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lunedì 22 marzo 2010

Libertà (per tutti e non solo per qualcuno)

Avevo scritto un post dal titolo Extra chorum, in cui constatavo con una certa amarezza di essere “solo” nel difendere il principio che, non ammettere alle elezioni chi non si dimostrava nemmeno “capace” di presentare una lista elettorale – per quanto rappresenti milioni di potenziali elettori – non era un vulnus alla democrazia, ma al contrario una forma alta e nobile di difenderla dall’arroganza del potere: il vulnus ci sarebbe (stato) se fossero (stati) ammessi violando le “regole” valide per tutti (gli altri)!... Fa piacere ora constatare che non ero poi così “marziano”... L’articolo è stato pubblicato qualche giorno dopo il mio post dal Corriere, ma non avevo avuto il tempo di presentarvelo, lo pubblico ora nella speranza che, a mente fredda o quasi, possa essere oggetto di riflessione comune...

Una mia parente, da bambina, aveva appiccicato sulla porta della sua stanza un foglio di carta con la scritta: «Rispettare le regole». Era una bambina tutt’altro che docile e riguardosa, bensì avventurosa e vivace. Forse proprio per questo aveva istintivamente capito, senza aver letto alcun libro di diritto, che delle regole non si può fare a meno, se si vuole star bene insieme. La regola non ha mai goduto di buona stampa. È una delle prime vittime della retorica sentimentale che falsifica il profondo sentimento della vita e delle sue contraddizioni. Non c’è poetastro che non vanti la propria sofferta e appassionata fantasia insofferente di norme stilistiche, anche se il suo collega Dante Alighieri ha dimostrato che rispettare la metrica, l’ordine della terzina e della rima e il numero di sillabe del verso può essere efficace per rappresentare il caos delle passioni, il mistero del mondo e di ciò che sta oltre.
La vita è un continuo confronto con la regola, che essa si dà per non dissolversi nell’indistinto e che essa creativamente muta, per renderla più adeguata ad affrontare la realtà sempre nuova, costruendo incessantemente nuove regole. Le creative rivoluzioni artistiche infrangono alcune leggi dei loro linguaggi, scoprendo così nuove forme del mondo e della sua rappresentazione, che a loro volta obbediscono a criteri rigorosi. Faulkner o Kafka, che sconvolgono l’ordine tradizionale del romanzo, ne creano un altro, non meno inesorabilmente cogente e proprio perciò creativo. Nessuna regola è un idolo, nemmeno la regola per eccellenza, la legge. Le leggi possono e talora devono cambiare, come avviene. Ma il cambiamento, anche sostanziale e radicale, deve avvenire secondo modalità e regole precise. Ciò che oggi è impressionante nel nostro Paese e contribuisce a degradare Stato e società ad accozzaglia confusa, non è la violazione delle leggi, che è sempre esistita, bensì la crescente indifferenza nei loro confronti. Più che barare al gioco – il che presuppone comunque tener conto, sia pure con intenti truffaldini, delle regole – si mescolano le carte da poker con quelle dello scopone, se un avversario tira già una scala reale si risponde facendo briscola.
Nella vicenda delle liste presentate dal Pdl in vista delle prossime elezioni nessuno ha barato, perché non si bara con l’intenzione di perdere. Si è trattato di una goffaggine, poco importa se dovuta a risse interne o a inettitudine, fondata sulla consapevole o inconsapevole convinzione che regole e leggi possano venire tranquillamente disattese. Questa disinvoltura alla fine autolesionista è offensiva in primo luogo nei confronti dei potenziali elettori del Pdl (e sono molti) che rischiano di perdere, per colpa del Pdl, il loro diritto di votare per esso. L’indecoroso ruzzolone ha creato, come è noto, un problema: la necessità di conciliare il rispetto della legge con la possibilità di molti cittadini di votare, come è loro diritto, per il Pdl, partito maggioritario che masochisticamente si toglie di mezzo. Per i maldestri autori dell’autogol, comprensibilmente desiderosi di porvi rimedio, sembra che quella violazione delle regole non conti nulla. Si sente gridare al cavillo, al giochetto; si accusa di arido e astratto formalismo chi cerca di risolvere il dilemma senza violare la legge. Sembra non ci si renda conto che ogni violazione ne tira dietro un’altra e che considerare uno sfizio l’esigenza di rispettare la legge significa minare alla radice i fondamenti della vita civile. Una società che si abitua a disattendere le norme non è più una società; non è nemmeno il branco di lupi di Kipling, che si fonda su una legge.
