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mercoledì 2 dicembre 2015

II Domenica di Avvento


Dal libro del profeta Baruc (Bar 5,1-9)
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul tuo capo il diadema di gloria dell’Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: «Pace di giustizia» e «Gloria di pietà». Sorgi, o Gerusalemme, sta’ in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti, dal tramonto del sole fino al suo sorgere, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo come sopra un trono regale. Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 1,4-6.8-11)
Fratelli, sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Infatti Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.
 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3,1-6)
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
 
In questa Seconda Domenica di Avvento, la Chiesa ci introduce – con le sue letture – in un clima di attesa decisamente più luminoso di quello presentato la settimana scorsa da Lc 21:
-          «Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre» – proclama il profeta Baruc;
-          «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» – gli fa eco Isaia, citato da Luca…
-          E Paolo, nella sua lettera ai Filippesi, non è da meno: «Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù».
Tutta questa effervescenza ovviamente è legata al mistero del Natale di Gesù che – con l’Avvento – ci prepariamo ad accogliere; eppure l’attenzione non è ancora posta precisamente su di Lui: la Chiesa infatti ci invita a concentrarci (e lo farà per due domeniche di seguito) sul Precursore, su Giovanni.
Questo dato è molto interessante: la Chiesa infatti – per parlare della venuta di Gesù – invita sempre a farlo passando da Giovanni Battista.
E questo da sempre, tant’è che tutti e quattro i vangeli attribuiscono grande importanza a questo personaggio e sottolineano come si possa iniziare a parlare di Gesù solo attraverso suo “cugino”…
Diventa indispensabile dunque anche per noi oggi, ripercorrere l’esperienza storica di quest’uomo (storica al 100%, data la puntigliosità di Luca nel collocarla nel quadro dei grandi avvenimenti storico-politici dell’epoca: «Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto»).
Lo facciamo lasciandoci guidare dalle preziose indicazioni contenute nel capitolo 1 del libro Con Marco in cammino verso il Regno del Monastero delle Carmelitane scalze di Legnano.

