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lunedì 18 maggio 2015

Domenica di Pentecoste


Dagli Atti degli Apostoli (At 2,1-11)

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati (Gal 5,16-25)

Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,26-27; 16,12-15)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

Ed eccoci giunti all’ultima domenica del Tempo di Pasqua, con l’invito della Chiesa a soffermarci sul dono dello Spirito santo a Pentecoste. Come già dicevamo domenica scorsa per l’Ascensione, anche la scansione temporale dei 50 giorni dopo Pasqua (introdotta da Luca) ha una funzione pedagogica, non materialistica, tant’è vero che l’evangelista Giovanni colloca il dono dello Spirito addirittura sulla croce: «Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto!”. E, chinato il capo, consegnò lo spirito» (Gv 19,30). L’intenzione della dilatazione temporale di Risurrezione, Ascensione e Pentecoste, che la Chiesa ha fatto sua, è dunque quella di dare tempo e spazio per la riflessione su ciascuno di questi eventi, non quella di utilizzare lo schema temporale (domenica di Pasqua – 40 giorni – Ascensione – altri 10 giorni, quindi 50 dopo Pasqua – Pentecoste) come marchingegno logico per introdurre domande inappropriate; quali: ma in quei 10 giorni tra l’Ascensione e la Pentecoste il mondo è stato senza la presenza di Dio, dato che Gesù era asceso e lo Spirito non ancora donato?

Piuttosto, come dicevamo, i tre “momenti” (Risurrezione, Ascensione, Pentecoste) vanno presi insieme, come un unico evento, che potremmo ritradurre con queste parole più laiche: dopo la morte di Gesù, i suoi discepoli hanno fatto esperienza che non era finito tutto. E hanno provato a declinare questo “non tutto è finito” con dei racconti e delle immagini che evocassero la realtà che vivevano.

In particolare i racconti che riguardano l’esperienza della nuova presenza del Signore, nel suo Spirito, fanno riferimento al fuoco e al vento forte.

Con i bambini è difficile parlare di queste immagini: fanno ancora fatica ad astrarre. Per loro, se c’è scritto «Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro», innanzitutto gli avverbi spariscono: perciò non è che venne come un vento impetuoso o come lingue di fuoco, ma venne proprio un vento forte e delle fiammelle. Inoltre, appunto, sottratte al loro valore di immagini, queste figure si materializzano: perciò per un bimbo che colora un disegno di Pentecoste, è automatico pensare che nel cenacolo c’era una colomba, c’erano delle fiamme sulle teste degli apostoli (tant’è che chiedono: ma non si bruciavano?) e c’era un ventaccio che spalancava le finestre (che, come sanno, in Palestina a quei tempi non avevano vetri e quindi chissà poi come facevano a spalancarsi…).

Tutto questo per dire che facendo con loro il percorso dalla loro automatica materializzazione delle immagini, al significato simbolico di quelle immagini, mi sono ritrovata anch’io a scoprire delle cose curiose.

Innanzitutto il vento forte. Qui da noi un mesetto fa ci sono stati un paio di giorni davvero ventosi, con alberi caduti, ecc… e anche i bimbi ne hanno fatto esperienza: raccontavano le loro vicissitudini, il vento che gli spostava il pallone mentre giocavano, la mamma disperata perché si erano ribaltati i vasi sul balcone, e cose simili. Allora gli ho detto: ma, alla fine, cos’è che fa questo vento? La pioggia ti bagna, la nebbia non ti fa vedere, e il vento? “Maestra, il vento ti sposta! Ti trascina, ti spinge!”.

Ecco, esattamente: questa era l’immagine che volevano evocare gli apostoli. Per raccontare l’esperienza dello Spirito hanno usato l’immagine del vento, perché esattamente come in una giornata ventosa, anche loro si sono sentiti spinti, trascinati, spostati. Non si poteva più stare chiusi nel cenacolo, non si poteva più stare fermi, bisognava andare. Ma non “bisognava” perché era un dovere morale, ma perché era come una necessità interiore: come a noi quando ci viene la “fregola” di darci da fare.

E poi le lingue di fuoco.

Altro esperimento scolastico: dimmi una frase, tipo “Ciao mamma!”. Ora dimmela pensando di essere un ghiacciolo o dentro a un frizer. Come la dici? “ccc…ccc…ciaoo...ooo mam…mmm….ma”. Ora prova a dirla pensando di aver un fuoco dentro: “CIAO MAMMAAAAAAAA!”.

Ecco la differenza: c’è modo e modo di dire la stessa frase, di pronunciare la stessa cosa (come noi grandi sappiamo bene)… c’è modo e modo anche per parlare della nostra relazione col Signore.

Gli apostoli per dire come ne hanno parlato, dopo il dono dello Spirito santo, hanno usato l’immagine del fuoco, di qualcosa che ti brucia dentro, ti accalora, ti appassiona.

Non credo intendessero dire che l’annuncio del vangelo vada urlato fino a diventare paonazzi; piuttosto penso volessero suggerire che la semantica dello Spirito (dunque la semantica di Dio) non è quella del frizer, del distacco, della freddezza, ma quella del calore, del calore umano, della vicinanza, della capacità di entrare nel linguaggio (verbale e gestuale) altrui…
Insomma lo Spirito suggeriva di muoversi e di avere un ottimo tratto relazionale.

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