Gesù ormai è morto: «presero allora il suo corpo, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino» (Gv 19,40-42).
È stato ormai dunque anche già sepolto... e con questo triste rito si chiude il giorno di venerdì... ma non solo... la sensazione per chi era là in quel momento, è che si è chiusa definitivamente anche l’avventura di Gesù... con un fallimento: Gesù, nonostante le sue pretese di essere il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, è morto e il suo corpo è chiuso in una tomba.
Eppure... c’è chi non rinuncia ad una vicinanza... almeno a quel corpo morto...
Maria di Magdala, una delle “donne di Gesù”, una di quelle che gli erano proprio intime, proprio sue, appena terminato il sabato, «quando era ancora buio», si reca immediatamente dal suo maestro, amico, fratello, padre, figlio, compagno... E non è un caso che sia proprio lei a capitare lì...
Le donne infatti sono proprio congegniate per prendersi cura, nella vita, del corpo degli uomini: da quando nascono raggrinziti e raggomitolati a quando crescono e gli si insegna ad allacciarsi le scarpe; da quando si innamorano e ti chiedono come vestirsi a quando si ammalano e ti si consegnano tra le mani; da quando invecchiano e cercano braccia che li accolgano... fino a che muoiono... e il loro corpo rimane l’ultimo segno, ormai inanimato, della vita che ci ha legati...
E Maria proprio questo vuole fare... restare attaccata a quell’uomo tanto amato almeno con i segni della cura del suo corpo martoriato...
Ma «vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro»... e presa dall’ansia «Corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava».
Corre dai “suoi”, da quelli che con lei si erano trovati a vivere la coinvolgente storia della sequela di Gesù... e con i quali, proprio stando dietro a quell’uomo, aveva imparato a mischiare la vita...
Corre da loro con sentimenti di smarrimento e angoscia: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Il suo terrore è che il corpo di Gesù sia stato trafugato e che a lei non rimanga più neanche quell’ultimo pezzettino della sua pelle da onorare, per sentirlo ancora un po’ vicino...
Il suo è uno sgomento contagiante, tant’è che Pietro e il discepolo amato si mettono a loro volta a correre, nella direzione opposta, per andare anche loro a vedere... se davvero non c’era più niente da vedere...
E in effetti: entrati nel sepolcro osservarono «i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte»... ma non capirono: «Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti». I segni, che poi diventeranno quelli classici della Risurrezione (il sepolcro vuoto, le bende, il sudario...) ora sono muti, non dicono niente; rimandano solo una conferma dell’angoscioso annuncio di Maria: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
È su questa incomprensione che si chiude il Vangelo di questa domenica di Pasqua... Gesù è risorto, eppure, anche i suoi, non riescono a capire... C’è come un fermo immagine, una sospensione... che verrà rotta solo al momento dell’incontro col Risorto in persona: prima con Maria («Maria!»), poi con gli Undici («Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi»)...
Solo allora, pian piano, insieme, prenderanno coscienza del mistero che hanno vissuto, della potenza della Vita che ha vinto la morte, del fatto che essa appunto non ha avuto la meglio; non ha smentito Gesù, come anche a loro era sembrato: Lui ha avuto ragione! E infatti: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!».
Solo allora, pian piano, insieme, prenderanno coscienza di cosa vuol dire questo per loro, per gli uomini, per il mondo intero: la morte è stata vinta, l’uomo liberato dalla stretta letale che lo attanagliava: «Fratelli, siete risorti con Cristo». È la possibilità di vivere la vita, senza che ad ogni passo tutto sia messo in scacco dal timore di morire... Solo questa vittoria sulla morte, infatti, rende l’uomo, uomo; abilitato a Vivere e non semplicemente a sopravvivere...
È questa l’esplosione della Vita, della libertà, della dignità che andranno proclamando per tutto il mondo! È questo il nocciolo incandescente del Cristianesimo, irriducibile a qualsiasi norma, codice etico, impianto religioso: perché trasborda, li fa esplodere dal di dentro. Cristo trasborda, l’uomo trasborda!
