua lettera ai pastori del popolo cristiano dell'Umbria e ho deciso di risponderle in quanto pastore di una parte di questo popolo al quale recentemente il Card. Bagnasco ha raccomandato, dopo alcune eclatanti ed astrali promesse elettorali, di non farsi abbindolare.

Vedo che nella sua lettera lei parla in gran parte dei cosiddetti temi etici che lei riferisce unicamente ai luoghi comuni che tutti i politici in cerca di voti e consensi toccano quando si rivolgono ai cattolici: il fine vita, le unioni omosessuali, gli embrioni, l'aborto.

La ringrazio anche per la citazione dei vescovi spagnoli e per il suo impegno per la formazione culturale e politica improntata al rispetto di tutti i valori non negoziabili.

Ma rivolgendosi ai pastori del popolo cristiano lei dovrebbe ricordare che tra i valori non negoziabili nella vita, nella vita cristiana e soprattutto in politica entrano tutta una serie di comportamenti di vita, di etica pubblica e di testimonianza sui quali non mi sembra che il partito di cui lei fa parte né gli alleati che si è scelto siano pienamente consapevoli.

Sarebbe bello stendere un velo pietoso su tutto ciò che riguarda il capo del suo partito, sul quale non credo ci siano parole sufficienti per stigmatizzare i comportamenti, le esternazioni, le attitudini pruriginose, le cafonerie, le volgarità verbali che costituiscono tutto il panorama di disvalori che tutti i pastori del popolo cristiano cercano di indicare come immorali agli adulti cristiani e dai quali cercano di preservare le nuove generazioni.

Sarebbe bello ma i pastori non possono farlo perché lo spettacolo indecoroso del suo capo è stato anche una vera e propria modificazione dei valori di fondo della nostra società (come lei dice) operata anche grazie allo strapotere mediatico che ha realizzato una vera e propria rivoluzione (questa sì che gli è riuscita) secondo la quale oramai il relativismo morale, tanto condannato dalla Chiesa, è diventato realtà. Concordo con lei, su questo mediare significherebbe accettare.

Un'idea di vita irreale ha devastato le coscienze e i comportamenti dei nostri giovani che hanno smesso di sognare sogni nobili e si sono adagiati sugli sculettamenti delle veline, sui discorsi vacui nei pomeriggi televisivi, sui giochi idioti del fine pomeriggio e su una visione rampante e furbesca della politica fatta di igieniste dentali, di figli di boss nordisti, di pregiudicati che dobbiamo chiamare onorevoli.

Oltre a questo lei siederà nel Senato della Repubblica insieme a tutta una serie di personaggi che coltivano ideologie razziste, populiste, fasciste che sono assolutamente anti-cristiane, anti-evangeliche, anti-umane. Mi consenta di dirle francamente che il Vangelo che i pastori annunciano al popolo cristiano non ha nulla a che vedere con ideologie che contrappongono gli uomini in base alle razze, alle etnie, alle latitudini, ai soldi e, mi creda, mentre nel Vangelo non c'è una sola parola sulle unioni omosessuali, sul fine vita e sull'aborto: sulle discriminazioni, invece, sul rifiuto della violenza e su una visione degli altri come fratelli e non come nemici ci sono monumenti innalzati alla tolleranza, alla nonviolenza, all'accoglienza dello straniero, al rifiuto delle logiche della furbizia e del potere.

Mi dispiace, gentile senatrice, ma non riterrò di fare qualcosa né per lei, né per il suo partito, né per i vostri alleati, anzi. Se qualcosa farò anche in queste elezioni questo non sarà certo di suggerire alle pecorelle del mio gregge di votare per quelli che mi scrivono lettere esibendo presunte credenziali di cattolicità.

Mi sforzerò, come raccomanda il cardinale, di mettere in guardia tutti dal farsi abbindolare da certi ex-leoni diventati candidi agnelli. Se le posso dare un consiglio, desista da questa vecchia pratica democristiana di scrivere ai preti solo in campagna elettorale, e consigli il suo capo di seguire l'esempio fulgido del Papa. Sarebbe una vera opera di misericordia nei confronti del nostro popolo.
don Gianfranco Formenton

lunedì 4 febbraio 2013

Panem et circenses

Mario Balotelli

Molto è stato detto sulle promesse elettorali di Berlusconi: di abbassare le tasse prima e ora di restituire in contanti quell'IMU che peraltro lui stesso aveva votato e difeso sui giornali. Quest’ultima è stata chiamata “la proposta choc”! E sotto certi aspetti lo è veramente. Vediamo perché.

Berlusconi (coi suoi alleati) sta applicando, direi attualizzando, un vecchio metodo ben noto fin dagli albori di ogni potere assolutista e sintetizzato efficacemente nel primo secolo dal poeta latino Decimo Giunio Giovenale con l’espressione “panem et circenses”! Metodo che trasformava e trasforma ogni parvenza di democrazia nella concreta dittatura della demagogia. Manifestando anche a ben vedere un profondo disprezzo verso il proprio popolo: come se fosse un cane a cui basta un osso e una palla per renderlo felice! (Cosa che in realtà neanche al cane basterebbe!).

In Berlusconi, al pane corrisponde la restituzione dell’IMU e al circo, il circo calcistico del gladiatore Balotelli! È ovvio che costa di più dare da mangiare al popolo che acquistare un gladiatore! Se a Berlusconi è riuscita la seconda, è impossibile che gli riesca la prima!

Infatti Roma si indebitò per questo e andò in rovina anche per questo (altra causa fu il degrado morale. Ma guarda un po’ com’è attuale la storia!)! Così sarà per l’Italia se glielo permetteremo (ammesso che intenda e voglia realmente realizzarlo: anzi per le ragioni che dirò sotto è auspicabile che ancora una volta menta!).

Oggi, in un mondo globalizzato, se le casse sono vuote, non è più possibile fare come nel passato. A meno di scatenare il nostro esercito alla conquista dei continenti. E se anche dichiarassimo guerra, questo non potrà che generare lutto, rovina, distruzione, perdita di sovranità: proprio come nell’antichità e nel passato più recente. I sogni di ricchezza e gloria per il popolo italiano di Mussolini si sono infranti nell’impossibilità di conquistare un mondo che già allora cominciava – in qualche modo col colonialismo – a globalizzarsi.

Non è un caso che proprio “Roma Antica” fosse il modello che ispirava l’azione mussoliniana.
Che l’elogio di Berlusconi allo statista Mussolini (escludendo solo le leggi razziali “ha fatto cose buone”: quali di grazia?) vada ad iscriversi in questa logica? Io credo di sì: un filo rosso sangue li unisce. Non c’è solo l’occhiolino strizzato alle falange estreme dell’astensionismo. Certo non penso che Berlusconi lancerà i futuri F35 (temporale permettendo) alla conquista dell’Africa… la cosa non è così banale, ma come interpretare la “dichiarazione di guerra” contro l’Europa, la Cancelliera Angela Merkel, la BCE, il PPE, l’euro…?

Quanto detto credo inviti a non prendere sottogamba le sparate di Berlusconi… Non è a mio avviso una cosa su cui riderci sopra, insomma! Siamo agli albori, se gli italiani ci cascano, di una rovina più grande e forse senza ritorno del paese: che solidarietà potremmo aspettarci dagli altri popoli quando noi stessi abbiamo eletto colui che sarà causa della nostra e loro rovina? Perché qui in gioco non c’è solo l’Italia e/o l’Europa, ma – piaccia o non piaccia la globalizzazione – gli equilibri politici ed economici del pianeta. Non siamo il Liechtenstein dobbiamo assumerci anche il ruolo geopolitico che la storia, nel bene e nel male, ci ha consegnato.

Gli altri partiti e o coalizioni hanno il dovere di raccogliere la sfida scardinandone la logica di (s)governo soggiacente (“panem et circenses”) per mostrare nei fatti che oggi il consenso si fonda su un’attenzione all’uomo che si esplicita in valori che vanno oltre l’IMU e la risata facile: giustizia, pace, moralità, responsabilità, onestà, condivisione, solidarietà, ecologia, rispetto per l’uomo e la donna indipendentemente dal proprio status (religioso, affettivo, economico, culturale, etico…), multiculturalità, ecc.

Il consenso per produrre benessere per tutti non può che essere democratico: si deve fondare sulla conoscenza e sulla possibilità data a tutti e a ciascuno di decidere del proprio destino, personale e comunitario, per il bene globale. Altrimenti smettiamola di dire “poverino” quando vediamo persone ai margini della storia: della nostra compassione ed elemosina non se ne fa niente nessuno e men che meno la nostra coscienza.

Spiace vedere come una Chiesa, più preoccupata di non perdere posizione sociale (che peraltro – per fortuna per questa chiesa – continua inesorabilmente a perdere) che a illuminare la storia, sia sfuggita ancora una volta i rischi della sua (falsa) neutralità politica!

Piace invece notare che il testimone evangelico, di cui la Chiesa nel suo insieme è istituzionalmente apostola, sia da tempo ormai passato in altre mani “eretiche” molto più attente e premurose nel lenire – oltre il caritatevole e l’elemosina e anche a costo di sbagliare – le piaghe di un’umanità ferita (cfr Lc 10,33-35: ricordo che i Samaritani erano considerati all’epoca eretici e apostati).

giovedì 5 aprile 2012

I prediletti di Dio

Daniel Zamudio
Vorrei proporvi durante questa “Santa Settimana” (vedi nota *) in cui la cristianità fissa il suo sguardo sul “compimento” della vita di Gesù di Nazareth, di meditare “La Passione” guardando “Le Passioni” della storia di oggi.

