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martedì 10 febbraio 2009

Eluana Englaro - Una traccia feconda

La sua morte e le nostre domande

Il tessuto della vita umana si è lacerato, definitivamente, il punto di non ritorno non è stato raggiunto con esperimenti scientifici o in base a protocolli legali, Eluana ha dimostrato di essere persona e persona viva, con decisione propria. Ha riconosciuto il suo momento.
Attraversare quella linea che separa il tempo dal non tempo è inscritto già nel nostro nascere, non saremmo persone umane se così non fosse. Tutto il creato conosce questo moto che procede inesorabile. Non è però da tutti poterlo attraversare facendolo proprio, non con un’eutanasia indotta o provocata, ma con il gesto di colui che lancia in mare, per l’ultima volta, la sua barca e poi la segue, iniziando così l’ultimo grande viaggio. Solenne perché la partenza è nota, è nostra, l’arrivo desiderato e amato, se si è vissuti nella fede, perché è il Volto del Padre, ma pur sempre con un margine di non conoscenza che scuote la nostra natura umana.
Mentre scoccavano le sue ultime ore, riandavo ad una xilografia antica, conservata in un’abbazia, in cui il Padre abbraccia il Figlio inchiodato sulla Croce, mentre lo Spirito aleggia sopra di loro. Un abbraccio che sostiene, che dona forza nella paura attanagliante della prospettiva di un deserto in cui mancano cibo e acqua, non perché non ci sono o sono esauriti, ma perché, consapevolmente, ti sono stati negati e sottratti.
Questo è l’oltraggio più tagliente: chi con te cammina e condivide l’esistenza, proprio questi ti costringe nella trappola di un deserto che non conosce oasi. Da qui, la grande marea montante e impetuosa del panico che avvinghia e che conosce una sola uscita: lasciarsi travolgere.
Nell’abbraccio del Padre però Eluana non è stata travolta ma accolta, fin da quando l’amore dei genitori l’ha immessa nella storia, un grembo che stringe sempre generando e ricomponendo, quando gli eventi del quotidiano ammaccano.
Per i credenti, tutta la Chiesa, non in una massa anonima ma in una comunità di volti conosciuti, è sempre stata pulsante intorno a lei e con lei, tutti con l’empatia dettata dall’appartenere alla grande schiera di coloro che sono stati in cammino verso il Padre, ciascuno a suo tempo e nel suo proprio segmento di storia.
Il silenzio della lastra di marmo che la copriva ora si è rotto, ma rimane il nostro, forse finalmente non ribollente, privo del rumore delle parole polemiche e degli interventi di schieramento, ma ricco della nostra umanità condivisa e partecipata dinanzi ad una realtà che sempre ci supera e ci interpella.
Il bozzolo di pietra si è scisso e si è schiuso, non verso la pianura degli asfodeli del mondo greco, ma verso quel giardino in cui il Creatore passeggia alla brezza della sera e parla con gli uomini e con le donne, guardandoli in volto.
Non si percepisce estraneità e tristezza in questo lasciare noi ancora viandanti, perché Eluana ha impresso una traccia feconda che ha suscitato le grandi interrogazioni, sempre micidialmente senza esiti, ma simultaneamente lo slancio delle risposte concrete, intrise di dedizione, di amore, per mesi e anni di prossimità gratuita.
La sua debolezza non parlò il linguaggio dell’inefficienza, dell’inutilità ma quello della fragilità della nostra argilla che, improvvisamente, può cedere nella sua struttura e ridursi ad un ammasso informe.
Nessuno nella vita è forte oppure ha acceso un contratto di garanzia di riuscita, di vigore, di potenza; tutti se non sono deboli, possono diventarlo domani. Tutti, solo se coesi e solidali possiamo arginare la nostra argilla, ridarle forma con qualche colpo di pollice amico.
Chi è debole diventa quella leva che aziona i pensieri segreti trattenuti nel più intimo del cuore, che emergono senza steccati e rivelano la verità del sentire.
Una fecondità nuova può venire a noi proprio da Eluana, una presa di coscienza verso gli inermi, verso chi non può neppure tendere la mano ma ha bisogno che sia afferrata per resistere. Nessun secolo è stato indenne dalla sofferenza fisica o mentale, dalle malattie o dai disastri ecologici, la vita però non ha mai perso la speranza.
Margherite Yourcenar chiamava il transito “morire a occhi aperti”, Eluana vissuta ad occhi aperti, ha deciso lei stessa che il suo soffio avrebbe trovato il riposo, si sarebbe potuto adagiare nel grande Soffio dello Spirito.
Il respiro donatole in quel soffio creatore non si è spento o si è esaurito, il Creatore stesso lo ha raccolto nell’abbandono del primitivo gesto di amore, in quel bacio che suggella il ritorno a casa, soffio nel Soffio.

