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venerdì 2 luglio 2010

Il rischio di un futuro già scritto


Le meditate dichiarazioni del Presidente Napolitano suonano come un ultimo, grave monito per quelle forze di governo, che guidate dallo stesso Berlusconi, sembrano aver scelto la strada di uno strappo politico e istituzionale dalla portata imprevedibile, pur di realizzare un proposito che pare non intendere ragioni.

Il Presidente, doverosamente, non anticipa la sua valutazione, ma mette in guardia contro una deriva che, se non tempestivamente corretta, può portare verso un catastrofico epilogo legislativo.

Napolitano prende atto – e sarebbe difficile fare altrimenti – dei molti, troppi «punti critici» del disegno di legge così come approvato dal Senato. Punti critici che fanno di quel testo un’autentica mina. Ed è molto significativo che per la loro individuazione egli faccia riferimento a un contesto composito, che integra insieme il dibattito parlamentare, il giudizio dei giuristi, l’orientamento di una vigile opinione pubblica. È una scelta formale e sostanziale, di grande valore.

Perseguendola, il Presidente dimostra di eleggere a guida dei suoi comportamenti non la propria astratta capacità di giudizio, ma una opinione che emerge dall’intelligenza stessa del Paese, per come si manifesta nelle sedi della rappresentanza politica, della cultura del diritto, della formazione delle coscienze individuali, e di cui egli si fa interprete e portavoce. È una lezione di buona pratica costituzionale, di misura e di compostezza che dovrebbe far riflettere tutti, di questi tempi. Merita in pieno il rispetto.

Ed è importante la sintonia che ancora una volta si sta realizzando con il Presidente della Camera, che l’altro ieri aveva definito non altrimenti che un «un puntiglio» la decisione di accelerare i tempi, e di portare a tutti i costi il progetto di legge sulle intercettazioni al dibattito in aula prima dell’estate, e che ha appena ribadito la necessità, da lui fortemente avvertita, che la maggioranza si fermi a riflettere. In un periodo che si annuncia ogni giorno più carico di rischi e di pericoli, la saldatura di un asse che definirei di «lealismo costituzionale» ai vertici dello Stato è uno dei pochi elementi – ma decisivi, per fortuna – che inducono a non disperare.

C’è da chiedersi cosa stia spingendo Berlusconi verso questa inaudita forzatura. Temo che la risposta si trovi nella sua solitudine, che non può non avvertire, con sempre maggiore evidenza. Intorno a lui, tutti, anche quelli da sempre più vicini, parlano ormai altre lingue, che non capisce. Vedono cose che lui non vede. Questo non fa che aumentare la sua diffidenza, la sua impazienza, la sua voglia di rovesciare un tavolo che sente sfuggirgli sotto le mani.

È da tempo ormai che egli non ha più nulla da proporre al Paese, se non l’icona di un successo ormai invecchiato, che appartiene a un’altra epoca, imbalsamato nell’ossessiva ripetizione della sua messa in scena. Ma proprio l’inarrestabile declino della sua capacità di governo, spinge Berlusconi verso l’azzardo continuo dell’avventura, del sovversivismo istituzionale. Nulla gli resta più della pazienza dei forti. Ha ormai solo l’ansia febbrile di chi ogni giorno deve lottare in un mondo in cui non si riconosce. È possibile che a questo punto dei contenuti effettivi della legge gli interessi ben poco. Quello che cerca è la prova di forza, lo scatto che metta alleati e avversari in riga, che imponga l’alternativa fra se stesso e il diluvio, magari per preparare nuove elezioni.

E tanto più c’è bisogno – per fronteggiare tutto questo – di razionalità e di pacatezza. Di continuare a spiegare con calma che la legge in questione sarebbe una cattiva legge, che non risolverebbe alcun problema, ma ne creerebbe moltissimi, anche molto gravi e che – per come è formulata – comprometterebbe il diritto dei cittadini a un’informazione senza censure. Le buone leggi non nascono mai dall’arroganza di una parte sola. In esse il potere deve sciogliersi nel consenso e nell’emancipazione; la forza dei numeri nella ragione delle cose. Al di fuori c’è solo l’ombra del tiranno e della sua demagogia.

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