Infatti “Il Giusto”, per la bibbia, è solo Dio. Quindi ogni ingiustizia è sempre anche direttamente contro Dio. Ne consegue che l’ingiustizia non dipende né dalla moralità, né dal grado di consapevolezza di chi la subisce, comunque le si giudichi, ma dalla offesa oggettiva arrecata all’uomo, “sua immagine”! Un’ingiustizia, è un’ingiustizia sempre, anche se chi la fa (o la subisce) non ne sono consapevoli.

Per questo nell’ingiustizia subita da Gesù – e di cui facciamo Memoria – è racchiusa ogni ingiustizia. E circolarmente, in ogni ingiustizia subita da qualunque uomo o donna, è riattualizzata sacramentalmente – come un alter Christus (Mt 25,40.45) – l’ingiustizia subita dal Figlio di Dio!
Se così non fosse, Gesù Cristo, nel suo “patirla così” – e ci vuole una vita per capire che non è mera rassegnazione – non avrebbe potuto salvarci!
Ora questa “solidarietà inscindibile” tra Dio e l’uomo, mi consente di proporre, in piena coerenza biblica, di cambiare il cuore meditando durante questa «Settimana Santa» sulla morte di Daniel Zamudio. Torturato e ammazzato perché omosessuale.

È la scelta che ho fatto non per escluderne altre, ma perché anche in ciò che Daniel ha patito, c’è come “segnato” ciò che i Vangeli vogliono indicarci attraverso il racconto della passione, morte e resurrezione di Gesù. Le analogie (quindi di identità e differenza come sempre quando parliamo di persone) con la morte di Gesù mi appaiono qui più evidenti.
Ne elenco solo alcune, oltre alla già citata mostruosa ingiustizia:

Marginale: Anche Daniel è (stata) una persona che per alcuni aspetti potremmo considerare – proprio come il Gesù storico – “marginale”.
Ultimo: È storicamente, suo malgrado, la storia di un “Ultimo”, evangelicamente parlando…
Conosciuto attraverso la morte: Nonostante ne conosciamo alcuni aspetti, praticamente è per noi un “senza-nome”, uno che non abbiamo conosciuto e non avremo – per l’irreparabile bestemmia di alcuni – mai più occasione di conoscere se non attraverso la comprensione delle “ragioni” della sua morte.
Maledetto: Per quei redivivi farisei, incapaci di vedere al là del proprio ombelico perbenista, era considerato una individuo riprovevole.
Bestemmiatore: Daniel era certamente un uomo che non poteva credere in tutto ciò che credono i moralisti…
Crocifisso: L’analogia non è solo per la violenza e le torture, ma per la forma “umiliante” di una morte inflitta a coloro che non erano considerati uomini perché “disprezzati”.
Scandaloso: Perché gay. Come scandaloso è scriverne facendo un parallelo con la figura del Crocifisso. Come scandaloso era Gesù che annunciava un modo nuovo di “guardarci” tra di noi… come scandalosi erano i suoi discepoli che annunciavano il suo Sguardo, come scandaloso è questo post che cerca di trasmetterlo. Ovviamente non per tutti ma per i presunti “pii” di ieri e di oggi che si scandalizzano del Vangelo. E nascondono che il vero scandalo consiste nel pensare che ad un uomo possano essere negati dei diritti perché non vive secondo una certa morale sessuale.
Pietra di inciampo: Il suo “epilogo” ci interpella a una presa di posizione che diventa l’ermeneutica autentica del nostro essere credenti inseriti in una comunità di credenti.
La sua morte ci giudica: Certo non ci saranno “evangelisti” che scriveranno di Daniel, eppure la sua storia, certamente nel suo compimento, è già inscritta nel Vangelo, in quanto diventa a mio parere discriminante nel giudicare il “tasso” di trasformazione evangelica del nostro cuore (immagine di ciò che ci fa figli/e di Dio… o statue di gelida pietra).

La sua morte dicevo, ma anche la sua vita! Perché se è morto così è perché qualcuno ha ritenuto che la sua vita non fosse degna di essere vissuta e al suo modo di essere occorreva porre un termine definitivo.

Non crediamoci migliori dei suoi assassini, consolati magari dall’etichetta che si sono affibbiati. Domandiamoci piuttosto se, sebbene non saremmo arrivati a tanto, sostanzialmente il nostro giudizio resti lo stesso!
Se c’è stato qualcuno che ha deciso di poterlo uccidere, ciò è dovuto al fatto che qualchedun altro ha predicato che una vita come la sua non fosse degna di essere vissuta!

Se, ad esempio, uno proclamasse che sarebbe “meglio avere un figlio morto piuttosto che un figlio gay”, come dovremmo giudicarlo se poi cominciasse a urlare disperato se qualcuno prendendolo di parola gli uccidesse il figlio gay? Eppure, non è proprio quello che fanno in molti anche nella chiesa? Non diciamo che andranno all’inferno? E di cosa ci lamentiamo se poi qualcuno glielo procura?
Anche le nostre mani grondano di sangue… del suo!

E allora che cosa ci differenzia da questi assassini? Provocatoriamente: la mancanza di coraggio di andare fino in fondo nel nostro giudizio e di passare dalla parole ai fatti? E non sarebbe una differenza che ci renderebbe peggiori degli assassini? Almeno loro hanno avuto il coraggio di essere coerenti. Mi rendo conto di dire qualcosa che sembra una bestemmia, ma è la stessa che ha pronunciato il Cristo in Lc 16,8.

E allora cerchiamo di convertirci conoscendo Daniel (come troppe volte accade) attraverso la descrizione della sua morte, lasciandoci commuovere da un dolore indicibile che ci trapassa il cuore e lo cambia!
Perché ci si domanda – prima ancora di chiedersi come sia potuto accadere: sterile domanda finché il cuore non è trasformato – che cosa si può fare perché “certe cose” non accadano mai più?

Quello che riesco a capire – sperando di non urtare nessuno – è che non si può stare a guardare. Non si può più semplicemente gridare. Direi che non basta più nemmeno “non essere omofobi”, come non basta denunciare l’omofobia od ogni altra fobia… È importante, ma non basta!
Quello che bisognerebbe cominciare a fare, come chiesa, come cristiani, come magistero, se si vuol restare uomini… è essere attivamente “[h]omofili”, amici dell’uomo, di ogni uomo (Gv 13,35)…

Non si può pensare di “difendere la morale cristiana” calpestando i nostri fratelli e sorelle più piccoli. Offenderemmo il Redentore. Piccoli non perché meno uomini, anzi! Piccoli in quanto indifesi, additati, oltraggiati, insultati, ridicolizzati, torturati, ammazzati… ma per questo veri uomini in quanto prediletti da Dio.

Con la vita di queste persone, ci stiamo giocando quella del Cristo. E del suo autentico annuncio! E questo lo dico per quelli che tradizionalmente fanno dell’«annuncio» il loro scopo, non capendo che lo scopo dell’annuncio lo si raggiunge, paradossalmente, proprio non facendone uno scopo: perché se c’è un scopo questo è solo la difesa e lo sviluppo della dignità di ogni uomo e donna. Indipendentemente dal giudizio morale che possiamo dare: ed è per questo che i suoi assassini avranno un giusto processo!
In altre parole, se ci preoccupassimo di meno di “annunciare il Cristo” e ci preoccupassimo di più di “risorgere – cioè apprezzare – ogni uomo”, annunceremmo veramente la Passione di Cristo!

Non pensare e agire in questo senso ci renderebbe – come uomini, come cristiani, come chiesa, come cittadini – veramente responsabili di un peccato di omissione ancor più spregevole del crimine commesso dagli stessi carnefici. È compito dell’impegno politico, oltre che pastorale, salvarci da una tale condanna.

(*: volevo pubblicare il post lunedì, ma impegni inderogabili me lo hanno impedito, lo faccio oggi convinto che possa aiutare qualcuno/a come ha aiutato me.
Un grazie al
Corriere della Sera che è stato uno dei pochi che ne ha messo subito in evidenza la notizia…
Che Daniel interceda per noi!).

Daniel Zamudio

martedì 5 aprile 2011

Dentro l'abisso


di Francesco Merlo

Tutto è stato detto su Berlusconi che racconta barzellette, niente su quelli che ridono. Sono servi? Sono a libro a paga? Sono sdoppiati? E se fosse peggio? In pochi giorni Berlusconi si è esibito per due volte ben oltre la decenza delle sue solite storielle.

E ogni volta, colpiti dalla scurrilità che è simpatia andata a male, dalla fuga nell’oscenità persino mimata che è la cifra degli spettacoli prolungati oltre la fine, abbiamo pensato che peggio di lui ci sono quelli che ridono. E ci sentiamo come Petrolini che reagiva così alla maleducazione di uno spettatore: «Non ce l’ho con lei, ma con quelli che le stanno accanto e non la buttano di sotto».
A Lampedusa, per esempio, quando ha raccontato la barzelletta sulle italiane ha riso anche il presidente Lombardo che, bene o male, guida una giunta di centrosinistra. E, due giorni dopo, indossavano la fascia tricolore tutti quei sindaci che hanno applaudito la mela che (non) «sa di f***».

Riguardate il filmato: non ce n’è uno che si mostri infelicemente rassegnato per quella degradazione istituzionale. È vero che gli applausi tradiscono qualcosa di nervoso ma tutti i sindaci ostentano un’aria compiaciuta e divertita per il premier che mortifica i luoghi e i riti dello Stato. Ovviamente sanno che la coprolalia non è compatibile con l’aula, con i ruoli e con la bandiera. Ma è proprio per questo che ridono. Non per le battute da postribolo, ma per i toni da villano di osteria che declassano e offendono tutti quei simboli ai quali, faticosamente e insieme, siamo riusciti a ridare valore, a sinistra come a destra.


