Pagine

ATTENZIONE!


Ci è stato segnalato che alcuni link audio e/o video sono, come si dice in gergo, “morti”. Se insomma cliccate su un file e trovate che non sia più disponibile, vi preghiamo di segnalarcelo nei commenti al post interessato. Capite bene che ripassare tutto il blog per verificarlo, richiederebbe quel (troppo) tempo che non abbiamo… Se ci tenete quindi a riaverli: collaborate! Da parte nostra cercheremo di renderli di nuovo disponibili al più presto. Promesso! Grazie.

venerdì 26 settembre 2008

La fede è imparare a dire di sì… al Regno di Dio!

La parabola
Che ve ne pare? Nel contesto nel quale si trova la parabola, nel vangelo di Matteo, gli uditori invitati a dire la propria opinione sono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo (Mt 21, 23). I quali, poco prima, per paura della loro gente, si sono rifiutati di rispondere alla domanda sull'origine di Giovanni Battista: se veniva dal cielo o dalla terra (21, 24-27), perché li metteva con le spalle al muro. E avrebbero dovuto o convertirsi o mettersi apertamente contro il popolo, che invece credeva a Giovanni. In questa minuscola parabola, Gesù ricorre all’esperienza così comune nella vita famigliare, dove ogni bimbo o adolescente passa attraverso tanti “no”, prima di imparare a dire “sì” alle proposte educative dei genitori! Ma qui si tratta della proposta definitiva di salvezza che Giovanni veniva a preannunciare al popolo eletto. Gesù stesso applica direttamente la parabola al silenzio imbarazzato delle guide e dei capi del popolo. Proprio coloro, dunque, che sono l’esempio dell’assenso religioso ufficiale a Dio e sono impegnati a lavorare (… insegnare e comandare) nella vigna del Signore, di fatto dicono di no, quando Giovanni propone loro, a nome di Dio, la conversione dai loro privilegi fallaci alla vera umiltà del cuore. Allora la loro adesione formale a Dio, rinnegata nella vita concreta, diventa la sentenza della loro stessa condanna. E così risalta la posizione contraria dei pubblicani e delle prostitute, che con la loro vita avevano detto tanti ‘no’ al Padre, ma, di fatto, commossi dal messaggio di Giovanni Battista, che hanno accolto come mandato da Dio, avevano finito per accogliere la sua volontà. Per cui il commento duro e amaro di Gesù ai sommi sacerdoti e agli anziani: In verità vi dico che pubblicani e prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio!
A cominciare dalla stessa comunità di Matteo questa provocazione di Gesù diventa la chiave per leggere l’atteggiamento del cristiano di fronte alla nuova definitiva manifestazione del Regno del Padre, che è Gesù stesso, dentro la storia della chiesa, nei millenni…
Un’immensa turba di peccatori e prostitute… ci precede!
Chi tentasse di applicare questa parabola nella chiesa di oggi, provocherebbe, probabilmente, la stessa reazione di fastidio e di repulsione che Gesù provocò con la sua conclusione. Qualcuno si è messo, negli ultimi anni del lungo pontificato di Papa Giovanni Paolo II, ad elencare le domande di perdono (più di cento volte) a tante categorie di persone o personaggi singoli della storia ai quali a nome della chiesa egli si è rivolto (con velato dispetto di tanti) riconoscendo umilmente il peccato storico di averli dimenticati o abbandonati o perseguitati o condannati a morte… (ACCATTOLLI L., Quando il Papa chiede perdono. Tutti i mea culpa di Giovanni Paolo II, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1997). Eretici e scismatici o credenti di altre fedi e religioni, schiavi e servi della gleba, prostitute e peccatori pubblici, ‘perfidi’giudei, poveri e ignoranti, laici e laiche, operai, indios e negri, carcerati , omosessuali, aidetici, ubriachi, drogati, divorziati, sacerdoti sposati o infedeli, atei, ragazze madri… cioè tutti coloro che sono emarginati dal consesso religioso e civile, per la loro incapacità o rifiuto a portare sulle spalle pesi superiori alle loro forze o doveri che sovrastavano le loro risorse… morali o psicologiche. Tutti costoro, rispetto a noi che viviamo da buoni cristiani e cittadini per bene, tante volte, hanno affinato un intuito istintivo più attento a percepire il cammino della giustizia. Hanno imparato dalle loro sofferenze un fiuto infallibile per distinguere chi cerca davvero il loro bene e chi li vuole solo ingabbiare nel perbenismo morale di facciata.
Dire di sì e fare no: la schizofrenia cronica del cristiano
