sofferenza e forza consolante
la promessa fatta ad Abramo di divenire la benedizione di tutte le famiglie della terra è legata alla sofferenza di un distacco violento dalla ‘sua’ terra, dal suo popolo (dal suo io di carne!)... Il cammino verso Dio del patriarca della fede inizia con uno strappo, uno sradicamento da tutto quanto possedeva. Perché la benedizione di cui Abramo è portatore non sia legata a lui, alla sua tribù o al suo lavoro, ma solo alla promessa di Dio, che in lui si è manifestata “liberamente” e ne ha trasfigurato il destino... Nella radicale rinuncia è seminata la fecondità illimitata. La promessa è già adesso forza propulsiva che lo spinge a partire e camminare verso l’ignoto. La promessa così accolta diventa consolazione nelle sofferenze, come pregustando già in anticipo il loro frutto.
È questa l’esperienza profetica della dinamica cristiana, nella quale Paolo vuole coinvolgere Timoteo: soffri anche tu insieme con me il Vangelo, aiutato dalla forza dello Spirito..., perché proprio questa è la buona notizia: l’annuncio della nostra chiamata alla grazia, come dono di partecipazione alla stessa vita divina, che ci è data in Cristo Gesù, che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l'immortalità per mezzo del vangelo.
la trasfigurazione
il racconto della trasfigurazione, nel vangelo di Matteo, è strettamente legato alla passione, preannunciata da Gesù appena prima e ribadita subito dopo. Come per i modelli antichi, (Abramo, Mosè, Elia...) anche per il discepolo di Gesù si esige il distacco totale dalla sua identità precedente: per cui alla trasfigurazione è premessa la dichiarazione esplicita e perentoria delle condizioni previe per parteciparvi!. Infatti soltanto chi è disposto a rinnegare se stesso, portare la propria croce e addirittura perdere la propria vita ... può seguire Gesù.
Solo dopo la risurrezione i discepoli hanno effettivamente capito il monito di Gesù, di non parlarne prima... e finalmente hanno capito la “metamorfosi” (come dice il greco) di Gesù – che ha assunto una forma diversa di fronte a loro, il cui volto, come dice Luca., è diventato ‘altro’ da quello che appariva nel quotidiano. Hanno capito che dal suo cuore, emanava come un’esplosione di luce, il mistero intimo del Messia, che nella sua vita storica, tiene insieme cose inconciliabili: la potenza divina e la debolezza umana, la sofferenza fino all’angoscia e la gioia di vedere realizzato il disegno di amore del Padre, lo svuotamento di ogni bene e la fecondità della salvezza... E la Trasfigurazione diventa un’icona ove sono concentrati luminosamente e prendono il loro vero significato, i passi e le vicende determinanti del cammino di Israele.
Sono presenti, infatti, Mosè ed Elia, i grandi personaggi che hanno accompagnato la sua storia millenaria, il mediatore della Legge ed il padre dei profeti, che sono venuti a parlare con lui, per confortarlo ed essere testimoni del compimento della parabola della salvezza, ormai arrivata in Gesù alla sua meta. Mosè, chiamato da Dio a guidare la marcia errabonda di Israele verso la libertà, provò ripetutamente il fiele amaro del rifiuto e dell'abbandono; e morì guardando la promessa da lontano, ostinatamente fedele al Dio che l’aveva spinto fino là. Elia, profeta ardente e impetuoso, insofferente di ogni forma di idolatria, solo nel dolore aspro del fallimento scoprì che non i suoi progetti violenti e la sua cieca dedizione (non migliore di quelli dei padri!), salveranno il suo popolo, ma la presenza silenziosa e impercettibile di Dio. Tutt’e due sono lì a testimoniare una fede mantenuta in situazioni difficili e talora disperate, e poi sfociata in esiti imprevedibili a loro stessi.
Adesso Pietro crede di capire, finalmente, cosa è avviene di fronte ai suoi occhi: si sono manifestate simbolicamente le tre tende della presenza di Dio , quasi tre successive abitazioni del Signore nella storia del suo popolo: la legge, la profezia... e il corpo di carne di Gesù. Non ha ancora finito che, una voce, dalla nube luminosa proclama: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo! Dunque questa ultima “tenda” e di tutt’altra natura. Non è solo la nuova legge che conduce a Dio, né la profezia che intravede nelle vicende storiche i barlumi di amore di Dio. È il figlio stesso, prediletto, di Dio, in cui, il Padre trova la sua gioia, perché lui salverà il mondo che il Padre “tanto ama”. Tutto quello che Gesù ha fatto e detto è l’esegesi, la spiegazione, l’incarnazione dell’amore del Padre. Che così è divenuto percepibile a noi, al nostro linguaggio, al nostro coinvolgimento mentale e affettivo... Il suo amore di infinita benevolenza diventa umano... Questa è la gioia che lo fa rallegrare di compiacenza. Per questo davvero la gioia di Dio è la nostra forza.
...e levati gli occhi non videro più nessuno, se non lui, Gesù, solo!