L’autore – p. Giuliano Bettati – scrive infatti: «Anche oggi è necessario, per avvicinare Gesù e riscoprire la possibilità e – se volete – l’approfondimento di una nuova autenticità del nostro personale incontro con Gesù, incontrare prima Giovanni Battista». Egli è infatti la sintesi più riuscita del tentativo umano – prima di Gesù – di arrivare a Dio.
Gesù stesso infatti di lui, dirà: «In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista», Mt 11,11.
Ma questo non è vero solo storicamente – per cui per tutti quelli che sono venuti cronologicamente prima di Gesù, la massima aspirazione religiosa è rappresentata da Giovanni –, ma è vero soprattutto esistenzialmente: anche per chi è nato dopo Gesù e anche per chi già l’ha conosciuto nella sua storia personale, l’esperienza del Battista rimane paradigmatica; dal punto di vista dell’uomo la sua rimane infatti l’esperienza emblematica della nostra ricerca religiosa. Giovanni Battista infatti è il «profeta penitente».
Nella Bibbia questo termine ha un significato un po’ diverso rispetto a quello con cui lo utilizziamo noi oggi, come sinonimo di “mortificazione”, che risulta infatti un senso un po’ parziale. «Penitenza invece è il tentativo umano – che nasce dalla coscienza di peccato, di inadeguatezza, di distanza da Dio – per riprendere coscienza del luogo del vero obiettivo: Dio, la sua giustizia, la sua pace, la sua fraternità. E di girarsi verso di Lui. Per questo il termine greco dice piuttosto convertirsi, girarsi cioè, verso un altro obiettivo che sia alieno da noi e che abbiamo scoperto. Per questo la prima reazione è – e in Giovanni si vede benissimo – far violenza su di sé e sugli altri e dire: “No. Stiamo sbagliando: adesso basta! Bisogna girarsi verso un’altra realtà e quindi mettere in crisi, strappare un po’ di involucro, un po’ di strutture per prendere coscienza che bisogna andare da un’altra parte”. […] Pensate a tutti i Giovanni Battista della storia e a quello che è necessario per ognuno di noi: le leggi, le pene, i castighi, le minacce, i ricatti a livello istituzionale e personale, a livello di comunità. Sono tutti Giovanni Battista: il tentativo, dall’esterno, di convincere noi stessi e la gente con questi grandi strumenti antropologici che l’uomo si è inventato lungo la storia [penitenza, digiuno, silenzio, celibato, ecc…] per scuotere uno e dirgli: “Guarda che sei lontano da Dio, bisogna cercare di arrivarci”».
Eppure…
«La coscienza che c’è dentro è che tutto ciò che l’uomo può fare e che questo istinto di conversione suggerisce, anche violento, è sterile, è inutile», «non converte il cuore. Potete fare tutto quello che volete: digiuni, penitenze ecc.; ma […] il cuore rimane tale e quale». Di questo «Giovanni Battista aveva coscienza acuta. Per questo finisce col dire: “Io battezzo solo con acqua”; ma questa è solo una purificazione esterna, il cuore non cambia: “Dopo di me verrà uno che battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Da un lato dunque il fatto che «le penitenze non mettono in contatto la nostra storia di oggi con la salvezza del Signore», dall’altro il fatto che «la necessità di conversione, di senso della propria lontananza da Dio, di coscienza della propria inadeguatezza sono contemporanee».
Oltre Giovanni Battista dunque, ma mai senza Giovanni Battista…
Infatti: certo che «un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» dice qualcosa dell’esperienza umana, anzi forse addirittura, come si diceva prima, è il massimo che l’uomo di per sé può fare (accorgersi del male che fa o del bene che non fa e cambiare strada), ma Gesù è un’altra cosa.
Infatti «il dolore, la sofferenza del mondo, quindi la penitenza, vanno tenuti in conto; però non sono la chiave interpretativa della storia, come invece per Giovanni Battista. Tutta questa realtà non è più la chiave d’interpretazione del mondo. È a motivo di ciò che il Battista è valido, è contemporaneo, è profeta, è precursore; ma è prima di Gesù Cristo e “Non è degno di sciogliergli i legacci dei sandali” (Mc 1,7).
Perché? Perché il Signore ha portato un’altra parola che riavvolge tutta questa difficile, contraddittoria realtà della storia, nella paternità di Dio».
«C’è [infatti] come un crinale che divide, attraversa i popoli, la storia, la Chiesa, i gruppi, le famiglie e il cuore dell’uomo e che separa e unisce – il crinale fa questo – il mondo della necessità e il mondo della grazia, il Vecchio e il Nuovo Testamento. […] Gesù si è inserito nel tessuto di tutta l’umanità nel paesino di Nazareth, vivendo storicamente, accettando i ritmi biologici, l’economia, la religione, la politica del suo paese; in questa realtà necessaria, dove le cose vanno avanti perché sono sempre andate avanti così o poco diversamente, con la possibilità nuova che noi chiamiamo grazia. Si chiama grazia perché è gratis. Non è la conseguenza del meccanismo delle cose, non è la conseguenza dell’economia, né della santità di sua madre, né della bravura del maestro che gli ha insegnato la Bibbia; non è la conseguenza del Tempio, dove si prega Dio nell’ombra, nel cuore, ecc… Non è la conseguenza di tutte queste cose, neanche le più alte. Neanche di Giovanni Battista. È un puro regalo».
«Gesù [infatti] è un’altra cosa! È quello che dà la possibilità all’uomo di vivere veramente da uomo; con una grazia di cui l’uomo non è capace (grazia vuol dire questo!) e viene dal di fuori. Ecco: questa è appunto l’esperienza ricevuta in regalo [gratis] dopo che l’uomo ha riscontrato che anche con tutta la dedizione possibile [Giovanni Battista] si ritrova seduto per terra. Allora è possibile la venuta di Gesù», che infatti non è da cercare, ma da accogliere! Non è un “pacco premio” da conquistare, ma un “pacco regalo” di cui godere: è l’annuncio dell’amicizia incondizionata di Dio.
Il Natale che viene, allora, e questo tempo di avvento che ci prepara ad esso non sia l’esperienza del nostro sforzo per arrivare a Dio, ma piuttosto la seria presa di coscienza del nostro ritrovarci – di nuovo e sempre (esistenzialmente!) – seduti per terra, ma raggiunti da un Signore, che proprio a noi, si mette in braccio nei panni di un neonato.

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