Sono sempre i più vicini a Dio, i più osservanti, i più capaci di dedizione alle forme esplicite di culto e di riti per onorare Dio, a rischiare di più questa malattia, che se non uccide la fede, paralizza ogni possibilità di lasciarsi guidare dallo Spirito nei sentieri della storia. Perché costoro hanno già tutto chiaro e deciso… dove non andare. Spesso non si tratta, infatti, delle ipocrisie farisaiche a livello di strumentalizzazione cosciente e lucida della religione per il potere, come molti scribi, farisei e capi del popolo nel tempo di Gesù… ma si tratta della gente buona e pia, che ha creduto in lui, vive attorno a lui ( come oggi attorno agli altari e alle chiese), che è convinta e orgogliosa di dire di sì, ma poi si trova a fare il contrario! In questa madornale trappola religiosa sono caduti perfino i suoi discepoli e, in prima fila, Pietro e gli apostoli, che proclamano fedeltà fino alla morte, ma poi lo abbandonano… Le parole di Gesù sono sferzanti e laceranti, ma l’esperienza amara della “presunzione religiosa e morale”, che nasconde il vuoto di interiorità e di appartenenza vera, si impone come un passo inevitabile per maturare un rapporto con lui di fede vera e umile. Senza umiliazioni non c’è umiltà possibile, che scavi davvero dentro l’abisso che abita in noi, del quale tanto meno ci si accorge quanto più si è gonfi spiritualmente … come ci insegnano (inutilmente) i mistici. La tristezza del giovane ricco, come ogni tristezza spirituale, ha le sue radici nella consapevolezza di esser chiamati a dire di sì e nel trovarsi però invischiati nell’incapacità di donarsi, consumando la propria vita in taciti rifiuti al Signore e al suo vangelo, senza nemmeno il coraggio di dirgli esplicitamente di no. Il dramma di Paolo è quello di ogni uomo: Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto (Rom 7,15). Ci morde dentro il desiderio di essere finalmente ciò che invece continuamente nella nostra storia quotidiana ci troviamo a smentire…
Dire no e poi fare sì: il faticoso (e gioioso) percorso della spogliazione evangelica!
E allora è il colmo per noi, cosiddetti credenti impegnati e osservanti ! ci tocca imparare, secondo il detto di Gesù, da chi, del tutto inconsapevolmente, ci sta “avanti” nel cammino del Regno dei cieli… Affiancarci a chi attorno a noi, appartiene ai nuovi elenchi di quelli che nell’opinione civile ed ecclesiastica corrente sono, con la loro vita, dalla parte sbagliata. Capita infatti che costoro “ci precedono”, perché sono più disponibili al vangelo, di noi che, analogamente agli antichi Ebrei, abbiamo l’appartenenza ecclesiale, i sacramenti, il culto, le devozioni e la giusta formazione morale … Cosa vede in loro il Signore, per citarli ad esempio e modello? Forse perché hanno sofferto a dire di no con tutta la disperazione della loro miseria, ma nel loro cuore desiderano dire di sì alla dignità umana che piange in loro se solo qualcuno li avesse aiutati nel cammino?… Il più impensabile modello di questa attenzione alla disperazione del povero, che ci può convertire, è Gesù stesso, che ha fatto anche lui il faticoso passaggio dal dire di no (un no durissimo: Mt 15,22ss) ad una di queste povere di Dio, per scoprire poi che la sua “presunzione razziale e religiosa”, ereditata dalla cultura corrente, lo chiudeva alla compassione… fino a concludere che la sirofenicia (impura e pagana) “lo precedeva” nella comprensione dei disegni del Padre: “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri”. Una donna, di religione e razza sbagliata, un cane infedele per i giudei osservanti, gli insegna a dire di sì a un disegno più grande di lui… a riscoprire anche per sé il monito antico di Dio attraverso il profeta: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?
Dire sì … e “fare” davvero così! La fede che si affida…
… anche il figlio dell’uomo, dunque, inevitabilmente assorbito e plasmato dalla situazione culturale storica, piccola e limitata, nella quale si è incarnato, ha imparato a trasformare i suoi “no”, in “sì” agli orizzonti sterminati e insondabili del Regno (il cuore del Padre). Perché anzitutto l’istinto di dire no non è una condizione morale, ma antropologica. Ogni uomo può crescere solo così e lo impara vivendo. I maestri di questo “rinnegamento” di sé e apertura alle pressioni sgarbate e dure della storia sono stati anche per lui… i poveri: Maria, sua Madre, il padre carpentiere, la scuola di paese, i miserabili per le strade che segnavano dolorosamente l’inadeguatezza della società religiosa e dei suoi capi… Perché poi scoprirà l’esperienza lacerante, per ogni adolescente, di vedere che i propri maestri ufficiali nella sinagoga e nel tempio, investiti d’autorità, che pure insegnano cose importanti per la vita, dicono … e non fanno! Infine anche lui vedrà crescere con sofferenza attorno a sé i discepoli, che preparava a guidare la sua chiesa, anche loro duri e tardi di cuore, più attenti alla corsa per il primato tra di loro, che all’insegnamento e all’esempio del maestro, che “pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì” secondo la sintesi mirabile dell’avventura umana della Parola, che i primi cristiani nell’inno riportato in Fil 2,6, dove la verità tragica della condizione umana del Figlio di Dio è assunta in assoluta radicalità, togliendosi di dosso, anzi di dentro, ogni prerogativa o privilegio “divino”, per dire “sì” alla solidarietà totale con gli uomini.

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

I più letti in assoluto

Relax con Bubble Shooter

Altri? qui

Countries

Flag Counter