I testi che la liturgia ci propone per questa prima domenica di Quaresima, in particolare il testo del vangelo, non possono non suscitare una certa difficoltà ai vari tentativi di commento: innanzitutto infatti l’essenzialità di Marco appare disarmante; egli non concede nessuno spazio alla divagazione, come si può evincere chiaramente da un confronto con gli altri racconti sinottici delle tentazioni. Mentre Matteo e Luca infatti si dilungano, Marco risolve tutto in un versetto: «In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana». In secondo luogo i versetti 12-15 del primo capitolo di Marco, sono gli stessi che la Chiesa ci proponeva anche qualche domenica fa, per cui questo ricorrere dello stesso brano ha la conseguenza di suscitare non poca fatica nel trovare ancora qualcosa da dire in proposito…
Inevitabilmente sorge allora la domanda, un po’ stanca e un po’ sconsolata per la fatica che il calendario liturgico ci fa fare nel volerci riconcentrati su questo testo, riguardante il perché della riproposizione degli stessi versetti a inizio Quaresima… Ovviamente la domanda è retorica… La scelta infatti non è casuale e non ricorre solo quest’anno: le ragioni dunque sono sostanziali, non occasionali.
In effetti il brano contiene numerosi elementi cari al tempo forte della preparazione alla Pasqua: innanzitutto il riferimento numerico ai quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto; in secondo luogo la tentazione (che non dovremo scordare è teologica) avvenuta in quei quaranta giorni; infine l’annuncio della compiutezza del tempo, del sopraggiungere del Regno, della necessità della conversione alla buona notizia di Gesù.Tutti questi elementi, mi pare convoglino sulla stessa tematica: in gioco cioè, c’è la lotta per l’adesione al vero volto di Dio; una lotta che è stata di Gesù nel deserto e che continua per ogni suo discepolo, in particolare di fronte al mistero della Pasqua e dunque nel tempo forte della Quaresima.
Interessante infatti che Gesù, subito dopo la grande conferma avuta al Battesimo da parte di Dio («Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»), senta il bisogno di ritirarsi nel deserto da solo per riflettere tra sé e sé, tra sé e Dio: «lo Spirito sospinse Gesù nel deserto». È una dinamica che si vede molto bene per esempio nel film “I giardini dell’Eden” di D’Alatri, per tanti aspetti criticato dall’istituzione ecclesiale, ma che nello specifico, mi pare abbia colto nel segno. La sceneggiatura infatti, tra il battesimo di Gesù al Giordano e i quaranta giorni nel deserto, introduce un dialogo tra Gesù e Giovanni non presente nei vangeli, ma congeniato in modo tale da indicare bene il senso delle tentazioni:
GB: “Qualcosa di grande sta per accadere, tutte le profezie si compiranno: i figli si rivolteranno contro i padri, l’acqua e la terra contro gli uomini, i fulmini del Signore presto si abbatteranno sui peccatori, la terra diventerà cenere e il peccato sarà cancellato per sempre”.
G: “Stai attento cugino, a Lui si arriva soltanto con l’amore: non puoi predicare spaventando”.
GB: “Dipende di chi hai paura… Guarda [indicando le guardie]: sono diventato pericoloso, mi seguono ovunque”.
G: “Vuol dire che stai sulla strada giusta”.
GB: “E tu, che cosa aspetti?”.
G: “Io sento che il Signore mi sta indicando qualcosa, ma non ho ancora capito. Sto inseguendo un dubbio e non riesco a raggiungerlo”.
GB: “Fa che sia lui a raggiungerti, portalo con te nel deserto: là non potrà più nascondersi”.
G: “Ho paura”…
Forse da questo dialogo emerge un volto di Gesù che non siamo immediatamente abituati a immaginare: un Gesù che ha paura, un Gesù che non sa, che “non ha ancora capito”… Eppure la tematica della scienza e coscienza di Gesù è una delle più indagate, teologicamente parlando. Una anche delle più percorse dalla produzione filmica. Oltre al già citato “I giardini dell’Eden” è interessante guardare in quest’ottica anche “L’ultima tentazione di Cristo” di Scorsese.
