Qual è la differenza tra anima e spirito? Chi muore e chi resta vivo? E la coscienza, è l’anima o lo spirito?
Ciò che noi saremo dopo la morte è un bel grande mistero. La stessa parola “dopo”, che suggerisce una continuità temporale, non è adatta per parlare di eternità (anche se l’eternità non è evidentemente meno che il tempo, se così posso esprimermi). Quanto alle parole “anima” e “spirito” esse non hanno nel vocabolario ebraico, lo stesso senso che in italiano. Per l’uomo occidentale, il dualismo greco si è imposto per parlare dell’essere umano… “Dopo la morte”, il corpo torna alla terra e l’anima è accolta da Dio… L’uomo biblico non ragiona così perché non conosce questo dualismo. Facciamo un piccolo excursus un po’ complicato forse ma non inutile spero.
La parola ruah (vento soffio, spirito) è un’espressione ebraica molto ricca e complessa. Indica prima di tutto il vento, uno degli elementi della natura, vento di tempesta o brezza leggera, “di cui non si sa né da dove viene, né dove va” (Gv 3,8). Quando è applicato all’uomo, indica il respiro, il soffio, la forza e l’energia vitale. Presente alla creazione, il soffio di Dio (il suo Spirito) è, in qualche modo, il legame vitale tra Dio e l’uomo. Sarà presente alla nuova creazione annunciata da Ezechiele: “io metterò in voi il mio proprio Spirito” (36,27).
Anche la parola ebraica néfesh rischia spesso di essere compresa in senso opposto al suo significato originario. Anche lei in ebraico ha un significato polisemantico: anima, essere vivente, vita, desiderio, relazione a se stessi… Dice quindi la persona intera e può essere anche un sostituto del pronome personale “io”: per esempio quando il salmista dice “La mia anima ha sete di Dio” (42,3) esprime il desiderio di tutto il suo essere e può essere tradotto semplicemente “Io ho sete di Dio”… A questo punto ti invito a rileggere quanto già detto altrove per approfondire il significato di néfesh...
E dopo questo lungo excursus, ritorniamo a questo “dopo” della morte… La parola di Gesù può esserci da guida, quando dice sulla croce: “Padre, tra le tue mani, io rimetto il mio spirito”. Allo steso modo che egli dona la sua vita, la sua néfesh (la morte sulla croce “per noi uomini e per la nostra salvezza”), egli rimette il suo spirito, la sua ruah, tra le mani del Padre, nell’abbandono, la fiducia e la speranza…
Se quindi voi vi domandate cosa resterà dopo la vostra morte, io ho voglia di rispondere in modo provocatorio: niente, non vi resterà niente, né corpo, né anima, né spirito, né coscienza! Non sperate di salvare la vostra vita senza accettare di perderla. Ma Dio a cui voi rimetterete il vostro soffio, Dio, noi lo speriamo, accoglierà in lui la vita, l’anima e lo spirito che voi avrete donato nel servizio degli altri e rimesso con fiducia alla sua tenera misericordia.
Ciò che noi saremo dopo la morte è un bel grande mistero. La stessa parola “dopo”, che suggerisce una continuità temporale, non è adatta per parlare di eternità (anche se l’eternità non è evidentemente meno che il tempo, se così posso esprimermi). Quanto alle parole “anima” e “spirito” esse non hanno nel vocabolario ebraico, lo stesso senso che in italiano. Per l’uomo occidentale, il dualismo greco si è imposto per parlare dell’essere umano… “Dopo la morte”, il corpo torna alla terra e l’anima è accolta da Dio… L’uomo biblico non ragiona così perché non conosce questo dualismo. Facciamo un piccolo excursus un po’ complicato forse ma non inutile spero.
La parola ruah (vento soffio, spirito) è un’espressione ebraica molto ricca e complessa. Indica prima di tutto il vento, uno degli elementi della natura, vento di tempesta o brezza leggera, “di cui non si sa né da dove viene, né dove va” (Gv 3,8). Quando è applicato all’uomo, indica il respiro, il soffio, la forza e l’energia vitale. Presente alla creazione, il soffio di Dio (il suo Spirito) è, in qualche modo, il legame vitale tra Dio e l’uomo. Sarà presente alla nuova creazione annunciata da Ezechiele: “io metterò in voi il mio proprio Spirito” (36,27).
