Il bugiardo:
Scrivo queste righe per raccogliere un’incredibile sfida, e per rilanciarla a mia volta con stupefatta ma serena coscienza. È stato, infatti, scritto che Avvenire avrebbe definito «un boia» Beppino Englaro. I nostri lettori sobbalzeranno, e a ragione. E io, a nome mio e loro, sfido chiunque a dimostrare che Avvenire, in un proprio articolo, abbia mai abbinato al nome del signor Englaro quella qualifica. Quando si arriva a contrarre e manipolare un ragionamento articolato lungo alcuni paragrafi in un paio di parole icastiche in realtà mai accostate né intenzionalmente né casualmente sul nostro giornale, e quando un giornalista come Giuseppe D’Avanzo – al pari del più inesperto Giacomo Galeazzi (La Stampa di Torino) – arriva ad assumere come fonte autorevole un ideologico spiffero di agenzia, senza lo scrupolo di una qualche verifica, allora – diciamolo – il processo di dequalificazione del nostro mestiere è ben più avanzato di quanto si pensi.
Perché Repubblica, che è un giornale di qualche ambizione culturale, si lasci cadere in un simile infortunio lo ignoro. O meglio, credo di immaginarlo: da qualche settimana nelle redazioni dei giornaloni laici soffia insistente un venticello di anticlericalismo, tanto stupito quanto superficiale. E più il giornale cattolico teneva il punto, più questi si accanivano a suon di battute beffarde e assurde. Per loro infatti non c’è il giornalismo ben fatto o mal fatto, c’è il giornalismo amico o nemico. Dunque, additare e far sentire isolato Avvenire, è un obiettivo in sé bastevole. Naturalmente a costoro non importa che noi non ci sentiamo affatto isolati e mai come in questa occasione rigenerati invece dentro il popolo della vita, e fieri portavoce di questo.
Aggiungo che se si è al punto che già non basta più certo giornalismo creativo, da sfondare nell’invenzione e nella calunnia verso un’intera redazione, mi spiace tanto collega Ezio Mauro, ma temo siate più fragili di quel che immaginate. Che poi, per ben servirvi, il Grande Valdese sia subito pronto a impartirci – ad onta di ogni bon ton e garbo interconfessionale – l’ennesima lezioncina sul Concilio Vaticano II, è solo il mesto coronamento di un’acida torta.
Attenti però, che cominciamo a stancarci. Che se la nausea raggiunge la soglia critica e i cattolici anche solo per un giorno o una settimana rinunciano ad acquistarvi in edicola, allora son dolori. Una parola vorrei dire sugli inviti al silenzio che come funghi sono spuntati nelle ultime settimane di vita di Eluana. Conosco il genere, e conosco bene alcune delle personalità che li hanno rivolti e so che il loro era un saggio appello alla misura e riflessione. E infatti ci siamo sentiti confortati e non poco aiutati. Altre volte questo invito era un tantino più peloso, quasi un incitamento alla diserzione civile. A guardare altrove, lasciando che le grandi manovre attorno alla morte si compissero indisturbate, tra bugie talora clamorose e una frettolosità alquanto sospetta.
Naturalmente non potevamo accontentarli. Sarebbe stato un tradimento. Soprattutto nei riguardi di quei tanti tra il popolo che non possono permettersi avvocati e primari, guardie del corpo e strutture ad hoc dedicate, eppure con dignità portano avanti la croce loro riservata, che ad un tempo è la loro gloria. Potevamo forse lasciar credere che la Chiesa e il suo lessico integro, e mai ipocrita, avrebbero smesso di custodirli? Sembrerà strano ai nostri amati (lo sono, nonostante tutto) colleghi laici, ma sanno costoro chi o che cosa ci ha dato coraggio proprio nelle ultime settimane, oltre alla nostra buona coscienza? La parola sempre puntuale del Papa, che anche in un momento di tensioni varie, e potenzialmente delicato quanto ai rapporti tra lo Stato e la comunità credente, ha trovato ogni volta la sapienza e la delicatezza per stemperare qualunque pretesto di polemica ma anche per confortare e sostenere il popolo della vita. Bussola chiara e indubitabile, egli è stato anche in questi giorni.
