…il mio occhio non rivedrà mai più il bene!
La liturgia di questa domenica ci pone al centro del dramma che sta nel cuore dell'uomo. Anzitutto — da una parte — Giobbe, l'uomo infelice di sempre, che ha avuto qualche momento colmo di bene, ma subito tutto gli è tolto e l'esperienza del dolore ha ormai spento ogni illusione sul "duro servizio" che è la vita umana sulla terra. Quando è finita la speranza di mai più rivedere il bene, rimane solo il lamento, nell'assurda attesa che qualcosa avvenga! E — d'altra parte, appunto — questo misterioso "avvenimento", il Vangelo, l'annuncio di una "buona notizia", sorprendente e incredibile. Un seme microscopico rispetto all'incommensurabilità della sofferenza umana. Un seme però, sparso dappertutto con fiducia e speranza instancabili, per proporre agli uomini una misteriosa liberazione… Dunque, una proposta messianica non illusoria, ma ben consapevole del dramma inspiegabile del male, che fin dall'inizio e per tutto il racconto evangelico preme attorno a Gesù da ogni parte… ad ogni passo, sotto la figura di poveri, malati, oppressi che lo cercano.
Uscito dalla sinagoga subito andò nella casa di Simone e Andrea…
C'è una congruenza formidabile tra le parole dell'insegnamento e i gesti del comportamento di Gesù, fin dall'inizio della sua vita pubblica: la forza di una verità autorevole, che si impone per la sua coerenza interna. Gesù, già in questa prima pagina programmatica, sta dicendo e vivendo un "passaggio" fondamentale del suo Vangelo. Sta passando dal luogo del culto e dell'istruzione religiosa della sua gente (la sinagoga), al nuovo luogo teologico della manifestazione di Dio nella storia: la casa, la strada, il lavoro. D'ora in poi (dopo che il Verbo ha piantato la tenda in mezzo a noi!), se ogni religione cerca Dio al di là o al di fuori o al di sopra degli evidenti nostri limiti umani, (nel "trascendente")… la fede a cui Gesù chiama spinge invece dal "luogo del culto" al "luogo della vita"… nella "casa" di una povera qualsiasi famiglia, in mezzo alla gente normale, religiosamente sprovveduta, umanamente immersa nella ferialità precaria della vita quotidiana
La suocera di Simone era a letto con la febbre…
Una malata in casa era la preoccupazione dolorosa del momento, perché certo gli volevano bene (subito gli parlarono di lei!). Ma c'era anche la fatica in più, in questa famiglia di pescatori, se viene a mancare un supporto di esperienza e sostegno domestico. Il nuovo stile di comportamento di Gesù, che la gente ha sentito così forte e inequivocabile, rispetto ad ogni altro scriba o sacerdote, li lascia sbalorditi. Un messia sconcertante e imprevedibile, che si occupa con tenerezza di persone insignificanti per la storia importante: fattosi avanti, la risvegliò (la risorse!), prendendola per mano… Un miracolo significativo anche per gli altri due evangelisti sinottici perché anche loro lo raccontano, ma per Marco è il "primo" miracolo – il miracolo "simbolo" della conversione che avviene sempre, quando Gesù prende per mano il discepolo liberandolo dalla febbre. Un primo vero discepolo inaspettato, questo, ed inaudito! È una donna! un'anziana suocera malata, una presenza famigliare e importante nella casa (non nella sinagoga o nel tempio), una donna che diventa il prototipo della dinamica della fede nell'uomo cui Gesù si avvicina, per farne un suo discepolo! Anzitutto sono gli altri a presentarla a Gesù — che attraverso di loro arriva alla malata! C'è già, e diventerà il tessuto della comunione ecclesiale, una mediazione insostituibile dei compagni di vita e di fede, che insieme si rivolgono al Maestro/amico — con il quale non si può iniziare e maturare un rapporto solitario! Ed è un primo dato programmatico dell'esperienza di fede cristiana.
