Commento alle letture liturgiche della V Domenica di Quaresima (Anno A) |
“Vieni fuori!” è il grido di Dio che oggi rivolge in Gesù Cristo a ciascuno di noi.
Ci sono situazioni storiche e personali in cui come popolo e come individui ci si può sentire come morti, ridotti a ossa scarnificate, bruciate dal sole arido della vita.
C’è un deserto nella nostra vita dove la vita sembra sparire e noi ci sentiamo ogni giorno di più senza quella vita che dà vita alla nostra vita. Ma la vita non è sparita si è solo nascosta, sotto mucchi di sabbia, sotto strati di roccia. E noi con lei. Basta venirne fuori! Ma come?
Fare l’esperienza del Dio della vita è fare esperienza della vita di Dio, spiega Giovanni riportando nel terzo capitolo il colloquio segreto tra Gesù e Nicodemo: È rinascere da un altro che si trova sopra di noi perché possiede da sempre quel gusto della vita che dà vita alla vita.
Fare l’esperienza della vita di Dio, come l’ha fatta il cieco nato, è come se i nostri occhi si aprissero ai colori della vita dopo una notte senza fine,. Anno dopo anno, giorno dopo giorno, la nostra vita può imprigionarsi nella mancanza di prospettive, nella paura di un futuro che non si vede più, e accecarsi alla luce e morire alla vita.
Eppure è possibile una sorta di nuova nascita alla vita. Come un collirio sugli occhi che consenta di vedere il mondo sotto una luce mai gustata prima.
Il risveglio di Lazzaro ci dice tutto questo.
Fare esperienza di un incontro che dà vita alla nostra morte è fare esperienza del fatto che eravamo spenti e ora bruciamo. È superare la malattia della disperazione, quella perenne prigionia della paura che ci condanna a rinchiuderci in un sepolcro in attesa della putrefazione.
Quando le bende che ci avvinghiano cadono e noi usciamo dal buco in cui ci siamo infilati, le viscere della terra non possono più tenerci prigioniere e noi siamo finalmente liberi.
Due parole si intersecano nel vangelo: malattia/morte da una parte e amore dall’altra. La malattia di Lazzaro (e nostra) e l’amore di Gesù per Lazzaro e le sue sorelle. Morte e amore sembrano sfidarsi e la malattia della morte sembra vincere. Ma l’amore non può lasciare nella morte. Perché l’amore è vita e perché la vita è l’amore.
Di cosa è morto Lazzaro? Per due volte il Vangelo ce lo dice: ce lo ricorda Marta prima e Maria dopo “se tu fossi stato qui Lazzaro non sarebbe morto…”: Lazzaro è morto di un amore che si era reso assente… Lazzaro e noi moriamo di un’amicizia che non riesce ad essere vissuta. Lazzaro e noi moriamo di un’assenza che non riesce a farsi presenza. Incontro.
Di questo Gesù sembra rendersi conto “solo” quando vede le lacrime di Maria e di chi ne condivideva il dolore di una presenza diventata assenza. L’amore di Maria per Lazzaro mostrano a Gesù, che ama Maria, quanto Gesù amasse Lazzaro e quanto Lazzaro amasse Gesù e Gesù si scopre amato da Maria e da Lazzaro. Ed è come se, scendendo nelle profondità del proprio cuore, si incontrasse nel suo amore per Lazzaro. E non può trattenersi dal pianto…
E questo pianto dell’uomo che provoca il pianto di Dio è l’amore che riporta all’amore della vita Lazzaro che si era ammalato per l’assenza dell’amato.
C’è qui in un solo comune pianto, in un solo gesto: “liberatelo”, in un solo grido: “vieni fuori”, tutta la storia che da Israele porta Dio sui sentieri del mondo. Tutta la storia – ciascuno potrebbe dire – della mia vita.
Noi “erriamo” quando pensiamo che la vita si trovi dopo la morte perché questo modo di vedere svuota la nostra vita di senso e toglie alla vita che viviamo il gusto di una speranza che gli dia fondamento. Ma se la vera vita fosse solo dopo la morte, che senso avrebbe vivere qui sulla terra? E non ci sarebbe mai potuto essere un mattino di Pasqua e noi non avremmo mai potuto accorgercene, anche se fosse avvenuto, se non potessimo fare un’esperienza di Dio in questa vita, un’esperienza di Dio tale da comprendere che cos’è la vita, al di là della paura della morte, al di là della finitezza, al di là dell’angustia e dell’angoscia di questo mondo. (E. Drewermann)
Questo grido “Vieni fuori!” vale per ciascuno di noi oggi, a prescindere da dove siamo e come siamo. Non importa la nostra età, non è mai troppo presto, non è mai troppo tardi per esperimentare che non ci sono due mondi, uno aldiquà e l’altro aldilà. Questa vita nuova che ci scorre nelle vene del corpo e dell’anima – ci dice san Paolo – è il nuovo principio che dà sapore alla nostra vita.
Credere vuol dire sapere, perché gustato, che tra cielo e terra, tra tempo ed eternità, tra umanità e divinità non ci sono più confini e c’è un unico luogo dove la vita dà gusto alla vita: Noi!
1 commento:
Proprio del colloquio tra Nicodemo e Gesù ti volevo parlare. Ma sopratutto la risposta di Lui:Non meravigliarti.......... il vento soffia dove vuole.......Gv 3, 7
Possiamo organizzare, fare ma..... se non c'è quel vento ....... nulla possiamo. Oppure è la nostra insistenza a muoverLo verso il nostro volere?
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