Il che, insieme alla testimonianza delle Misericordine (che nome splendido) di Lecco, è ciò che più conta. Quanto al resto, lasciamo – come diceva don Bosco – cinguettare i passeri. (Dino Boffo, direttore Avvenire, editoriale del 12 febbraio 2009).
il blasfemo:
Eluana è stata uccisa. Davanti alla morte le parole tornano nude. Non consentono menzogne, non tollerano mistificazioni. E se noi – oggi – non le scrivessimo, queste parole nude e vere, se noi – oggi – non chiamassimo le cose con il loro nome, se noi – oggi – non gridassimo questa tristissima verità, non avremmo più titolo morale per parlare ai nostri lettori, ai nostri concittadini, ai nostri figli. Non saremmo cronisti, e non saremmo nemmeno uomini.
Eluana è stata uccisa. Una settimana esatta dopo essere stata strappata all’affetto e alla «competenza di vita» delle sorelle che per 15 anni, a Lecco, si erano pienamente e teneramente occupate di lei. In un momento imprecisato e oscuro del «protocollo», orribile burocratico eufemismo con il quale si è cercato di sterilizzare invano l’idea di una «competenza di morte» messa in campo, a Udine, per porre fine artificialmente ai suoi giorni.
Eluana è stata uccisa. E noi osiamo chiedere perdono a Dio per chi ha voluto e favorito questa tragedia. Per ogni singola persona che ha contribuito a fermare il respiro e il cuore di una giovane donna che per mesi era stata ostinatamente raccontata, anzi <+corsivo>sentenziata<+tondo>, come «già morta» e che morta non era. Chiediamo perdono per ognuno di loro, ma anche per noi stessi. Per non aver saputo parlare e scrivere più forte. Per essere riusciti a scalfire solo quando era troppo tardi il muro omertoso della falsa pietà. Per aver trovato solo quando nessuno ha voluto più ascoltarle le voci per Eluana (le altre voci di Eluana) che erano state nascoste. Sì, chiediamo perdono per ogni singola persona che ha voluto e favorito questa tragedia. E per noi che non abbiamo saputo gridare ancora di più sui tetti della nostra Italia la scandalosa verità sul misfatto che si stava compiendo: senza umanità, senza legge e senza giustizia.
Eluana è stata uccisa. E noi vogliamo chiedere perdono ai nostri figli e alle nostre figlie. Ci perdonino, se possono, per questo Paese che oggi ci sembra pieno di frasi vuote e di un unico gesto terribile, che li scuote e nessuno saprà mai dire quanto. Con che occhi ci guarderanno? Misurando come le loro parole, le esclamazioni? Rinunceranno, forse per paura e per sospetto, a ragionare della vita e della morte con chi gli è padre e madre e maestro e amico e gli potrebbe diventare testimone d’accusa e pubblico ministero e giudice e boia? Chi insegnerà, chi dimostrerà, loro che certe parole, che le benedette, apodittiche certezze dei vent’anni non sono necessariamente e sempre pietre che gli saranno fardello, che forse un giorno potrebbero silenziosamente lapidarli. Ci perdonino, se possono. Perché Eluana è stata uccisa.
Sì, Eluana è stata uccisa. E noi, oggi, abbiamo solo una povera tenace speranza, già assediata – se appena guardiamo nel recinto delle aule parlamentari – dalle solite cautelose sottigliezze, dalle solite sferraglianti polemiche. Eppure questa povera tenace speranza noi la rivendichiamo: che non ci sia più un altro caso così. Che Eluana non sia morta invano, e che non muoia mai più. Ci sia una legge, che la politica ci dia subito una legge. E che nessuno, almeno nel nostro Paese, sia più ucciso così: di fame e di sete.