Eppure i sindaci del centrodestra sanno meglio di noialtri che queste non sono più le solite barzellette per distrarre gli italiani, ma sono i rumori grevi e le impudicizie della stagione ultima. Lo sanno dai sondaggi e dagli umori interni, dalla depressione di Bondi, dalla paziente disperazione di Bonaiuti, dal disprezzo sibilato di Tremonti, dalla rassegnazione al martirio di Gianni Letta che – come ha detto in privato – teme «la passerella delle quarantatré ragazze più dei pugnali di Cesare»; e ancora lo sanno dall’irascibilità incongrua di La Russa, dalle donne in fuga dai letti del potere, dal disgusto certificato di Mantovano che è il solo ad essersi veramente dimesso (ma, si sa, è un magistrato), dalla sofferenza trattenuta della Carfagna e della Prestigiacomo, dall’impotenza comica del ministro degli Esteri, dal fastidio persino di Dell’Utri che ha confessato a un amico: «Due cose non deve fare un uomo: innamorarsi ed ubriacarsi. E Silvio si è innamorato e si è ubriacato di se stesso».

E tuttavia quelli ridono. Acclamano la barzelletta lunga e noiosa, approvano gioiosamente il turpiloquio. E noi, che li vediamo nel filmato, ci sentiamo imbarazzati al posto loro, e non più perché sappiamo che esistono un’altra comicità e un’altra educazione alla comicità: non è più questione di contrapporre risata a risata, Marziale alla barzelletta, e perciò forse dovremmo persino astenerci dal ridere, come nel Risorgimento, quando gli italiani rinunziavano a comprare il divertente «Figaro», vale a dire rinunziavano a ridere per non sovvenzionare gli austriaci. Certo, ci sembrano eversivi i drammatici e goffi numeri da caserma di un premier che intanto si sta battendo contro «i magistrati golpisti» che lo processano, vuole cambiare la Costituzione, e non controlla più il Paese impoverito e assediato... E però al cuore della nostra pena e della nostra rabbia ci sono innanzitutto quelli che ridono. Sono loro che ci fanno gelare il sangue.
Consenso? Compiacimento servile? Identificazione? Di sicuro sono risate di complicità. Ma non ridono come gli uomini di Stalin che temevano per la sopravvivenza loro e delle loro famiglie. Questi davvero pensano che la mela dal «sapore di f***» sia meglio che leggere Kant. E dunque voluttuosamente degradano istituzioni e cultura che, tra gli sberleffi, lasciano alla sinistra. La mela da brevettare è la loro cifra ontologica, il loro marchio. Nel film «Nessuno mi può giudicare», la prostituta Eva (Anna Foglietta) insegna la «vita» a Paola Cortellesi: «Se sono di destra, tu ridi, perché a loro piace tanto sembrare simpatici; se invece sono di sinistra, tu annuisci, perché loro hanno bisogno di sentirsi intelligenti». Insomma, si parte da una barzelletta e si arriva lontano. Allo scadimento del gusto italiano e a quella commedia di Luciano Salce dove Ugo Tognazzi, imprenditore di mezza età, racconta una barzelletta ai suoi dipendenti ed è felice di vederli ridere di gusto. Poco dopo lo stesso Tognazzi si sentirà sprofondare quando, trascinato dalla «voglia matta» per una giovanissima Catherine Spaak, racconterà la stessa barzelletta a un gruppo di ragazzi che lo guarderanno come un marziano e gli sveleranno la mestizia che si porta dentro. Certo, quei ragazzi non erano suoi dipendenti ma persone libere. E però questo non basta.
Non basta il libro paga per spiegare i laudatori di Berlusconi, per capire perché ridono. Anzi, dargli dei servi pagati finisce con l’essere un complimento perché ammette uno scarto dentro di loro tra la coscienza e il contratto, certifica il professionismo cinico di chi, cambiando editore di riferimento, sarebbe pronto a cambiare musica. E invece non è sempre così. C’è infatti una identificazione con la cultura della mela al «sapore di f***». Lo stesso Vittorio Sgarbi – è un esempio per tutti – gode nell’umiliare la specificità della sua stessa cultura, come quelli umiliano la fascia tricolore. Non per i soldi, ma perché c’è una voluttà nel profanare, nel farsi capre per rendere cavoli tutte le cose belle e profonde, tutte quelle meraviglie che da Caravaggio a Masaccio fanno la grandezza dell’arte.

Compiacciono Berlusconi dunque, e ridono ad ogni nuovo abbassamento di livello, a questo scadere dalle fogne ai pozzi neri. Ridono dinanzi a quella che gli studiosi di Storia Antica chiamerebbero Oclocrazia, ridono per massacrare un patrimonio anche se – come racconta Giorgio Manganelli nell’«Encomio del tiranno» – presto saranno loro, quelli che ridono, a farlo fuori con uno sbadiglio.

Se qualcuno ha stomaco per sentirsi la barzelletta berlusconiana, può vedersela qui

venerdì 18 marzo 2011

Anatomia di un disastro: le menzogne strutturali


L’articolo di Carlo Bonini, qui sotto, che ho tratto da repubblica.it, fa la cronistoria delle menzogne (sempre a fin di bene, per non allarmare la popolazione! – lo dico ironicamente) del governo giapponese e della società che gestisce gli impianti e della società statale di controllo. Tutti mentono!

Dall’articolo però si potrebbe trarre la conclusione che da noi queste menzogne non accadrebbero. Falso! Quando gli incidenti dei reattori accaddero negli USA e in Francia, come in Gran Bretagna e altrove… tutti mentirono a loro tempo! Anche gli USA e la Francia che qui fanno la figura di guardiani della trasparenza. A suo tempo il governo francese, mentì persino sulla estensione e sul livello delle radiazioni di Chernobyl in territorio francese, i cui cittadini al nord mangiarono allegramente frutta e verdura dei loro orti e campi, ignari del pericolo a cui andavano incontro!

Non è un problema di “onestà”: la menzogna è “strutturale” a questo sitema
Queste società che hanno come fine ovvio e di per sé legittimo di guadagnare dalle loro attività produttive, hanno tutto l’interesse a nascondere la propria (vera o presunta) inefficienza! Ecco perché mai è accaduto che una società di qualunque tipo, riveli subito al mondo gli “incidenti” sulla propria attività produttiva. Almeno fino a quando non ci scappa il morto e non si riesce a nascondere il cadavere. Da parte loro i governi e le agenzie di controllo, che hanno concesso le autorizzazioni necessarie all’attività lavorativa, e hanno il compito di vigilare al rispetto delle norme, soprattutto se riguardano un’attività delicata, tendono naturalmente a nascondere (fin che ci riescono) le proprie, seppur a volte indirette, responsabilità.

Una ragione in più, se ce ne fosse bisogno di mettere al bando ogni attività non solo nucleare che comporti, anche se ci fossero indiscussi vantaggi economici (cosa da escludere per le centrali nucleari ove i dati dei nuclearisti sono necessariamente manipolati in quanto non considerano né le spese stoccaggio e riciclaggio rifiuti, né le spese di dismissione della centrale: come dire la menzogna fin dall’origine) rischi per la popolazione. È chiaro che una tale decisione comporti la necessità di rivedere in profondità fine e forma del presunto progresso. Conoscete voi dei politici capaci di questa rivoluzione copernicana? Io no!

Nel giorno sei della Grande Paura, sostiene Washington e, nei fatti, Parigi, che Tokyo abbia sin qui nascosto la verità. Cosa è successo, dunque, e cosa può ancora davvero accadere nella centrale di Fukushima Daiichi? Di quali e di quante informazioni "privilegiate" il governo di Tokyo, l'agenzia nazionale per la sicurezza nucleare (la Nisa), il gestore dell'impianto (la Tepco, Tokio Electric power company) non hanno reso partecipe il mondo?

LO SCHIAFFO AMERICANO
Il pugno sul tavolo battuto dagli americani è storia di ieri. Ma a Vienna, già martedì sera, il giapponese Yukia Amano, direttore dell'Aiea (Agenzia Internazionale per l'energia atomica), mette da parte ogni diplomazia: "Abbiamo bisogno di maggiori informazioni, di più dettagli, di tempi più rapidi di comunicazione". Nelle stesse ore, il russo Iouli Andreev, uno degli specialisti che lavorò allo "spegnimento" del mostro di Cernobyl, è di una franchezza brutale. "So per esperienza - dice alla Reuters - che le autorità giapponesi sono in una situazione di tranquillo panico. Le loro parole e le loro azioni, come quelle della Aiea, dipendono dall'industria atomica, che richiede disciplina e burocrazia". Una "verità" che Kuni Yogo, ingegnere della "Japan Science Technology Agency", declina al New York Times in modo ancora più asciutto: "Il governo giapponese e la Tepco stanno svelando solo ciò che ritengono necessario".

È un fatto che l'agonia dei quattro reattori di Fukushima appare oggi non solo e non tanto la sgomenta presa d'atto di un incidente in divenire. Ma il progressivo svelamento di una verità che il governo giapponese e la Tepco intuiscono già nelle prime ore della catastrofe, ma provano ostinatamente a dissimulare. Nella speranza che quei reattori possano tornare sotto controllo prima che il mondo cominci ad averne paura.