L’unica via era e rimane, come ha detto fra gli altri il Presidente emerito Scalfaro, il rinvio delle elezioni, sola soluzione atta a consentire il voto di tutti i cittadini a tutte le liste senza calpestare il diritto. Ma l’insensibilità all’osservanza delle leggi sembra diffondersi come un liquame gelatinoso; la sua sorgente è la classe politica, ma non so se a quest’ultima si contrapponga un Paese reale più sano e meno inquinato. In questo caos è sempre più difficile distinguere guardie, ladri e derubati. Certo, siamo tutti insofferenti di leggi e di regole, sempre impari, nella loro inevitabile convenzione, al fluire della vita. La maturità di un individuo e di una società consiste nell’armonia con cui si sanno conciliare giustizia ed equità, rispetto delle leggi e capacità di risolvere umanamente i conflitti che in certi casi la loro rigidezza può provocare, senza passare disinvoltamente al di sopra di esse, ma trovando una modalità anche formale di risolvere quel conflitto. Talvolta il summum ius può diventare summa iniuria, massima ingiustizia, e allora si pone un conflitto che va risolto. Ma se non c’è nessun ius, c’è sempre e soltanto la massima iniuria, il trionfo dell’ingiustizia ovvero dei più forti privi di freni nella loro oppressione dei deboli. Nessuno può amare la legge, perché essa esiste in quanto esistono i conflitti e ognuno di noi vorrebbe vivere in un mondo in cui non ci fossero conflitti né contraddizioni, in una beata innocente età dell’oro in cui ogni pulsione e desiderio potessero essere appagati senza ledere nessuno.
L’amicizia, l’amore, la contemplazione del cielo stellato non richiedono codici, giudici, avvocati o prigioni e nemmeno regole precise come quelle del golf o del calcio. Ma codici, giudici, avvocati e prigioni diventano necessari quando qualcuno impedisce con la forza a un altro di amare o di contemplare il cielo stellato. «Il dominio del diritto – scriveva il grande poeta romantico tedesco Novalis – cesserà insieme con la barbarie». I meandri della legge possono incutere angoscia e paura, come testimonia tanta letteratura. Ma la barbarie non cessa e c’è bisogno di diritto. E anche di regole nei rapporti umani; regole, in questo caso, non certo codificate o imposte né rigide, ma tacitamente presenti nel tono, nella modalità, nella musica ossia nella sostanza umana di ogni relazione, anche di amicizia e di amore. Pure il quotidiano vivere civile ha bisogno di regole non scritte, ma fondanti, che esprimano il rispetto dell’altro; un senso immediato e spontaneo che nasce dall’osservanza di regole intimamente accettate e divenute naturale modo di essere. Non è questo lo stile di chi oggi ci governa. Mi auguro che chi lo desidera possa votare per il partito che ha rischiato di impedirglielo con quell’improvvida sciatteria, purché ciò avvenga senza violare le leggi.
Quel partito usurpa il nome di liberale; sarebbe paradossalmente più coerente se usurpasse il nome di democratico, perché ha assai poco di quell’illuminato sistema di leggi, pesi e contrappesi, poteri e contropoteri che il liberalismo ha elaborato per tutelare umanamente le libertà. Il Pdl appare piuttosto talvolta una versione scivolosa della democrazia: l’appello al Popolo, l’investitura plenaria, la concezione della politica quale rapporto privilegiato, unico e permanente del leader con una specie di assemblea generale degli italiani ricordano – in forme abnormi – piuttosto Rousseau che Stuart Mill; si richiamano al mareggiare della folla in piazza più che alla divisione dei poteri. Anche quello che è avvenuto con le liste elettorali sembra fatto più in nome del «Popolo» (disinvoltamente identificato col proprio partito o con la propria fazione) che in nome delle garanzie, delle distinzioni e della legalità liberale. Che i due maggiori partiti italiani, reciprocamente avversi, debbano scambiarsi il nome?
Claudio Magris, 15 marzo 2010

