Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jpnes, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.
Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.
Quando e da chi è stato fatto questo attualissimo discorso? Cliccare qui per scoprirlo e da cui (grazie a un amico) l'ho copiato.
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giovedì 9 febbraio 2012
martedì 29 novembre 2011
Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?(Lc 6,39)
postato da
Mario
Un Audit[1]del debito di Guido Vitale, 29/11/11 su «Il Manifesto».
Agli storici del futuro (se il genere umano sopravviverà alla crisi climatica e la civiltà al disastro economico) il trentennio appena trascorso apparirà finalmente per quello che è stato: un periodo di obnubilamento, di dittatura dell’ignoranza, di egemonia di un pensiero unico liberista sintetizzato dai detti dei due suoi principali esponenti: «La società non esiste. Esistono solo gli individui», cioè i soggetti dello scambio, cioè il mercato (Margaret Thatcher); e «Il governo non è la soluzione ma il problema», cioè, comandi il mercato! (Ronald Reagan). Il liberismo ha di fatto esonerato dall’onere del pensiero e dell’azione la generalità dei suoi adepti, consapevoli o inconsapevoli che siano; perché a governare economia e convivenza, al più con qualche correzione, provvede già il mercato. Anzi, “i mercati”; questo recente slittamento semantico dal singolare al plurale non rispecchia certo un’attenzione per le distinzioni settoriali o geografiche (metti, tra il mercato dell’auto e quello dei cereali; o tra il mercato mondiale del petrolio e quello di frutta e verdura della strada accanto); bensì un’inconscia percezione del fatto che a regolare o sregolare le nostra vite ci sono diversi (pochi) soggetti molto concreti, alcuni con nome e cognome, altri con marchi di banche, fondi e assicurazioni, ma tutti inarrivabili e capricciosi come dèi dell’Olimpo (Marco Bersani); ai quali sono state consegnate le chiavi della vita economica, e non solo economica, del pianeta Terra. Questa delega ai “mercati” ha significato la rinuncia a un’idea, a qualsiasi idea, di governo e, a maggior ragione, di autogoverno: la morte della politica. La crisi della sinistra novecentesca, europea e mondiale, ma anche della destra – quella “vera”, come la vorrebbero quelli di sinistra – è tutta qui.
Ma, dopo la lunga notte seguita al tramonto dei movimenti degli anni sessanta e settanta, il caos in cui ci ha gettato quella delega sta aprendo gli occhi a molti: indignados, gioventù araba in rivolta, e i tanti Occupy. Poco importa che non abbiano ancora “un vero programma” (come gli rinfacciano tanti politici spocchiosi): sanno che cosa vogliono.
Mentre i politici spocchiosi non lo sanno: vogliono solo quello che “i mercati” gli ingiungono di volere. È il mondo, e sono le nostre vite, a dover essere ripensati dalle fondamenta. Negli anni il liberismo – risposta vincente alle lotte, ai movimenti e alle conquiste di quattro decenni fa – ha prodotto un immane trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale: mediamente, si calcola, del 10 per cento dei Pil (il che, per un salario al fondo alla scala dei redditi può voler dire un dimezzamento; come negli Usa, dove il potere di acquisto di una famiglia con due stipendi di oggi equivale a quello di una famiglia monoreddito degli anni sessanta). Questo trasferimento è stato favorito dalle tecnologie informatiche, dalla precarizzazione e dalle delocalizzazioni che quelle tecnologie hanno reso possibili; ma è stato soprattutto il frutto della deregolamentazione della finanza e della libera circolazione dei capitali. Tutto quel denaro passato dal lavoro al capitale non è stato infatti investito, se non in minima parte, in attività produttive; è andato ad alimentare i mercati finanziari, dove si è moltiplicato e ha trovato, grazie alla soppressione di ogni regola, il modo per riprodursi per partenogenesi. Si calcola che i valori finanziari in circolazione siano da dieci a venti volte maggiori del Pil mondiale (cioè di tutte le merci prodotte nel mondo in un anno, che si stima valgano circa 75 mila miliardi di dollari). Ma non sono state certo le banche centrali a creare e mettere in circolazione quella montagna di denaro; e meno che mai è statala Banca centrale europea (Bce), che per statuto non può farlo (anche se in effetti un po’ lo ha fatto e continua a farlo, per così dire, “di nascosto”). Se la Bce è oggi impotente di fronte alla speculazione sui titoli di stato (i cosiddetti debiti sovrani) è perché lo statuto che le vieta di “creare moneta” è stato adottato per fare da argine in tutto il continente alle rivendicazioni salariali e alle spese per il welfare. Una scelta consapevole quanto miope, che forse oggi, di fronte al disastro imminente, sono in molti a rimpiangere di aver fatto. A creare quella montagna di denaro è stato invece il capitale finanziario che si è autoriprodotto; i “mercati”. E lo hanno fatto perché tutti i governi glielo hanno permesso. Certo, in gran parte si tratta di “denaro virtuale”: se tutto insieme precipitasse dal cielo sulla terra, non troverebbe di fronte a sé una quantità altrettanto grande di merci da comprare. Ciò non toglie che ogni tanto – anzi molto spesso – una parte di quel denaro virtuale abbandoni la sfera celeste e si materializzi nell’acquisto di un’azienda, una banca, un albergo, un’isola; o di ville, tenute, gioielli, auto e vacanze di lusso. A quel punto non è più denaro virtuale, bensì potere reale sulla vita, sul lavoro e sulla sicurezza di migliaia e migliaia di esseri umani: un crimine contro l’umanità.
Mentre i politici spocchiosi non lo sanno: vogliono solo quello che “i mercati” gli ingiungono di volere. È il mondo, e sono le nostre vite, a dover essere ripensati dalle fondamenta. Negli anni il liberismo – risposta vincente alle lotte, ai movimenti e alle conquiste di quattro decenni fa – ha prodotto un immane trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale: mediamente, si calcola, del 10 per cento dei Pil (il che, per un salario al fondo alla scala dei redditi può voler dire un dimezzamento; come negli Usa, dove il potere di acquisto di una famiglia con due stipendi di oggi equivale a quello di una famiglia monoreddito degli anni sessanta). Questo trasferimento è stato favorito dalle tecnologie informatiche, dalla precarizzazione e dalle delocalizzazioni che quelle tecnologie hanno reso possibili; ma è stato soprattutto il frutto della deregolamentazione della finanza e della libera circolazione dei capitali. Tutto quel denaro passato dal lavoro al capitale non è stato infatti investito, se non in minima parte, in attività produttive; è andato ad alimentare i mercati finanziari, dove si è moltiplicato e ha trovato, grazie alla soppressione di ogni regola, il modo per riprodursi per partenogenesi. Si calcola che i valori finanziari in circolazione siano da dieci a venti volte maggiori del Pil mondiale (cioè di tutte le merci prodotte nel mondo in un anno, che si stima valgano circa 75 mila miliardi di dollari). Ma non sono state certo le banche centrali a creare e mettere in circolazione quella montagna di denaro; e meno che mai è stata
È un meccanismo complicato, ma facile da capire: in ultima analisi, quel denaro “fittizio” – che fittizio non è – si crea con il debito e si moltiplica pagando il debito con altro debito: in questa spirale sono stati coinvolti famiglie (con i famigerati mutui subprime; ma anche con carte di credito, vendite a rate e “prestiti d’onore”), imprese, banche, assicurazioni, Stati; e, una volta messi in moto, quei debiti rimbalzano dagli uni agli altri: dai mutui alle banche, da queste ai circuiti finanziari, e poi di nuovo alle banche, e poi ai governi accorsi in aiuto delle banche, e dalle banche di nuovo agli Stati. E non se ne esce, se non – probabilmente – con una generale bancarotta.
In termini tecnici, l’idea di pagare il debito con altro debito si chiama “schema Ponzi”, dal nome di un finanziere che l’aveva messa in pratica negli anni ‘30 del secolo scorso (al giorno d’oggi quell’idea l’hanno riportata in vita il finanziere newyorchese Bernard Madoff e, probabilmente, molti altri); ma è una pratica vecchia come il mondo, tanto che in Italia ha anche un santo protettore: si chiama “catena di Sant’Antonio”. In realtà, tutta la bolla finanziaria che ci sovrasta non è che un immane schema Ponzi. E anche i debiti degli Stati lo sono. Il vero problema è sgonfiare quella bolla in modo drastico, prima che esploda tra le mani degli apprendisti stregoni dei governi che ne hanno permesso la creazione. Nell’immediato, un maggiore impegno del fondo salvastati, o del Fmi, o gli eurobond, o il coinvolgimento della Bce nell’acquisto di una parte dei debiti pubblici europei potrebbero allentare le tensioni. Ma sul lungo periodo è l’intera bolla che va in qualche modo sgonfiata.
Prendiamo l’Italia: paghiamo quest’anno 70 miliardi di interessi sul debito pubblico (che è di circa 1900 miliardi). L’anno prossimo saranno di più, perché gli interessi da pagare aumentano con lo spread. Negli anni passati a volte erano meno, ma a volte, in proporzione, anche di più. Quasi mai sono stati pagati con le entrate fiscali dell’anno (il cosiddetto avanzo primario); quasi sempre con un aumento del debito. Basta mettere in fila questi interessi per una trentina di anni – da quando hanno cominciato a correre – e abbiamo una buona metà, e anche più, di quel debito che mette alle corde l’economia del paese e impedisce a tutti noi di decidere come e da chi essere governati. Perché a deciderlo è ormai la Bce. Ma la vera origine del debito italiano è ancora più semplice: l’evasione fiscale. Ogni anno è di 120 miliardi o cifre equivalenti: così, senza neanche scomodare i costi di “politica”, della corruzione o della malavita organizzata, bastano quindici anni di evasione fiscale – e ci stanno – per spiegare i 1900 miliardi del debito italiano. Aggiungi che coloro che hanno evaso le tasse sono in buona parte – non tutti – gli stessi che hanno incassato gli interessi sul debito e il cerchio si chiude. La spesa pubblica in deficit ha la sua utilità se rimette in moto “risorse inutilizzate”: lavoratori disoccupati e impianti fermi. Ma se alimenta evasione fiscale e “risparmi” che vanno solo ad accrescere la bolla finanziaria, è una sciagura.
