In questa trentatreesima domenica del tempo ordinario, la Chiesa – attraverso la liturgia della Parola – ci invita a riflettere sul tema delle “cose ultime”, dell’escatologia, di ciò che deve accadere. Tema arduo, tanto che «J. Schmidt – come ricorda don Bruno Maggioni ne Il racconto di Marco –, commentando il c. 13 di Marco scrive: “quello che viene chiamato il discorso della parusia, l’apocalisse sinottica, figura tra i passi più incomprensibili del Nuovo Testamento e, di conseguenza, tra i più contestati di tutta la tradizione sinottica” [J. SCHMIDT, L’evangelo secondo Marco, Bresci 1956]. J. Schmidt ha ragione – prosegue Maggioni –: non è facile comprendere il genere letterario a cui il discorso appartiene (il genere apocalittico) e non è facile ricostruire le situazioni che sembra supporre. […] Non possiamo [quindi] fare a meno di una premessa teologica e letteraria riguardante l’escatologia e l’apocalittica: il discorso s’inserisce infatti in questo filone teologico e letterario. Il significato più ovvio di “escatologia” è quello di discorso sulle ultime e definitive realtà. Certo si tratta – anche se questa convinzione è maturata lentamente e faticosamente – di realtà che vanno oltre la storia, ma ciò non significa che esse non si preparino dentro la storia. In effetti l’escatologia biblica è un discorso sulla storia, un modo di leggerla e di assumerla».
Questa indicazione è molto interessante, libera infatti il campo da quelle interpretazioni banali e infondate che leggono nei testi biblici di genere apocalittico un tentativo di penetrare i segreti di Dio o di cedere alle curiosità “del quando e del come”. Niente di tutto questo! Anzi, fondamentale per la corretta interpretazione di questi brani, è un’ulteriore annotazione teologico-letteraria: sempre Maggioni infatti ci ricorda che «il linguaggio di questa letteratura è tipico: descrive gli ultimi tempi come tempi di guerre e di divisioni, di terremoti e carestie, di catastrofi cosmiche, e tutto questo nel segno di una grande subitaneità. Questo linguaggio è ampiamente presente nel discorso di Marco: non è il messaggio, ma semplicemente un mezzo espressivo che tenta di comunicarcelo. In nessun modo queste espressioni devono essere intese alla lettera».
Ma, dunque, se sono vere le annotazioni preliminari cha abbiamo fatto (se cioè l’escatologia biblica è un discorso sulla storia, un modo di leggerla e di assumerla e se il linguaggio apocalittico non coincide con il messaggio, tanto che in nessun modo queste espressioni devono essere intese alla lettera), sorge immediata la domanda riguardo a quale sia allora il messaggio sulla storia che – attraverso questo linguaggio sulle cose ultime – Marco sta proponendo…
In questo senso due paiono le certezze che emergono dal testo: innanzitutto il fatto che Gesù prevede tempi difficili e disorientanti per i suoi discepoli; ma, d’altro canto, che essi saranno accompagnati dalla venuta del Figlio dell’uomo.
A riprova di quanto dicevamo in precedenza, sull’attualità dell’annuncio escatologico (che parla del presente e non del futuro!), non possiamo negare che quella che il vangelo descrive come situazione “che deve avvenire”, “che accadrà in quei giorni”, in verità è la realtà della Chiesa di sempre, del presente di sempre della Chiesa, dell’umanità, di ciascuno: tempi difficili che mettono in discussione il senso dell’esistere – ma contemporaneo e cooriginario affidamento a un senso creduto certo! Quella che dunque immediatamente sembrava una riflessione per i tempi del dopo morte, diventa inaspettatamente un discorso sull’oggi, sulla struttura stessa della coscienza umana, del suo modo di stare al mondo… Essa infatti si trova sempre già ad avere a che fare con i “tempi difficili” e drammaticamente interrogata da essi sul senso del suo esserci, giocarsi, spendersi.
Questa è la trama di tutta la vita umana… l’aver intravisto una promessa di Vita a cui si è attaccato il cuore e l’imbattersi in continue e ripetute smentite di tale Vita… anche per Gesù è stato così. Non a caso Marco inserisce questo testo appena prima della passione di Gesù: lì infatti in maniera paradigmatica per tutta la storia della chiesa successiva, i tempi difficili si fanno intrinsecamente portatori del radicale interrogativo sul senso della vita, della vita di Dio!
