Alla fine dell’anno liturgico siamo invitati a raccogliere tutto quanto è esprimibile del sogno di Gesù sulla storia, che abbiamo meditato e celebrato nel mistero della parola, dell’eucaristia e della vita quotidiana nelle 52 domeniche che sono passate! Ma le parole poco possono raccontare di questo mistero. C’è il mondo della realtà fisica, chimica, biologica, psichica … affettiva, economica, politica, che noi viviamo dentro l’immenso cantiere cosmico, terrestre, umano. A questo nostro mondo s’interseca “il mondo della storia divina”, anzi ormai ne è la forza propulsiva, fermento di altra vitalità, il germoglio dei cieli nuovi e delle terre nuove, che tacitamente e irreversibilmente espande la sua operosa verità nella coscienza umana, scelta come sua dimora privilegiata … Un mondo “altro”, (insieme? parallelo? dentro … a questo?.) Un mondo spirituale (perché è lo Spirito che lo gestisce), evangelico (perché è il vangelo di Gesù che lo ha inaugurato, spiegato e lanciato nella storia), cristiano (perché è la chiesa, corpo di Cristo, che deve esserne il fragile segno levato tra i popoli). Ma sono tutte indicazioni insufficienti e inadeguate, magari anche fuorvianti, se pensate e rinchiuse in etichette. Forse è meglio tornare a chiamarlo “regno di Dio”, come diceva Gesù, e continuamente sondarne e purificarne il senso e accoglierne la proposta nella vita concreta, sulla testimonianza della sua Parola. Per cui, affinati e confortati dal suo insegnamento, non stona neanche tanto alle nostre orecchie poco monarchiche, chiamare Gesù “re dell’universo”, se è per dirne la centralità in questo misterioso alveo vitale che tutto coinvolge – il regno non mondano di Cristo! … a partire dal suo dimorare nel nostro cuore, come direbbe la Bibbia, o nell’intimo della nostra coscienza, come diremmo noi moderni – e da lì coinvolgere tutta la creazione. “Mi sembra di un’importanza unica la sollecitazione che ci viene dalla Liturgia a pensare alla natura e all’affascinante nobiltà del Regno non mondano di Cristo, a sognare il suo grande sogno. Tornando poi nella dura terra, qualcosa rimarrà in noi del sogno, e sarà germe di vita meno banale e dispersiva. Noi crediamo che Cristo sia l’Alfa, la lettera iniziale, e l’Omega, la lettera che chiude la vicenda dell’universo creato; il primo Adamo, l’Uomo protologico, e l’ultimo Adamo, l’Uomo escatologico che in sé attua e compie l’Immagine divina dell’uomo” (Vannucci).
Cristo si dichiara re solo nella sua passione
Quando volevano farlo “re” per il suoi poteri prodigiosi, si era rifiutato. Sarebbe stato solo un grave malinteso. Gesù se ne fuggi solo, a pregare. Adesso, arrivato alla soglia della sua passione e crocifissione, abbandonato da tutti, non c’è più pericolo di quell’equivoco. Pilato, che più si fa domande, non comprende l’essenza della sua ‘signoria’, e nessun altro lo capisce, a parte i soldati, espressione spesso inconscia e brutale delle voglie perverse dei loro capi, che ci giocano attorno un teatro tragico, deridendo la sua pretesa regalità. Ma in questo momento di massima umiliazione, egli insiste: tu lo dici, io sono re! perche sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. La verità è l’amore del Padre per il mondo, amore che il figlio rappresenta e ci rivela nel suo vivere, nel suo morire, nel suo risorgere. La croce è l’apice del dramma insondabile di sofferenza e consenso, di lontananza e di amore, di rifiuto e di perdono, che lega indissolubilmente il Padre alla sua creazione. Proprio lì, sul legno maledetto, Gesù, umiliato fino alla morte, con la sua risurrezione, viene instaurato in una gloria che possedeva da sempre, come re – che vuol dire centro di vita, di salvezza, di gloria – per tutto il mondo. Tanto che la stessa creazione del mondo non avrebbe avuto luogo senza la previsione della sua croce: un re crocifisso : Voi sapete … che foste liberati … con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi … (1 Pt 1,19s).