Ed è su questo che Paolo si infiamma coi Colossesi: «Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra». E, per capire che non intendeva un vano spiritualismo, come spesso hanno predicato (e predicano) gli ecclesiastici, basta ricordare i 4 versetti che precedono: «Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali “Non prendere, non gustare, non toccare”? Tutte cose destinate a scomparire con l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne» (Col 2,20-23).
Qui per Paolo gli elementi del mondo da non lasciarsi imporre perché siamo morti con Cristo, sono i precetti quali “Non prendere, non gustare, non toccare”. Tutte cose destinate a scomparire con l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne.
È il fremito appassionato dell’apostolo (e profeta) che non vuole che Gesù, la sua salvezza (tanto diversa dai criteri umani), l’uomo, siano inscatolati, etichettati, ridotti a canoni religionistici usuali!
Peccato, che ancora oggi, invece che l’annuncio della buona notizia (vangelo) della Pasqua di Cristo e della grandezza dell’uomo in Lui, la chiesa si faccia spesso portatrice di cattive notizie (Non prendere, non gustare, non toccare) e renda così attualissime le parole che Dostoevskij metteva in bocca a Ivan, quando raccontava il suo poema intitolato “Il grande inquisitore”... Lì, immaginando il ritorno di Gesù che «volle almeno per un istante visitare i Suoi figli», mostra lucidamente la reazione immunitaria dell’istituzione ecclesiastica impersonata dal cardinale grande inquisitore, nella Siviglia cinquecentesca. Egli infatti alla vista del Signore, dice: «Perché sei venuto a disturbarci? [...] Tutto è stato da Te trasmesso al papa, tutto quindi è ora nelle mani del papa, e Tu non venirci a disturbare, quanto meno prima del tempo. [...] La libertà della fede già allora, millecinquecent’anni or sono, Ti era piú cara di tutto. Non dicevi Tu allora spesso: “Voglio rendervi liberi?”. Ebbene, adesso Tu li ha veduti, questi uomini “liberi”. Sí, questa faccenda ci è costata cara, ma noi l’abbiamo finalmente condotta a termine, in nome Tuo. Per quindici secoli ci siamo tormentati con questa libertà, ma adesso l’opera è compiuta e saldamente compiuta. [...] Adesso, proprio oggi, questi uomini sono piú che mai convinti di essere perfettamente liberi, e tuttavia ci hanno essi stessi recato la propria libertà, e l’hanno deposta umilmente ai nostri piedi. Questo siamo stati noi ad ottenerlo. [...]Abbiamo corretto l’opera Tua e l’abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. [...] E dovrei io nasconderti il nostro segreto? Forse Tu vuoi proprio udirlo dalle mie labbra, ascolta dunque: noi non siamo con Te, ma con lui [il tentatore], ecco il nostro segreto! Da lungo tempo non siamo piú con Te, ma con lui, sono ormai otto secoli. Sono esattamente otto secoli che accettammo da lui ciò che Tu avevi rifiutato con sdegno, quell’ultimo dono ch’egli Ti offriva, mostrandoti tutti i regni della terra: noi accettammo da lui Roma e la spada di Cesare e ci proclamammo re della terra, gli unici re, sebbene non abbiamo ancora avuto il tempo di compiere interamente l’opera nostra. [...] Vattene e non venir piú... non venire mai piú... mai piú».
«Ma Egli tutt’a un tratto si avvicina al vecchio in silenzio e lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni. Ed ecco tutta la Sua risposta».
È stato ormai dunque anche già sepolto... e con questo triste rito si chiude il giorno di venerdì... ma non solo... la sensazione per chi era là in quel momento, è che si è chiusa definitivamente anche l’avventura di Gesù... con un fallimento: Gesù, nonostante le sue pretese di essere il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, è morto e il suo corpo è chiuso in una tomba.