Anche per la Chiesa sarà così – annuncia Gesù – anche per ciascun uomo che verrà dopo di Lui: la trama è la medesima…
Eppure in questo dramma, l’altro elemento che Gesù, con altrettanta forza, annuncia è la certezza della venuta del Figlio, la certezza dunque di un senso, di una verità, di una giustizia! Precisamente questo annuncio – che coincide con tutta la sua vita – è ciò che dischiude nuovamente – e nonostante tutte le disillusioni e i fallimenti della nostra Vita – la possibilità di un affidamento al senso, la possibilità del credere, la possibilità della fede… di quel dar credito che permette di guardare ai “tempi difficili” come a sequenze di un film, di cui non diventano mai l’anima. Esse possono far temere, trepidare, scoraggiare… ma non saranno mai la chiave interpretativa dell’interezza della vita, il cui polo gravitazionale – il senso – sta altrove… e cioè precisamente in quegli sprazzi di umanità amante e amata che si sono sperimentati.
In questo senso assume ancor maggior chiarezza l’indicazione preliminare che ponevamo rispetto al genere letterario apocalittico che caratterizza il vangelo di questa domenica: «L’escatologia biblica è un discorso sulla storia, un modo di leggerla e di assumerla. Questa è la sorprendente prospettiva biblica, interessante e concreta. Lo sguardo al futuro (cioè la rivelazione di ciò che sarà) rende importante il “presente” e offre un criterio di scelta e di valutazione. L’attenzione è, tutto sommato, rivolta al presente: il futuro offre un criterio di orientamento nel presente, ma è in questo presente che il futuro si gioca». Lo sguardo al futuro, è dunque solo un modo per parlare del presente, del mio decidere odierno di me stessa. Ma anche: per imparare a leggere il mio oggi, lo devo guardare come se lo guardassi dal domani; in qualche modo come se guardassi l’attuale scena del mio film, a partire dal finale, così come mirabilmente ha mostrato Henry David Thoreau, ripreso poi dal film “L’attimo fuggente”: Andai nei boschi perchè volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto.
E cos’è che alla fine, in punto di morte, ci eviterà di scoprire che non abbiamo vissuto? Io credo: che ci sia “lì” qualcuno che ci vuole bene… Tanto che forse, addirittura a pensarci bene, tutta la vita è la ricerca di due braccia che ci amano tra cui morire…
Chi ha vissuto in maniera esemplare questa intuizione di vivere guardandosi dalla fine, è ancora una volta Etty Hillesum, che mi permetto nuovamente di citare, soprattutto perché in questo caso ci si riferisce a testi inediti in italiano (non presenti – almeno non tutti – nella versione italiana del suo Diario) a cui lascio anche l’onere di concludere:
[Prima che Spier morisse] «Delle cose ultime, essenziali della vita e del dolore non si può parlare, la voce non ce la fa. Io comprendo tutto di te e tutto ciò che ti riguarda io lo porto con me ed ho ringraziato di nuovo Dio per il fatto che nella mia vita esista un uomo come te. Devi occuparti della tua salute; è il tuo primo sacro dovere se vuoi aiutare Dio. Un uomo come te, uno dei pochi ad essere una dimora autentica per un po’ di vita, un po’ di dolore, un po’ di Dio – i più infatti hanno tradito da tempo sia la vita che il dolore e Dio, per essi sono ormai soltanto suoni vuoti – ha il sacro dovere di mantenere, nel migliore dei modi possibili, il suo corpo, la sua “dimora terrena” in buono stato, per poter offrire a Dio ospitalità il più a lungo possibile. Manca ancora molto tempo alla fine. Anch’io mi occuperò di te. Ho così tanta forza, che tu puoi prendertela tutta e in me nasceranno nuove energie. Ti ho così infinitamente caro, la tua anima è così infinitamente cara alla mia. La mia anima di quando in quando vorrebbe giacere accanto alla tua, e questo a poco a poco non ha più nulla a che vedere col desiderio che una donna può provare per un uomo. A volte vorrei distendere il mio corpo nudo, così come Dio l’ha creato accanto al tuo corpo nudo, così come Dio ti ha creato, e ho soltanto la sensazione che la mia anima voglia coricarsi accanto alla tua. Se in questo periodo non si scoppia di tristezza, né dall’altro lato per autodifesa ci si indurisce e si diventa cinici o rassegnati, allora si diventa più dolci, più miti, più disperati, più comprensivi, più innamorati. Io so come tutto questo stia accadendo dentro di te e tu mi hai portata con te sul tuo cammino, ed io vivo insieme con te la stessa strada fino alla fine. La mia autenticità ed il mio amore hanno mille anni ed ogni giorno invecchiano di mille anni. Quest’epoca, come noi oggi la esperiamo, posso sopportarla, posso anche perdonare Dio per il fatto che vada come deve andare – il fatto è che si ha in sé tanto amore da riuscire a perdonare Dio!! E tu devi occuparti della tua salute e riposarti e riposarti, ora io non posso star molto vicina a te – col pensiero però sono sempre vicina a te – ma promettimi che avrai buona cura di te».