Altro che pensioni da tagliare (anche se le ingiustizie da correggere in questo campo sono molte)! E altro che scuola, e università, e sanità, e assistenza troppo “generose”! Siamo di fronte a cifre incomparabili: per distruggere scuola e Università è bastato tagliare pochi miliardi di euro all’anno. E da una “riforma” anche molto severa delle pensioni si può ricavare solo qualche miliardo di euro all’anno. Dalla svendita degli immobili dello Stato e dei servizi pubblici locali non si ricava molto di più. Dalla liquidazione di Eni, Enel, Ferrovie, Finmeccanica, Fincantieri e quant’altro, come improvvidamente suggerito nel luglio scorso dai bocconiani Perotti e Zingales (l’economista di riferimento, quest’ultimo, di Matteo Renzi; ma anche di Sarah Palin!), si ricaverebbe non più di qualche decina di miliardi una volta per sempre, trasferendo in mani ignote (ma potrebbero benissimo essere quelle della mafia) le leve dell’economia di un intero paese.
Mentre interessi ed evasione fiscale ammontano a decine di miliardi ogni anno e il debito da “saldare” si conta in migliaia di miliardi. Per questo il rigore promesso dal governopotrà fare male ai molti che non se lo meritano, ma non ha grandi prospettive di successo: affrontare con queste armi il deficit pubblico, o addirittura il debito, è un’impresa votata al fallimento. O una truffa. Per questo è urgente effettuare un audit (un inventario) del debito italiano, perché tutti possano capire come si è formato, chi ne ha beneficiato e chi lo detiene(anche per poter prospettare trattamenti diversi alle diverse categorie di prestatori).
L’altro inganno che domina il delirio pubblico promosso dagli economisti mainstream – e in primis dai bocconiani – è la “crescita”. A consentire il pareggio del bilancio imposto dalla Bce e tra breve “costituzionalizzato”, cioè il pagamento degli interessi sul debito con il solo prelievo fiscale, e addirittura una graduale riduzione, cioè restituzione, del debito dovrebbe essere la “crescita” del Pil messa in moto dalle misure liberiste che i precedenti governi non avrebbero saputo o voluto adottare: liberalizzazioni, privatizzazioni, riforma del mercato del lavoro (alla Marchionne), eliminazioni delle pratiche amministrative inutili (ben vengano, ma bisognerà riparlarne) e le “grandi opere” (in primis il Tav). Ma per raggiungere con l’aumento del Pil obiettivi del genere ci vorrebbero tassi di crescita “cinesi”; in un periodo in cui l’Italia viene ufficialmente dichiarata in recessione, tutta l’Europa sta per entrarci, l’euro traballa, gli Stati Uniti sono fermi e l’economia dei paesi emergenti sta ripiegando. È il mondo intero a essere in balia di una crisi finanziaria che va ad aggiungersi a quella ambientale – di cui nessuno vuole più parlare – e allo sconvolgimento dei mercati delle materie prime (risorse alimentari in primo luogo) su cui si riversano i capitali speculativi che stanno ritirandosi dai titoli di stato (e non solo da quelli italiani). Interrogati in separata sede, sono pochi gli economisti che credono che nei prossimi anni possa esserci una qualche crescita. Molti prevedono esattamente il contrario; ma nessuno osa dirlo. Questa farsa deve finire. È ora di pensare – e progettare seriamente – un mondo capace di soddisfare i bisogni di tutti e di consentire a ciascuno una vita dignitosa anche senza “crescita”. Semplicemente valorizzando le risorse umane, il patrimonio dei saperi, le fonti energetiche e le risorse materiali rinnovabili, gli impianti e le attrezzature che già ci sono; e rinnovandoli e modificandoli solo per fare meglio con meno. Non c’è niente di utopistico in tutto questo; basta – ma non è poco – l’impegno di tutti gli uomini e le donne di buon senso e di buona volontà.
lunedì 28 novembre 2011
martedì 22 novembre 2011
mercoledì 2 novembre 2011
L'olocausto economico
postato da
Mario
È veramente allucinante quello che sta accadendo nel mondo occidentale, di qua e di là dell’Atlantico. E cioè il definitivo strangolamento del potere politico da parte del potere economico. Con la conseguente fine di ogni forma di vera democrazia, cioè del potere (politico, economico, sociale) gestito dal popolo.
Il potere vero appare sempre di più nelle mani degli gnomi della finanza, e i vari Sarkozy, Merkel (“diabolici” li ha definiti Prodi.) e Obama, si rivelano sempre di più come burattini guidati dalla mentalità di burattinai che stanno altrove e ben nascosti. Altro che teatrino della politica, qui siamo al circo dei mangiafuoco!
Non che ciò non sia accaduto anche in passato, anche non troppo lontano, in forme più o meno velate e persino occulte (P2 e P4), ma che sia fatto in modo così spudoratamente palese come ora, forse non si era mai visto prima.
Significativa a questo proposito è la “reazione” dei più all’annuncio del premier greco George Papandreou di indire un referendum popolare sulle condizioni poste dall’Europa per il “salvataggio” della Grecia da un fallimento… La Grecia decide di ridare il potere al popolo sovrano? E che fa l’Europa? Insieme ai “mercati”, va in panico!
Ora che vadano in panico i barracuda (li chiamano “mercati”: “cose” – notare il plurale – senza volto e senza nome, ma evidentemente con più “teste”!) abituati ad arricchirsi alle spalle delle dittature di ogni colore e grado (dalle dittature fasciste dell’America Latina, alla dittatura comunista cinese passando per quelle personalistiche alla Putin e Castro…) può essere logico anche se aberrante, ma che siano anche le istituzioni europee e le cancellerie democratiche ad essere shockate dalla decisione greca e cerchino di ostacolarla è preoccupante.Con tutta evidenza la Grecia , non è l’Africa! E questo coloro che hanno dissanguato l’Africa fino ad oggi grazie a governi compiacenti, proprio non se lo aspettavano… Ma forse ancora una volta la Grecia può diventare la culla di una nuova vera democrazia… Al di là delle furbizie che hanno spinto il leader greco a tale scelta, c’è mi sembra una verità da trarre: solo ridando il potere a chi legittimamente lo detiene si può sperare di combattere il mostro di un’economia impazzita! È necessaria infatti la nascita di una nuova Europa, magari sulle ceneri di quella che si sta sfaldando. Non per restaurare quella che si sta divorando la coda e noi con lei, come propone anche il presidente francese nel discorso qui sotto, ma un’Europa dove finalmente al centro non ci siano gli speculatori ma la gente che le dà forma costituendone il tessuto sociale e culturale. L’Europa dei popoli, democratica, più che (di queste) nazioni succube dei diktat degli speculatori.
Per questo non mi ha fatto una bella impressione leggere quanto scrive il nostro Presidente della Repubblica: “Nell'attuale, così critico momento il paese può contare su un ampio arco di forze sociali e politiche consapevoli della necessità di una nuova prospettiva di larga condivisione delle scelte che l'Europa, l’opinione internazionale e gli operatori economici e finanziari si attendono con urgenza dall'Italia. Il capo dello Stato ritiene suo dovere verificare le condizioni per il concretizzarsi di tale prospettiva”. Napolitano parla di “nuova prospettiva”. E quale sarebbe questa nuova prospettiva? Quella che porterebbe a una condivisione “delle scelte che l’Europa, l’opinione internazionale e gli operatori economici e finanziari si attendono con urgenza dall’Italia”! Solo che l’Europa, l’opinione internazionale e gli operatori economici e finanziari, di fatto sono la stessa unica mostruosa entità: quella di un capitalismo cannibale che sta mettendo a ferro e fuoco nazioni intere pur di poter portare a casa il proprio rendiconto speculativo. E condividere queste scelte non è per niente una “nuova prospettiva”.
Bene fa quindi la Grecia ad opporsi a tale saccheggio, e bene faranno i greci a bocciare queste proposte europee che di fatto non sono europee ma anti-europee: come può essere europea un’Europa che riduce alla fame e porta al suicidio collettivo un intero popolo europeo?… e meglio farebbero i partiti italiani a dire un chiaro e netto “no!” a questo diffuso sciacallaggio dei risparmi (e quindi di una vita passata e futura!) di tanti milioni e onesti cittadini.
Le conseguenze di questo “no!” saranno forse catastrofiche per questa Europa, forse seguiranno dei default a catena… ma non per quella nuova Europa che ne potrebbe rinascere. E che porrà finalmente a proprio fondamento la solida roccia di una giustizia sociale ed economica per tutti.
Che la “destra” liberista – in Italia come altrove – questo non lo possa capire mi sembra ovvio, come certo non possono capirlo i semiliberisti del cosiddetto centro, ma che non lo comprendano quelli che di questo liberismo si dichiarano avversari ponendosi a sinistra – tra cui non pochi cattolici – mi sconcerta non poco: come è possibile che la sinistra sia così lesta a correre al capezzale di un capitalismo cinico ancorché moribondo che per curarsi divora i propri figli? Evidentemente c’è una deficit culturale (e non solo tra i politici) da colmare prima di poter superare quello economico.
Abbiamo bisogno di “nuove prospettive”, su questo ha ragione Napolitano, solo che evidentemente noi intendiamo ben altra cosa: non il prolungamento del vecchio ma la nascita di qualcosa di veramente nuovo. Vorremmo poter scorgere all’orizzonte un nuovo giorno che dia speranza a chi da tempo vive nella notte di un lavoro disumanizzante.
C’è bisogno di più di Europa, ma non di più di questa Europa- Perché non sarà certo questa Europa dei banchieri che ci aiuterà a costruire una maggiore giustizia: funzionari e operatori economici che esultano davanti alla prospettiva di licenziamenti facili, a turni di lavoro schiavizzanti, a salari sempre più bassi, a diritti sempre più ridotti, non possono essere la soluzione dei nostri problemi. Non saranno certo i “mercati” in mano a speculatori, evasori fiscali, lobbie antidemocratiche e spesso “mafiose” che potranno accrescere le sorti del nostro futuro.
Si dirà che non sono tutti così… Io penso che se anche in passato qualcuno avesse agito in buona fede e se anche avesse cercato di essere fondamentalmente onesto e persino caritatevole… dico che se anche fosse esistito o esistesse ancora qualcuno così, questi oggi sarebbe doppiamente colpevole, perché sta reggendo un gioco che si sta rivelando sempre più omicida. Se proprio questo qualcuno si ritiene onesto, usi la propria onestà e il proprio ingegno per scardinare un sistema che oramai è criminale. Altrimenti non si illuda sulla propria onestà perché il suo ruolo non sarebbe molto diverso da quello dei kapò.