EMERGENZA PRECAUZIONALE

Conviene dunque tornare alle 19.46, ora di Tokyo, dell'11 marzo. Sono trascorse cinque ore dalla scossa al largo del Pacifico e meno di quattro dall'onda di Tsunami. La Tepco sa che i sistemi di raffreddamento dei reattori 1, 2 e 3 di Fukushima sono fuori uso. È avvertita del rischio legato a un prolungato surriscaldamento del loro combustibile. La Tepco ha una storia di significativa opacità. Nel 2002, ha ammesso di aver falsificato negli anni '90 e '80 i test di sicurezza delle sue centrali (e tra questi quelli di Fukushima). Nel 2007, ha mentito sull'entità di una fuga radioattiva dalla centrale di Kashiwazaki-Kariwa dopo una scossa di terremoto. Anche l'11 marzo, non brilla per loquacità. In modo asciutto informa il Governo del "problema del raffreddamento dei reattori". Ma la circostanza, nelle parole che alle 19.46 pronuncia Yukio Edano, portavoce del premier giapponese, non appare neppure sullo sfondo. "È stata dichiarata l'emergenza nucleare a scopo precauzionale - spiega - Non c'è fuga radioattiva. La linea di evacuazione è di 3 chilometri dal sito". Nella notte, i toni si fanno ancora più rassicuranti. Perché se è vero che alle 21.55 fonti del governo ipotizzano già "una prima fuga radioattiva" dalla centrale, all'1 e 27 del mattino, la prefettura di Fukushima informa che per il pomeriggio del 12 marzo "i sistemi di raffreddamento dei reattori saranno nuovamente in funzione".

INCIDENTE DI LIVELLO 4
In realtà, nella notte tra l'11 e il 12, la Tepco sa che il sistema di raffreddamento dei reattori non ha nessuna possibilità di riprendere vita. Al punto che, nella mattinata del 12, il gestore avverte che nei reattori 1 e 2 il livello dell'acqua che copre le barre di combustibile è sceso per la progressiva evaporazione e che "un rilascio di materia radioattiva è possibile". La notizia è propedeutica allo sfiato controllato nell'atmosfera di vapore di idrogeno radioattivo che abbassi la pressione nei reattori. Manovra che il governo autorizza. Insieme al pompaggio nel sistema di raffreddamento di acqua marina e boro. C'è una prima esplosione che scoperchia l'edificio del reattore 1. Ma a Vienna, la Aiea, sulla scorta delle informazioni che arrivano da Tokyo, rassicura. La sera del 12, quando in Giappone è ormai la mattina del 13, un comunicato annuncia infatti che "la Nisa ha classificato l'incidente di livello 4 della scala Ines. Con conseguenze locali".

IL NERVOSISMO FRANCESE
C'è un'oggettiva incongruenza tra le rassicurazioni di Tokyo e le misure che il governo dispone sul terreno. Il 13 marzo, l'area di evacuazione intorno alla centrale sale a 20 chilometri e comincia la distribuzione di pillole di iodio alla popolazione. Mentre alle 11 del mattino del 14 marzo un'esplosione scuote l'edificio del reattore 3. È la prova che a Fukushima, a distanza ormai di tre giorni, le operazioni di raffreddamento dei reattori, non hanno prodotto nessun effetto. Ce ne sarebbe per rivedere il giudizio sulla classificazione dell'incidente. Ma le autorità giapponesi non tornano sui propri passi. Neppure la mattina del 15 marzo, quando si liberano due esplosioni dai reattori 2 e 4. Il primo ministro Naoto Khan ne viene informato dalla stampa e, pubblicamente, mostra la sua furia con la Tepco: "Vorrei sapere che diavolo sta succedendo". Quindi, aggiunge: "Il rischio di fuga radioattiva sta crescendo".

LA VERITÀ VIENE A GALLA
È Parigi, allora, a decidere di bucare la bolla di dissimulazione. Il livello di radiazioni registrate nella centrale il 15 marzo - i primi a essere diffusi - documentano 400 millisievert l'ora. Duecento volte la dose che un essere umano assorbe naturalmente nell'arco di un anno. Di più: i francesi, sulla base di proprie informazioni (hanno un team della Protezione civile a Sendai), ritengono di poter affermare con sicurezza che il nocciolo e il combustibile di almeno due dei tre reattori "è danneggiato" (circostanza che i giapponesi confermeranno solo nelle 24 ore successive). Che l'esplosione dell'edificio che ospita il reattore 4, in corrispondenza della piscina di decadimento del combustibile esausto aggiunge un nuovo elemento di assoluta criticità. Che, come era possibile prevedere, la catastrofe ora si allarga anche a quei reattori che pure erano in manutenzione al momento del terremoto. "È un incidente di livello 6". È la verità, appunto. Che, ora, anche i giapponesi cominciano ad ammettere.

giovedì 17 marzo 2011

Il dovere della paura


di Barbara Spinelli
Ci sono momenti così, nella storia degli uomini: dove si reagisce con l’emozione oltre che con la razionalità, perché l’emozione sveglia, incita a stare all’erta. Già in Eschilo, la passione e il patire sono fonti d’apprendimento. È il caso del Giappone da quando, venerdì, lo tsunami s’è aggiunto al terremoto e non solo ha spazzato case, vite, villaggi, ma ha causato l’esplosione di quattro reattori nucleari a Fukushima.

All’orrore spuntato dal sottosuolo e dal mare s’aggiunge ora una pioggia radioattiva che spinge chi abita presso le centrali a fuggire o barricarsi in casa. Ci sono momenti in cui si apre una fessura nel mondo, e non solo in quello fisico ma in quello mentale, sicché occorre ricorrere ai più diversi espedienti: all’intelligenza razionale, alla discussione pubblica, ma anche alla paura, questa passione giudicata troppo triste per servire da rimedio.
Non a caso, quando sollecita la responsabilità per il futuro della terra, il filosofo Hans Jonas parla di paura euristica: non la paura che paralizza l’azione o è usata dai dittatori, ma quella che cerca di capire, di scoprire (questo significa euristica). Che è generatrice di curiosità, prevede il male con apprensione, fa domande, sprona a rettificare quanto pensato e fatto sinora. Jonas evoca addirittura il dovere della paura: «Diventa necessario il «fiuto» di un’euristica della paura che non si limiti a scoprire e raffigurare il nuovo oggetto, ma renda noto il particolare interesse etico che ne risulta» (Il principio di responsabilità, Einaudi ‘90).
Alla luce del principio di responsabilità appaiono completamente inani i governi – come l’italiano, il francese – che screditano questa paura, e in tal modo negano la gravità del momento e l’urgenza di correggere i piani nucleari. Obama e Angela Merkel dicono ben altro: «Non si può fare come se nulla fosse». Non così il ministro dell’energia Eric Besson, o il ministro per lo sviluppo economico Paolo Romani. Per Besson nulla cambia, neanche le centrali invecchiate come quelle giapponesi: nella conferenza stampa di sabato ha evitato il termine «catastrofe», preferendo il meno allarmante «incidente grave». Stesso atteggiamento in Romani, che ha invitato l’altro ieri a «non farsi prendere dalla paura», senza sapere di che parlava. Non sono i soli: anche i governanti giapponesi hanno a lungo minimizzato, prendendo per buone le assicurazioni dei gestori delle centrali (Tepco, Tokyo Electric Power Corporation). La stessa Tepco che più volte è stata indagata (specie nel 2002-3) per il non rispetto delle norme anti-sismiche.

Apocalisse è vocabolo che s’espande come un virus, dall’inizio del cataclisma. Ma apocalisse è altra cosa, ha legami con la religione: è rivelazione di un piano divino, è l’omega che si ricongiunge all’alfa, è il cerchio terrestre che chiudendosi si schiude all’oltrevita. I colpiti sono innocenti, ma per qualche motivo Dio vuole che la storia terrestre s’esaurisca così, stroncando il libero arbitrio d’ognuno. Per questo conviene dismettere questa parola molto scabrosa, che sigilla gli occhi a quel che accade qui, ora; in terra, in mare. Eventi simili non sono la fine del mondo, pur preludendo forse a essa. Sono piuttosto la fine di un mondo: di certezze, di assiomi cocciutamente coltivati.

In Giappone, per vie misteriose, suscitano ricordi funesti, che hanno radici profondissime nella sua cultura recente. Il collasso delle centrali nucleari rimanda al trauma mai sopito di Hiroshima e Nagasaki, quando Washington diede a Tokyo questa lezione di inaudita violenza. La terra che ti squassa, la solitudine dell’uomo in tanto scompiglio, la natura maligna, la morte nucleare che incombe: nelle teste nipponiche è incubo magari dissimulato ma è sempre lì, in agguato. Lo dicono i volti che ci fissano in queste ore: impietriti, più che impassibili. Lo vediamo nei corpi che d’un tratto s’immobilizzano, come morissero in piedi.
Non è vero che i giapponesi hanno paure più calme, controllate delle nostre. Il loro urlo non è quello di Munch ma è pur sempre urlo. Sappiamo dalla Bibbia quanto possa esser afono l’agnello, e il grido del Giappone è colmo di interrogativi atterriti: perché le autorità hanno permesso che centrali vecchie quarant’anni sopravvivessero? Perché non hanno previsto che anche dal mare poteva venire il mostro? Perché sono così evasive? Perché proprio Tokyo, che ha già vissuto la sventura e se la porta dentro come assillo, s’è fidata della tecnologia, non è corsa in tempo ai ripari?