[Alla morte di Spier] «Ho scritto un giorno che volevo leggere la tua vita fino all’ultima pagina. È cosa fatta. L’ho letta fino in fondo. Mi sento colma di una gioia profonda: tutto ciò che è stato era sicuramente giusto, altrimenti non avrei dentro di me questa forza, questa gioia, questa certezza. Eccoti dunque coricato in questo piccolo bilocale, caro grande e buon amico. Ti ho scritto un giorno: il mio cuore volerà sempre verso di te come un uccello libero, ovunque io sia sulla terra, e ti troverà sempre. E c’è questo, che ho scritto sul diario di Tide: tu sei diventato un pezzo di cielo, nella mia vita, che si incurva sopra di me, e non devo far altro che alzare gli occhi al cielo per essere vicina a te. E anche se dovessi essere rinchiusa in una cella sotterranea, questo pezzo di cielo si dispiegherebbe in me, e il mio cuore, come un uccello, spiccherebbe il suo volo libero verso di lui, ecco perché tutto è così semplice, sai, terribilmente semplice, bello e ricco di significato». «Avevo ancora mille cose da chiederti e da imparare dalla tua bocca. Ormai dovrò cavarmela da sola. Sai, mi sento forte, sono persuasa di riuscire nella vita. Sei tu che hai liberato in me le forze di cui dispongo. Mi hai insegnato a pronunciare senza reticenza il nome di Dio. Hai fatto da mediatore tra Dio e me, ma adesso tu, il mediatore, ti sei ritirato, e il mio cammino porta ormai direttamente a Dio».
[Quando inizia a stringersi la morsa sulla comunità ebraica] «Sono accadute molte cose dentro di me, in questi ultimi giorni, ma esse hanno finito col cristallizzarsi attorno a un’idea: la nostra fine. L’ho guardata in faccia la nostra fine, probabilmente deplorevole, che si prospetta fin d’ora nelle piccole cose della vita ordinaria, e le ho fatto posto nel mio senso della vita, senza che questo ne sia uscito sminuito. Non sono né amara né ribelle, ho trionfato sul mio abbattimento e ignoro la rassegnazione. Continuo a progredire di giorno in giorno, senza più tanti ostacoli come una volta, pur considerando la prospettiva della nostra eliminazione… Affermo spesso di aver saldato i miei conti con la vita, perché l’eventualità della morte si è integrata nella mia vita. Guardare in faccia la morte e accettarla come parte integrante della vita, significa allargare questa vita. Al contrario, sacrificare fin d’ora, anche solo un pezzetto di questa vita alla morte, perché si ha paura e ci si rifiuta di accettarla, è il modo migliore per non conservare altro che un povero pezzettino di vita mutilata, che meriterebbe a malapena il nome di vita. Questo può sembrare paradossale: escludendo la morte dalla propria vita non si vive in pienezza, e accogliendo la morte, al centro della propria vita, si allarga e si arricchisce la propria esistenza».
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1 commento:
ho preso spunto da questo tuo intervento per scriverne uno qui:
http://lasaladathe.splinder.com/post/21726227/cose+ultime+e+cose+prime
grazie per le numerose palpitazioni che offri, anche attraverso una donna ed un'autrice che amo molto.
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