Riporto qui un articolo di Federico Geremicca apparso su LaStampa.it
C’è lo scontro istituzionale, è vero: preoccupante e inedito per la durezza, giunta - stavolta - fino alla sfida aperta tra capo del governo e Presidente della Repubblica. Ma dietro il conflitto che ha opposto - e probabilmente opporrà ancora nei giorni a venire - Napolitano e Berlusconi c’è molto altro.
A cominciare dall’oggetto dello scontro: la vita di una ragazza in stato vegetativo permanente da 17 anni. «Io non voglio la responsabilità della morte di Eluana», avrebbe detto il premier ai suoi ministri per convincerli a dire sì a un decreto legge che impedisse di sospendere alimentazione e idratazione ad Eluana Englaro. Il che, per deduzione, dovrebbe portare alla conclusione che chi a quel decreto si è poi opposto - Costituzione alla mano - si assume, appunto, la «responsabilità» di quella morte. Messa così, come è evidente, la discussione abbandona ogni profilo di civiltà, diventando quasi incommentabile. Proprio l’«oggetto» della disputa - la vita umana - avrebbe preteso che per una volta almeno la discussione mettesse da parte i calcoli politici e gli utili tatticismi, i tentativi di scaricabarile e le piccole astuzie politiche alle quali siamo abituati. Non è accaduto nemmeno stavolta: e al di là della gravità del conflitto istituzionale in atto, è questo che indigna e lascia senza parole.
Ciò nonostante, lo scontro è in corso. E ieri, dopo tre giorni di tensioni sotterranee e tese consultazioni, è esploso in tutta la sua asprezza. Quattro i passaggi chiave. Primo: una lettera «riservata e personale» fatta giungere in mattinata dal Presidente della Repubblica a Berlusconi nella quale si elencavano le ragioni per le quali il Quirinale non poteva accettare il ricorso ad un decreto. Secondo: la decisione del premier di rendere nota la lettera, andare avanti comunque e convocare una conferenza stampa per denunciare una «innovazione» da parte del Colle («Intervenire anticipando la decisione del Consiglio dei ministri circa la sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza») e annunciare che, se il Presidente non avesse firmato, il governo avrebbe presentato una legge da far approvare in due o tre giorni al Parlamento. Terzo: l’annuncio del Quirinale «di non poter procedere alla emanazione del decreto» per ragioni di ordine costituzionale. Quarto: un nuovo Consiglio dei ministri che trasformava il decreto in disegno di legge, con un successivo «accorato appello» di Berlusconi al presidente del Senato per «l’immediata convocazione di una seduta straordinaria».
Prima e durante questi passaggi, in una giornata assai poco edificante, s’è visto e sentito di tutto: il capo del governo evocare il ricorso al popolo di fronte all’impossibilità di utilizzare lo strumento del decreto legge; esponenti importanti delle gerarchie vaticane intervenire per lodare «il coraggio» dell’esecutivo e manifestare «delusione» verso il Capo dello Stato; il presidente della Camera, Fini, scendere in campo a sostegno delle posizioni di Napolitano per poi vedere i ministri di An votare sì al decreto sotto la pressione di Berlusconi. E di fronte a tutto questo, lo sbigottimento e l’amarezza della famiglia Englaro, sul cui dolore si è giocata e si continuerà a giocare una partita politica che ha ben poco a che vedere con l’etica e i principi richiamati qua e là. Infatti, che maggioranza e opposizione abbiano idee diverse sulle vie da percorrere in materie come testamento biologico, accanimento terapeutico ed eutanasia, è noto da tempo. Nessuno poteva però immaginare che tali differenze venissero messe alla prova di un decreto ad personam, di un provvedimento fatto solo per la povera Eluana: quasi una scimitarra per tagliare il mondo a metà, tra chi la vuole viva e chi - dicendo no al decreto - forse ne determina la morte (al di là della Costituzione e del suo rispetto).
Su questo piano, è evidente, nessun confronto - politico o istituzionale che sia - sembra essere più possibile. Ridurre una discussione delicata e complessa a chi è per la vita (vegetativa) di Eluana e a chi invece no, significa devastare il terreno del possibile confronto e gravare di una responsabilità non sopportabile chiunque abbia dubbi costituzionali, etici e legislativi sull’iniziativa del governo. Ieri questa responsabilità l’ha dovuta assumere il Presidente della Repubblica. Ma da oggi tocca ad altri: alla Camera e al Senato, ai loro membri, ai loro presidenti. Devono approvare il decreto trasformato in disegno di legge e, secondo il premier, devono farlo in fretta. In caso contrario saranno loro i «responsabili» della morte di Eluana. Diciamo la verità: nemmeno i più pessimisti avrebbero mai immaginato che si giungesse a un punto così.