Ci sono grandi disastri che hanno quest’effetto: di sconvolgere non solo le vite ma vasti castelli di teorie filosofiche ritenute sicure. L’Europa ha conosciuto ore analoghe: accadde nel terremoto di Lisbona, l’1 novembre 1755, e tutte le teorie si scardinarono. Anche quella fu fenditura d’un mondo: fondato sull’euforia tecnologica, sull’ottimismo, religioso o no. La modernità iniziava, e già inciampava. Ventidue anni prima, Alexander Pope aveva scritto un poema intitolato Saggio sull’Uomo. Il verso ricorrente era: «What ever is, is right»: tutto quel che esiste è bene. Ma ecco che si apre la crepa di Lisbona, sulla liscia pelle del pensare positivo. Voltaire, Kleist, Kant sono turbati e scoprono che non è più possibile consolarsi con Pope e le teodicee di Leibniz. Non è più possibile dire a se stessi, come Pangloss nel Candide di Voltaire: avanziamo «nel migliore dei mondi possibili».
Cadde anche l’illusione, cara alle chiese, sul dolore salvifico: non esiste una felix culpa, ma un male che ti prende di sorpresa, ingiusto. In presenza del disastro o del crimine sono più opportuni la sapienza di Kleist, le ricerche di Kant sulle origini dei terremoti (Kant è il primo a scoprire la «rabbia del mare»), lo sguardo di Voltaire: «Elementi, animali, umani, tutto è in guerra. Occorre confessarlo: il male è sulla terra». Ansioso di conforto, Rousseau scrisse incongruenze, in una lettera a Voltaire del 1756: «Non sempre una morte prematura è un male reale (...). Di tanti uomini schiacciati sotto le rovine di Lisbona, parecchi senza dubbio hanno evitato disgrazie più grandi, e (...) non è detto che uno solo di quegli sventurati abbia sofferto più che se, seguendo il corso naturale delle cose, avesse dovuto attendere in lunghe angosce la morte che lo ha colto invece di sorpresa». Ma anch’egli pone domande che solo l’emozione accende: non è stata edificata male Lisbona, con le sue case alte 6-7 piani? Non è l’uomo il colpevole, più della natura? Candide soffre il terremoto e conclude: «Bisogna coltivare (meglio) il proprio giardino», dunque la terra, perché questo tocca all’uomo. All’uomo descritto da Kant dopo il 1755: «legno storto», «mai più grande dell’uomo».

Il Giappone non ha alle spalle i settecenteschi ottimismi europei. Dopo Hiroshima si è risollevato con non poche rimozioni, ma con traumi indelebili. Cinema e letteratura narrano questi traumi, e una paura niente affatto calma. Su queste ramificazioni del pessimismo s’è rovesciato lo tsunami, e Jonas aiuta più di Voltaire. I giapponesi sapevano già che «il male è sulla terra», e quel che può soccorrerli è la paura che scoperchia, che scopre. La stessa paura che affiora da decenni, sotto forma di fantasmi, nel suo cinema, nella sua letteratura. In questi giorni guardi la tv, e sembra di vedere la città su cui s’abbatte l’indicibile cataclisma raccontato nel film Kairo, di Kiyoshi Kurosawa: strade e autobus vuoti, fughe verso il nulla, e in cielo, a distanza ravvicinata, un immenso aereo-avvoltoio (nell’Apocalisse griderebbe: «guai! guai!») che vola verso lo schianto.
Rivedere Kairo fa capire lo squasso mentale nipponico e anche il nostro. Il Giappone ha dietro di sé un’epoca che è stata chiamata Decennio perduto, fra il 1991 e il 2000, e s’è poi prolungata in Decenni perduti. Il film di Kurosawa risale a quegli anni (2001) e non è cinema dell’orrore ma – all’ombra dello tsunami – visione iperrealistica. Kairo vuol dire circuito: ma è un cerchio senza alfa e omega. Il fenomeno narrato da Kurosawa è quello di intere generazioni che si barricano in casa fino a divenire ombre davanti ai computer (le statistiche parlano di almeno un milione di drop-out). Il fenomeno si chiama Hikikomori: è un ritrarsi, confinarsi nella solitudine. Nasce da insicurezze esasperate dalla crisi, dal futuro amputato. Sulle pareti delle case, nel film, si stagliano informi ombre color carbone. Gridano «Aiutami!», nel momento in cui i giovani morenti lasciano in eredità quest’effigie di sé.

È la silhouette annerita dell’uomo accanto alla scala che apparve impressa su un muro di Hiroshima nel ‘45. L’incubo si stende sull’uomo, spaventandolo incessantemente. Viene da lontano, va lontano. Solo spaventandoci unisce il passato al presente; e ci tiene svegli, forse.

mercoledì 16 marzo 2011

C'è sempre un'alternativa

Centrale Nucleare in avaria a Fukushima in Giappone
Ecco che le lobby economiche che fino ad oggi ci hanno inquinato con gli scarichi petrolchimici di motori rumorosi si rifanno vive per arginare l’effetto Fukushima!
Il Corriere della Sera, così sensibile a questi interessi, si lancia oggi con un articolo demenziale di Edoardo Boncinelli. Mi dispiace dirlo perché Boncinelli, che ho incontrato personalmente a un convegno, normalmente sa usare il cervello, ma evidentemente qui mostra di aver perso quella lucidità che ha saputo dimostrare altrove.
Andatevelo a leggere! Io intendo contestare qui il suo delirante ragionamento: Il titolo del post è espressamente antitetico a quello dell’articolo.
Zombie
Le ferali notizie che ci giungono dal Giappone stanno portando tanto inopinatamente quanto perentoriamente alla ribalta le polemiche sull’utilizzazione delle centrali nucleari e i loro rischi.
Non se ne sentiva proprio il bisogno
(sic!), in un momento in cui occorrerebbe fare appello a tutta la nostra lucidità e in un Paese che è sempre pronto a rinunciare a priori a questo o a quello a causa di una tremenda, paralizzante paura delle novità tecnico-scientifiche. È facile in questo momento abbandonarsi all’onda emotiva e rinunciare mentalmente a ogni progetto che coinvolga l’energia nucleare. Sotto la spinta di questa onda, anche alcuni governi non hanno potuto fare a meno di annunciare provvedimenti restrittivi e la chiusura di vecchie centrali. Ma proprio perché il coinvolgimento emotivo di tutti quanti noi è più che evidente, occorre fare appello a tutta la razionalità che abbiamo a disposizione per non lasciarsi portare fuori strada dalle emozioni e soprattutto dalle paure, le meno illuminanti delle emozioni.

Evidentemente Boncinelli si sente uno zombie e l’uomo vero per Boncinelli è lo zombie! Come definire altrimenti una tale antropologia? Per lui l’essere umano è tale solo se è morto dentro, se le sue emozioni non interferiscono nel suo ragionamento. L’uomo come pura razionalità, freddo e impassibile come un cadavere. Ambulante morto.
Che razionalità è, una razionalità che censura parte del reale? E si immagina il mondo e l’uomo non “influenzato” dalla propria realtà sentimentale? Vero è che l’occidente ha censurato il sentimento, diventandone così spesso schiavo! Salvo farvi appello nella pubblicità per la vendita di prodotti inutili. L’economia è fredda, a lei interessa solo il profitto anche a costo di perderci. Sembra paradossale, ma solo apparentemente. Infatti l’inquinamento con la necessità di creare infrastrutture disinquinanti rischia di diventare il gioco perverso di una economia che abbia come fine solo se stessa. Come la società sudafricana che da un lato vendeva mine antiuomo (a Saddam) e dall’altro forniva (per conto dell’Onu) la propria consulenza per disinnescarle. In pace o in guerra ciò che conta è guadagnare.

Ma torniamo alla pseudo lucidità razionale di Boncinelli e adepti (ricordate? tra questi c’è anche il freddo Fini).
Ciascuno è quel che è, il carattere uno alcune volte se lo trova addosso, e ci può fare ben poco per cambiarlo se non dopo anni e anni di ascesi. Ma un conto – mi si perdoni per l’esempio, ma è solo per dare l’idea – è essere pedofili, un altro è sostenere che la pedofilia sia la modalità corretta per amare!
Il sentimento non è dis-trazione dal reale, ma immersione e conoscenza profonda di quello che ci circonda. Anche la paura. Essa ci è data per salvarci la vita avvertendoci, prima ancora di avere il tempo di abbozzare un ragionamento, che siamo davanti a un pericolo. Senza questo sentimento pre-razionale, non credo che oggi ci sarebbero ancora degli esseri umani sulla faccia della terra. Che sia a questo a cui mirano i fautori del nucleare? Il sospetto è legittimo.

Nell'uomo sentimento e razionalità, sono esigite entrambi, perché ciascuno aiuta l’altro a orientare l’uomo nella conoscenza vera di ciò che in generale si chiama Vita. Ma il sentimento arriva prima, di quello che è e sarà, o rischia di essere, il nostro presente e futuro. A volte agisce come un uragano che rischia di far perdere ogni razionalità, ma non per questo esso è irrazionale… solo ha bisogno di essere incanalato verso uno sbocco concreto, che non si limiti a essere solo emozione. Ma una razionalità che ignori il sentimento, porterà l’umanità verso l’autodistruzione. Perché, forse non ci abbiamo mai pensato, ma è il sentimento, l’emotività, che rende razionale la razionalità! Senza il sentimento, l’emotività, e persino la paura, la ragione è cieca e capace solo di sragionare, perché devia dal suo percorso vitale che solo il sentimento tiene desto.

Come le argomentazioni simili a quelle di Boncinelli evidenziano.
Definire l’Italia come un paese che è sempre pronto a rinunciare a priori a questo o a quello a causa di una tremenda, paralizzante paura delle novità tecnico-scientifiche, è un a priori che definisce solo la propria cecità. Faccio solo un esempio: Il fatto che siamo il paese con il più alto numero di telefonini sebbene non siano mai venuti meno i dubbi sulla sua capacità di produrre cancro al cervello, non aiuta a smontare dogmi ideologici funzionali ai propri interessi? Evidentemente no! Se gli interessi si contano in migliaia di miliardi di euro.
Compito della ragione è trovare la ragione delle proprie paure. Perché tutto sta a vedere se esse siano reali e immaginarie. Per questo bisogna domandarsi qual è il vero “oggetto” della paura. E non rimuoverla!