giovedì 11 marzo 2010

Extra chorum

C’è un luogo comune che gira come un fantasma in questi giorni ed è che senza il PDL, a milioni di cittadini sarebbe negato il diritto di scelta e quindi le elezioni in qualche modo sarebbero falsate!
Dal nostro amato presidente Napolitano, da autorevoli esponenti politici di destra e di sinistra, da autorevoli opinionisti del Corriere e Repubblica, passando per la Stampa e compagnia bella, è tutto un coro unanime su questa tesi. La differenza se c’è, sta solo nella contestazione del modo con cui si è voluto rimediare al cosiddetto pasticcio

Vorrei spiegare perché considero un’eminente balla una tesi del genere. Luogo comune, ove la mancanza di un minimo di posata riflessione ha impedito di cogliere la prospettiva giusta…

Il diritto di voto non è un diritto assoluto, senza regole e senza limiti.
Mi vengono in mente almeno tre casi (solo per esemplificare) in cui una persona non può essere votata (oltre al limite di età che permette o impedisce il diritto di voto attivo e passivo!):

1) Ad esempio: io non posso votare una persona che non ha costituito una lista, anche se io la ritenessi l’unica al mondo in grado di meritare il mio voto.
Così nessuno di noi potrebbe votare Adriano Celentano, tanto per fare un esempio banale: la mia scheda verrebbe annullata e il mio voto non conteggiato se non tra il numero dei votanti e tra le schede nulle.

2) Non solo, ci sono persone, che anche se volessero e potessero (nel senso che ne hanno le qualità), per legge è impedito loro di presentarsi alle elezioni come candidati. Ministri di culto, magistrati, membri delle forze armate, ecc. sono tra questi. Ma anche coloro che sono stati raggiunti da una condanna penale per certi reati che toglie loro, come pena ausiliaria e per un certo limitato numero di anni, il diritto di voce passiva nelle elezioni.

3) Ci sono inoltre alcune norme particolari, come quella che vieta esplicitamente il terzo mandato per un presidente di regione, o l’incompatibilità di cariche (es: sindaci e presidenti di regione) anche se questa persona sarebbe di per sé eleggibile perché rispetta tutte le altre condizioni…

Si dovrebbe ammettere a rigor di logica che anche in questi casi ai cittadini è tolto il diritto di votare una determinata persona o gruppo di persone. Certamente! E questo gli è tolto espressamente per legge: cioè chi non entra in determinate categorie e/o entra in altre, ha il diritto o gli viene negato il diritto, di presentarsi alle elezioni e per conseguenza, all’elettore viene concesso o negato il diritto di votarlo!
E nessuno grida allo scandalo. E giustamente nessuno dice che le elezioni sono falsate o meno democratiche! E se fate il conto, sono milioni le persone coinvolte!

Ma in questi giorni ha diritto di cronaca una quarta categoria (chiamiamola così anche se di per sé non è categorizzabile) a cui è negato il diritto di voto e io non vedo perché questo dovrebbe rendere meno democratiche o “falsate” le nostre elezioni.

Il rigore infatti con cui sopra si ammette o si nega a delle persone ad essere eleggibili (e quindi si nega o si ammette il diritto di voto, a queste persone, da parte del cittadino elettore) si riversa anche nel rigore con cui devono essere presentate le liste per la validità della eleggibilità! Questo proprio a difesa del diritto di voto del cittadino-elettore e alla democraticità delle elezioni onde evitare che dei furbi, si facciano passare per ciò che non sono.