Si tratta come si vede di un superamento della mentalità che ci ha guidati fin qui e questo non può non coinvolgere anche l’ambito religioso di qualunque religione. È fuorviante ad esempio la proposta fatta da Vaticano di un direttorio economico mondiale. Evidentemente la proposta, seppur in buona fede, rivela una incapacità di comprendere che il problema non è tanto morale ma strutturale e con questa economia che sforna questi economisti, saremo definitivamente schiavi!
A questa nuova dittatura mondiale dobbiamo opporci con tutte le forze del nostro ingegno ridisegnando dalle fondamenta una nuova economia che non si fondi sull’accumulo di capitale e sui caprici delle borse.
Questa è la vera fretta che Napolitano dovrebbe metterci (e Berlusconi o chi per lui, attuare) e non quella di consegnarci anima e corpo ai nostri aguzzini…
Storicamente non abbiamo alternative vivibili. Se non metteremo mano allo smantellamento di questo capitalismo si apriranno scenari veramente apocalittici, che non sono i tanto temuti default di una nazione, ma quelli che – o per evitarli o per sormontarli – si apriranno con i diktat degli speculatori e che porteranno alla definitiva distruzione di quella civiltà che con tanta fatica abbiamo costruito in duemila anni di storia.
Noi che abbiamo vissuto per anni con la memoria di un probabile olocausto nucleare, ci rendiamo conto che in fin dei conti anche quella possibilità non era altro che una delle tante ipotetiche concretizzazioni di variabili economiche… A furia di aver così paura della “fine nucleare”, ci eravamo dimenticati che alla sua origine c’erano ben più tragici fini economici.
Certo quando col martello ci pestiamo il dito diciamo che abbiamo preso una “martellata” a nessuno viene in mente di dire che abbiamo preso una “manata”, prendendosela con la mano che lo impugnava… ma è ovvio che se scrivevamo “olocausto nucleare” avremmo dovuto leggere “olocausto economico”!
Sparito o quasi il rischio dell’olocausto nucleare propriamente detto, riamane infatti ancora viva e vegeta la matrice che l’aveva ipotizzato. Ed è questa matrice che sta ora imperversando sui mercati finanziari mondiali. Abbiamo (quasi) smantellato l’atomica, ma non basta né basterà, occorre ora smantellare i mercati che l’hanno finanziata e che continuano ad agire con ben maggiore potenza distruttiva! Loro, ieri come oggi, sono la vera minaccia di distruzione di massa.
P.S. Leggo stamattina l’articolo di Barbara Spinelli su repubblica, condivisibile, solo che anche lei credo che pecchi di ingenuità su un’Europa che sembra sempre più succube di una logica economica che non ha veramente a cuore i destini dei suoi popoli e dare più poteri a questa Europa, non è la soluzione della crisi, ma estenderla a tutto il continente. Insomma il problema non è solo come intitola l’articolo “…dare più poteri all’Europa” ma semmai: “A quale Europa dare più poteri?”!
giovedì 27 ottobre 2011
Come dovrebbe (almeno) parlare un capo di stato
postato da
Mario
"Siamo passati a due dita dalla catastrofe... di publicsenat dove si trova anche il testo scritto.
Data? giovedì 25 settembre 2008!!
L'analisi è condivisibile anche se si può notare che il problema non è semplicemente (anche!) etico!
Le soluzioni quindi peccano di "ingenuità" e producono false speranze:
non si può guarire di una malattia con ciò che l'ha causata!...
...E hanno un gusto propagandistico! Il che spiega perché in tutto questo tempo la crisi non solo non è stata risolta ma si è anzi aggravata!
venerdì 7 ottobre 2011
Controcorrente...
postato da
Mario
Più leggo di Jobs e più mi preoccupo. Ha fatto nella vita quello che più gli è piaciuto. E credo che questo possa essere un bene. Ha dato a molti quello che più piaceva loro, e forse questo potrebbe anche essere un bene. Ma è proprio quello di cui avevano (abbiamo) veramente bisogno? L’umanità può veramente dire “Grazie Jobs!”? L’umanità dico, tutta! Non quella parte che può permettersi spensierata e sulle spalle dell’altra, l’oggetto dei propri (indotti?) desideri. Ne dubito! Oh sì! fortemente ne dubito…
domenica 31 luglio 2011
Oltre la rassegna(a)zione: ascoltare la Parola per vivere da liberi
postato da
Mario
Abbiamo davanti agli occhi, la fatica quotidiana per riuscire ad arrivare alla fine del mese. Conosco gente che oramai per vivere, per riuscire a mantenere il suo tenore di vita (quello cioè che il “sistema” gli impone come dignitoso per sé e “solo per sé”), si sente “obbligata” a fare tre lavori. Uno ufficiale, l’altro di frodo quando capita, il terzo in permanenza, anche al bar, come venditore occasionale di cose tanto inutili quanto credute indispensabili.
Forse oggi riusciamo a capire meglio il grido di ben 2500 anni fa, di Isaia e ribadito da Gesù e dai cristiani di ogni tempo: solo un mondo fondato su una autentica giustizia (quella del Padre) rende possibile un equo sostentamento materiale e quindi un’autentica “adorazione”.
Abbiamo creduto che per poter vivere la vita concreta di ogni giorno, le sue leggi e le sue regole, dovessimo ignorare quelle evangeliche, come se queste appartenessero a un mondo ideale (e irreale) proprio di “persone speciali”, come i religiosi o i santi e che non potevano essere vissute da “uomini umani” (Pasolini). Ci rendiamo conto oggi più che mai, che invece quando l’ideale evangelico è ignorato, diventa vano ogni tentativo di attuare ciò che è umano. A furia di ignorare il Vangelo “perché impossibile da vivere in questo mondo”, ci stiamo rendendo conto che le leggi di questo mondo (anche la semplice buona educazione!) sono impossibili da vivere senza il Vangelo.
Un’economia (con tutto quello che la compone, formule finanziarie comprese) crea veramente profitto solo quando al proprio interno sono compresi i principi fondamentali del Vangelo. Solo la gratuità della charis rende possibile il profitto! Altrimenti quello che si produce non può che essere continua perdita anche per i pochi che si illudono di arricchirsi solo perché possiedono più degli altri.
C’è un nesso inscindibile tra economia e fede e spiritualità… Tra libertà religiosa e libertà economica: senza questa non c’è quella. Mosè, Isaia, Gesù, Paolo e i primi cristiani, Francesco e Gandhi… l’avevano capito! Cosa aspettano i cristiani se non a testimoniarlo almeno a riconoscerlo?
La vera fede è solo quella capace di costruire una nuova economia dove ciascuno possa uscire da un vano agitarsi (nei vari Egitto, Babilonia… e Pomigliano… sparsi nella storia) per poter finalmente trovare l’autentico frutto del proprio lavoro: Qui non ci sono luoghi da citare… né serve che ci siano delle “città di Dio” perché è il pianeta intero ad essere chiamato a risorgere e non una sua parte!
Come?
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene.
Il primo movimento è la compassione… quella di Dio che si manifesta concreta in Gesù Cristo, non quella effimera di una smemorata emozione che dura il tempo di un Tg o di una “pacca sulle spalle”.
Il secondo movimento è non aspettare di avere a sufficienza per cominciare a dare, spezzando la logica (dis)umana di un’economia individualista (vadano a comprarsi da mangiare), per condividere il niente che abbiamo. Per poter cominciare a condividere finalmente il necessario e non il superfluo. Ché, se superfluo, non serve (a) nessuno!
Il terzo movimento è uscire dalle dinamiche sacralizzanti che riducono il brano evangelico (nella quasi totalità dei commenti) a una prefigurazione e preparazione dell’istituzione dell'Eucaristia. Semmai – come il racconto dell’Ultima Cena di Giovanni intende – è il contrario: è l’Eucaristia – e quindi la Croce – ad essere prefigurazione e preparazione e costruzione di un’azione divina nella storica che cambi il modo e il mondo delle nostre relazioni economiche (notare che non ho scritto “ancheeconomiche”: perché persino l’amicizia si fonda su una dimensione esistenziale che permetta una relazione economica gratuita. Infatti le amicizie economicamente interessate non sono amicizie! Da ciò si può capire come la dimensione economica – come quella politica e religiosa – è una dimensione trascendentale che comprende tutto l’uomo e il suo agire).
Solo così “celebrare l’Eucaristia” non si riduce a una messinscena, vuota di incontri (nonostante lo sforzo di renderle solenniin un teatrale e spesso roboante quanto infecondo liturgismo), ma diventa un autentico celebrare la Vita Nuova che si è instaurata non solo nel nostro cuore ma anche nelle nostre tasche anche loro aperte come vasi comunicanti. E le nostre celebrazioni diventeranno allora il luogo dove si realizza e si manifesta al mondo intero la gioia evangelica di una solidarietà rinnovata che la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada e le vecchie e nuove ideologie xenofobe e “identitarie”, non potranno far altro che rinforzare, rinsaldare e rivitalizzare.
In questa chiave, tanto per restare ancorati alla nostra storia, non basta più, come ai tempi di Zaccheo, restituire quando si è legalmente rubato costruendo sull’ingiustizia la propria fortuna… E se si vuole anche dissolvere ogni dubbio sull’ennesima machiavellica furbizia, occorre cominciare a pensare e a costruire una economia che al suo interno abbia come profitto la capitalizzazione di ogni giustizia. Un astuto servitore del dio Mammona come GeorgeSoros se vuole fare ammenda veramente di aver usato la finanza come legale arma di distruzione di massa a proprio vantaggio, dovrebbe cominciare da qui. Questo sarebbe veramente restituire la dignità a chi è stata tolta… E ciascuno di noi, per niente estranei all’attuale catastrofe economica mondiale (con l’ingiustizia globale che ne consegue) per la parte che gli compete (più di quanto si pensi!), dovrebbe fare altrettanto. Cominciando, ad esempio, a istituire nelle nostre parrocchie una solidarietà economica che manifesti concretamente la comunione di fede tra di noi. E non passare il tempo a rompere questa comunione con giudizi sprezzanti sulla “non voglia di sacrifici” degli altri…
Se la fede nell’Eucaristia non arriva fin qui essa è mera alienante idolatria. Sì! anche l’adorazione eucaristica può essere idolatrica, perché nessuno si illuda, non basta che l’Eucaristia sia vera, per rendere vera ogni nostra sincera modalità di officiarla!
venerdì 18 marzo 2011
Anatomia di un disastro: le menzogne strutturali
postato da
Mario
L’articolo di Carlo Bonini, qui sotto, che ho tratto da repubblica.it, fa la cronistoria delle menzogne (sempre a fin di bene, per non allarmare la popolazione! – lo dico ironicamente) del governo giapponese e della società che gestisce gli impianti e della società statale di controllo. Tutti mentono!