Non quindi la novità in sé fa paura agli italiani (anche se il meccanismo del nuovo porta sempre in sé un sospetto legittimo, da cui si capisce – ammesso che ci sia buona fede – la svista di Boncinelli), ma esattamente il contrario: il fatto che non ci sia reale novità!

Non c’è novità in una politica asservita al potere economico…
Non c’è novità in una scienza che continua ad essere finanziata dalle industrie…
Non c’è novità in una economia che pensa solo al profitto…
Non c’è novità in un progresso che non miri al vero progresso dell’uomo ma solo al suo conto in banca (per finanziare i prodotti dell’industria!).
Ditemi voi se c’è mai stato un disastro ecologico che non abbia coinvolto queste non-novità!

Politici inaffidabili…
Non la politica, ma i politici! Come ci si può fidare di politici disposti a rinunciare alle proprie idee e ideali per servire solo i propri interessi? I continui cambi di casacca dei politici italiani, possono ispirare fiducia nel giudizio e nelle scelte di questi politici e di chi li accoglie a braccia aperte? Quanti di questi politici sono veramente sganciati dagli interessi economici delle lobby economiche? In questo quadro, come poter credere alla loro buona fede? Il conflitto di interessi va ben oltre Berlusconi… È un problema mondiale il fatto che la politica non sia in grado, in questa economia, di riformare se stessa. I due terzi del Congresso americano sono in mano alle lobby. E l’Italia non è da meno. Non è una novità che nel disastro di Fukushima non siano esenti responsabilità anche dei politici giapponesi. Che tutto sapevano e tutto han nascosto. E non oso pensare cosa accadrebbe in Italia se questo è potuto accadere in un mondo politico dove un ministro è stato costretto a dimettersi per aver preso 400 euro di offerta! Come si può dare la responsabilità del nostro futuro a degli irresponsabili? Quello che sta accadendo in Libia non è ulteriore prova della loro inettitudine ad agire sulla storia per il bene comune delle popolazioni innocenti? Fin che si tratta di far andare in orario i treni, passi pure qualche ritardo… ma giocare col fuoco atomico con questi senza-coscienza (avete mai notato che a sentir loro, hanno sempre la “coscienza pulita”?) è sì il massimo di irrazionalità. Si ritorni alla vera politica e poi ci risentiremo sul nucleare!

Scienziati inaffidabili…
Non la scienza ma gli scienziati! Come ci si può fidare del giudizio degli scienziati quando questi sono al servizio degli interessi delle società che li finanziano? Altro che conflitto di interessi qui! Senza parlare che gli stessi scienziati sono divisi nel giudizio non per amore di verità scientifica, ma perché le società che finanziano le loro ricerche sono in concorrenza tra loro! Come ci si può fidare ancora del giudizio degli scienziati sulle centrali nucleari, quando sempre degli scienziati hanno dichiarato sicuri medicinali che non lo sono mai stati o hanno mentito sulla nocività di questo o quel prodotto?… O quando hanno dichiarato sicure centrali nucleari che si sono rivelate insicure?… Si sganci la scienza dai mastodontici interessi dell’industria e poi ci risentiremo sul nucleare! Certo che i tagli di Berlusconi-Bossi-Tremonti, non aiutano di certo a rendere autonoma la scienza. Se poi le lobby adesso entrano nel consiglio di amministrazione delle università (legge Gelmini), ben presto gli scienziati dichiareranno mangiabile anche la merda! In fondo è naturale e fa crescere le piante!

Industriali ed economisti inaffidabili…
Non l’economia e non l’industria in sé sono un problema, ma questa economia e questa industria! Come fidarsi ancora di questi industrialotti che passano il tempo a corrompere la politica e la scienza pur di ottenere il loro tornaconto?
Ma le leggiamo le notizie sui disastri ecologici? C’è n’è forse uno che non sia colpa loro? Non ultimo quello del Golfo del Messico? Dove i controllori erano benevoli perché vedevano nei controllati il loro futuro professionale. E questo negli USA, immaginiamoci da noi dove la corruzione imperversa! Eppoi mi vengono a parlare di pregiudizi sugli industriali, questi non sono pregiudizi, ma giudizi basati su fatti concreti.

Le società che costruiscono centrali nucleari, e quelle che le gestiscono, sono veramente al di sopra di ogni sospetto? La nostra è solo paura irrazionale? E non è vero invece che la paura ci sta avvertendo di qualcosa di irrazionale all’orizzonte? Le società private e non, che gestiscono le centrali nucleari, hanno sempre fatto gli interessi dello stato per il quale sono state costruite? Direi proprio di no! La Tepco che gestisce anche quella di Fukushima ha sempre mentito sui veri rischi della centrale. E chi ci dice che si dica il vero sulle altre? La Tepco non è un’eccezione, anzi, per gli industirali mentire è la regola. Si sa che anche quelle francesi, vivono di omertà! Per questo risultano sempre sicure anche se non lo fossero… E come credere che non sia solo fumo negli occhi il test di verifica (stress test) che tutte le capitali si apprestano a fare? Chi ci assicura che sia veritiero? E non sia come quello benevolo che la BCE ha fatto sulle banche? Fumo negli occhi che alla prima crisi pagheremo con la vita.

Eppoi chi ci dice che ciò che è sicuro oggi, sia ancora sicuro domani? La centrale elettronucleare giapponese Fukushima-1 è uno dei 25 maggiori impianti nucleari del mondo, costruito su progetto di General Electric, ed era considerato una delle strutture del genere fra le più sicure esistenti (fonte ANSA). Quando l’americana General Electric ha progettato il contenitore di acciaio (vessel) della centrale di Fukushima lo si credeva sicuro. Solo ora (ore 17,11 del 15 marzo fonte ANSA) si scopre che gli scienziati americani (sic!: ma non erano scienziati americani anche quelli che l’avevano progettata?) lo dichiarano progettualmente antiquato! Tante grazie, col senno di poi ci ero arrivato anch’io! E perché la politica, l’economia e la scienza non hanno fermato subito un impianto non più sicuro al 99,99 %? E chi ci dice che il crimine commesso in Giappone non si stia consumando altrove?

Ma ve la vedete voi un’Italia che costruisce un ostello per studenti universitari all’Aquila che si accartoccia alla prima “scossetta” di terremoto perché non avevano messo abbastanza cemento e omesso qualche pilastro, costruire centrali atomiche sicure? Eppoi la mafia non avrebbe niente da fare che guardare sfuggirle un affare colossale? È razionale pensare che la mafia stia a guardare o pensare che in qualche modo ci metta lo zampino costruendo come si sono costruiti gli impianti di riciclaggio che inquinano le falde a Napoli? Che si emargini la mafia e si riformi l’economia e poi ne riparleremo…

Ci sono sempre delle alternative
Dice ancora Boncinelli: Alla base della mia posizione a favore del nucleare ci sono due considerazioni elementari: al nucleare non ci sono vere alternative e le nazioni più sviluppate e civili ce lo hanno e lo usano da anni.

Certo che non ci sono alternative quando non le si cercano e ancor meno si finanziano! Se si investisse da subito per la ricerca di fonti alternative, dirottando i soldi per il nucleare per la riprogettazione dei “motori” per ridurre lo spreco (lo si è fatto con le lampadine e gli elettrodomestici che si aspetta a farlo col resto sviluppando ulteriormente la ricerca). Ma questo domanda allo stesso tempo una revisione dell’economia capitalista che si fonda sullo spreco. Ma a furia di sprecare stiamo per essere sommersi dai nostri detriti, non solo nucleari. Questo esige di porsi una buona volta la domanda sulla qualità del nostro progresso… E questo è compito anche della politica. Ma abbiamo visto da quali politici è abitata.
In quanto poi alla presunte nazioni più sviluppate e civili mi chiedo se Boncinelli ci inserisce il Giappone. In tal caso si risponde da sé…
Civile e sviluppata è una nazione che non si fonda sullo spreco, sul rischio della salute dei propri cittadini… Che punta sulla qualità della vita e non sulla quantità degli utili… ma qui il discorso rischia di diventare astratto oltre che allargarsi troppo.

Certo che in alcuni punti l’articolo rasenta il ridicolo, Come quando afferma che noi italiani vogliamo fare sempre di testa nostra, senza guardare a quello che fanno gli altri. Ma come, ci hanno sempre accusati di esterofilia! Diciamo che lo siamo spesso e volentieri nel copiare i difetti dei nostri vicini, aggiungendovi dei nostri. Molto più pigri nell’imitarli nelle virtù. A cominciare dal livello di trasparenza e di partecipazione dei cittadini al controllo del territorio e dell’operato dei suoi rappresentanti. La lista sarebbe troppo lunga di come da noi, azioni anche legali contro l’arroganza del potere politico ed economico, sono continuamente frustrati. D’altronde che attendersi da politici che sempre si auto-esonerano dalla responsabilità delle proprie azioni! E si permettono di sindacare su quella dei PM che vorrebbero richiamarli (in nome della legge che i politici hanno approvato!) alle proprie responsabilità almeno davanti alle loro leggi!

Ed è proprio per questo che è falso affermare come fa Boncinelli che il rischio si può contenere e controllare. Non questo rischio e non con questa fauna politica ed economica.

Quando parliamo poi di rischio col nucleare, non parliamo di rischio petrolchimico, dove al massimo si deve evacuare un territorio limitato (cfr Seveso), parliamo di rischio apocalittico di dimensioni planetarie, e sinceramente non possiamo permettercelo proprio perché, come dice Boncinelli, non è, e mai sarà, pari allo zero.

