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martedì 26 gennaio 2016

IV Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Geremìa (Ger 1,4-5.17-19)
Nei giorni del re Giosìa, mi fu rivolta questa parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni. Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti».
 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 12,31-13,13)
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!
 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4,21-30)
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
 
Il vangelo di questa settimana è la continuazione di quello di domenica scorsa. Là avevamo sentito Gesù leggere nella sinagoga di Nazarath il passo del profeta Isaia (con l’omissione dell’ultimo versetto) che in qualche modo era l’autopresentazione di Gesù e dunque del volto di Dio che lui ha voluto rivelarci; qui leggiamo invece della reazione dei presenti: la meraviglia iniziale che si tramuta improvvisamente in rifiuto.

Curiosamente non sono i compaesani di Gesù ad esprimere la motivazione di questo cambiamento, ma è Gesù stesso che li previene: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Il problema immediato sembra dunque consistere nel fatto che Gesù faccia miracoli fuori dal suo paese e non li faccia invece in patria…
Problema che solo Luca identifica in questo modo: Marco (6,1-6) e Matteo (13,53-58) fanno infatti piuttosto riferimento ad un’altra ragione che avrebbe originato il rifiuto dei nazaretani, e cioè l’umile origine di Gesù, la sua condizione di falegname, che anche Luca ricorda (dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?»), ma sulla quale non si attarda. Inoltre rispetto agli altri sinottici, Luca è l’unico a porre quest’episodio all’inizio del ministero pubblico di Gesù, trasformando quest’esperienza del rifiuto in un episodio inaugurale. Gli altri infatti ne parlano più avanti, a missione inoltrata.
Certo, come precisa B. Maggioni, dal punto di vista storico paiono più corretti Marco e Matteo: «l’episodio di Nazareth non è la prima apparizione in pubblico di Gesù: tanto è vero che gli abitanti di Nazareth gli rimproverano di aver già compiuto molti miracoli altrove. Né – sempre dal punto di vista storico – si può dire che il rifiuto sia stato la prima reazione che Gesù ha incontrato: raccontando, infatti, subito dopo i miracoli compiuti a Cafarnao, Luca annota che “la sua fama si diffondeva in tutta la regione” (4,37) e che “le folle lo cercavano” (4,42). Tuttavia – pur essendo al corrente di tutto questo – l’evangelista ha scelto come episodio iniziale un rifiuto. Non c’è dubbio sulla sua intenzione. Storicamente l’opposizione alle parole e alle azioni di Cristo è cresciuta a poco a poco, ma Luca vuole che il lettore la incontri subito, fin dalle prime pagine, e vi rifletta. In tal modo il punto più delicato dell’intera storia di Gesù – il fatto cioè che abbia incontrato l’opposizione del suo popolo e sia stato crocifisso – non è differito, ma affrontato immediatamente. Da una parte il Messia che annuncia l’oggi di Dio e offre la sua liberazione ai poveri e ai peccatori, dall’altra gli uomini che ne provano irritazione: ecco il contrasto già chiaro nell’episodio di Nazareth e di cui l’intero vangelo vuole essere un’ampia illustrazione».
Il problema che dunque ci si profila a partire da questo vangelo è il rifiuto a cui il volto di Dio che Gesù rivela, va incontro. Più precisamente: il problema non è il rifiuto di Dio. Ci sono infatti immagini di dio che doverosamente sono da rifiutare! Ma il rifiuto di questo Dio, di Colui dal quale inequivocabilmente giunge all’uomo solo il bene. Quello di cui Gesù aveva appena detto:
«Mi ha consacrato con l’unzione,
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l’anno di grazia».
Sorge dunque la domanda: Perché i nazaretani (ma – in generale – gli uomini di sempre) oppongono un rifiuto a questo Dio?
Perché essi preferiscono piuttosto seguire come pecoroni altre immagini di dio? Quelle che fanno paura, quelle con le quali l’unico rapporto possibile consiste nei tentativi di non farlo arrabbiare, o non deluderlo, o ingraziarselo? Perché un Dio che regala il suo amore gratis non lo vogliamo?
Luca sembra suggerire che il rifiuto di questo volto di Dio dipenda dal fatto che è un volto che non giustifica più la cattiveria umana, la ricerca di potere, il continuo riproporre logiche di sopraffazione; questo Dio infatti, in quanto Dio della Vita dell’uomo, di ogni uomo – in particolare del più debole –, non può più essere strumentalizzato contro qualcun altro (il povero non è il maledetto, il malato non è il peccatore, il peccatore non è uno scomunicato, l’altro non è il nemico, l’eretico non è quello contro cui scagliare un guerra santa…); l’altro – anzi – proprio a partire da questo volto di Dio è sempre e solo “mio fratello”… Ecco perché diventa un Dio scomodo… perché non giustifica più la mia lotta per imporre me stesso, il mio popolo, la mia razza, il mio partito, la mia ideologia…
E di un Dio che ama tutti, facciamo tutti volentieri a meno…
Ecco il punto…

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