Dall’articolo però si potrebbe trarre la conclusione che da noi queste menzogne non accadrebbero. Falso! Quando gli incidenti dei reattori accaddero negli USA e in Francia, come in Gran Bretagna e altrove… tutti mentirono a loro tempo! Anche gli USA e la Francia che qui fanno la figura di guardiani della trasparenza. A suo tempo il governo francese, mentì persino sulla estensione e sul livello delle radiazioni di Chernobyl in territorio francese, i cui cittadini al nord mangiarono allegramente frutta e verdura dei loro orti e campi, ignari del pericolo a cui andavano incontro!
Non è un problema di “onestà”: la menzogna è “strutturale” a questo sitema
Queste società che hanno come fine ovvio e di per sé legittimo di guadagnare dalle loro attività produttive, hanno tutto l’interesse a nascondere la propria (vera o presunta) inefficienza! Ecco perché mai è accaduto che una società di qualunque tipo, riveli subito al mondo gli “incidenti” sulla propria attività produttiva. Almeno fino a quando non ci scappa il morto e non si riesce a nascondere il cadavere. Da parte loro i governi e le agenzie di controllo, che hanno concesso le autorizzazioni necessarie all’attività lavorativa, e hanno il compito di vigilare al rispetto delle norme, soprattutto se riguardano un’attività delicata, tendono naturalmente a nascondere (fin che ci riescono) le proprie, seppur a volte indirette, responsabilità.
Una ragione in più, se ce ne fosse bisogno di mettere al bando ogni attività non solo nucleare che comporti, anche se ci fossero indiscussi vantaggi economici (cosa da escludere per le centrali nucleari ove i dati dei nuclearisti sono necessariamente manipolati in quanto non considerano né le spese stoccaggio e riciclaggio rifiuti, né le spese di dismissione della centrale: come dire la menzogna fin dall’origine) rischi per la popolazione. È chiaro che una tale decisione comporti la necessità di rivedere in profondità fine e forma del presunto progresso. Conoscete voi dei politici capaci di questa rivoluzione copernicana? Io no!
Nel giorno sei della Grande Paura, sostiene Washington e, nei fatti, Parigi, che Tokyo abbia sin qui nascosto la verità. Cosa è successo, dunque, e cosa può ancora davvero accadere nella centrale di Fukushima Daiichi? Di quali e di quante informazioni "privilegiate" il governo di Tokyo, l'agenzia nazionale per la sicurezza nucleare (la Nisa), il gestore dell'impianto (la Tepco, Tokio Electric power company) non hanno reso partecipe il mondo?LO SCHIAFFO AMERICANO
Il pugno sul tavolo battuto dagli americani è storia di ieri. Ma a Vienna, già martedì sera, il giapponese Yukia Amano, direttore dell'Aiea (Agenzia Internazionale per l'energia atomica), mette da parte ogni diplomazia: "Abbiamo bisogno di maggiori informazioni, di più dettagli, di tempi più rapidi di comunicazione". Nelle stesse ore, il russo Iouli Andreev, uno degli specialisti che lavorò allo "spegnimento" del mostro di Cernobyl, è di una franchezza brutale. "So per esperienza - dice alla Reuters - che le autorità giapponesi sono in una situazione di tranquillo panico. Le loro parole e le loro azioni, come quelle della Aiea, dipendono dall'industria atomica, che richiede disciplina e burocrazia". Una "verità" che Kuni Yogo, ingegnere della "Japan Science Technology Agency", declina al New York Times in modo ancora più asciutto: "Il governo giapponese e la Tepco stanno svelando solo ciò che ritengono necessario".
È un fatto che l'agonia dei quattro reattori di Fukushima appare oggi non solo e non tanto la sgomenta presa d'atto di un incidente in divenire. Ma il progressivo svelamento di una verità che il governo giapponese e la Tepco intuiscono già nelle prime ore della catastrofe, ma provano ostinatamente a dissimulare. Nella speranza che quei reattori possano tornare sotto controllo prima che il mondo cominci ad averne paura.
EMERGENZA PRECAUZIONALE
Conviene dunque tornare alle 19.46, ora di Tokyo, dell'11 marzo. Sono trascorse cinque ore dalla scossa al largo del Pacifico e meno di quattro dall'onda di Tsunami. La Tepco sa che i sistemi di raffreddamento dei reattori 1, 2 e 3 di Fukushima sono fuori uso. È avvertita del rischio legato a un prolungato surriscaldamento del loro combustibile. La Tepco ha una storia di significativa opacità. Nel 2002, ha ammesso di aver falsificato negli anni '90 e '80 i test di sicurezza delle sue centrali (e tra questi quelli di Fukushima). Nel 2007, ha mentito sull'entità di una fuga radioattiva dalla centrale di Kashiwazaki-Kariwa dopo una scossa di terremoto. Anche l'11 marzo, non brilla per loquacità. In modo asciutto informa il Governo del "problema del raffreddamento dei reattori". Ma la circostanza, nelle parole che alle 19.46 pronuncia Yukio Edano, portavoce del premier giapponese, non appare neppure sullo sfondo. "È stata dichiarata l'emergenza nucleare a scopo precauzionale - spiega - Non c'è fuga radioattiva. La linea di evacuazione è di 3 chilometri dal sito". Nella notte, i toni si fanno ancora più rassicuranti. Perché se è vero che alle 21.55 fonti del governo ipotizzano già "una prima fuga radioattiva" dalla centrale, all'1 e 27 del mattino, la prefettura di Fukushima informa che per il pomeriggio del 12 marzo "i sistemi di raffreddamento dei reattori saranno nuovamente in funzione".
INCIDENTE DI LIVELLO 4
In realtà, nella notte tra l'11 e il 12, la Tepco sa che il sistema di raffreddamento dei reattori non ha nessuna possibilità di riprendere vita. Al punto che, nella mattinata del 12, il gestore avverte che nei reattori 1 e 2 il livello dell'acqua che copre le barre di combustibile è sceso per la progressiva evaporazione e che "un rilascio di materia radioattiva è possibile". La notizia è propedeutica allo sfiato controllato nell'atmosfera di vapore di idrogeno radioattivo che abbassi la pressione nei reattori. Manovra che il governo autorizza. Insieme al pompaggio nel sistema di raffreddamento di acqua marina e boro. C'è una prima esplosione che scoperchia l'edificio del reattore 1. Ma a Vienna, la Aiea, sulla scorta delle informazioni che arrivano da Tokyo, rassicura. La sera del 12, quando in Giappone è ormai la mattina del 13, un comunicato annuncia infatti che "la Nisa ha classificato l'incidente di livello 4 della scala Ines. Con conseguenze locali".
IL NERVOSISMO FRANCESE
C'è un'oggettiva incongruenza tra le rassicurazioni di Tokyo e le misure che il governo dispone sul terreno. Il 13 marzo, l'area di evacuazione intorno alla centrale sale a 20 chilometri e comincia la distribuzione di pillole di iodio alla popolazione. Mentre alle 11 del mattino del 14 marzo un'esplosione scuote l'edificio del reattore 3. È la prova che a Fukushima, a distanza ormai di tre giorni, le operazioni di raffreddamento dei reattori, non hanno prodotto nessun effetto. Ce ne sarebbe per rivedere il giudizio sulla classificazione dell'incidente. Ma le autorità giapponesi non tornano sui propri passi. Neppure la mattina del 15 marzo, quando si liberano due esplosioni dai reattori 2 e 4. Il primo ministro Naoto Khan ne viene informato dalla stampa e, pubblicamente, mostra la sua furia con la Tepco: "Vorrei sapere che diavolo sta succedendo". Quindi, aggiunge: "Il rischio di fuga radioattiva sta crescendo".
LA VERITÀ VIENE A GALLA
È Parigi, allora, a decidere di bucare la bolla di dissimulazione. Il livello di radiazioni registrate nella centrale il 15 marzo - i primi a essere diffusi - documentano 400 millisievert l'ora. Duecento volte la dose che un essere umano assorbe naturalmente nell'arco di un anno. Di più: i francesi, sulla base di proprie informazioni (hanno un team della Protezione civile a Sendai), ritengono di poter affermare con sicurezza che il nocciolo e il combustibile di almeno due dei tre reattori "è danneggiato" (circostanza che i giapponesi confermeranno solo nelle 24 ore successive). Che l'esplosione dell'edificio che ospita il reattore 4, in corrispondenza della piscina di decadimento del combustibile esausto aggiunge un nuovo elemento di assoluta criticità. Che, come era possibile prevedere, la catastrofe ora si allarga anche a quei reattori che pure erano in manutenzione al momento del terremoto. "È un incidente di livello 6". È la verità, appunto. Che, ora, anche i giapponesi cominciano ad ammettere.
giovedì 17 marzo 2011
Criminale menzogna
postato da
Mario
All’interno di questo blog, troverete il link che porta ai video e articoli di Aldo Grasso che nel Corriere della Sera ci aiuta a “decifrare” il linguaggio dell’immagine e in particolare quello televisivo.
Non l’ho messo per capriccio, ma perché sono convinto che oggi bisogna sapersi alfabetizzare sempre più sul linguaggio audiovisivo.
Nessuno di noi potrebbe leggere queste righe se non sapesse interpretare e decodificare le macchie colorate sul suo schermo. Questo ha richiesto a ben vedere a ciascuno di noi anni di studio, nel periodo migliore della propria vita. Oggi diventa sempre più urgente imbarcarsi nello studio del codice linguistico dei messaggi audiovisivi per impedire loro di farci credere vero ciò che vero non è.
Prendiamo ad esempio lo spot che trovate qui in sotto.
Guardatelo una volta poi una seconda, una volta con l’audio, la seconda togliendo l’audio e studiando le immagini e capirete che il semplice fatto di voler far passare un messaggio in questo modo, falsifica tutto il messaggio e svela la disonestà del messaggero.
C’è una partita a scacchi (sinonimo di intelligenza e capacità strategica di prevedere le mosse future!) che è la metafora di un dibattito sul nucleare tra favorevoli e contrari. Solo che il dibattito è falso e vediamo perché.