...il discepolo non vede più la gloria del Signore Gesù. Gli resta davanti agli occhi il Gesù terreno e in cuore l’eco della voce che gli spiega chi Egli è. Non si tratta di una parola che trasmette nozioni. Racconta del figlio di Dio sulla terra, di come seguirlo, e qual è il senso della storia nella quale viviamo. Dunque una parola che indica chi guardare, ciò che dobbiamo fare e come dobbiamo interpretare le cose che accadono. Questa è la fede. E questa è l'unica via che conduce alla Pasqua. Adesso il problema non è più di Gesù, è quello dei discepoli – soli! Lui ha già messo in conto la sua solitudine e il suo abbandono, come ripetutamente ha predetto. Sono loro che devono uscire dal lungo sonno che durerà fino all’altra scadenza finale del dramma, quando gli stessi tre testimoni privilegiati, ma non più acuti degli altri, vedranno la sua disperazione e la sua debolezza estrema... ma fedele, fino alla morte. Fino a quando un ignaro centurione romano, dalla nube laica della sua rusticità militare, ribadirà la voce divina: costui era veramente figlio di Dio! Così sembra chiudersi la tragedia più dirompente della storia dell’umanità, un venerdì sera, di fretta, perché era in arrivo il giorno di festa, dopo una esecuzione volentieri archiviata da Pilato, consegnando il cadavere per la sepoltura, inosservata ai cronisti importanti, abbandonata alla sua sorte desolata anche dai suoi discepoli terrorizzati ...
Cos’è che dovranno capire... dopo la risurrezione? La coltre della necessità (la marcia pesante immodificabile della vita e della storia!), era stata squarciata per un momento sul Tabor (dove solo per un istante si è manifestare il tesoro esplosivo di luce e di amore che racchiude) continua a dominare il mondo, attraverso altri attori che si ritengono importanti (come allora Pilato, Erode Caifa... i capi, i colti, i sacerdoti) che gestiscono il potere, manovrano le folle, sfruttano le paure, i peccati e i tradimenti, ma sono soltanto rotelle asservite ad un meccanismo che tende a maciullare nelle sue spire ogni possibilità di resistenza, di amore e libertà... Ma dal momento in cui l’Innocente crocifisso non è più nella tomba, ma appare, vivente, a confortare i discepoli... questi finalmente aprono gli occhi addormentati... e scoprono – adesso! ‑ il messaggio della trasfigurazione.
Il meccanismo cieco del potere e della necessità, cui anche Gesù si è consegnato, non spegne con la sua muta inarrestabile prepotenza la sua libertà, anzi lo manifesta “Signore”, vinto, tradito e ucciso, ma Re, se pur di un altro regno. LA “forza” di questo “spirito” incoercibile, è non altre forme di potere religioso o politico, è ciò che Gesù dichiara caratteristico dei suoi discepoli (At 1,8). La “necessità” non è dunque la repressione invincibile della libertà, ma semmai ne può diventare la culla. Impone senz’altro all’uomo di accoglierla, innanzitutto, ma il discepolo di Gesù impara a farlo con una forma di recettività, o passività, viva e vigile, intelligente e indomita, che apre spazi impensati di creatività. Alla luce della risurrezione, la violenza oppressiva va denunciata e combattuta, come ha fatto Gesù, che si è opposto al potere oppressivo ed ha insegnato, guarito e perdonato, quanto ha potuto, nella sua vita storica Ma quando la forza non più resistibile della necessità o del potere (che è sempre vis coactionis – forza violenta) incombe su di lui, il discepolo (che non si scorda più la trasfigurazione dell’uomo Gesù) impara a relativizzare ogni potere... Ne accetta piuttosto la sfida che lo sollecita a non “adorarlo”, a non svendere il cuore, ma a riscoprire, proprio nell’oppressione, la sfida di essere se stesso – nella scelta della libertà e dell’amore. Ecco perché tante volte Gesù ripete questo monito duro alle orecchie dei discepoli (e nostre!)... è necessario che il figlio dell’uomo soffra! – È Gesù stesso, dunque che aggancia tra loro indissolubilmente, nel nodo della trasfigurazione, la sofferenza e la gioia. Prevenendo appunto i discepoli sull’incomprensibilità di questa mistura, prima che la resurrezione apra gli occhi della fede su un esito assolutamente imprevisto e incredibile. Qui è il vangelo stesso che identifica il Cristo della storia con il Cristo della fede – direbbero i teologi! – e in questo sta l’accessibilità anche a noi della “sua” salvezza! La sofferenza è necessaria, perché è una sofferenza di parto, senza la quale non nasce né cresce l’uomo nuovo, modellato sui passi del Risorto, che ha sofferto, ma ormai è trasfigurato per sempre. E l’uomo nuovo nasce quando nella sofferenza e nel contrasto della vita, reagisce alla necessità e all’oppressione, e ritrova la sua libertà interiore, che nessuno può reprimere. Si scrolla di dosso la tentazione vischiosa di non sperare più nella promessa, si guarda dalla deriva interiore che avvelena la voglia di vivere e di credere e di amare... e invece impara dall’apostolo ad essere “lieto nella sofferenza, che sopporto per voi e completo nel mio corpo ciò che manca ai patimenti del Cristo, per il suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).