Eppure... c’è chi non rinuncia ad una vicinanza... almeno a quel corpo morto...
Maria di Magdala, una delle “donne di Gesù”, una di quelle che gli erano proprio intime, proprio sue, appena terminato il sabato, «quando era ancora buio», si reca immediatamente dal suo maestro, amico, fratello, padre, figlio, compagno... E non è un caso che sia proprio lei a capitare lì...
Le donne infatti sono proprio congegniate per prendersi cura, nella vita, del corpo degli uomini: da quando nascono raggrinziti e raggomitolati a quando crescono e gli si insegna ad allacciarsi le scarpe; da quando si innamorano e ti chiedono come vestirsi a quando si ammalano e ti si consegnano tra le mani; da quando invecchiano e cercano braccia che li accolgano... fino a che muoiono... e il loro corpo rimane l’ultimo segno, ormai inanimato, della vita che ci ha legati...
E Maria proprio questo vuole fare... restare attaccata a quell’uomo tanto amato almeno con i segni della cura del suo corpo martoriato...
Ma «vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro»... e presa dall’ansia «Corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava».
Corre dai “suoi”, da quelli che con lei si erano trovati a vivere la coinvolgente storia della sequela di Gesù... e con i quali, proprio stando dietro a quell’uomo, aveva imparato a mischiare la vita...
Corre da loro con sentimenti di smarrimento e angoscia: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Il suo terrore è che il corpo di Gesù sia stato trafugato e che a lei non rimanga più neanche quell’ultimo pezzettino della sua pelle da onorare, per sentirlo ancora un po’ vicino...
Il suo è uno sgomento contagiante, tant’è che Pietro e il discepolo amato si mettono a loro volta a correre, nella direzione opposta, per andare anche loro a vedere... se davvero non c’era più niente da vedere...
E in effetti: entrati nel sepolcro osservarono «i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte»... ma non capirono: «Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti». I segni, che poi diventeranno quelli classici della Risurrezione (il sepolcro vuoto, le bende, il sudario...) ora sono muti, non dicono niente; rimandano solo una conferma dell’angoscioso annuncio di Maria: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
È su questa incomprensione che si chiude il Vangelo di questa domenica di Pasqua... Gesù è risorto, eppure, anche i suoi, non riescono a capire... C’è come un fermo immagine, una sospensione... che verrà rotta solo al momento dell’incontro col Risorto in persona: prima con Maria («Maria!»), poi con gli Undici («Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi»)...
Solo allora, pian piano, insieme, prenderanno coscienza del mistero che hanno vissuto, della potenza della Vita che ha vinto la morte, del fatto che essa appunto non ha avuto la meglio; non ha smentito Gesù, come anche a loro era sembrato: Lui ha avuto ragione! E infatti: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!».
Solo allora, pian piano, insieme, prenderanno coscienza di cosa vuol dire questo per loro, per gli uomini, per il mondo intero: la morte è stata vinta, l’uomo liberato dalla stretta letale che lo attanagliava: «Fratelli, siete risorti con Cristo». È la possibilità di vivere la vita, senza che ad ogni passo tutto sia messo in scacco dal timore di morire... Solo questa vittoria sulla morte, infatti, rende l’uomo, uomo; abilitato a Vivere e non semplicemente a sopravvivere...
È questa l’esplosione della Vita, della libertà, della dignità che andranno proclamando per tutto il mondo! È questo il nocciolo incandescente del Cristianesimo, irriducibile a qualsiasi norma, codice etico, impianto religioso: perché trasborda, li fa esplodere dal di dentro. Cristo trasborda, l’uomo trasborda!
Ed è su questo che Paolo si infiamma coi Colossesi: «Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra». E, per capire che non intendeva un vano spiritualismo, come spesso hanno predicato (e predicano) gli ecclesiastici, basta ricordare i 4 versetti che precedono: «Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali “Non prendere, non gustare, non toccare”? Tutte cose destinate a scomparire con l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne» (Col 2,20-23).