I due personaggi che giocano sono la stessa persona, la bocca è chiusa, il tono è pacato, tipico in cinematografia del “pensato”: botta e risposta sono la stessa voce, cambia solo in modo quasi impercettibile il tono (fate molta attenzione alle inflessioni sulle parole, riascoltatela più volte), ma sufficiente per notare un non troppo leggero passaggio tra l’ansioso (contrario-nero) e il rassicurante (favorevole-bianco). È il dibattito interno alla coscienza di ciascuno: tra il diavoletto (nero, contrario, cattivo, che vuole il male) e l’angioletto (bianco, favorevole, buono, che vuole il bene)!
Solo che negli scacchi la prima mossa è sempre del bianco, qui invece è il nero che inizia (il diavoletto, il male, la parte negativa di noi, il NO!), il bianco vince (perché è questo sempre il problema all’interno di ogni giornale di enigmistica su cui il lettore deve cimentarsi per trovare la soluzione, tipo: “il nero muove e il bianco vince in due mosse”!
Abile manipolazione coi messaggi subliminali… Notate come gli scacchi del bianco sono candidi e pur presentandosi a sinistra, mostra la parte “destra” del volto: non mostra mai cioè il “volto sinistro”.
Il tono e l’atmosfera hanno lo scopo di farci bere le menzogne abilmente mascherate con mezze verità e rifilate come vere dal falso dibattito…
Per capire “lo scopo” a cui mirano i promotori del nucleare che hanno commissionato lo spot ingannatore occorre affinare quella che io considero la tecnica del judo applicata all’informazione: cedere con intelligenza per poter usare la forza delle argomentazioni dell’assalitore stesso per neutralizzarlo. Proviamo:
Sono contrario all’energia nucleare perché mi preoccupo dei miei figli, dice il nero. E il bianco risponde: Io sono favorevole, perché tra 50 anni non potranno contare solo sui combustibili fossili! Come dire anche io (bianco) sono preoccupato per i nostri figli… e proprio per questo sono favorevole al nucleare: fa niente se omette di dire che tra 50 anni anche il nucleare scarseggerà, con relativa lievitazione dei prezzi! L’astuzia qui sta nel far credere che la preoccupazione, il fine, lo scopo, è identico: salvare la generazione futura dalla catastrofe inevitabile. Ma per far questo deve omettere la verità che il combustibile nucleare è ancor più raro di quello fossile: la menzogna come omissione della verità!
Ci sono dei dubbi sulle centrali – dice il nero (vero). Al ché il bianco risponde mentendo: ma non ce ne sono sulla sicurezza! È spudoratamente falso perché che tipi di dubbi ci possono essere sulle centrali in quanto centrali, se non soprattutto sulla sicurezza? L’abilità sta qui nel separare il dubbio sulla sicurezza dalla sicurezza stessa! A suo modo diabolicamente geniale.
In un crescendo di abile capovolgimento di concetti, ecco che la “Mossa azzardata” del nero diventa “la grande mossa” del bianco: come dire, il futuro è di chi osa! Notare qui come “la grande mossa” è sottolineata dalla mossa del cavallo, sinonimo di forza, libertà, destrezza, virilità… E chi non osa è tutto il contrario di un “cavallo”… come minimo un fifone senza spina dorsale, un “pedone”.
Notare che l’ultima parola, nello pseudo dibattito, è sempre del bianco che contesta il nero, e che a sua volta non ribatte sullo stesso argomento al bianco, ma cambia “argomentazione”. Capito ora perché, contrariamente alle regole del gioco, comincia il nero? Perché il bianco deve avere l’ultima parola! In un dibattito vero il nero avrebbe potuto rispondere come ho risposto io: anche l’atomo si sta già esaurendo; il dubbio è proprio sulla sicurezza; una grossa mossa, se azzardata provoca sempre un grosso danno. E comunque non si gioca d’azzardo con la vita de pianeta e ancor meno con la vita dei propri figli (se arriveremo ad averli e non ci distruggiamo prima!), ecc.
Il colpo finale è ancor più cinico: E tu sei a favore o contro l’energia nucleare? O non hai ancora una posizione? Notare che non chiede se si è favorevoli o contrari alla costruzione di 10, 20, 30… centrali nucleari a due passi da casa propria… ma molto più innocuamente parla di “energia” nucleare! Invitando a prendere posizione che ovviamente con questo spot si cerca di manipolare.
A questo punto si può raccogliere le idee e capire meglio a cosa mira specificatamente lo spot. Cioè in un messaggio non basta capire se uno vuole convincerti ad essere favorevole a una cosa (qui il nucleare) ma occorre domandarsi: quale idea sta cercando di farmi passare nella coscienza? Quale pensiero sta cercando di innestare nella mia mente? Beh, qui è abbastanza facile:
Dopo aver immediatamente identificato il contrari con il male e i favorevoli con il bene: Far credere che ciò che crediamo problema sia la soluzione a tutti i problemi!
Cioè far credere che il nucleare è la soluzione al problema della penuria delle materie prime! E (rovescio della stessa idea) chi è contrario al nucleare è qualcuno che non vuole risolvere il problema ma ci porterà inevitabilmente all’età della pietra.
Non c’è da stupirsi allora se il “Giurì dell’Autodisciplina Pubblicitaria” abbia condannato lo spot del Forum Nucleare Italiano, giudicandolo ingannevole! Anche perché non è proprio la “Croce Rossa” il comitato promotore e finanziatore dello spot! Approfondimenti: qui e qui e qui
Non l’ho messo per capriccio, ma perché sono convinto che oggi bisogna sapersi alfabetizzare sempre più sul linguaggio audiovisivo.
Nessuno di noi potrebbe leggere queste righe se non sapesse interpretare e decodificare le macchie colorate sul suo schermo. Questo ha richiesto a ben vedere a ciascuno di noi anni di studio, nel periodo migliore della propria vita. Oggi diventa sempre più urgente imbarcarsi nello studio del codice linguistico dei messaggi audiovisivi per impedire loro di farci credere vero ciò che vero non è.
Prendiamo ad esempio lo spot che trovate qui in sotto.
Guardatelo una volta poi una seconda, una volta con l’audio, la seconda togliendo l’audio e studiando le immagini e capirete che il semplice fatto di voler far passare un messaggio in questo modo, falsifica tutto il messaggio e svela la disonestà del messaggero.
C’è una partita a scacchi (sinonimo di intelligenza e capacità strategica di prevedere le mosse future!) che è la metafora di un dibattito sul nucleare tra favorevoli e contrari. Solo che il dibattito è falso e vediamo perché.
I due personaggi che giocano sono la stessa persona, la bocca è chiusa, il tono è pacato, tipico in cinematografia del “pensato”: botta e risposta sono la stessa voce, cambia solo in modo quasi impercettibile il tono (fate molta attenzione alle inflessioni sulle parole, riascoltatela più volte), ma sufficiente per notare un non troppo leggero passaggio tra l’ansioso (contrario-nero) e il rassicurante (favorevole-bianco). È il dibattito interno alla coscienza di ciascuno: tra il diavoletto (nero, contrario, cattivo, che vuole il male) e l’angioletto (bianco, favorevole, buono, che vuole il bene)!
Solo che negli scacchi la prima mossa è sempre del bianco, qui invece è il nero che inizia (il diavoletto, il male, la parte negativa di noi, il NO!), il bianco vince (perché è questo sempre il problema all’interno di ogni giornale di enigmistica su cui il lettore deve cimentarsi per trovare la soluzione, tipo: “il nero muove e il bianco vince in due mosse”!
Abile manipolazione coi messaggi subliminali… Notate come gli scacchi del bianco sono candidi e pur presentandosi a sinistra, mostra la parte “destra” del volto: non mostra mai cioè il “volto sinistro”.
Il tono e l’atmosfera hanno lo scopo di farci bere le menzogne abilmente mascherate con mezze verità e rifilate come vere dal falso dibattito…
Per capire “lo scopo” a cui mirano i promotori del nucleare che hanno commissionato lo spot ingannatore occorre affinare quella che io considero la tecnica del judo applicata all’informazione: cedere con intelligenza per poter usare la forza delle argomentazioni dell’assalitore stesso per neutralizzarlo. Proviamo:
Sono contrario all’energia nucleare perché mi preoccupo dei miei figli, dice il nero. E il bianco risponde: Io sono favorevole, perché tra 50 anni non potranno contare solo sui combustibili fossili! Come dire anche io (bianco) sono preoccupato per i nostri figli… e proprio per questo sono favorevole al nucleare: fa niente se omette di dire che tra 50 anni anche il nucleare scarseggerà, con relativa lievitazione dei prezzi! L’astuzia qui sta nel far credere che la preoccupazione, il fine, lo scopo, è identico: salvare la generazione futura dalla catastrofe inevitabile. Ma per far questo deve omettere la verità che il combustibile nucleare è ancor più raro di quello fossile: la menzogna come omissione della verità!
Ci sono dei dubbi sulle centrali – dice il nero (vero). Al ché il bianco risponde mentendo: ma non ce ne sono sulla sicurezza! È spudoratamente falso perché che tipi di dubbi ci possono essere sulle centrali in quanto centrali, se non soprattutto sulla sicurezza? L’abilità sta qui nel separare il dubbio sulla sicurezza dalla sicurezza stessa! A suo modo diabolicamente geniale.
In un crescendo di abile capovolgimento di concetti, ecco che la “Mossa azzardata” del nero diventa “la grande mossa” del bianco: come dire, il futuro è di chi osa! Notare qui come “la grande mossa” è sottolineata dalla mossa del cavallo, sinonimo di forza, libertà, destrezza, virilità… E chi non osa è tutto il contrario di un “cavallo”… come minimo un fifone senza spina dorsale, un “pedone”.
Notare che l’ultima parola, nello pseudo dibattito, è sempre del bianco che contesta il nero, e che a sua volta non ribatte sullo stesso argomento al bianco, ma cambia “argomentazione”. Capito ora perché, contrariamente alle regole del gioco, comincia il nero? Perché il bianco deve avere l’ultima parola! In un dibattito vero il nero avrebbe potuto rispondere come ho risposto io: anche l’atomo si sta già esaurendo; il dubbio è proprio sulla sicurezza; una grossa mossa, se azzardata provoca sempre un grosso danno. E comunque non si gioca d’azzardo con la vita de pianeta e ancor meno con la vita dei propri figli (se arriveremo ad averli e non ci distruggiamo prima!), ecc.
Il colpo finale è ancor più cinico: E tu sei a favore o contro l’energia nucleare? O non hai ancora una posizione? Notare che non chiede se si è favorevoli o contrari alla costruzione di 10, 20, 30… centrali nucleari a due passi da casa propria… ma molto più innocuamente parla di “energia” nucleare! Invitando a prendere posizione che ovviamente con questo spot si cerca di manipolare.
