Le letture che la Chiesa ci propone in questa terza domenica di Quaresima, mi pare siano talmente ricche, da rendere impossibile un’indagine approfondita di tutto ciò che mettono in campo. Per questo mi limito a delineare quello che per me può essere un filo conduttore che le unisce e guida, e cioè: è soltanto facendo esperienza (e facendo poi memoria) del Signore che mi incontra nel più intimo di me (Gv 4,5-42), che Egli può essere tolto dal banco degli imputati (Es 17,3-7), dov’è guardato con sospetto come un lui qualunque, e diventare un Tu con cui Vivere la vita (Rm 5,1-2.5-8).
Cerco di spiegarmi…
E lo faccio a partire dall’esperienza del popolo di Israele nel deserto: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». Ecco la domanda inquisitoria nei confronti di Dio, il ribaltamento delle posizioni in campo: da terra di prova per la fede dell’uomo, il deserto diventa luogo dove in discussione vi è Dio in persona.
Non è questa certo una domanda che noi possiamo permetterci di guardare con aria di sufficienza, o superiorità da benpensanti: quante volte infatti è salita in gola anche a noi? Soprattutto proprio in quei momenti in cui come si dice del popolo si «soffriva la sete per mancanza di acqua»?
Per ognuno certamente l’esperienza del deserto e della sete assume contorni e sfumature personalissime, l’acqua che manca è per ciascuno connotata in modo singolarissimo, ma – mantenendo il paragone – non si può negare che quello della mancanza di acqua sia proprio un tratto caratteristico di questa nostra vita umana, di tutti e di ciascuno dunque.
Ma non solo: comune a tutti e a ciascuno pare anche, almeno tendenzialmente, la reazione a questa carenza di acqua, di vita. Essa si connota infatti umanamente con l’inquisire Dio: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». È lui il primo imputato del nostro male di vivere, dei nostri stenti, delle nostre infelicità e solitudini, delle nostre povertà e miserie… della nostra sete di Vita: Dov’era Dio?
Interessante a questo proposito è che la domanda «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?» è come urlata ad un cielo vuoto: non è rivolta a Mosè, né a nessun altro membro del popolo; e non è rivolta nemmeno a Dio stesso; Egli vi è infatti citato alla III persona…
Quanto è diverso questo modo di interrogare il cielo rispetto ad un’altra domanda che verrà urlata da una croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Essa è sempre la domanda di uno che ha sete (sete di vita), di uno che dispera, di uno che muore… eppure, anche nel grido dello strazio, è la domanda di uno che tiene aperto il dialogo con il Padre suo, dandogli comunque del Tu, interpellandolo in prima persona.
È proprio questa la novità cristica (di Cristo), la sua risposta all’umanissimo istinto di messa in discussione di Dio che l’uomo ha dentro di sé: o Dio lo incontri nel dramma della libertà storica di Gesù, o, se rimane un’impalcatura religiosa, un insieme di pratiche e devozioni, non ti disseta, non ti salva, non ti dà Vita.
E in questo senso è significativo che il liturgista abbia posto in connessione alla sete di Israele nel deserto, il dialogo che Gesù intrattiene con la Samaritana sull’acqua viva che zampilla per la vita eterna: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna».
Questo incontro tra la libertà storica di questo uomo – che possiede in sé la fonte della Vita – e questa donna – che invece ha in sé la fonte della sete – è così coinvolgente perché non rappresenta un esempio edificante, un modello stereotipo di un rivolgersi al Signore. No: esso è raccontato nel suo snodarsi, nel suo svolgersi reale; e in questo senso noi lettori siamo come catturati dentro alla scena. Ancora una volta abbiamo la possibilità di accedere al mistero dell’identità di Gesù vedendolo in azione, dal di dentro della sua vita.
E dentro a questo suo relazionarsi concretissimo a questa persona rivela di sé (e del Padre suo) un tratto strepitoso: Egli è accessibile anche alle donne! Egli è accessibile anche ai peccatori!
Perché in effetti, mentre prima cercavo di dire che Dio lo si può tirar via dal banco degli imputati solo accettando la sfida di averlo come un interlocutore affidabile nella nostra vita (attimo per attimo), mi veniva anche in mente una possibile facile obiezione: io posso anche dare del Tu a Dio... posso pure vincere le mie paure, le mie resistenze, le mie recriminazioni nei suoi confronti... ma Lui che ha a spartire con una come me?
Dio è sempre stato il Dio dei buoni, dei santi, dei giusti, dei bravi, dei forti, dei maschi, dei grandi... Non è mai stato accessibile alle donne, ai bambini, ai poveri, ai peccatori, agli stranieri (tutta gente che infatti stava fuori dal Tempio – o comunque in zone riservate e “lontane” dal Santo dei Santi).
In queste pagine invece si rivela qualcosa di eccezionale: Dio è quel Gesù che camminando per le strade della Samaria si incontra (e qui il verbo va preso nel senso forte di “si mischia l’anima”) con una donna («Giunge una donna»), una donna considerata eretica («una donna samaritana»), un’eretica peccatrice («Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero») e proprio a lei si rende accessibile come fonte della Vita: «Sono io, che parlo con te».
Ecco perché è possibile anche per noi metterci nella nuova prospettiva (convertirci) che «viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. [...] Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità».
Non è più questione di appartenenza etnica, religiosa, di genere, di casta, di santità... L’incontro col Signore è questione di spirito e di verità, o, se volete, di verità di spirito: cioè è questione di lasciarsi incontrare nella trasparenza del proprio essere, di quel centro vitale in cui noi siamo proprio noi...
O Dio lo si incontra lì nel nucleo vitale della nostra singolarità, o non è Dio, di certo non è il Signore della mia vita, non può essere la fonte che mi dà Vita.
È questa la nuova via aperta da Gesù nell’incontro col Padre: «noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo [...] perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato».
E non tengono più neanche le remore etiche che ci facciamo o che ci mettono addosso: «Infatti, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi». Non c’è scusa per non avventurar la vita sulle strade di questa amicizia... neanche il male commesso fa più da ostacolo... nel poter lasciarsi zampillare l’anima.
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