E questo direi che tagli la testa al toro! E chiude definitivamente il discorso: Di zero qui c’è soltanto l’azzeramento totale di ogni tipo di vantaggio davanti ad un rischio seppur piccolo di azzerare tutta la specie umana e un ritorno all’età della pietra per quei poveri deformati dalle radiazioni che sopravviverebbero. Altro che progresso!
Proprio perché, come ci invita a fare Boncinelli, noi guardiamo dritti in faccia i problemi noi sappiamo che quello nucleare ha come unica soluzione il suo bando totale (Bartolomeo I) che ci obbliga a investire risorse umane e finanziare per finalmente trovare le soluzioni che portino a un vero cambiamento, per un vero progresso di tutta l’umanità e non solo di alcuni oscuri personaggi che giocano con la menzogna sulla pelle degli altri e propria. Di questo bando totale, l'Italia dovrebbe farsi promotrice, come lo fece a suo tempo per la pena di morte!

Le persone favorevoli al nucleare mi sembrano come quei piloti che decidono di suicidarsi schiantando l’aereo con tutti i passeggeri a bordo! Ora se i nuclearisti sono stanchi di vivere e proprio non riescono a farvi una ragione del perché vivere, possono sempre spararsi un colpo in testa! Assicuro, da sacerdote, che la misericordia di Dio perdonerà certamente un peccato così orrendo, se lo fanno per lasciar vivere chi ancora lo vuole!

Per non scandalizzare i “piccoli”, informo che questo mio consiglio è moralmente lecito! In teologia morale questo invito consiste nel fatto che “non potendo impedire il male è lecito consigliare il male (che resta male!) minore”! Amen!

venerdì 26 novembre 2010

Il cristianesimo o è democratico o "non è"



Conosciamo il travaglio che la trasmissione di Fazio e Saviano ha, fin dai suoi albori, vissuto.
Tanto è stato scritto e molto a sproposito... Da Grillo a Travaglio passando per Aldo Grasso, la novità ha spiazzato molti.
Era prevedibile, soprattutto per chi non sa vedere oltre il proprio punto di vista.

Qui mi limito (per ora) a fare qualche osservazione sul preteso "diritto di replica". Di cui si fa paladino con tracotanza anche l'Avvenire. Addirittura uno speciale!

Da questo affaire si comprende meglio come la democrazia di un popolo è inversamente proporzionale al suo livello di intolleranza: per questo il "diritto di replica", la "processualizzazione" di ogni Parola (il maiuscolo è voluto!), manifesta soltanto il grado di intolleranza per le opinioni altrui (e il basso livello di democrazia di chi si ritiene depositario dell'unica praxis possibile).

Era accaduto a Gesù (Parola-fatta-carne), accade oggi da parte dei nuovi farisei, verso il dolore che si fa Parola... Come dire, che si può credere, senza mai cambiare mentalità e "convertirsi di niente"!

Detto questo - violenza nella violenza - a delle persone concrete, a dei volti specifici, a dei DNA storici... alla "carne di Cristo"... pretendono di replicare delle "Associazioni"...

Siamo alla "beffa" sotto la Croce... peggio degli amici di Giobbe! Imparassero a tacere!

martedì 9 novembre 2010

E io non ci credo che non ci credi

Ho ascoltato questa intervista della Carfagna sul Corriere (con finale comico - se non fosse tragico - sull'operato del governo): clicca qui per vedere il video

Poi ho trovato sul Web alcune informazioni su di lei, comprese queste sue foto... ma se volete una panoramica più esaustiva basta cercare su Google.

E ho capito, perché non ci crede...
E ho capito, perché in Italia è così costosa e lenta la connessione a internet!

lunedì 8 novembre 2010

La Pietra

Nella vita certe coincidenze fanno pensare:

A Barcellona il Papa "inaugura" la Sagrada Familia. Opera (ancora) incompiuta di Gaudì che tra le altre cose è una sfida alla forza di gravità: a guardarla uno non può proprio non chiedersi come cavolo faccia a stare in piedi!

A Pompei il Bondi visita le macerie della Casa dei Gladiatori... e ci si chiede come cavolo abbia fatto a crollare!

Un "presente" che è più di una metafora di futuri possibili!




sabato 16 ottobre 2010

Pecunia olet

La merda di Satana? Puzza, puzza, altroché se puzza! Non se ne accorge solo per chi ha il naso (della coscienza) chiuso: Provate a sturarvi il naso e sentirete che fetore…

Ho letto questi articoli – entrambi del Corriere – e non riuscivo a sopportare i miasmi che i cultori del denaro emanano!
In entrambi viene poi il sospetto che tanta acredine verso le “minoranze”, nasconda ben più lucrosa benevolenza verso il loro economico sfruttamento.


martedì 13 aprile 2010

Perché taccio!

Qualcuno mi scrive in privato, sollecitandomi a parlare delle calunnie rivolte al Papa sulla sua presunta copertura di sacerdoti pedofili. Insomma mi si chiede di difendere le ragioni del Papa e della Chiesa

Personalmente penso che l’unico modo di difenderLo è cominciare ad assaporare anche noi quel dolore amaro che hanno le parole e gli atti che sappiamo ingiusti e persecutori. Se non altro per essere un poco, (assai troppo poco), anche nel dolore concreto, in comunione con quelle vittime innocenti che “noi” come Istituzione ecclesiale, abbiamo perseguitato…

C’è un episodio dell’Antico Testamento dove Davide in processione trionfante è insultato (anzi maledetto, lui il prediletto di Dio!) da un tale. Gli altri vogliono farlo tacere e lui invece ordina di lasciarlo gridare perché – dice – quella voce, disumana, irrazionale, offensiva, calunniosa… forse (!) veniva da Dio (cfr 2Samuele 16,11).

Ecco, io vedo in queste “diffamazioni” (sperando che lo siano davvero: peggio sarebbe se non lo fossero) un dono della Grazia, una possibilità della Chiesa di espiare in silenzio, ciò che le sue colpe (e il Papa le ha elencate, e tra queste non si è a priori escluso) hanno fatto di umanamente irrimediabile nei cuori, nelle vite, di troppi innocenti. Espiare, per sé e per tutti.

Siamo a Pasqua e credere nella Resurrezione vuol dire credere nella logica della Croce. E Cristo era innocente e noi non credo che lo siamo come lui. Vuoi per aver sottostimato nel tempo il problema, vuoi per una certa sessuofobia, vuoi per il ruolo marginale anche della donna nella vita del prete (parlo affettivamente come fonte di equilibrio…), vuoi per la mancanza di discernimento vocazionale, vuoi per i pessimi programmi educativi, vuoi per l’abbandono concreto con cui un parroco si trova a gestire il proprio sacerdozio, vuoi per la vita staccata (non solo dalla gente ma anche dai chierici) di tutta la curia romana e vescovile (quante volte tu che mi leggi hai potuto parlare a tu per tu con un vescovo?), vuoi per questo clima ovattato e clericale dei dicasteri e delle curie, vuoi perché quando il Papa era cardinale non ha pestato i pugni sul tavolo e minacciato le dimissioni per obbligare G.P. II ad aprire gli occhi… la lista è lunga e senza fine, prima di parlare di persecuzioni cominciamo a parlare di quanto poco abbiamo fatto per non meritarcele: praticamente niente!… C’è forse qualcuno che invece si crede innocente come il Cristo? Ebbene come lui, si lasci in silenzio condurre al macello per il bene di tutti!

La difesa ad oltranza, sempre, ma soprattutto in questo caso, male si addice a coloro che sono all’origine, anche indiretta, per omissione, del male.
C’è uno spirito di vendetta? Dio mio, se ne hanno diritto… io mi stupisco che non mi abbiano ancora cavato gli occhi!

E in ogni caso il male fatto è troppo immenso per lasciarlo alle parole. Ciascuno può fare un esperimento su di sé – e mi scuso per l’esempio troppo forte – guardate un vostro nipote o vostro figlio e pensate che un giorno possa dirvi che il prete che più stimate, perché vostro direttore spirituale, consigliere, confessore abituale, ecc., ha abusato di lui…
Basta ascoltare l’immenso insostenibile dolore che si prova e ci si accorgerà che non ci può essere pace per un cuore nemmeno nella fede, perché è un crimine che la uccide. Se qualcuno l’ha conservata è stato veramente per un vero e proprio miracolo di Dio, altro che quelli di Lourdes…

Sì credo proprio che parlarne per difendersi, sia un’altra forma di violenza. Credo che qui più che mai serva il silenzio e la preghiera, oltre a fare concretamente tutto il possibile, ma veramente tutto, per riparare al danno fatto alle vittime. E provare a vedere come riuscire a manifestare una giustizia non spietata verso i loro carnefici: c'è una solidarietà crocifissa che un cristiano deve poter manifestare anche verso i propri boia... Fino ad ora questa non è ancora emersa e ha aggiunto dolore a dolore: provate a pensare ora alla madre di un tale uomo!

Per questo a questo post non sono permessi commenti (se proprio qualcuno vuole farlo mi scriva in privato alla email che trova nel mio profilo)…
Scusatemi ma a me ogni parola, davanti a tanto dolore, mi appare oscena. E ne ho dette fin troppe!… Lascio dire chi deve dire (e son sicuro che vorrebbe tacere, se non è scemo) e vivo la dolorosa grazia del dover e poter tacere…

mercoledì 24 marzo 2010

Né per caso, né per mano di Dio...

di Viviana Daloiso in Avvenire.it
Otto milioni di morti all’anno. Cinquemila bambini al giorno, uno ogni venti secondi. Nemmeno le guerre e le violenze che tormentano ogni angolo del Pianeta, messe tutte insieme, possono tanto. La mancanza d’acqua, sì. La tragedia silenziosa, che si lega a quella di risorse idriche non potabili – se non addirittura inquinate – si consuma lontano da telecamere e notiziari, ma è ormai letale quanto il più spietato dei virus.