A questo punto si può raccogliere le idee e capire meglio a cosa mira specificatamente lo spot. Cioè in un messaggio non basta capire se uno vuole convincerti ad essere favorevole a una cosa (qui il nucleare) ma occorre domandarsi: quale idea sta cercando di farmi passare nella coscienza? Quale pensiero sta cercando di innestare nella mia mente? Beh, qui è abbastanza facile:
Dopo aver immediatamente identificato il contrari con il male e i favorevoli con il bene: Far credere che ciò che crediamo problema sia la soluzione a tutti i problemi!
Cioè far credere che il nucleare è la soluzione al problema della penuria delle materie prime! E (rovescio della stessa idea) chi è contrario al nucleare è qualcuno che non vuole risolvere il problema ma ci porterà inevitabilmente all’età della pietra.
Non c’è da stupirsi allora se il “Giurì dell’Autodisciplina Pubblicitaria” abbia condannato lo spot del Forum Nucleare Italiano, giudicandolo ingannevole! Anche perché non è proprio la “Croce Rossa” il comitato promotore e finanziatore dello spot! Approfondimenti: qui e qui e qui
mercoledì 16 marzo 2011
C'è sempre un'alternativa
postato da
Mario
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Centrale Nucleare in avaria a Fukushima in Giappone |
Il Corriere della Sera, così sensibile a questi interessi, si lancia oggi con un articolo demenziale di Edoardo Boncinelli. Mi dispiace dirlo perché Boncinelli, che ho incontrato personalmente a un convegno, normalmente sa usare il cervello, ma evidentemente qui mostra di aver perso quella lucidità che ha saputo dimostrare altrove.
Andatevelo a leggere! Io intendo contestare qui il suo delirante ragionamento: Il titolo del post è espressamente antitetico a quello dell’articolo.
Zombie
Le ferali notizie che ci giungono dal Giappone stanno portando tanto inopinatamente quanto perentoriamente alla ribalta le polemiche sull’utilizzazione delle centrali nucleari e i loro rischi.
Non se ne sentiva proprio il bisogno (sic!), in un momento in cui occorrerebbe fare appello a tutta la nostra lucidità e in un Paese che è sempre pronto a rinunciare a priori a questo o a quello a causa di una tremenda, paralizzante paura delle novità tecnico-scientifiche. È facile in questo momento abbandonarsi all’onda emotiva e rinunciare mentalmente a ogni progetto che coinvolga l’energia nucleare. Sotto la spinta di questa onda, anche alcuni governi non hanno potuto fare a meno di annunciare provvedimenti restrittivi e la chiusura di vecchie centrali. Ma proprio perché il coinvolgimento emotivo di tutti quanti noi è più che evidente, occorre fare appello a tutta la razionalità che abbiamo a disposizione per non lasciarsi portare fuori strada dalle emozioni e soprattutto dalle paure, le meno illuminanti delle emozioni.
Evidentemente Boncinelli si sente uno zombie e l’uomo vero per Boncinelli è lo zombie! Come definire altrimenti una tale antropologia? Per lui l’essere umano è tale solo se è morto dentro, se le sue emozioni non interferiscono nel suo ragionamento. L’uomo come pura razionalità, freddo e impassibile come un cadavere. Ambulante morto.
Che razionalità è, una razionalità che censura parte del reale? E si immagina il mondo e l’uomo non “influenzato” dalla propria realtà sentimentale? Vero è che l’occidente ha censurato il sentimento, diventandone così spesso schiavo! Salvo farvi appello nella pubblicità per la vendita di prodotti inutili. L’economia è fredda, a lei interessa solo il profitto anche a costo di perderci. Sembra paradossale, ma solo apparentemente. Infatti l’inquinamento con la necessità di creare infrastrutture disinquinanti rischia di diventare il gioco perverso di una economia che abbia come fine solo se stessa. Come la società sudafricana che da un lato vendeva mine antiuomo (a Saddam) e dall’altro forniva (per conto dell’Onu) la propria consulenza per disinnescarle. In pace o in guerra ciò che conta è guadagnare.
Ma torniamo alla pseudo lucidità razionale di Boncinelli e adepti (ricordate? tra questi c’è anche il freddo Fini).
Ciascuno è quel che è, il carattere uno alcune volte se lo trova addosso, e ci può fare ben poco per cambiarlo se non dopo anni e anni di ascesi. Ma un conto – mi si perdoni per l’esempio, ma è solo per dare l’idea – è essere pedofili, un altro è sostenere che la pedofilia sia la modalità corretta per amare!
Il sentimento non è dis-trazione dal reale, ma immersione e conoscenza profonda di quello che ci circonda. Anche la paura. Essa ci è data per salvarci la vita avvertendoci, prima ancora di avere il tempo di abbozzare un ragionamento, che siamo davanti a un pericolo. Senza questo sentimento pre-razionale, non credo che oggi ci sarebbero ancora degli esseri umani sulla faccia della terra. Che sia a questo a cui mirano i fautori del nucleare? Il sospetto è legittimo.
Nell'uomo sentimento e razionalità, sono esigite entrambi, perché ciascuno aiuta l’altro a orientare l’uomo nella conoscenza vera di ciò che in generale si chiama Vita. Ma il sentimento arriva prima, di quello che è e sarà, o rischia di essere, il nostro presente e futuro. A volte agisce come un uragano che rischia di far perdere ogni razionalità, ma non per questo esso è irrazionale… solo ha bisogno di essere incanalato verso uno sbocco concreto, che non si limiti a essere solo emozione. Ma una razionalità che ignori il sentimento, porterà l’umanità verso l’autodistruzione. Perché, forse non ci abbiamo mai pensato, ma è il sentimento, l’emotività, che rende razionale la razionalità! Senza il sentimento, l’emotività, e persino la paura, la ragione è cieca e capace solo di sragionare, perché devia dal suo percorso vitale che solo il sentimento tiene desto.
Come le argomentazioni simili a quelle di Boncinelli evidenziano.
Definire l’Italia come un paese che è sempre pronto a rinunciare a priori a questo o a quello a causa di una tremenda, paralizzante paura delle novità tecnico-scientifiche, è un a priori che definisce solo la propria cecità. Faccio solo un esempio: Il fatto che siamo il paese con il più alto numero di telefonini sebbene non siano mai venuti meno i dubbi sulla sua capacità di produrre cancro al cervello, non aiuta a smontare dogmi ideologici funzionali ai propri interessi? Evidentemente no! Se gli interessi si contano in migliaia di miliardi di euro.
Compito della ragione è trovare la ragione delle proprie paure. Perché tutto sta a vedere se esse siano reali e immaginarie. Per questo bisogna domandarsi qual è il vero “oggetto” della paura. E non rimuoverla!
Non quindi la novità in sé fa paura agli italiani (anche se il meccanismo del nuovo porta sempre in sé un sospetto legittimo, da cui si capisce – ammesso che ci sia buona fede – la svista di Boncinelli), ma esattamente il contrario: il fatto che non ci sia reale novità!
Non c’è novità in una politica asservita al potere economico…
Non c’è novità in una scienza che continua ad essere finanziata dalle industrie…
Non c’è novità in una economia che pensa solo al profitto…
Non c’è novità in un progresso che non miri al vero progresso dell’uomo ma solo al suo conto in banca (per finanziare i prodotti dell’industria!).
Ditemi voi se c’è mai stato un disastro ecologico che non abbia coinvolto queste non-novità!
Politici inaffidabili…
Non la politica, ma i politici! Come ci si può fidare di politici disposti a rinunciare alle proprie idee e ideali per servire solo i propri interessi? I continui cambi di casacca dei politici italiani, possono ispirare fiducia nel giudizio e nelle scelte di questi politici e di chi li accoglie a braccia aperte? Quanti di questi politici sono veramente sganciati dagli interessi economici delle lobby economiche? In questo quadro, come poter credere alla loro buona fede? Il conflitto di interessi va ben oltre Berlusconi… È un problema mondiale il fatto che la politica non sia in grado, in questa economia, di riformare se stessa. I due terzi del Congresso americano sono in mano alle lobby. E l’Italia non è da meno. Non è una novità che nel disastro di Fukushima non siano esenti responsabilità anche dei politici giapponesi. Che tutto sapevano e tutto han nascosto. E non oso pensare cosa accadrebbe in Italia se questo è potuto accadere in un mondo politico dove un ministro è stato costretto a dimettersi per aver preso 400 euro di offerta! Come si può dare la responsabilità del nostro futuro a degli irresponsabili? Quello che sta accadendo in Libia non è ulteriore prova della loro inettitudine ad agire sulla storia per il bene comune delle popolazioni innocenti? Fin che si tratta di far andare in orario i treni, passi pure qualche ritardo… ma giocare col fuoco atomico con questi senza-coscienza (avete mai notato che a sentir loro, hanno sempre la “coscienza pulita”?) è sì il massimo di irrazionalità. Si ritorni alla vera politica e poi ci risentiremo sul nucleare!
Scienziati inaffidabili…
Non la scienza ma gli scienziati! Come ci si può fidare del giudizio degli scienziati quando questi sono al servizio degli interessi delle società che li finanziano? Altro che conflitto di interessi qui! Senza parlare che gli stessi scienziati sono divisi nel giudizio non per amore di verità scientifica, ma perché le società che finanziano le loro ricerche sono in concorrenza tra loro! Come ci si può fidare ancora del giudizio degli scienziati sulle centrali nucleari, quando sempre degli scienziati hanno dichiarato sicuri medicinali che non lo sono mai stati o hanno mentito sulla nocività di questo o quel prodotto?… O quando hanno dichiarato sicure centrali nucleari che si sono rivelate insicure?… Si sganci la scienza dai mastodontici interessi dell’industria e poi ci risentiremo sul nucleare! Certo che i tagli di Berlusconi-Bossi-Tremonti, non aiutano di certo a rendere autonoma la scienza. Se poi le lobby adesso entrano nel consiglio di amministrazione delle università (legge Gelmini), ben presto gli scienziati dichiareranno mangiabile anche la merda! In fondo è naturale e fa crescere le piante!
Industriali ed economisti inaffidabili…
Non l’economia e non l’industria in sé sono un problema, ma questa economia e questa industria! Come fidarsi ancora di questi industrialotti che passano il tempo a corrompere la politica e la scienza pur di ottenere il loro tornaconto?