Ma che si faccia, ora, davvero giustizia. Che s’indaghi fino in fondo, adesso che il «protocollo» è compiuto e il mistero di questa fine mortalmente c’inquieta. Non ci si risparmi nessuna domanda, signori giudici. Ci sia trasparenza finalmente, dopo l’opacità che ci è stata imposta fino a colmare la misura della sopportazione. E si risponda presto, si risponda subito, si risponda totalmente. Come è stata uccisa Eluana? (Marco Tarquinio, Avvenire, editoriale del 10 febbraio 2009).
NOTA: Un po' la cosa mi consola: vuol dire che l'Avvenire, grazie a Dio, non è letto nemmeno da coloro che lo scrivono!
Scrivo queste righe per raccogliere un’incredibile sfida, e per rilanciarla a mia volta con stupefatta ma serena coscienza. È stato, infatti, scritto che Avvenire avrebbe definito «un boia» Beppino Englaro. I nostri lettori sobbalzeranno, e a ragione. E io, a nome mio e loro, sfido chiunque a dimostrare che Avvenire, in un proprio articolo, abbia mai abbinato al nome del signor Englaro quella qualifica. Quando si arriva a contrarre e manipolare un ragionamento articolato lungo alcuni paragrafi in un paio di parole icastiche in realtà mai accostate né intenzionalmente né casualmente sul nostro giornale, e quando un giornalista come Giuseppe D’Avanzo – al pari del più inesperto Giacomo Galeazzi (La Stampa di Torino) – arriva ad assumere come fonte autorevole un ideologico spiffero di agenzia, senza lo scrupolo di una qualche verifica, allora – diciamolo – il processo di dequalificazione del nostro mestiere è ben più avanzato di quanto si pensi.
Perché Repubblica, che è un giornale di qualche ambizione culturale, si lasci cadere in un simile infortunio lo ignoro. O meglio, credo di immaginarlo: da qualche settimana nelle redazioni dei giornaloni laici soffia insistente un venticello di anticlericalismo, tanto stupito quanto superficiale. E più il giornale cattolico teneva il punto, più questi si accanivano a suon di battute beffarde e assurde. Per loro infatti non c’è il giornalismo ben fatto o mal fatto, c’è il giornalismo amico o nemico. Dunque, additare e far sentire isolato Avvenire, è un obiettivo in sé bastevole. Naturalmente a costoro non importa che noi non ci sentiamo affatto isolati e mai come in questa occasione rigenerati invece dentro il popolo della vita, e fieri portavoce di questo.
Aggiungo che se si è al punto che già non basta più certo giornalismo creativo, da sfondare nell’invenzione e nella calunnia verso un’intera redazione, mi spiace tanto collega Ezio Mauro, ma temo siate più fragili di quel che immaginate. Che poi, per ben servirvi, il Grande Valdese sia subito pronto a impartirci – ad onta di ogni bon ton e garbo interconfessionale – l’ennesima lezioncina sul Concilio Vaticano II, è solo il mesto coronamento di un’acida torta.
Attenti però, che cominciamo a stancarci. Che se la nausea raggiunge la soglia critica e i cattolici anche solo per un giorno o una settimana rinunciano ad acquistarvi in edicola, allora son dolori. Una parola vorrei dire sugli inviti al silenzio che come funghi sono spuntati nelle ultime settimane di vita di Eluana. Conosco il genere, e conosco bene alcune delle personalità che li hanno rivolti e so che il loro era un saggio appello alla misura e riflessione. E infatti ci siamo sentiti confortati e non poco aiutati. Altre volte questo invito era un tantino più peloso, quasi un incitamento alla diserzione civile. A guardare altrove, lasciando che le grandi manovre attorno alla morte si compissero indisturbate, tra bugie talora clamorose e una frettolosità alquanto sospetta.
