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domenica 10 aprile 2016

IV Domenica di Pasqua


Dagli Atti degli Apostoli (At 13,14.43-52)
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia in Pisìdia, e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero. Molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio. Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”». Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.
 
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 7,9.14-17)
Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. Uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».
 
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
 
La prima lettura di questa domenica ci introduce in una problematica significativa che dovettero affrontare le prime comunità cristiane: la buona notizia del Regno è destinata solo agli ebrei o è per tutti gli uomini?
A noi oggi fa quasi sorridere questa questione, perché ci sembra così ovvio che il messaggio cristiano fosse e sia destinato a tutti, indipendentemente dalla razza, dalla cultura o da altre discriminanti.
Ma in realtà nella Chiesa delle origini la problematica non fu sciolta così a cuor leggero ed anzi scatenò molte discussioni all’interno dello stesso gruppo degli apostoli: discussioni, che per risolversi, richiesero una riunione (il primo Concilio della storia cristiana), il Concilio di Gerusalemme (di cui parla il libro degli Atti degli apostoli al capitolo 15), nel quale si decise che anche i pagani (senza prima diventare ebrei, cioè senza prima farsi circoncidere) potessero ricevere il battesimo.
Credo che sia interessante ripercorrere, seppur per sommi capi, la vicenda storica che ha costruito la Chiesa, perché ci mostra un tempo in cui “gli altri” eravamo noi. Noi cristiani occidentali, infatti, siamo perlopiù tutti figli di popoli pagani; noi che ci sentiamo i depositari della tradizione, i “veri” cristiani, i “veri” credenti, siamo cristiani “per grazia”. Anzi, qualcuno degli apostoli pensava che non avremmo nemmeno potuto essere cristiani, senza prima “diventare ebrei”.
Quel gruppetto di ebrei invece ha deciso di aprire il recinto della salvezza, di dar credito a quel Maestro che aveva travalicato i confini della razza, della cultura, delle tradizioni religiose per proporre il suo messaggio d’amore a tutti, in modo che ognuno potesse riconoscersi nelle sue parole e sentirle destinate a sé stesso: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
In un tempo in cui la complessità della storia scatena la paura dell’altro, soprattutto se diverso, spingendoci a respingerlo e a rintanarci dietro alle nostre barricate, credo sia importante ricordarci di quando “gli altri eravamo noi” e qualcuno ha scelto, anche se eravamo diversi, di riconoscerci come fratelli, figli dello stesso Padre.

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