di Cristiana Dobner, carmelitana scalza, in SIR, 10 febbraio 2009

domenica 8 febbraio 2009

Grido Muto


Nota su Eluana Englaro

Il silenzio avvolge Eluana da tanti anni, sembra che una lastra di marmo impedisca ogni contatto, ogni rapporto, quando la persona umana invece è dialogo, parola, corrispondenza sensibile. La conclusione parrebbe lineare: Eluana non è una persona umana, meglio, non lo è più, perché vive una condizione di morte, di assenza. La parola, espressa ed accolta, è indubbiamente la condizione privilegiata della comunicazione ma, se ad essa non fosse sotteso il silenzio, sarebbe solo borbottio, susseguirsi di suoni. Chi ha saputo entrare nel silenzio di Eluana, perché ogni giorno si è chinato su di lei e si è preso cura di ogni sua necessità, ha appreso una nuova lingua, una comunicazione che passa nell’immobilità attraverso quanto abbiamo di più sensibile: la nostra pelle, il nostro semplice esistere. Noi siamo pelle, siamo dentro questo sacco che ci contiene e che dice chi noi siamo. La rispondenza ci attraversa senza che ce ne rendiamo conto. Quante volte ci riscontriamo sensibili a presenze silenti? Al nostro sentire lasciato libero, senza coercizioni?
Mi infilo nel sacco di Eluana e provo a comunicare e mi risulta impossibile, ma trasmetto onde, dolore, sensibilità, gratitudine. La sofferenza e il dolore, da sempre hanno attanagliato l’esistenza umana con i loro interrogativi ineludibili e senza risposta. Non possedere, cioè tenere argomentata una risposta non significa essere irrazionali o dementi. Significa camminare nella storia delle persone con il cuore che pulsa dinanzi al mistero che procede con noi e che suscita, questo sì, una risposta precisa dinanzi al fratello o alla sorella che sta incidendo, nel grande mosaico della storia, la sua tessera con il proprio dolore. Significa porgere la mano e prestare ascolto al grido che lacera il nostro quotidiano e ci distoglie dalla ricerca del welfare, del benessere, della corsa alla carriera, dalla vacuità. Il grido muto di Eluana percorre le tenebre e le lacera, ed è luce perché la sua drammatica realtà comporta l’interrogativo ultimo sul nostro esistere e sul nostro essere e contiene anche la nostra risposta, se la vogliamo dare.
I genitori hanno donato la vita e l’esistenza, ma l’hanno donata per sempre, non diventiamo mai un numero – ed è spontaneo ricorrere alla barbarie nazista- non diventiamo mai un caso, siamo sempre figli e figlie da scortare nel tratto di esistenza che ci è riservato. Non sono medico e non posso esprimere pareri scientifici, ma sono persona che respira e che ha potuto stare accanto ad una sorella che, nella stessa situazione di Eluana, respirava e nulla più. Per noi, sue sorelle, il suo silenzio, la sua immobilità, erano celebrazione, rimando a realtà più grandi, ad uno stare insieme perché si è giunti a quel punto in cui tutto crolla, ma l’essere e il suo destino eterno rimane. La dignità del morire risiede, negli ultimi istanti, nella comunione di consapevolezza che circonda chi è morente, non nella rapidità dell’eliminazione senza agonia, ma nel riconsegnare il respiro a Colui che lo ha donato. Con quale consapevolezza Eluana respira?
Con la nostra, con quella comunione che stringe e non avvinghia chi, attonito ed addolorato, fa cerchio intorno. Soprattutto quando il silenzio grava e morde. Il Creatore sta piangendo con noi: piange con Eluana in quel pianto silenzioso che non udiamo, piange con noi che non sappiamo lasciarci intridere da quelle lacrime e dare una svolta alla nostra mentalità. Vita non è solo efficienza, “normalità”, vita è dono che consacra il tempo e la storia, vita è flusso continuo di grazia, di amicizia. Se la nostra vicinanza solidale ed orante continua a stringere la mano di Eluana, quanto più il Signore che la abita, la sta accompagnando. Non è retorica o pia devozione, è certezza di fede e rispetto per ogni essere umano che non si può eliminare con strumenti giuridici o scientifici, ma che si deve solo accogliere e servire. E non è retorica immaginifica ma realtà, chiedersi quanto Eluana percepisca, se non proprio oda, di tutto il nostro tramestio che rompe il suo silenzio e lo rende ancora più doloroso perché non accogliamo lei così com’è ma come noi vorremmo fosse. La lastra di marmo la frantuma soltanto l’accoglienza amorosa di Eluana che declina una lingua nuova per comunicare nel più profondo, per dare al silenzio il suo valore di attesa, di restituzione, di figlia e sorella che attende solo un abbraccio caldo e solidale e non un giudizio sulla sua esistenza, se già lo da lei con il suo respiro.

di C. Dobner, in SIR, Domenica 08 Febbraio 2009, ore 13:45
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