Ed eccoci giunti alla domenica delle Palme… Quella in cui la Chiesa ci invita a ripercorrere l’intera vicenda della passione, morte e sepoltura di Gesù. Quella che ci conduce fino all’esito normale e tragicamente inevitabile della vita delle persone: la tomba. Quella che proprio quest’anno, per noi, capita in maniera così tempestiva ad accompagnarci, con la sua Parola, alle tombe della nostra umanità:
- alla tomba di Giuliano, morto proprio un anno fa;
- alla tomba che il Mediterraneo è diventato per centinaia di nostri fratelli che cercavano e chiedevano Vita;
- alla tomba della giustizia e della Costituzione;
- alla tomba di tanti dei nostri sogni e delle nostre speranze, che ci paiono giacere come strade interrotte;
- e alle altre innumerevoli tombe di fratelli e amici che per riservatezza non raccontiamo, ma che – esattamente come le nostre – ci attanagliano la gola, ci gelano d’angoscia, ci disperano il cuore…
Eppure… proprio in questa domenica che sa di morte, la prima lettura che la Chiesa fa risuonare, inizia con un invito che scuote: «Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato».
Io non ho la presunzione di dire di me stessa che il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepola, eppure, scrivendo queste poche righe, per il nostro appuntamento settimanale, mi sento come “in dovere” di provare ad indirizzare una parola allo sfiduciato, alla sfiduciata… a quello sfiduciato/a che spesso ritrovo primariamente proprio dentro di me.
Il Passio è il racconto di una morte… di una morte atroce… la morte di chi muore urlando un grido inarticolato di disperazione – «A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» – e prima ancora è il racconto di un tradimento – «“In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà”. Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: “Sono forse io, Signore?”. Ed egli rispose: “Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà”» –, è dunque anche il racconto di un tradimento consapevole – «Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto”» – ma è anche il racconto di un estremo ed ingenuo tentativo di fedeltà – «Pietro gli disse: “Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai”. Gli disse Gesù: “In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte”. Pietro gli rispose: “Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò”. Lo stesso dissero tutti i discepoli» –; un tentativo di fedeltà miseramente fallito, perché perdente di fronte alla paura della morte, che infatti la fa da padrona – «venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: “Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora?”. Si allontanò una seconda volta. […] Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti» – un tentativo di fedeltà fallito, che per la paura si trasforma addirittura in rinnegamento – «Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: “Anche tu eri con Gesù, il Galileo!”. Ma egli negò davanti a tutti dicendo: “Non capisco che cosa dici”. Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: “Costui era con Gesù, il Nazareno”. Ma egli negò di nuovo, giurando: “Non conosco quell’uomo!”. Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: “È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!”. Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo!”» – un tentativo di fedeltà fallito, che per la paura si trasforma addirittura in abbandono – «Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono».
Eppure proprio in relazione a questo racconto di morte, tradimento, rinnegamento, abbandono, la Chiesa ci invita a indirizzare una parola allo sfiduciato…
Mentre scrivevo che il Passio è un “racconto di morte, tradimento, rinnegamento, abbandono”, mi veniva in mente, che la storia di Gesù, alla fine, non è così diversa dalla storia del mondo, o dalle nostre piccole storie di vita… Quanti dei racconti delle nostre storie potrebbero essere messi sotto quest’etichetta “racconto di morte, tradimento, rinnegamento, abbandono”… forse tutte… prima o poi…
E allora… Quale parola indirizzare allo sfiduciato?
Certo, quella che domenica prossima sentiremo risuonare: quella per cui Dio Padre, riconoscendo nel suo Figlio e nella sua incondizionata donazione d’amore, la vita riuscita, la tramuterà in vita che non muore in eterno!
Ma quelle sono le parole si settimana prossima… Oggi… tra le tante che si potrebbero scegliere (da quelle che dicono la lucida consapevolezza di Gesù, a quelle dell’ultima cena, che ci spiegano in anticipo cosa sta per accadere; da quelle che Gesù dice nell’intimità al Padre suo nel Getzemani, a quelle che con assoluta dignità non dice ai suoi giudici, calunniatori e tentatori…), io vorrei indirizzare allo sfiduciato solo alcuni nomi… nomi di personaggi di secondo piano (anzi forse di terzo e di quarto…), che però sono lì nel vangelo ad attestare che se la storia di Gesù, la storia dell’umanità e la nostra storia è fatta di morte, tradimento, rinnegamento e abbandono, essa è anche fatta di riconoscimento («Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”»), fedeltà («Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo») e custodia («Giuseppe di Arimatèa prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia»).
Sono questi insignificanti (?) personaggi, con i loro insignificanti (?) frammenti di umanità, la parola che vorrei indirizzare agli sfiduciati, perché anche loro, come Gesù, sappiano fare la faccia dura come la pietra e tornare a investire l’esistenza, rifondandola sul riconoscimento, la fedeltà e la custodia.
Pagine
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1 commento:
Ci sono momenti in cui ti senti immobile, non sa dove andare, cosa fare, chi hai voglia di vedere ed allora ti fermi ed aspetti. Non ti piace questo mondo, questa realtà. Non ti piace proprio. Ci stai stretta. Eppure devi trovare una luce verso cui dirigerti, con fatica la devi trovare. Devi spolverare le tue ali e ricominciare a guardarti intorno per osservare dove puoi posarti. E' sfiducia? Non lo so. Penso di no. Manca una direzione.
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