Ora, se un partito, movimento o lista o quant’altro, per proprie ragioni, qualunque esse siano, non sono in grado, per propria colpa, di rispettare una qualunque di queste condizioni (perché è chiaro che devono essere rispettate tutte in quanto basta una per non essere eleggibile), non si sottrae ai cittadini il diritto di voto, ma anzi in tal modo il diritto è salvaguardato e semmai sono gli esponenti della lista che si negano il diritto (e lo negano anche ai loro eventuali elettori e/o aderenti) di presentarsi alle elezioni. In altre parole, nessuno nega loro il diritto, anzi il diritto viene protetto da abusi e prevaricazioni varie soprattutto da coloro che, con il rifiuto di sottomettersi alle verifiche necessarie, se ne autoescudono automaticamente.

Nessun partito, qualunque esso sia, ha dunque il diritto di presentarsi alle elezioni fino a quando non ha ottemperato alle condizioni che rendono i propri candidati eleggibili. E di conseguenza nessun elettore ha il diritto di votare un candidato fino a quando questo non risulti di fatto eleggibile.

È falso quindi affermare che si nega un diritto. Semmai lo sarebbe fare il contrario, ammettendo chi il diritto per propria responsabilità, l’ha perso!

È altresì falso affermare dunque che la non accettazione di una lista nel rispetto delle leggi vigenti che ne regolano il diritto, costituisca un vulnus (come afferma per es. Veltroni in un’intervista a repubblica) al sistema democratico. Il vulnus sarebbe semmai fare il contrario: ammettere chi questo diritto non ha o l’ha perso per propria incapacità o altro, esponendo così gli elettori a esercitare “indifesi” un diritto su una persona che di fatto non ha il diritto di riceverlo per le ragioni sopra esposte. La legge ha proprio questo scopo: difendere l’elettore da ogni forma di inganno facendo in modo cioè che un suo diritto così fondamentale come quello del voto, non si trasformi di fatto in una diminuzione di questo diritto a vantaggio dei potenti di turno!

Almeno fino a quando questa legge permane! Si può sempre cambiare una legge ovviamente, ma per quanto la si cambi, ci sarà sempre bisogno di porre dei filtri e dei paletti: ma ve lo immaginate se si permettesse a chiunque senza condizioni e senza un minimo di filtri che ne verifichi la serietà, di presentarsi alle elezioni? Sarebbe il caos! Saremmo alla giungla, dove prevale la legge del più forte e il grosso si mangia il piccolo. Guarda caso proprio quello che sta accadendo perché si vogliono ridurre (almeno per sé) i filtri di protezione posti a difesa del diritto di voto del cittadino.
Se quindi, degli elettori o aderenti a un partito si sentono esclusi dalla possibilità di voto dei propri candidati, devono prendersela esclusivamente con i propri incapaci rappresentanti (che evidentemente non meritano la loro fiducia), e non con una legge che ha il solo scopo di proteggere il loro diritto di voto da ogni tipo di abuso.
E litigare per “i posti in lista” è una di quelle forme di abuso più aberranti in quanto manifestano il più becero clientelismo partitocratico nel disprezzo più totale dei diritti di voto dei cittadini! Di cui un cittadino non può non tenerne conto, comunque vadano le cose.

Fino a quando non si capisce questo, ogni argomento di critica alle affermazioni berlusconiane sono prive di fondamento ed efficacia, perché restano all’interno della mentalità populista e antidemocratica di cui il berlusconismo è ideologicamente intriso.

Credendo a questa balla, Napolitano, prima ancora della firma e indipendentemente che potesse non firmare, ha di fatto “abdicato” all’ideologia berlusconiana, come dimostra la sua risposta alle lettere di due cittadini. E insieme a lui tutti coloro che lo difendono anche da sinistra ma anche coloro che lo accusano senza uscire dalla stessa logica come fa Di Pietro. Proprio come Eva che non uscendo dalla logica del serpente, aveva peccato, prima ancora di consumare!

Di questo passo, Berlusconi dorma sonni tranquilli! Che nessuno, né a destra, né a sinistra, dentro e fuori la chiesa, ha saputo proporre un’alternativa che sia autenticamente altra, alla logica che lo ha portato e lo mantiene saldamente al potere!
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