Ma le leggiamo le notizie sui disastri ecologici? C’è n’è forse uno che non sia colpa loro? Non ultimo quello del Golfo del Messico? Dove i controllori erano benevoli perché vedevano nei controllati il loro futuro professionale. E questo negli USA, immaginiamoci da noi dove la corruzione imperversa! Eppoi mi vengono a parlare di pregiudizi sugli industriali, questi non sono pregiudizi, ma giudizi basati su fatti concreti.
Le società che costruiscono centrali nucleari, e quelle che le gestiscono, sono veramente al di sopra di ogni sospetto? La nostra è solo paura irrazionale? E non è vero invece che la paura ci sta avvertendo di qualcosa di irrazionale all’orizzonte? Le società private e non, che gestiscono le centrali nucleari, hanno sempre fatto gli interessi dello stato per il quale sono state costruite? Direi proprio di no! La Tepco che gestisce anche quella di Fukushima ha sempre mentito sui veri rischi della centrale. E chi ci dice che si dica il vero sulle altre? La Tepco non è un’eccezione, anzi, per gli industirali mentire è la regola. Si sa che anche quelle francesi, vivono di omertà! Per questo risultano sempre sicure anche se non lo fossero… E come credere che non sia solo fumo negli occhi il test di verifica (stress test) che tutte le capitali si apprestano a fare? Chi ci assicura che sia veritiero? E non sia come quello benevolo che la BCE ha fatto sulle banche? Fumo negli occhi che alla prima crisi pagheremo con la vita.
Eppoi chi ci dice che ciò che è sicuro oggi, sia ancora sicuro domani? La centrale elettronucleare giapponese Fukushima-1 è uno dei 25 maggiori impianti nucleari del mondo, costruito su progetto di General Electric, ed era considerato una delle strutture del genere fra le più sicure esistenti (fonte ANSA). Quando l’americana General Electric ha progettato il contenitore di acciaio (vessel) della centrale di Fukushima lo si credeva sicuro. Solo ora (ore 17,11 del 15 marzo fonte ANSA) si scopre che gli scienziati americani (sic!: ma non erano scienziati americani anche quelli che l’avevano progettata?) lo dichiarano progettualmente antiquato! Tante grazie, col senno di poi ci ero arrivato anch’io! E perché la politica, l’economia e la scienza non hanno fermato subito un impianto non più sicuro al 99,99 %? E chi ci dice che il crimine commesso in Giappone non si stia consumando altrove?
Ma ve la vedete voi un’Italia che costruisce un ostello per studenti universitari all’Aquila che si accartoccia alla prima “scossetta” di terremoto perché non avevano messo abbastanza cemento e omesso qualche pilastro, costruire centrali atomiche sicure? Eppoi la mafia non avrebbe niente da fare che guardare sfuggirle un affare colossale? È razionale pensare che la mafia stia a guardare o pensare che in qualche modo ci metta lo zampino costruendo come si sono costruiti gli impianti di riciclaggio che inquinano le falde a Napoli? Che si emargini la mafia e si riformi l’economia e poi ne riparleremo…
Ci sono sempre delle alternative
Dice ancora Boncinelli: Alla base della mia posizione a favore del nucleare ci sono due considerazioni elementari: al nucleare non ci sono vere alternative e le nazioni più sviluppate e civili ce lo hanno e lo usano da anni.
Certo che non ci sono alternative quando non le si cercano e ancor meno si finanziano! Se si investisse da subito per la ricerca di fonti alternative, dirottando i soldi per il nucleare per la riprogettazione dei “motori” per ridurre lo spreco (lo si è fatto con le lampadine e gli elettrodomestici che si aspetta a farlo col resto sviluppando ulteriormente la ricerca). Ma questo domanda allo stesso tempo una revisione dell’economia capitalista che si fonda sullo spreco. Ma a furia di sprecare stiamo per essere sommersi dai nostri detriti, non solo nucleari. Questo esige di porsi una buona volta la domanda sulla qualità del nostro progresso… E questo è compito anche della politica. Ma abbiamo visto da quali politici è abitata.
In quanto poi alla presunte nazioni più sviluppate e civili mi chiedo se Boncinelli ci inserisce il Giappone. In tal caso si risponde da sé…
Civile e sviluppata è una nazione che non si fonda sullo spreco, sul rischio della salute dei propri cittadini… Che punta sulla qualità della vita e non sulla quantità degli utili… ma qui il discorso rischia di diventare astratto oltre che allargarsi troppo.
Certo che in alcuni punti l’articolo rasenta il ridicolo, Come quando afferma che noi italiani vogliamo fare sempre di testa nostra, senza guardare a quello che fanno gli altri. Ma come, ci hanno sempre accusati di esterofilia! Diciamo che lo siamo spesso e volentieri nel copiare i difetti dei nostri vicini, aggiungendovi dei nostri. Molto più pigri nell’imitarli nelle virtù. A cominciare dal livello di trasparenza e di partecipazione dei cittadini al controllo del territorio e dell’operato dei suoi rappresentanti. La lista sarebbe troppo lunga di come da noi, azioni anche legali contro l’arroganza del potere politico ed economico, sono continuamente frustrati. D’altronde che attendersi da politici che sempre si auto-esonerano dalla responsabilità delle proprie azioni! E si permettono di sindacare su quella dei PM che vorrebbero richiamarli (in nome della legge che i politici hanno approvato!) alle proprie responsabilità almeno davanti alle loro leggi!
Ed è proprio per questo che è falso affermare come fa Boncinelli che il rischio si può contenere e controllare. Non questo rischio e non con questa fauna politica ed economica.
Quando parliamo poi di rischio col nucleare, non parliamo di rischio petrolchimico, dove al massimo si deve evacuare un territorio limitato (cfr Seveso), parliamo di rischio apocalittico di dimensioni planetarie, e sinceramente non possiamo permettercelo proprio perché, come dice Boncinelli, non è, e mai sarà, pari allo zero.
E questo direi che tagli la testa al toro! E chiude definitivamente il discorso: Di zero qui c’è soltanto l’azzeramento totale di ogni tipo di vantaggio davanti ad un rischio seppur piccolo di azzerare tutta la specie umana e un ritorno all’età della pietra per quei poveri deformati dalle radiazioni che sopravviverebbero. Altro che progresso!
Proprio perché, come ci invita a fare Boncinelli, noi guardiamo dritti in faccia i problemi noi sappiamo che quello nucleare ha come unica soluzione il suo bando totale (Bartolomeo I) che ci obbliga a investire risorse umane e finanziare per finalmente trovare le soluzioni che portino a un vero cambiamento, per un vero progresso di tutta l’umanità e non solo di alcuni oscuri personaggi che giocano con la menzogna sulla pelle degli altri e propria. Di questo bando totale, l'Italia dovrebbe farsi promotrice, come lo fece a suo tempo per la pena di morte!
Le persone favorevoli al nucleare mi sembrano come quei piloti che decidono di suicidarsi schiantando l’aereo con tutti i passeggeri a bordo! Ora se i nuclearisti sono stanchi di vivere e proprio non riescono a farvi una ragione del perché vivere, possono sempre spararsi un colpo in testa! Assicuro, da sacerdote, che la misericordia di Dio perdonerà certamente un peccato così orrendo, se lo fanno per lasciar vivere chi ancora lo vuole!
Per non scandalizzare i “piccoli”, informo che questo mio consiglio è moralmente lecito! In teologia morale questo invito consiste nel fatto che “non potendo impedire il male è lecito consigliare il male (che resta male!) minore”! Amen!
venerdì 2 luglio 2010
Lectio Magistralis
postato da
Mario

“
Non lasciatevi intimidire da chi grida di più perché ha più denari e più forti clientele... Non vi seduca la voce della popolarità a qualunque costo: a qualunque costo c’è soltanto il proprio dovere. Non potete fare molto, perché non fu data, con il suffragio, l’onnipotenza... Molto sarà perdonato a chi, non avendo potuto provvedere a tutti i disagi degli altri, si sarà guardato dal provvedere ai propri. Ridurre lo star male del prossimo non è sempre possibile: non prelevare per noi sulla miseria dei poveri è sempre possibile.
”
don Primo Mazzolari, ai neo eletti parlamentari Dc nella consultazione elettorale del 18 aprile 1948
(citato da Gian Carlo Cavazzoli, nella lettera al direttore di Avvenire del 18 febbraio 2010)
lunedì 28 giugno 2010
Sbloccare il cervello perché il futuro abbia inizio
postato da
Mario
D’un tratto, come se la crisi economica cominciata nel 2007 non fosse passata da queste parti, è riapparsa nei vocabolari un’espressione molto usata negli Anni 80: «Non c’è alternativa». L’acronimo inglese, Tina (There is no alternative), caratterizzò i governi di Margaret Thatcher, e la fiducia che a quei tempi si nutriva nelle virtù indiscutibilmente razionali delle forze di mercato. Queste ultime non andavano regolate: si regolavano da sole, a condizione di esser lasciate senza briglie. Il dogma del mercato mise a tacere dissensi e recriminazioni spesso irragionevoli, ma finì col congelare il pensiero e le sue risorse multiformi. Il fallimento del comunismo accentuò questi vizi di immobilità, perché ogni idea diversa era considerata a questo punto una messa in questione radicale dell’economia di mercato. La stessa parola alternativa era in anticipo screditata, proscritta. Chi aveva l’ardire di pensare o immaginare alternative era accusato di avvelenare e addirittura sovvertire il grande idolo dei fondamentalisti che era il tempo presente.
La fiducia nel dogma ha trovato nel 2007 la pietra su cui è inciampata, e cadendo ha trascinato con sé le sicurezze che credeva di possedere, compresa la sicurezza che le forze di mercato non avessero mai bisogno di briglie politiche. Quel che è mancato e che manca, tuttavia, è un ricominciamento del pensare: troppo a lungo congelata, la mente avanza ancora a tastoni e nel buio acchiappa con le mani le parole che trova, senza sapere se appartengano al mondo nuovo o al vecchio.
Tra queste parole c’è l’acronimo della Thatcher, riutilizzato da governi, imprenditori ed economisti nelle più svariate occasioni: nel caso di Pomigliano, come nelle discussioni sui piani di rigore che i Paesi industriali si apprestano a varare. Non vengono riutilizzate senza ragione, perché non poche misure e decisioni sono obbligate, difficilmente confutabili: è vero, ad esempio, che in un’economia internazionalizzata si possono produrre automobili solo in fabbriche dove i costi di lavoro siano abbastanza bassi e la produttività abbastanza alta da poter competere con le produzioni in Europa orientale o Asia. Da questo punto di vista non c’è alternativa, in effetti. Se si vogliono fabbricare automobili in Italia o in Francia o in Germania, bisogna per forza adottare nuove condizioni di lavoro: grosso modo, quelle indicate dal piano Marchionne.
