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mercoledì 15 luglio 2015

XVI Domenica del Tempo ordinario


Dal libro del profeta Geremìa (Ger 23,1-6)

Dice il Signore: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore. Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore. Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquillo, e lo chiameranno con questo nome: Signore-nostra-giustizia».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 2,13-18)

Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6,30-34)

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

 

Capita a tutti – credo – a volte, di volersi ritirare in disparte: in disparte dalle “folle” che attraversano la nostra vita, dai loro e nostri problemi, dalle dinamiche distorte in cui spesso ci troviamo immersi e che ci fanno mancare il fiato… in disparte dalle mille occupazioni quotidiane, dalle cose che bisogna ricordarsi di fare, dagli impegni che gli altri (coi loro ricatti affettivi, con i sensi di colpa che ci provocano, con il senso del dovere a cui ci richiamano…) spesso ci buttato addosso…

In disparte… a rigenerarsi un po’, a fare il punto della situazione, a ricordarsi chi si è e perché (per chi) si è, quasi introducendo una sorta di pausa alla storia, al flusso continuo degli eventi, come a voler fermare per un attimo il tempo e la sua inarrestabile corsa…

Capita – credo – soprattutto a quelle persone che in qualche modo hanno responsabilità su altre, che oltre ai propri problemi devono farsi carico anche di quelli degli altri, di coloro che – stando alla metafora evangelica – ci paiono pecore senza pastore, o in assoluto o per qualche frangente dell’esistenza…

Anche Gesù ha questa esigenza: diverse volte nel Vangelo ci è raccontato di questo suo ritrarsi in disparte da solo o con i suoi discepoli.

Anche il brano di vangelo che la Chiesa ci propone per questa domenica, va in questa direzione. Due in particolare sono gli eventi che spingono Gesù a ritirarsi in disparte con i discepoli: il loro ritorno dall’esperienza missionaria e la morte del Battista, narrate nei versetti immediatamente precedenti.

Il ritorno dalla missione esigeva evidentemente un momento di riposo e di confronto e la morte del Battista implicava una riconsiderazione della missione di Gesù.

Eppure in quest’occasione il suo desiderio di ristoro, di preghiera, di solitudine non va a buon fine. Avviene qualcosa che intralcia il suo proposito: ed è il fatto che la gente li segue – anzi li precede – ponendosi sul loro cammino.

Esplicitamente non chiedono nulla, semplicemente si pongono lì sulla loro strada.

Personalmente una situazione del genere, paradigmatica di tante altre situazioni simili in cui a volte ci veniamo a trovare anche noi, susciterebbe immediatamente nervosismo…

Innanzitutto perché viene rotto un programma prefissato, nato da un desiderio (o da un bisogno) vero, costruito sulla fondamentale e sacrosanta necessità di avere un po’ di spazio per se stessi.

In secondo luogo perché, nella nostra concezione assistenzialista – mai veramente scardinata e convertita –, ci dà fastidio che i “poveri”, o più in generale la gente, ci si pongano sulla strada… senza rispettare i nostri tempi, i nostri ritmi, ma quasi invadendoci spazialmente…

Dentro a questo fastidio io credo si possa vedere la distanza tra l’interiorità di Gesù, l’uomo nuovo, e la nostra, ancora così “vecchia”.

Per essere più precisi, credo, che la diversità di reazione nostra e di Gesù a fronte dell’interruzione dell’attuazione di un momento “per sé”, dipende dall’idea di “per sé” che abbiamo in testa…

Perché noi ci innervosiamo se qualcuno ci si pone sulla strada proprio mentre stavamo andando a dedicarci un po’ a noi stessi e Gesù no, anzi tutto il contrario? Perché sentiamo che in questo modo qualcuno ci sta rubando qualcosa di nostro, di legittimo, mentre a Gesù scatta la compassione per i “diritti” degli altri?

Perché forse per Gesù il tempo, lo spazio per sé è imprescindibile, ma proprio perché è ciò che ci permette di essere-per-l’altro.

Noi invece ci infastidiamo dell’altro, perché lo pensiamo sempre in funzione nostra: quindi se è nemico, come uno da rifiutare, se amico, come uno che ci deve beneficare, se è povero, come uno da aiutare, perché ci gratifichi.

Non esce da questo schema nemmeno l’assistenzialismo di certo cristianesimo. Sostanzialmente perché oggettivizza sempre l’altro, funzionalizzandolo a sé. Ecco perché disturba il suo sopravvenire inatteso, le sue richieste non calcolate, le sue pretese impreviste.

La prospettiva alla quale invece Gesù rimanda è quella della fraternità umana, in cui io sono io proprio perché, essendo me, sono per l’altro, che in questo senso non è mai “separato” o “separabile” dalla mia personale vicenda.

Per questo finché l’altro non sarà veramente “mio” si mancherà – fuori e dentro la Chiesa – la prospettiva di Gesù e ci si continuerà ad innervosire per il sopraggiungere dell’altro, che non essendo guardato come “mio”, sarà sempre immediatamente pensato come “contro di me”.

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