Naturalmente non potevamo accontentarli. Sarebbe stato un tradimento. Soprattutto nei riguardi di quei tanti tra il popolo che non possono permettersi avvocati e primari, guardie del corpo e strutture ad hoc dedicate, eppure con dignità portano avanti la croce loro riservata, che ad un tempo è la loro gloria. Potevamo forse lasciar credere che la Chiesa e il suo lessico integro, e mai ipocrita, avrebbero smesso di custodirli? Sembrerà strano ai nostri amati (lo sono, nonostante tutto) colleghi laici, ma sanno costoro chi o che cosa ci ha dato coraggio proprio nelle ultime settimane, oltre alla nostra buona coscienza? La parola sempre puntuale del Papa, che anche in un momento di tensioni varie, e potenzialmente delicato quanto ai rapporti tra lo Stato e la comunità credente, ha trovato ogni volta la sapienza e la delicatezza per stemperare qualunque pretesto di polemica ma anche per confortare e sostenere il popolo della vita. Bussola chiara e indubitabile, egli è stato anche in questi giorni.
Il che, insieme alla testimonianza delle Misericordine (che nome splendido) di Lecco, è ciò che più conta. Quanto al resto, lasciamo – come diceva don Bosco – cinguettare i passeri. (Dino Boffo, direttore Avvenire, editoriale del 12 febbraio 2009).
il blasfemo:
Eluana è stata uccisa. Davanti alla morte le parole tornano nude. Non consentono menzogne, non tollerano mistificazioni. E se noi – oggi – non le scrivessimo, queste parole nude e vere, se noi – oggi – non chiamassimo le cose con il loro nome, se noi – oggi – non gridassimo questa tristissima verità, non avremmo più titolo morale per parlare ai nostri lettori, ai nostri concittadini, ai nostri figli. Non saremmo cronisti, e non saremmo nemmeno uomini.
Eluana è stata uccisa. Una settimana esatta dopo essere stata strappata all’affetto e alla «competenza di vita» delle sorelle che per 15 anni, a Lecco, si erano pienamente e teneramente occupate di lei. In un momento imprecisato e oscuro del «protocollo», orribile burocratico eufemismo con il quale si è cercato di sterilizzare invano l’idea di una «competenza di morte» messa in campo, a Udine, per porre fine artificialmente ai suoi giorni.
Eluana è stata uccisa. E noi osiamo chiedere perdono a Dio per chi ha voluto e favorito questa tragedia. Per ogni singola persona che ha contribuito a fermare il respiro e il cuore di una giovane donna che per mesi era stata ostinatamente raccontata, anzi <+corsivo>sentenziata<+tondo>, come «già morta» e che morta non era. Chiediamo perdono per ognuno di loro, ma anche per noi stessi. Per non aver saputo parlare e scrivere più forte. Per essere riusciti a scalfire solo quando era troppo tardi il muro omertoso della falsa pietà. Per aver trovato solo quando nessuno ha voluto più ascoltarle le voci per Eluana (le altre voci di Eluana) che erano state nascoste. Sì, chiediamo perdono per ogni singola persona che ha voluto e favorito questa tragedia. E per noi che non abbiamo saputo gridare ancora di più sui tetti della nostra Italia la scandalosa verità sul misfatto che si stava compiendo: senza umanità, senza legge e senza giustizia.
Eluana è stata uccisa. E noi vogliamo chiedere perdono ai nostri figli e alle nostre figlie. Ci perdonino, se possono, per questo Paese che oggi ci sembra pieno di frasi vuote e di un unico gesto terribile, che li scuote e nessuno saprà mai dire quanto. Con che occhi ci guarderanno? Misurando come le loro parole, le esclamazioni? Rinunceranno, forse per paura e per sospetto, a ragionare della vita e della morte con chi gli è padre e madre e maestro e amico e gli potrebbe diventare testimone d’accusa e pubblico ministero e giudice e boia? Chi insegnerà, chi dimostrerà, loro che certe parole, che le benedette, apodittiche certezze dei vent’anni non sono necessariamente e sempre pietre che gli saranno fardello, che forse un giorno potrebbero silenziosamente lapidarli. Ci perdonino, se possono. Perché Eluana è stata uccisa.
Sì, Eluana è stata uccisa. E noi, oggi, abbiamo solo una povera tenace speranza, già assediata – se appena guardiamo nel recinto delle aule parlamentari – dalle solite cautelose sottigliezze, dalle solite sferraglianti polemiche. Eppure questa povera tenace speranza noi la rivendichiamo: che non ci sia più un altro caso così. Che Eluana non sia morta invano, e che non muoia mai più. Ci sia una legge, che la politica ci dia subito una legge. E che nessuno, almeno nel nostro Paese, sia più ucciso così: di fame e di sete.