Essendo un momento di verità, la crisi consiglia tuttavia prudenza, quando si esprimono certezze razionali così granitiche, impermeabili alle controversie e alle alternative. Soprattutto, essa insegna ad aguzzare lo sguardo, e anche ad allungarlo e differenziarlo. Una cosa che è senza alternativa nel breve termine, può rivelarsi del tutto sterile e più che bisognosa di alternative se esaminata con lo sguardo, molto più lungo, delle generazioni che verranno e di quelli che saranno i loro bisogni, le loro domande, i loro stili di vita. Una produzione che sembra oggi vitale e prioritaria può essere, nel lungo termine, non così centrale come lo è stato fino a oggi.
È questo il momento in cui il dogma del mercato tende a divenire l’ortodossia del tempo presente, dell’hic et nunc. L’automobile è un prodotto essenziale della nostra esistenza, oggi. Ma non è detto che lo sarà sempre allo stesso modo, che i modi di vita e le abitudini degli uomini non subiranno metamorfosi anche profonde. Il clima che si degrada rapidamente, il costo del petrolio, la scarsità delle risorse: tutti questi elementi non garantiscono all’automobile il posto cruciale che ha avuto per gran parte del ‘900, e non saranno gli aumenti della produttività e le più severe condizioni di lavoro in fabbrica a migliorarne le sorti. Un’auto resta un’auto, anche se consumerà meno energia, e sulla terra ce ne sono troppe. Nell’immediato non c’è alternativa a costruire auto in un certo modo a Pomigliano. Nel medio-lungo periodo l’enorme numero di veicoli programmati non troverà forse acquirenti.
Gli studiosi dibattono la questione da anni. Lo stesso Sergio Marchionne ha più volte fatto capire, in passato, che la domanda di automobili sta declinando in maniera strutturale, indipendentemente dalle crisi congiunturali. Già si studiano possibili riconversioni, alternative, che vanno ben al di là delle automobili a basso consumo. I piani alternativi non mancano e tutti raccomandano di investire nei trasporti comuni più che nell’auto individuale, nelle rotaie più che in ragnatele sempre più invasive di strade asfaltate, nei motori destinati a produrre energie alternative più che in motori che dilapidano risorse in diminuzione al servizio del singolo individuo. «I trasporti pubblici e le energie rinnovabili saranno il fulcro industriale della prossima generazione nell’economia globale», afferma Robert Pollin, economista all’università del Massachusetts. Secondo alcuni autori (James Kunstler è il più pessimista, nel suo libro intitolato The Long Emergency) il declino dell’auto diverrà visibile quando non sarà più conveniente costruire, in epoca di petrolio raro e caro, le città satelliti lontane dai centri-città e dai luoghi di lavoro (i suburbia).
Il modo di vita e di convivenza dei terrestri è in mutazione: a causa del clima, del diradarsi di risorse del pianeta, di catastrofi come quella nel Golfo del Messico. Muteranno bisogni, aspirazioni, influenzando sempre più i mercati. È una prospettiva alla quale conviene pensare, fin d’ora, cominciando a costruire le fabbriche e i lavori che saranno necessari nel mondo futuro. Anche mondo futuro è un concetto in metamorfosi costante: non è qualcosa che ideologicamente viene sovrapposto alla realtà, sostituendola alla maniera di un villaggio Potemkin che prima inganna e poi delude. È una realtà che molto semplicemente succederà, e sulla quale tuttavia potremo incidere con una condotta o con l’altra. L’unico vero problema è che le forze che saranno protagoniste di nuovi stili di vita e nuovi consumi esistono in maniera flebile, non dispongono di lobby per far ascoltare la propria voce, non hanno possenti rappresentanze. Non l’hanno soprattutto nei sindacati e nei partiti di sinistra, il più delle volte sordi alle esigenze di chi non ha il posto fisso, di chi vive in condizioni di mobilità continua, di chi non è protetto da reti di sicurezza ed è già attore di nuovi stili di vita e di consumi. Ma c’è arretratezza anche nel mondo degli imprenditori, dove a dominare sono spesso forze gelose del posto occupato dalle produzioni classiche: forze timorose del futuro, e delle conversioni mentali e produttive che il futuro comporta.
Vale la pena dunque pensare le alternative, e abbandonare le parole-mantra di Margaret Thatcher. E vale la pena pensare il mondo contraddittoriamente, tenendo sempre presenti i due sentieri che abbiamo davanti. Il sentiero del qui e ora, con i suoi stati di necessità non eludibili. E il sentiero del domani e dopodomani, con i suoi non meno eludibili vincoli energetici e climatici. Può darsi che nell’immediato sia corretto ricordare che non esistono alternative. Ma di alternative c’è un enorme bisogno per il futuro, ed è un bene che vengano pensate, vagliate, scartate, non domani ma già oggi.
domenica 20 giugno 2010
Contra stultos
postato da
Mario

Perché non dico Fiat e lavoratori? Perché se questo contratto si impone come modello (come vorrebbero gli stolti: cfr Salmo 92,6) esso va oltre la Fiat e va oltre i lavoratori di Pomigliano e va oltre i soli operai italiani…
Qui si tratta di un “modello” su cui, nelle intenzioni, si intende plasmare l’Italia futura e l’uomo futuro: sul modello originale “cinese” e fotocopie “polacche”.
Se è vero che l’uomo fa il lavoro è anche vero che il lavoro fa l’uomo (cfr G.P. II). E allora non possiamo fare a meno di constatare che questo modello di lavoro, ha come intento di foggiare un anthropos nuovo, un uomo nuovo… Ci domandiamo, quale? Quale typos di uomo, quale idea, quale concetto, quale forma di uomo emerge da un contratto simile? quale filosofia, quale ideologia, quale credo c’è nel modello di uomo che si sottende in una tipologia contrattuale del genere?
Ciò che conta è l’efficienza, la produzione, la domanda del mercato, a cui tutti, capitale e lavoratore gli sono sottomessi… il resto è, appunto, secondario! Il capitale, pur di accrescersi, fagocita se stesso e il lavoratore… Se non è cannibalismo questo che cosa è?
Le giustificazioni non mancano.
Si ha fame, si dice, (di soldi, di lavoro, di tutto), e si omette di dire “chi” ci ha portati alla fame: coloro che tanto si premurano di volerci ora saziare!
Si dice anche che alcuni ne hanno approfittato: scioperi selvaggi, assenteismo ingiustificato. E così per colpire gli abusi di alcuni, si abusa di tutti! La violazione della legge, non autorizza nessuno a violare la legge!
Ma queste sono scuse e lo sappiamo noi come lo sanno loro (Marcegaglia, Marchionne, Mammona), servono solo a chi detiene il potere economico per nascondere la propria avidità… Ci sono gli strumenti e se non ci sono si creano, per colpire chi da semplice operaio si sente in diritto di comportarsi come un deputato al Parlamento o come un dirigente della Confindustria: che diamine stia al suo posto! E non faccia, lui, il mafioso, che già ce ne sono troppi di furbi tra i sindacalisti stupidi e gli imprenditori arroganti…
Ma c’è poco da ironizzare… Le conseguenze vanno forse al di là delle già poco buone intenzioni: non è un ritorno a 50 anni fa, come si legge in alcune analisi seppur fortemente critiche… è un ritorno all’uomo pre-biblico: è come bruciare tutte le bibbie! (altro che Fahrenheit 451!)… Quello che emerge è un’idea di uomo, di vita, di lavoro, che uccide l’uomo: è un ritorno all’Egitto (biblico), là dove è iniziata la nostra storia.
Siamo alla ri-nascita del non-uomo: il tentativo del potere mammonico di creare l’uomo a sua immagine e somiglianza. Perché se vince il capitale, muore l’uomo in quanto umano! E se è un uomo senza capitale, muore anche fisicamente come la manovra berlusco-tremontiano-bossiana insegna: tartassiamo i poveri, tanto quelli ci sono abituati! E poi ce lo chiede l’Europa, che – Vandana Shiva dixit – per salvare l’euro uccide gli europei: Come sempre il capitale mira al capitale ed esige lavoro anche a costo della vita di chi lo fornisce.
Siamo anche all’antitesi di quello che ha espresso ed esprime da anni tutto il magistero ecclesiale e non ultimo l’appello di ancora ieri di Benedetto XVI: occorre salvare il capitale umano (solo così si fa pace tra capitale e lavoro: Tremonti impari!).
È l’annullamento tout-court di migliaia di anni di progresso umano. Non è soltanto l’abolizione di alcuni diritti sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo o di qualsivoglia altro pezzo di carta seppur solenne foss’anche sacro: è la nullificazione di quel processo di riconquista di sé e delle relazioni con l’altro (liberazione) che dalla “fuga” di Abramo dalle false sicurezze del proprio villaggio, ha portato un frammento di umanità derelitta (schiava!) a costituirsi “Popolo” che via via sotto la guida di Mosè fino a oltre l’avvento di Gesù di Nazaret ha costruito la propria identità nel riconoscersi depositaria e creatrice di un futuro nuovo (promessa) che va oltre se stessa: prima di ogni altro possibile immediato progresso. Perché il progresso non è progresso se non custodisce l’uomo. O per dirla con Carlo Clericetti: Resta da capire a cosa mai possa servire la crescita, se comporta un peggioramento delle condizioni della maggior parte dei cittadini.
Non è inevitabile tutto questo, si può e si deve rifiutare… non per dire no e basta, ma per ritornare a un futuro veramente nuovo per tutti…
Troveranno sempre un popolo disposto a vendersi anche l’anima per molto meno di 30 monete d’argento… ma non possiamo accettare di farlo anche noi “perché se no lo fanno loro”… perché la dignità umana non ha prezzo. Perché la vita a qualunque costo non vale più di un morire per difenderla… Se c’è una testimonianza (martyria) cristiana da vivere oggi, è questa!
Sarebbe un calcolo e un pensiero, cieco e sordo agli insegnamenti della storia (non solo biblica), ingoiare il rospo, non eviterebbe il peggio, ne accelererebbe l’arrivo.
Si deve vomitare a qualunque costo, altrimenti ci avvelenerà… per incominciare ad aiutare anche l’uomo cinese a liberarsi di un modello che lo porterà e ci porterà per paura di morire di fame, alla morte per eccesso di lavoro (se ancora si può chiamarlo così!)…
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