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unus novellus pazzus in hoc mundo...
la sofferenza e la letizia
Il Signore così diede a me frate Francesco di cominciare a far penitenza: essendo nei peccati, troppo mi sembrava amaro vedere dei lebbrosi. E lo stesso Signore mi condusse tra loro e feci loro misericordia. E, allontanandomi da loro, ciò che mi era sembrato amaro mi si trasformò in dolcezza nell’anima e nel corpo; e stetti per poco e uscii dal mondo. ...
E dopo che il Signore mi diede dei frati, nessuno mi mostrava cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo evangelo. E io con poche parole e semplicemente lo feci scrivere e il papa me lo confermò.
E quelli che venivano per accogliere questa vita, davano ai poveri tutto ciò che potevano avere; ed erano contenti di una tonaca, rappezzata dentro e fuori, con cingolo e delle brache. E non volevano avere di più...
Ed io lavoravo con le mie mani, e voglio lavorare: e tutti gli altri frati voglio fermamente che si adoperino in lavori che siano onesti. Coloro che non sanno, imparino, non per avidità di ricevere il prezzo del loro lavoro, ma per dare l’esempio e per tenere lontano l’ozio. E quando non ci fosse dato il prezzo del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina, porta per porta...
E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità ed ad ogni guardiano che gli piacerà darmi. E voglio essere schiavo nelle sue mani così da non poter andare o fare nulla al di là dell’obbedienza e della sua volontà, perché è il mio signore.
E non dicano i frati: Questa è un’altra Regola, perché questa è ricordo, ammonizione, esortazione e mio testamento, che io frate Francesco piccolino faccio a voi frati miei benedetti per questo: che osserviate più cattolicamente la regola che abbiamo promesso al Signore... E a tutti i miei frati chierici e laici fermamente comando che non mettano glosse alla regola né a queste parole, dicendo: Debbono essere intese così. Ma come il Signore mi diede di dire e di scrivere con semplicità e purezza la regola e queste parole, così intendetele con semplicità e senza glossa e osservatele con un santo operare sino alla fine...
Ti dico come posso per quanto concerne l’anima tua, che quelle cose che ti impediscono di amare il Signore Dio, e chiunque ti sarà di ostacolo siano frati o altri, anche se ti picchiassero, tutto devi ritenere come grazia. E così devi volere e non diversamente: E ciò ti sia per vera obbedienza del Signore Dio e mia, poiché so per certezza che questa è vera obbedienza. E ama coloro che ti fanno queste cose e non voler altro da loro, se non quanto il Signore ti avrà dato. E in questo amali, e non volere che siano migliori cristiani. E questo sia per te più che un romitorio.
[lett. ad un Superiore]
Ritorno da Perugia e a notte fonda giungo qui ed è tempo invernale, pieno di fango e così freddo che si formano all’estremità della tonaca ghiaccioli di acqua gelata, che battono continuamente contro le gambe, così da far uscire sangue da queste ferite. E tutto infangato, infreddolito e ghiacciato arrivo alla porta e dopo aver bussato a lungo e chiamato, viene il frate e chiede: “Chi è?”. Io rispondo: “Frate Francesco”. E lui dice: ”Vattene, non è ora decente per arrivare, non entrerai”. E ancora dopo mie insistenze risponde: ”Vattene, sei un poveraccio e un ignorante; perciò non vieni da noi, noi siamo tali da non aver bisogno di te”. E ancora io sto alla porta e dico: “Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte”. E quello risponde: “No. Vai dai Crociferi e chiedi là”. Ti dico che se avrò avuto pazienza e non ne sarò turbato, in questo è vera letizia e vera virtù e salvezza dell’anima.
[La vera e perfetta letizia]
Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato a camminare la via della semplicità e me l’ha mostrata. Non voglio quindi che mi nominiate altre Regole, né quelle di sant’Agostino, né quella di S. Bernardo o di S. Benedetto. Il Signore mi ha rivelato essere suo volere che io fossi un novello pazzo nel mondo: questa è la scienza alla quale Dio vuole che ci dedichiamo! Egli vi confonderà per mezzo della vostra stessa scienza e sapienza. Io ho fiducia nei castaldi del Signore, di cui si servirà per punirvi. Allora, volenti o nolenti, farete ritorno con gran vergogna alla vostra vocazione.
[al Capitolo Gen.]
Siamo sposi, quando nello Spirito Santo l’anima fedele si unisce a Gesù Cristo. Siamo fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo, che è nei cieli; madri quando lo portiamo nel cuore e nel corpo grazie all’amore e a una pura coscienza; lo partoriamo con un santo modo di operare che deve risplendere quale esempio per gli altri.
[Lett. a tutti i fedeli]
[Cfr. G. MICCOLI, Seguire Gesù povero, Qiqajon 1993]...
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