I numeri del fenomeno, snocciolati dall’Onu in occasione della Giornata mondiale dell’acqua di ieri, fanno tremare. E non solo per i morti. Basti pensare che un abitante su due sulla Terra vive in case senza sistema fognario (circa tre miliardi di persone), uno su cinque non ha acqua potabile a sufficienza (oltre un miliardo), o che – tanto per fare un riferimento geografico – nell’Africa subsahariana fino a 250 milioni di persone rischiano di morire di sete.

Una situazione tanto insostenibile quanto l’abisso che separa il Sud del mondo dai Paesi più sviluppati. Dove, come ha ricordato il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon presentando il rapporto dall’Unep, il programma sull’ambiente delle Nazioni Unite, «giorno dopo giorno si versano 2 miliardi di tonnellate di acque reflue non trattate e di rifiuti industriali agricoli nel sistema idrico mondiale, quando i poveri continuano a patire soprattutto a causa dell’inquinamento, della carenza idrica e della mancanza di igiene». Così, mentre la mancanza di acqua pulita nel Sud del mondo uccide ogni anno 1,8 milioni di bambini sotto i cinque anni d’età di tifo, colera, dissenteria e gastroenterite e la metà dei letti d’ospedale è occupata da pazienti che soffrono di malattie legate al consumo d’acqua contaminata, nei Paesi "ricchi" l’acqua abbonda e viene sprecata. Un cittadino americano ne ha a disposizione mediamente 425 litri al giorno (nemmeno uno in molti Paesi africani e asiatici), uno italiano 237.
Certo, l’emergenza "siccità", con la conseguente carenza d’acqua, negli ultimi anni si è affacciata anche in Occidente. È il caso dell’Europa dove, secondo dati diffusi da Bruxelles, tra il 1976 e il 2006 – anche a causa del surriscaldamento del Pianeta – almeno l’11% degli abitanti ha sofferto di carenza d’acqua, con un danno per l’economia di almeno 100 miliardi di euro. Tanto che l’altro allarme lanciato dall’Onu riguarda il futuro: nel 2030, stimano le Nazioni Unite, oltre 3 miliardi di persone rischiano di rimanere senz’acqua, con una pesantissima ricaduta anche sulla produzione agricola e alimentare, che nell’acqua trova il suo ingrediente essenziale.

L’Italia, pur essendo uno dei Paesi al mondo con maggiore disponibilità d’acqua, non se la cava meglio: al Sud e nelle isole il 15% della popolazione – ossia circa 8 milioni di persone – per quattro mesi all’anno (da giugno a settembre) è sotto la soglia del fabbisogno idrico minimo, fissato in 50 litri di acqua al giorno a persona. Senza contare il problema degli sprechi, della dispersione d’acqua (anche oltre il 30%, secondo il rapporto Onu, a causa delle reti idriche fatiscenti) e dei reati ambientali, sulla cui gravità non a caso ieri ha insistito anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. All’Accademia dei Lincei, in un convegno sulle frane e il dissesto idrogeologico, il capo dello Stato ha detto: «Occorre contrastare comportamenti di irresponsabile superficialità e ripetute violazioni delle norme poste a tutela del territorio, troppo spesso causa di danni irreparabili che depauperano l’ambiente e compromettono il delicato equilibrio dell’ecosistema, con effetti catastrofici, per le persone, per i loro beni, per l’intera nazione». E il pensiero va a un altro incubo legato all’acqua, stavolta tutto italiano.

lunedì 22 marzo 2010

La lezione di Stefano


La spoglia di Stefano Cucchi, tumulata nel cimitero di San Gregorio, ha finalmente pace. La nostra coscienza no. Ci resta negli occhi, non meno che l’immagine del suo corpo larvale nelle foto d’autopsia, lo stupore e l’angoscia di quella sequenza di vita e di morte, ora che la Commissione parlamentare d’inchiesta ha depositato la sua relazione. Un arresto, una notte in caserma, la consegna in carcere, il sotterraneo del tribunale, l’aula giudiziaria, la convalida dell’arresto, l’ospedale, di nuovo il carcere, ancora l’ospedale, e il volto tumefatto e la schiena lesionata in due vertebre, e i giorni senz’acqua e senza cibo, rifiutati, e la morte. L’hanno votata tutti, quella relazione che chiude l’indagine sul versante sanitario: Stefano aveva lesioni quando entrò in ospedale, ma non è morto di botte, è morto per disidratazione.

Questa fine, tremenda nel suo svolgimento, non chiude certo il conto dei quesiti che questa morte ci rovescia addosso, ma ne apre di nuovi, semmai taluno ci dicesse che una fine così è una "morte naturale". Certo è naturale che senza cibo e senz’acqua si muore. Ma il come si muore non è la stessa cosa del perché. Non ci basta il racconto di un rifiuto, ci preme la ragione del rifiuto, è questo che spiega o nega il senso dell’accaduto. Di che il ragazzo voleva «richiamare su di sé l’attenzione del mondo esterno e dei suoi legali». Allora quel rifiuto è l’estremo grido di una disperazione traboccata, e tragicamente inascoltata.

Il lavoro della Commissione ci rassicura che quando lo scandalo avviene nessun uomo è ritenuto così miserabile da patire ingiustizia "come se nulla fosse" (si direbbe in corpore vili), e che si devono fare i conti e colpire le responsabilità; ma non ci basta. Ci preme di ripercorrere l’intera via dolorosa e i momenti in cui Stefano ha incontrato volti e mani protese sulla scandalosa "insignificanza" della sua sventura. Il peggio dell’esser corpo vile non sono le lesioni che gonfiano gli occhi o incrinano le vertebre, sono le orecchie sorde all’invocazione di un contatto con la famiglia, con il legale, con l’amico della comunità di recupero; sono le braccia inerti di fronte ai giorni dello sconforto, sfida o invocazione in faccia alla morte, alla tremenda agonia della disidratazione.

C’è un processo penale in corso. Non mi intrometto nelle tecniche giuridiche, e poi niente di quanto accadrà ridarà la vita a Stefano. Ma sul piano di una civiltà minima sul senso della vita e della relazione umana, mi parrebbe massima ipocrisia dire che si è lasciato morire da sé, è lui che l’ha deciso, era un suo diritto, la nutrizione e l’idratazione non si fanno senza il consenso informato. E il grido che invoca il soccorso di un ascolto e di un incontro dell’anima giocando sul tavolo del rischio del disfacimento del corpo, non val nulla per un medico? Sei medici hanno girato via gli occhi? Noi non gireremo via i nostri.

Dopo l’indignazione incanalata contro il "sistema" (quale scacco per tutti gli apparati dello Stato coinvolti, questa morte ingiusta) dovremo interrogare la deriva culturale che va sfigurando il senso umano del soccorso, proprio a partire dal cuore della professione medica. Fra l’uomo sofferente e l’uomo che lo cura c’è un’alleanza, o una grigia negoziazione indifferente? Lo stesso gesto può chiamarsi aiuto oppure intrusione, la stessa omissione può chiamarsi rispetto oppure abbandono. A tenere in salvo l’umanesimo di un minimo amore il criterio è la verità del "prendersi cura" dell’uomo, rispetto alle mille falsificazioni della nostra indifferenza. Alla fine, è l’indifferenza che dà la morte.

Piazza montata

Ps: Verdini? eravate solo tra i 120.000 e 140.000... Bastava chiederlo a Maroni!

mercoledì 10 marzo 2010

¿Adónde va Italia?

L'Italia sull'orlo dell'abisso!La fiscalía de Florencia descubrió a principios de febrero una red de favores económicos y sexuales dirigida desde la cúpula de Protección Civil, una de las pocas instituciones que todavía gozaba de prestigio en la Italia de Berlusconi. No ha sido el único escándalo de las últimas semanas. Además, la Fiscalía Antimafia de Roma ordenó la detención de 56 personas, algunas de ellas con responsabilidades oficiales, por blanqueo de dinero. Y a raíz de las investigaciones sobre este asunto se descubrió, por último, que uno de los senadores del partido del primer ministro, Nicola di Girolamo, fue elegido con la ayuda fraudulenta de la mafia.

Tal vez no sean los casos de corrupción más graves y espectaculares a los que se ha enfrentado Italia, pero sí los que más parecen haber afectado a la conciencia de los ciudadanos. A ello ha contribuido la sensación de que ninguna instancia del Estado está a salvo de los modos de hacer de Silvio Berlusconi; también la de que el país vuelve a ser víctima de males conocidos, como la promiscuidad entre la clase política y la mafia. Y se empieza a abrir paso la idea de que la inmoralidad de la vida pública ha superado ya todos los límites.

El desasosiego al que se enfrenta el país se ve multiplicado por el hecho de que la oposición a Berlusconi se encuentra tan desarticulada como el sistema político del que forma parte. Si hasta ahora un alto porcentaje de ciudadanos italianos pensaba que el problema era tan sólo el Gobierno, en estos momentos es la República en su conjunto la que empieza a preocuparles. Las instituciones italianas están siendo carcomidas desde un flanco por la corrupción y, desde el otro, por unas reformas legales que se proponen invalidar el Estado de derecho como instrumento para hacerle frente.

Nadie parece saber a ciencia cierta adónde va Italia, un país fundamental en la construcción europea, incluido el rostro más visible de este deterioro político y moral sin precedentes, Silvio Berlusconi. La estrategia del primer ministro parece haber perdido cualquier otro horizonte que no sea garantizar su propia inmunidad, desviando periódicamente la atención hacia problemas muchas veces artificiales y suscitados con la sola intención de obtener réditos de las recetas populistas. Entre tanto, Italia sigue aproximándose a un abismo del que nadie parece saber cómo alejarla. Da ElPais

Ridere per non piangere...

Attenzione qualche parola gergale lessicalizzata (moralisti astenersi!)...


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