Ma che si faccia, ora, davvero giustizia. Che s’indaghi fino in fondo, adesso che il «protocollo» è compiuto e il mistero di questa fine mortalmente c’inquieta. Non ci si risparmi nessuna domanda, signori giudici. Ci sia trasparenza finalmente, dopo l’opacità che ci è stata imposta fino a colmare la misura della sopportazione. E si risponda presto, si risponda subito, si risponda totalmente. Come è stata uccisa Eluana? (Marco Tarquinio, Avvenire, editoriale del 10 febbraio 2009).
NOTA: Un po' la cosa mi consola: vuol dire che l'Avvenire, grazie a Dio, non è letto nemmeno da coloro che lo scrivono!
5 commenti:
Toh! ma guarda!...
non comment...
io sono talmente perplessa, che mi mancano le parole...
Io invece desidero commentare.
Quanta pomposa e barocca retorica, quanta superba tracotanza camuffata sotto le spoglie di una speciosa umiltà, quanta integralistica sicumera nel rivoltare le proprie tasche per estrarne la Verità e nell'additare il peccato capitale di chi non la riconosce.
Ma sommamente aberrante, l'apoteosi di questa jihad verbale - e si sa che la penna ferisce più della spada - è quell'atteggiamento paternalistico (per coincidenza ne parlavo ieri) pronto a discettare senza remore o scrupoli del bene (così come del male) altrui.
«E noi osiamo chiedere perdono a Dio per chi ha voluto e favorito questa tragedia. Per ogni singola persona che ha contribuito a fermare il respiro e il cuore di una giovane donna che per mesi era stata ostinatamente raccontata, anzi sentenziata, come "già morta" e che morta non era».
Eccolo il Tarquinio, uno dei tanti, novelli cristi che non ci pensano due volte ad autocrocifiggersi sul legno della loro ideologia per così poter impetrare, quali sensali di Dio, il perdono per quei fratelli che credono piccoli, emulando così le parole del Cristo in croce: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno».
Ma è poi un escamotage meramente morale, poiché nella chiusa s'alza la voce giustizialista che rivendica giustizia e chiarezza sull'omicidio di lei - non ho cuore di nominarla ancora, anche io.
No, arroganti invasati di un avvenire morto (grazie a Dio) secoli fa, non avreste mai dovuto. Come osate chiedere perdono per me, negandomi, così, persino il diritto di avere un'opinione diversa dalla vostra, la stessa liceità di averla avuta, la piena coscienza delle sue implicazioni e il deliberato consenso alle sue conseguenze?
Folle e assurdo come, nella loro guerra santa per invocare il rispetto di una vita, costoro abbiano leso, profanato la dignità umana nel modo più - dice bene Mario - blasfemo.
Della serie "quando cé vo' ce vo'!"... bravo!
Anch'io mi sono tolta un sassolino che mi faceva male con due persone abbastanza vicine con cui condivido "qualcosa" e che fanno parte di un gruppo molto potente cattolico-cristiano. Mi hanno inviato un messaggio ed io ho risposto, qui molto in sintesi, che il messaggio di Gesù è UNIVERSALE, è rivolto a ...vedi discorso della montagna. Gli ho chiesto se quella "Carezza del Nazareno" di cui parlavano i genitori di Eluana l'avessero mai sperimentata. Non l'hanno chiesta? Per noi che professiamo di essere CREDENTI E CRISTIANI, non è una giustificazione. Sono come i lebbrosi ed allora Gesù come risponde... La faccio breve ho inviato loro il tuo grido Mario, che era anche il mio, pienamente sottoscritto e commentato. Mi hanno risposto ma sono due giorni che non ho voglia di leggerlo, lo farò con calma.
Qui la mia maschera era tolta.
Ciao a tutti, mi ripeto: ma è importante non sentirsi soli e qui mi sento accolta.
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