Anche la parola ebraica néfesh rischia spesso di essere compresa in senso opposto al suo significato originario. Anche lei in ebraico ha un significato polisemantico: anima, essere vivente, vita, desiderio, relazione a se stessi… Dice quindi la persona intera e può essere anche un sostituto del pronome personale “io”: per esempio quando il salmista dice “La mia anima ha sete di Dio” (42,3) esprime il desiderio di tutto il suo essere e può essere tradotto semplicemente “Io ho sete di Dio”… A questo punto ti invito a rileggere quanto già detto altrove per approfondire il significato di néfesh...
E dopo questo lungo excursus, ritorniamo a questo “dopo” della morte… La parola di Gesù può esserci da guida, quando dice sulla croce: “Padre, tra le tue mani, io rimetto il mio spirito”. Allo steso modo che egli dona la sua vita, la sua néfesh (la morte sulla croce “per noi uomini e per la nostra salvezza”), egli rimette il suo spirito, la sua ruah, tra le mani del Padre, nell’abbandono, la fiducia e la speranza…
Se quindi voi vi domandate cosa resterà dopo la vostra morte, io ho voglia di rispondere in modo provocatorio: niente, non vi resterà niente, né corpo, né anima, né spirito, né coscienza! Non sperate di salvare la vostra vita senza accettare di perderla. Ma Dio a cui voi rimetterete il vostro soffio, Dio, noi lo speriamo, accoglierà in lui la vita, l’anima e lo spirito che voi avrete donato nel servizio degli altri e rimesso con fiducia alla sua tenera misericordia.
Michel Souchon, gesuita
in collaborazione con “Croire aujourd'hui”
(mia traduzione)
4 commenti:
E' un tema, come tanti nel blog, che provoca un guardarsi dentro in modo serio, in profondità, senza nasconderti. Posso solo testimoniare che nel mio tentare, nel mio cercare una relazione personale con il Padre mi spoglio di qualsiasi domanda, desiderio. "LA SETE DI LUI" è struggente e insaziabile. Non mi sfiora quasi mai, almeno sino ad ora, il pensiero della morte, del "dopo". E' qui, adesso, in questo preciso momento che tutto il mio essere è teso nel far conoscere l'Amore che Lui ha per noi. Perchè temere il "dopo", cerco di educarmi a riconoscere la Sua misericordia nelle piccole cose, fatti....
Sono entrata nel sito Croire.com ed ho letto la versione originale in francese. Trovo sia bello far consocere l'esatta traduzione dall'ebraico, greco e latino di certi vocaboli evangelici o biblici, altrimenti non si entra appieno nella comprensione di ciò che i Profeti o gli Evangelisti intendevano dire. Spesso l'uomo si chiede cosa di lui andrà a Dio,dopo la morte, o cos'è quest'anima che gli appartiene. Trovo che la risposta di P. Souchon sia illuminante al riguardo. Credo che questi argomenti possano saziare il desiderio di conoscenza di molti cattolici. Da parte mia ti ringrazio fin d'ora
Grazie... aiuta anche me se non altro per impararne la... "sinteticità"...
Riprendendo il commento di 'ntonia, ecco... io invece lo temo proprio il dopo. Ho proprio paura di morire. E siccome è una paura viscerale non c'è ragionamento che tenga. "Se dunque Cristo non è risorto dai morti, vana è la vostra fede". Quante volte ho masticato questa frase, ma, detto in modo spicciolo, ho proprio paura di non risorgere. E con questa paura la morte sembra proprio un salto nel nulla. Quello che, in modo provocatorio, Souchon afferma - dopo la morte non vi rimarrà niente...- è esattamente ciò che io ora vivo.
E l'unica cosa che mi sembra sensato fare è ripetere l'invocazione di stamattina alle lodi:- Pietà di me, Signore, secondo la tua misericordia.
Ciao a tutti
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