Tornando a noi: ciò che mi pare interessante è questa messa a fuoco della fatica di Gesù di individuare la sua identità e quella del Padre; quasi una fatica storica, un lento emergere (seppur già sinteticamente presente) del proprio volto e del volto dell’Altro nella determinazione quotidiana di sé, nel decider-si di fronte alle cose, alle persone, alle situazioni.
Non a caso l’esplicitazione che Matteo e Luca fanno delle tentazioni, va proprio nella direzione di una tentazione teologica. Gesù non è tentato su cose banali né su questioni morali: in gioco, vi è piuttosto e radicalmente il volto di Dio. La prima tentazione infatti («Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane», Mt 4,3) non mette alla prova la resistenza di Gesù alla fame (di lui si è appena detto infatti «Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame», Mt 4,2), piuttosto l’uso del potere che ha a disposizione. Esso se è usato per il bene degli altri, per la liberazione dal male degli uomini (come sarà sempre in Gesù, dove il miracolo non è mai (!!!) gesto di potenza) rivela un certo volto di Dio, ma se è usato per sé (per esempio per trasformare pietre in pane quando si ha fame), a proprio vantaggio, rivela ben altro dio. In gioco allora tra Gesù e Satana c’è la faccia di Dio, chi è Dio veramente! Infatti, non casualmente, Gesù, alla provocazione teologica, risponde con una citazione del testo biblico: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).
Satana si fa allora più raffinato. Anch’egli si mette infatti a citare la Bibbia: la tentazione diventa quindi quasi una lotta esegetica. Sia Gesù che Satana hanno come punto di riferimento le Sacre Scritture, ma le leggono diversamente a seconda di che idea di Dio hanno in testa… Questo dovrebbe insegnare molte cose anche a noi oggi… Non basta citare la Bibbia per proclamare la volontà di Dio… Ogni interpretazione del testo infatti va verificata sul volto di Dio che lascia emergere. Satana infatti, ponendo Gesù sul punto più alto del tempio, dice: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra» (Mt 4,6). Ma Gesù ribatte: «Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo» (Mt 4,7).
Infine la tentazione teologicamente più esplicita: Satana pretende di farsi dio, di far sì cioè che Gesù si prostri a lui: «Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”. Allora Gesù gli rispose: “Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”» (Mt 4,8-10).
La vittoria di Gesù sulle tentazioni allora non deve essere vista come l’esempio morale di un uomo che ha saputo resistere alla fame, alla presunzione di essere Dio, ai soldi e alla gloria. Piuttosto è la simbolizzazione della lotta (che per Gesù durerà tutta la vita, fin sulla croce) per l’adesione al vero volto di Dio.
Non a caso Gesù, esce dal deserto con un annuncio inequivocabile: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Potremmo dire che Gesù, riprendendo il dialogo di D’Alatri, proprio perché ora ha capito chi è (e soprattutto chi non è) Dio, lo annuncia.
E il volto di Dio che egli – pur conoscendolo sinteticamente da sempre – ora inizia ad esplicitare è quello che emergerà da tutta la sua storia. Essa infatti, per i cristiani, è il luogo della rivelazione di Dio: essa dice chi è Dio all’uomo, il decider-si (= decidere di sé) di una libertà, che era quella di Gesù. Noi infatti di lui proclamiamo: “Questi è Dio”, che è l’originaria confessione di fede cristiana.
E da questa storia emerge il volto di un Dio che è Padre, di un Dio che è amore, di un Dio che per non venir meno a se stesso (per non cadere in tentazione) accoglie la scelta di suo Figlio di morire sulla croce per amore, per non smentire l’amore, per non tradire la sua identità!
È questa dunque la conversione che ci è richiesta in Quaresima: non una rinuncia formale, un simbolo vuoto, un fioretto fine a se stesso; non l’entrata in una cappa austera, in cui sentirsi sempre nella condizione – ovviamente morale – sbagliata; piuttosto una con-versione teologica, una messa in discussione seria del volto di Dio che abbiamo in cuore (se è Dio o se è qualcosa che mi sono inventato io) e dunque un conseguente ripensamento serio dell’idea di uomo, di altro, di noi… perché la nostra forma mentis sia davvero evangelica!
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