Se la violenza umana è in qualche modo l’elemento in cui si afferma la pace cristiana, non è solamente perché la logica della nostra situazione o del nostro egoismo ci spinge a contraddire continuamente i disegni di Dio e a spezzare continuamente l’unità per la quale egli lavora in ciascuno: è anche perché egli stesso è violento... noi ci facciamo di Dio un idolo se lo identifichiamo con ciò che ci piace. Egli è anche l’Altro. La brutalità dei conflitti ci insegna chi egli è, così come ce lo insegnano la dolcezza della preghiera o le tenerezze dell’amore. La pace spirituale può essere più seriamente compromessa dalla sonnolenza della tranquillità che non dai contrasti legati alla vita professionale, dalle lotte ingenerate dall’ingiustizia o dall’ “assillo quotidiano” (2Cor 11,28) e dal rifiuto di cedere (cf. Gal 2,5) di cui la cura di una comunità può essere causa... Egli è là immischiato nella nostra vita, e ci riporta con sé nello spessore di questa nostra storia umana in cui la molteplicità contraddittoria delle funzioni ci insegna a un tempo l’umiltà del compito che ci è proprio, senza lirismo di circostanza e senza sufficienza dogmatica, e la vita prodigiosa del Dio che ci inventa il nostro destino attraverso tanti operai così diversi. Non basta dunque ritenere dai libri ispirati un tema scritturistico, fosse pure quello della violenza. Cruciale l’esperienza del conflitto deve iniziarci al segreto di cui questi libri ci parlano; in tal modo essa stessa trova il suo senso ultimo... La distinzione tra Padre e Figlio si è caricata di tutta la storia di questo conflitto; nella sua agonia Gesù lo porta a un tempo come collera di Dio e come rifiuto del popolo che lo scomunica, come scontro dinnanzi al Giudice e come dissenso nei confronti dei propri fratelli... al di là della violenza che mette alla prova in lui l’unità con il Padre e l’unione con i fratelli, la sua duplice fedeltà lo eleva, lui uomo, nel faccia a faccia dell’uguaglianza divina; essa permette agli uomini di essere a loro volta riconosciuti dal Padre come figli e dal Figlio come fratelli, e vale il privilegio che li destina a divenire, nella differenza della creatura dal Creatore, i beneficiari e gli interlocutori del dio infinitamente Altro...”
(Michel de Certeau, Mai senza l’altro)
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