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domenica 18 gennaio 2015

III Domenica del Tempo ordinario


 

Dal libro del profeta Giona (Gn 3,1-5.10)

Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Signore. Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta». I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 7,29-31)

Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 1,14-20)

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

 

In questa terza domenica del tempo ordinario, il testo del vangelo di Marco ci annuncia l’inizio dell’attività pubblica di Gesù.

Settimana scorsa abbiamo visto questo stesso “iniziare” di Gesù, secondo il vangelo di Giovanni.

In entrambi i casi, si tratta di andare a vedere quel messia tanto atteso che invece che presentarsi sul palcoscenico come una rockstar, si mischia tra i fans. Come si è dato questo mescolarsi tra la gente?

Innanzitutto, il vangelo di Marco, dopo il cosiddetto trittico sinottico – costituito dagli episodi del battesimo di Giovanni Battista (Mc 1,2-8), del battesimo di Gesù (Mc 1,9-11) e delle tentazioni nel deserto (Mc 1,12-13) – ci dice che Gesù torna nella regione in cui è cresciuto, la Galilea, e qui inizia a predicare e a chiamare i primi discepoli.

I versetti del vangelo in cui tutto questo è narrato, i versetti cioè dal 14 al 20 del primo capitolo di Marco (coincidenti con il testo proposto per questa domenica dalla liturgia), non devono stupire per la loro estrema essenzialità. Il loro scopo infatti non è tanto quello di narrare i primi episodi della vita pubblica di Gesù, quanto quello di fungere da prologo: la loro finalità è dunque quella di indicare la prospettiva generale in cui leggere tutta la storia di Gesù.

Anche solo ad una prima lettura del testo si può notare come questa prospettiva sembri essere incastonata soprattutto fra due grandi pilastri, due linee guida: per un verso, l’annuncio della venuta del Regno di Dio con la relativa conversione ad esso, e, per altro, il fatto che questo annuncio per Gesù implichi una prossimità solidale con l’uomo (chiama Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni).

Gesù dunque, giù dal palco, si fa degli amici e passa il tempo dicendo parole e ponendo gesti che parlano del Regno di Dio. Ma lo fa – appunto – stando giù dal palco, cioè non proponendosi immediatamente come l’inviato di Dio o addirittura suo Figlio, ma come uno di quelli che si erano messi in fila per ricevere il battesimo da Giovanni Battista e, ora che Giovanni viene arrestato, prende in qualche modo il suo posto, capofila di coloro che attendono: quasi usa le medesime parole di Giovanni.

Seppure – come vedremo – anche stavolta senza dirlo prima – parlando le stesse parole del Battista farà pian piano cambiare attesa alla gente: la convertirà – appunto; le farà cambiare idea su chi è il Dio che stanno attendendo.

E infatti, proviamo a guardare all’espressione sua tipica di “Regno di Dio”. È un’espressione dalla chiara eco veterotestamentaria (Israele è il Regno di Dio) e potemmo pensarla come il luogo il cui re è Dio, in cui Egli esercita la sua signoria. Delineare in che cosa essa consista, è l’impegno di Gesù in tutta la prima parte della sua vita pubblica: numerose sono infatti le cosiddette “parabole del Regno” nelle quali Egli tenta di far comprendere alle folle la connotazione di ciò che sta annunciando (Mc 4,1-9.26-29.30-32; Mt 13,24-30.31-33.44-46.47-50; 22,1-4; 25,1-13) e nelle quali emerge come questa realtà chiamata “Regno” sia qualcosa di gioioso (come quando un uomo trova un tesoro nel campo o un mercante una perla preziosa di valore inestimabile), addirittura risolutivo per il dramma dell’uomo (tanto che chi lo trova vende tutto quanto possiede per averlo) e proprio per questo una realtà “da non farsi scappare”: soprattutto perché esso ha la forma semplice del dono (come un seme che germoglia e cresce al di là del fatto che il contadino dorma o vegli), di un dono di un’abbondanza spropositata (come di un seme che dà il cento per uno o di un granello di senapa che pur essendo il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno, diventa la pianta più grande dell’orto)…

Ma, come dicevamo, non solo Gesù parla del Regno di Dio, ma anche lo mostra attraverso i suoi gesti.

I suoi miracoli sono sempre e solo gesti di liberazione dal male, sono cioè sempre per l’uomo, mai contro l’uomo (non esistono miracoli in cui Gesù invece che guarire, fa ammalare qualcuno!). Ed è interessante che essi siano chiamati anche “segni della venuta del Regno”: essi cioè mostrano come è il Regno, quali caratteristiche ha… chi è colui con cui il Regno coincide.

È a questo annuncio in parole ed opere che Gesù chiede di convertirci.

“Conversione” è la stessa parola che usava il Battista, ma il senso di Gesù è diverso: diversa è la direzione verso cui convertirsi, verso cui voltarsi, indirizzare la nostra vita. Non è più questione di fare un gesto – il battesimo – che annuncia il desiderio di voler essere pronti all’arrivo di Dio, con la relativa conversione morale della vita (per essere “apposto” quando Dio arriva). Ma è questione di convertire (cioè cambiare) il volto dell’atteso: perché altrimenti quando arriva potremmo non riconoscerlo (proprio come è accaduto con Gesù). Giovanni chiedeva di prepararsi allo spettacolo del Dio che sta per irrompere sul palco; Gesù chiede di cambiare sguardo perché Dio non è colui che irrompe su un palcoscenico, ma – appunto – è come il lievito nella pasta, così mischiato nella storia che non lo riconosci, perché non ha sulla testa un cartello luminoso con scritto “sono Dio”.

Gesù, infatti, cioè l’Emmanuele, il Dio-con-noi, l’atteso, comincia la sua avventura come “sostituto del capofila di coloro che attendono il messia”, perché il vero capofila è stato arrestato.

E – come accennavamo prima – comincia a convertire l’idea che gli uomini hanno di Dio (di lui, Figlio e volto di Dio) facendoseli amici, chiamando un gruppetto di intimi, perché condividano con lui la quotidianità. Tant’è che non li chiama dicendo: “Ecco sono quello che aspettavate, quello di cui vi ha parlato Giovanni, venite con me”; ma li chiama stando ancora dentro all’ambiguità sulla sua identità. Non dice niente di sé, dice che li farà diventare “pescatori di uomini”, che è una cosa che poteva dire anche Giovanni: vi farò diventare uomini che tirano fuori gli altri uomini dal male. Poteva dirlo anche il Battista – appunto – intendendo: “Venite, vi farò battezzatori come me”.

Invece Gesù, che per ora permane in questa ambiguità di identità (non gliela rivela), non gli insegnerà nulla – nel senso classico: non gli proporrà una dottrina, una ritualità, una precettistica per diventare dei “tecnici del pescaggio di uomini”. Semplicemente se li terrà accanto e – solo alla fine – loro si scopriranno pescati e per questo capaci di pesare uomini, cioè di tirarli fuori dal male.

Solo alla fine: quando finalmente la morte e la risurrezione di Gesù mostreranno che non era il sostituto di Giovanni Battista, ma era l’atteso. Allora sì anche loro – suoi amici – capiranno che quello che avevano vissuto non era la partecipazione ad un gruppetto di fans con il capo-fan che gli dava le dritte: ma era – come già ogni tanto avevano iniziato a intuire, intravvedere, pensare – il Regno di Dio.

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