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martedì 13 ottobre 2015

XXIX Domenica del Tempo Ordinario: Un Dio con il grembiule


Dal libro del profeta Isaìa (Is 53,10-11)

Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità.

 

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 4,14-16)

Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10,35-45)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

 

Chissà se Giovanni e Giacomo avrebbero fatto la stessa richiesta a Gesù, se avessero saputo – come ci suggerisce l’evangelista Giovanni – che la gloria del Signore era la sua croce? Avrebbero ancora chiesto di essere alla sua destra e alla sua sinistra, al posto dei ladroni?

La prima parte del brano di vangelo sembra tenere questo doppio senso, non a caso Gesù parla di “calice da bere” e “battesimo in cui essere battezzato”: espressioni che chiaramente fanno riferimento alla fine imminente della sua vita.

La seconda parte del vangelo però, sembra riportare il discorso su altri binari… l’indignazione degli altri discepoli lascia infatti pensare che la richiesta di Giovanni e Giacomo non fosse quella di accompagnare sulla croce Gesù, ma – nell’accezione anche per noi più comune – considerare la “gloria” come quella potente, vittoriosa, intramontabile: insomma, come se avessero chiesto di essere vicepresidenti del paradiso…

E infatti Gesù fa poi riferimento ai governanti delle nazioni, al dominio, all’oppressione…

«Tra voi però non è così»…

Ma forse questo doppio binario di significati non è casuale… il testo è infatti collocato praticamente a ridosso del racconto di passione… un passo prima di entrare a Gerusalemme i discepoli ancora non hanno capito quello che il loro maestro proponeva e le conseguenze di quelle sue proposte… infatti – noi lo sappiamo già – nessuno lo seguirà sulla croce (e nemmeno sotto la croce!)… per paura, ma anche per delusione, disillusione… Su quella croce infatti si rivelerà fino in fondo il modo altro di essere messia di Gesù. Un modo disarmato, un modo impotente, un modo perdente.

Alcune parole del teologo Sequeri ne Il Dio affidabile ci fanno capire cosa propriamente i discepoli non capiscono o si rifiutano di capire: «La reazione sconcertata dei discepoli di fronte al progressivo delinearsi della ‘fine’ di Gesù è tema di cospicuo rilievo nella testimonianza. Lo sconcerto è direttamente – e significativamente – legato alle parole e ai gesti di Gesù che esprimono, insieme con la consapevolezza di tale fine, la propria decisione di non sottrarvisi in alcun modo. È questo che i discepoli propriamente non comprendono: ciò a cui cercano in tutti i modi di resistere. In verità, i discepoli non possono avere dubbi sul fatto che i capi giudaici rifiutano il radicalismo con il quale si assume la rappresentanza della verità di Dio; e cercano di contrastare con ogni mezzo l’autorevolezza con la quale egli esercita la sua anomala missione tra il popolo. Non possono aspettarsi dunque che Gesù venga accettato come suprema autorità religiosa: in una forma come quella alla quale sembra dare corpo Gesù, che appare con i tratti e le pretese del rifondatore messianico della religione giudaica. L’opposizione e il rifiuto, di cui Gesù è così acutamente consapevole, sono per così dire scontati. La paura della contrapposizione e della eventuale rappresaglia d’altra parte non spiega tutto: c’è anche chi è disposto ad accettare l’eventualità di una lotta cruenta. Nemmeno la mancanza di fede in Gesù è indicata dai testi come la radice dello sconcerto e della crisi: nessun cenno troviamo ad una qualche ritrattazione della professione di fede nella messianicità di Gesù di cui riferiscono i testi. La cosa veramente sconvolgente – realmente incomprensibile – per i discepoli è un’altra: Gesù manifesta anticipatamente la propria convinzione che la reazione dei sacerdoti e dei capi avrà successo; che essi riusciranno ad avvallarla con una pubblica condanna; e che la sua eliminazione avrà la forma pubblica di una oggettiva smentita della sua pretesa rappresentanza di Dio. Il quadro delineato dall’atteggiamento con il quale Gesù ‘punta pericolosamente’ su Gerusalemme non sembra includere l’intenzione di dare battaglia per la rivendicazione della propria pretesa. E l’epilogo previsto da Gesù esclude il suo insediamento al vertice di una struttura politico-religiosa entro la quale i suoi discepoli sostituiranno gli attuali detentori del potere di rappresentare Dio presso il popolo».

Troppo velocemente anche noi scappiamo in avanti rispetto alla morte di Gesù e ci consoliamo facilmente con la sua vittoria nella risurrezione. Troppo velocemente scappiamo in avanti anche sulle sue parole che cercano di spiegare la radicalità della sua diversità come messia, come Dio: «il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita».

Sono parole forti sull’identità di Gesù e quindi sull’identità di Dio.

Spesso – senza nemmeno accorgercene – noi le bypassiamo, pensando che facciano riferimento solo alla vita nell’aldiqua di Gesù, il quale poi, nell’alto dei cieli, sarà invece seduto in trono, Signore della storia e del mondo… a farsi servire: quante nostre preghiere, quanti nostri atteggiamenti rispecchiano infatti questa idea di signoria di Dio (e dunque di nostro servilismo nei suoi confronti)…

Ma è proprio questa idea di Dio, questa idea della sua signoria (e dunque del servilismo dell’uomo nei suoi confronti) che Gesù ha cercato di smontare pezzo a pezzo.

Il Dio di Gesù non è il Dio che vuole essere incensato, adorato, temuto come i governanti delle nazioni… è da sempre e per sempre il Dio a servizio dell’uomo, che chiede a chi si riconosce suo figlio di mettersi dalla sua parte a fare la stessa cosa che fa lui: servire l’uomo, soprattutto quello più debole, quello che ne ha più bisogno.

Basti pensare all’immagine di Gesù che si mette il grembiule e lava i piedi… Ecco Dio è così, ci dice Gesù: non in vesti sfolgoranti, là su un trono, in attesa della nostra venerazione; ma con un grembiule dall’eternità (quando – con il grembiule da artigiano – ha creato il mondo, a nostro servizio), ogni giorno (quando – con il grembiule da ostetrica – ci accompagna alla vita, o – con il grembiule da maestra – ci fa crescere, o – con il grembiule della mamma-massaia – ci accompagna quotidianamente) e per sempre (quando – con il grembiule del cameriere – ci servirà al banchetto finale).

È questo che i discepoli non vogliono accettare, e noi con loro: che tutti quei discorsi non fossero provvisori… in attesa di una vittoria e del vero disvelamento della potenza di Dio. Ma che fossero definitivi, che raccontassero l’identità di sempre di Dio: un Dio col grembiule.

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