Qui per Paolo gli elementi del mondo da non lasciarsi imporre perché siamo morti con Cristo, sono i precetti quali “Non prendere, non gustare, non toccare”. Tutte cose destinate a scomparire con l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne.
È il fremito appassionato dell’apostolo (e profeta) che non vuole che Gesù, la sua salvezza (tanto diversa dai criteri umani), l’uomo, siano inscatolati, etichettati, ridotti a canoni religionistici usuali!
Peccato, che ancora oggi, invece che l’annuncio della buona notizia (vangelo) della Pasqua di Cristo e della grandezza dell’uomo in Lui, la chiesa si faccia spesso portatrice di cattive notizie (Non prendere, non gustare, non toccare) e renda così attualissime le parole che Dostoevskij metteva in bocca a Ivan, quando raccontava il suo poema intitolato “Il grande inquisitore”... Lì, immaginando il ritorno di Gesù che «volle almeno per un istante visitare i Suoi figli», mostra lucidamente la reazione immunitaria dell’istituzione ecclesiastica impersonata dal cardinale grande inquisitore, nella Siviglia cinquecentesca. Egli infatti alla vista del Signore, dice: «Perché sei venuto a disturbarci? [...] Tutto è stato da Te trasmesso al papa, tutto quindi è ora nelle mani del papa, e Tu non venirci a disturbare, quanto meno prima del tempo. [...] La libertà della fede già allora, millecinquecent’anni or sono, Ti era piú cara di tutto. Non dicevi Tu allora spesso: “Voglio rendervi liberi?”. Ebbene, adesso Tu li ha veduti, questi uomini “liberi”. Sí, questa faccenda ci è costata cara, ma noi l’abbiamo finalmente condotta a termine, in nome Tuo. Per quindici secoli ci siamo tormentati con questa libertà, ma adesso l’opera è compiuta e saldamente compiuta. [...] Adesso, proprio oggi, questi uomini sono piú che mai convinti di essere perfettamente liberi, e tuttavia ci hanno essi stessi recato la propria libertà, e l’hanno deposta umilmente ai nostri piedi. Questo siamo stati noi ad ottenerlo. [...]Abbiamo corretto l’opera Tua e l’abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. [...] E dovrei io nasconderti il nostro segreto? Forse Tu vuoi proprio udirlo dalle mie labbra, ascolta dunque: noi non siamo con Te, ma con lui [il tentatore], ecco il nostro segreto! Da lungo tempo non siamo piú con Te, ma con lui, sono ormai otto secoli. Sono esattamente otto secoli che accettammo da lui ciò che Tu avevi rifiutato con sdegno, quell’ultimo dono ch’egli Ti offriva, mostrandoti tutti i regni della terra: noi accettammo da lui Roma e la spada di Cesare e ci proclamammo re della terra, gli unici re, sebbene non abbiamo ancora avuto il tempo di compiere interamente l’opera nostra. [...] Vattene e non venir piú... non venire mai piú... mai piú».
«Ma Egli tutt’a un tratto si avvicina al vecchio in silenzio e lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni. Ed ecco tutta la Sua risposta».
Così Dostoevskij... che a qualcuno sicuramente sembrerà troppo duro...
Ma ad ogni modo, resta il fatto che fa male vedere come spesso l’esplosione della Vita della Pasqua, sia sempre sotto il pericolo dell’inquadramento nei ranghi rigidi dell’istituzionalizzazione, che raffredda, depotenzia e tenta di annacquare la portata sconvolgente dell’annuncio: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno»...
Ingabbiano Dio e ingabbiano l'uomo, con la pretesa di salvarli, mettendo sempre avanti «una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo». Se solo vedessero, che questo è ancora un ricadere nel cono d’ombra della paura della morte... e si facessero incontrare dalla libertà del Signore... che esplosione di Vita ci sarebbe...
Nessun commento:
Posta un commento