La febbre la lasciò ed ella li serviva
C'è poi un altro segno altrettanto importante nella guarigione di questa donna, che "risorge" dalla sua malattia, che la bloccava nell'immobilità e nell'inerzia. Gesù, con la guarigione, le trasmetta il cuore della propria identità (la rende "cristiana"!). E questa è l'identità specifica di Gesù il Cristo: mettersi a servizio degli altri! La guarigione è al passato (la febbre la lasciò!)… ma il "servizio" è all'imperfetto (ed ella li serviva!), cioè non è il compito di un momento, ma un'attitudine dello spirito, una passione del cuore, che non ha mai termine, perché è la sfida di senso della vita! Diventa infatti come Gesù, che proprio in uno dei passi più intensi e sconvolgenti del vangelo di Marco si autodefinirà così: il figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti! (10,45). Non a caso, questo Maestro sconvolgente, sceglie, nel contesto maschilista di allora, proprio una donna, già "condannata" al servizio, non scelto ma imposto dalle condizioni socioculturali, per manifestare e comunicare la "redenzione" di quella condizione, perché l'ha assunta lui per primo. La suocera di Pietro diventa il simbolo di ogni credente, che affida la sua febbre al Signore e alla cura del suo vangelo. Inizia il cammino della "nuova fede", la partecipazione all'identità messianica del figlio, il quale "…spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,7s). Dunque, in un solo gesto senza parole, sta il concentrato del vangelo. Un'altra donna "insignificante", anziana e vedova, sarà indicata da Gesù stesso ai discepoli, alla fine della sua predicazione, come l'arrivo alla pienezza totale della identificazione con Lui, Gesù, come "il segno conclusivo" del percorso della vera maturità cristiana, con la "totale consegna di sé" al Signore, nel dono di "tutto quanto aveva, tutta intera la sua vita" (12,44). La donna è identificata nella Bibbia come la madre e custode della vita umana, perché più ne patisce la malattia mortale e più si spende per farne uscire chi ama, in una febbre di onnipotenza che la infiamma ed esalta oppure la brucia e
…guai a me se non annuncio il Vangelo!
Perché questa è ormai l'avventura cristiana, come dice Paolo, un'avventura che nel suo centro ha lo "scambio" tra libero e servo (pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti), tra forte e debole (mi sono fatto debole per i deboli, … tutto per tutti). Perché così ha fatto, per primo e per tutti noi, Gesù Cristo stesso, affidandoci così il "servizio dello scambio" che lui ha vissuto nella sua carne (è la traduzione letterale del "ministero della riconciliazione" in 2Cor 5,18). Il Vangelo è un annuncio di liberazione, che per essere autentico deve innescare un processo dinamico liberante dentro la condizione di oppressione fisica, affettiva, morale in cui l'uomo è imprigionato. Ma la chiave per innescare questo processo sorpassa ogni ragione e ogni buon senso. Bisogna disporsi a fare propria la condizione dell'altro, dimenticare se stesso per assumere il destino dell'altro, preferire il bene dell'altro al proprio. In questo "scambio" senza condizioni, ritroviamo la strada pasquale di Gesù, che ha assunto su di sé la condizione di miseria e oppressione dell'uomo: la gente aveva capito questo "metodo nuovo" di una dottrina insegnata con efficacia storica. Per questo gli portava "tutti i malati e gli indemoniati". Ma il "segreto" di questo metodo nuovo, la sua intima forza propulsiva, non è una potenza magica o un potere sovrumano da comunicare in segreto ai discepoli… . È la fede che sgorga dall'affidamento al Vangelo e diventa passione, che continua ad opporsi alla logica di competizione che governa il mondo e che è annidata dentro di noi. Una logica di prevaricazione, magari felpata, ma sempre tendenzialmente omicida, assorbita dal brodo di cultura in cui siamo nati, mistura di desiderio di potenza e di paura della morte. Questa tragica volontà di potenza è sconfitta dall'impotenza divina in Gesù, che si è affidato inerme al male e alla morte, sicuro che l'amore avrebbe vinto. Lui l'ha fatto vincere nel suo corpo inerme sulla croce. E qual è la "carica" che tiene in piedi, ancor oggi, il discepolo e l'aiuta a farsi debole con i deboli e non prepotente, pagano coi pagani e non discriminante, ebreo con gli ebrei e non sprezzante… al di là degli spinosi recinti storici entro i quali siamo cresciuti? Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro. È così ritorna dentro di lui il vangelo stesso che ha "praticato" di cui diventa "partecipe" — come gli fosse restituita la grazia che per mezzo suo si è diffusa. Lo "scambio" con cui si è fatto vicino a chi è nel bisogno, quasi sostituendolo nella sua sofferenza o discriminazione… "per salvare ad ogni costo qualcuno", questa grazia, disinquina progressivamente e tacitamente dentro di lui ogni veleno di competizione e aggressività, per la gioia e la riconoscenza che il vangelo, il più piccolo tra tutti i semi, sta ancora germogliando.
3 commenti:
E' solo a questo "piccolo dei piccoli" semi è affidata la nostra unica speranza?
E' la piccola quotidianità la nostra unica strada?
@'ntonia: Certo, perché sull'autostrada della grande Storia, il traffico è così intasato che ormai non si riesce nemmeno più a circolare!
Bellissima risposta Mario,alle domande di 'ntonia!Domande che tutti ci facciamo, ed alle quali spesso non riusciamo a trovare una risposta adeguata. E' vero, nelle autostrade viaggiano automobili di lusso, fuoristrada ed anche Ferrari che però finiscono per non far rombare i motori e spingersi a grandi velocità, imbottigliati dal traffico, così magari una piccola moto riesce a dribblare tra le auto e portarsi avanti. QUella piccola moto è la nostra piccola vita fatta di quotidianità, ma che, supportata dall'aiuto del Signore e dalla nostra fede in Lui, supera il grandeur di tanti cavalli motore e arriva al Casello forse prima delle Ferrari! ;D)
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