C’è lo scontro istituzionale, è vero: preoccupante e inedito per la durezza, giunta - stavolta - fino alla sfida aperta tra capo del governo e Presidente della Repubblica. Ma dietro il conflitto che ha opposto - e probabilmente opporrà ancora nei giorni a venire - Napolitano e Berlusconi c’è molto altro.
A cominciare dall’oggetto dello scontro: la vita di una ragazza in stato vegetativo permanente da 17 anni. «Io non voglio la responsabilità della morte di Eluana», avrebbe detto il premier ai suoi ministri per convincerli a dire sì a un decreto legge che impedisse di sospendere alimentazione e idratazione ad Eluana Englaro. Il che, per deduzione, dovrebbe portare alla conclusione che chi a quel decreto si è poi opposto - Costituzione alla mano - si assume, appunto, la «responsabilità» di quella morte. Messa così, come è evidente, la discussione abbandona ogni profilo di civiltà, diventando quasi incommentabile. Proprio l’«oggetto» della disputa - la vita umana - avrebbe preteso che per una volta almeno la discussione mettesse da parte i calcoli politici e gli utili tatticismi, i tentativi di scaricabarile e le piccole astuzie politiche alle quali siamo abituati. Non è accaduto nemmeno stavolta: e al di là della gravità del conflitto istituzionale in atto, è questo che indigna e lascia senza parole.
Ciò nonostante, lo scontro è in corso. E ieri, dopo tre giorni di tensioni sotterranee e tese consultazioni, è esploso in tutta la sua asprezza. Quattro i passaggi chiave. Primo: una lettera «riservata e personale» fatta giungere in mattinata dal Presidente della Repubblica a Berlusconi nella quale si elencavano le ragioni per le quali il Quirinale non poteva accettare il ricorso ad un decreto. Secondo: la decisione del premier di rendere nota la lettera, andare avanti comunque e convocare una conferenza stampa per denunciare una «innovazione» da parte del Colle («Intervenire anticipando la decisione del Consiglio dei ministri circa la sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza») e annunciare che, se il Presidente non avesse firmato, il governo avrebbe presentato una legge da far approvare in due o tre giorni al Parlamento. Terzo: l’annuncio del Quirinale «di non poter procedere alla emanazione del decreto» per ragioni di ordine costituzionale. Quarto: un nuovo Consiglio dei ministri che trasformava il decreto in disegno di legge, con un successivo «accorato appello» di Berlusconi al presidente del Senato per «l’immediata convocazione di una seduta straordinaria».
Prima e durante questi passaggi, in una giornata assai poco edificante, s’è visto e sentito di tutto: il capo del governo evocare il ricorso al popolo di fronte all’impossibilità di utilizzare lo strumento del decreto legge; esponenti importanti delle gerarchie vaticane intervenire per lodare «il coraggio» dell’esecutivo e manifestare «delusione» verso il Capo dello Stato; il presidente della Camera, Fini, scendere in campo a sostegno delle posizioni di Napolitano per poi vedere i ministri di An votare sì al decreto sotto la pressione di Berlusconi. E di fronte a tutto questo, lo sbigottimento e l’amarezza della famiglia Englaro, sul cui dolore si è giocata e si continuerà a giocare una partita politica che ha ben poco a che vedere con l’etica e i principi richiamati qua e là. Infatti, che maggioranza e opposizione abbiano idee diverse sulle vie da percorrere in materie come testamento biologico, accanimento terapeutico ed eutanasia, è noto da tempo. Nessuno poteva però immaginare che tali differenze venissero messe alla prova di un decreto ad personam, di un provvedimento fatto solo per la povera Eluana: quasi una scimitarra per tagliare il mondo a metà, tra chi la vuole viva e chi - dicendo no al decreto - forse ne determina la morte (al di là della Costituzione e del suo rispetto).
Su questo piano, è evidente, nessun confronto - politico o istituzionale che sia - sembra essere più possibile. Ridurre una discussione delicata e complessa a chi è per la vita (vegetativa) di Eluana e a chi invece no, significa devastare il terreno del possibile confronto e gravare di una responsabilità non sopportabile chiunque abbia dubbi costituzionali, etici e legislativi sull’iniziativa del governo. Ieri questa responsabilità l’ha dovuta assumere il Presidente della Repubblica. Ma da oggi tocca ad altri: alla Camera e al Senato, ai loro membri, ai loro presidenti. Devono approvare il decreto trasformato in disegno di legge e, secondo il premier, devono farlo in fretta. In caso contrario saranno loro i «responsabili» della morte di Eluana. Diciamo la verità: nemmeno i più pessimisti avrebbero mai immaginato che si giungesse a un punto così.
1 commento:
Che si può aggiungere ad quanto già scritto? Sbigottimento è uno tei tanti sentimenti che provo. Non mi sbilancio di più,perchè la mia lingua batte poi....dove il dente duole!!! Ciao a tutti e non ci resta che....piangere! Ma meglio pregare, molto meglio, affinchè si aprano le tenebre e finalmente sia fatta Luce (divina).
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