lui, che ci ama, ci ha liberati dai nostri peccati …
Nato e cresciuto nella storia empirica dei regni fascinosi di questo mondo, l’uomo di oggi, meno che mai può avere una visione approfondita della sua esistenza e del compito che è chiamato a svolgere. Tutto gli è presentato come così urgente che a malapena riesce a percepire, in taluni momenti privilegiati, che dentro di lui c’è qualcosa di più grande di lui. Ma del “vero regno” e del “re” della sua vita, cosa sa? E chi glielo annuncia? Eppure era il primo mandato di Gesù ai discepoli (Lc 9,2)! I più si riferiscono ad un ipotetico misterioso «dopo morte», senza peraltro sapere che dirne. Una corsa dalla nascita alla morte … è la vita, per la maggior parte degli uomini, anche cristiani! Ma le grandi domande sull’inizio, sulla morte, su un dio (ed un destino) personale ed eterno, sono in genere domande cui non si osa dare risposta. Eppure ogni desiderio o frustrazione, ogni gioia o male, ogni amore o paura, non può che domandare di Lui. Chi è stato battezzato da bambino, se non ha mai avuto la grazia di una conversione, di uno scossone interiore, per qualche evento della sua storia personale, forse coglie meno cosa significa “entrare in questo regno”, come in un’esperienza trasformatrice, un coinvolgimento personale, che gli fa scoprire in sé il germe della vita eterna, la vita vera già di qua, la propria personale partecipazione all’essere divino, che non viene dalla carne e dal sangue, ma da Dio (solo l’amore umano, nei suoi momenti più gratuiti, è qualcosa di simile!). Allora, al di là delle diverse, non sempre felici, esperienze ecclesiali, l’uomo comprenderà di non essere ‘solo’ nella sua storia, ma che la vera storia è in lui, perché, come dice Pietro nel suo primo discorso (alle folle ed a ognuno di noi): Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso (At 2,36). In lui, attraverso la sua avventura umana che gli diviene contemporanea, a ognuno è misteriosamente “proposta la storia del suo esodo dal mondo divino a quello terreno e la storia del suo ritorno al principio incandescente dal quale promana (cfr Gv 17,1ss). Il ritorno è certo, ma lento e faticoso; l’uomo, come il seme del loto, deve radicarsi nel fango oscuro della materia se vuol risalire e germogliare nella luce. Pur essendo nel mondo, deve continuamente ricordarsi di possedere una perla preziosa che gli è stata affidata dal Re del mondo, della Verità e della Vita” (id).
ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre …
L’avventura carnale è determinante, perché questo è “essere umani”. Perciò anche Gesù ci è passato, sprofondandosi con tale consegna di sé da divenire il cuore pulsante del “ Regno” del Padre. E ne è stato temprato come nuovo modello antropologico, il nostro alfa e il nostro omega, con dentro tutto l’alfabeto umano: Nei giorni della sua vita di carne egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek (Eb 5,7ss). In lui si è fatta la prova suprema dell’essere uomo, del compimento cioè del desiderio infinito che abita paradossalmente la debolezza della carne umana. E nonostante l’insuperabile lontananza (Dio mio, perché mi hai abbandonato!?), Dio ha dato ascolto totale a questa voce collettiva della carne umana. In essa si è decisa la vita e la morte di ognuno. La Verità che è in Dio, si è fatta carne, ma i suoi non raccolsero. Molti non ascoltano, occupati in altre faccende. Altri domandano: cosa è la Verità? Lo stesso Pilato la mostrò alla gente dichiarando: ecco l’uomo! Generazioni innumerevoli hanno preceduto l’Incarnazione, altre la seguiranno. E nel frattempo la nostra avventura nella carne e nel sangue sarà decisiva. In essa è l’incrocio della nostra storia quotidiana e della presenza divina nella storia impercettibile, ma vera, punto d’incontro della carne e dello Spirito, del regno umano con la sua dinamica senza futuro, e del regno di cui Cristo è la via, la verità e la vita. “Se la nostra personale carne riuscirà a mangiare la Parola che diviene carne, diverrà il supporto della immanenza divina nella materia stessa, e sarà un centro che irradia la vita, come lui ha predetto: Avevo fame e mi hai dato da mangiare, ero malato e mi hai curato” (id). Parteciperemo da protagonisti al suo regno, diverremo con lui sacerdoti di una nuova offerta. Anche se la nostra storia, la nostra carne opaca si lascia troppo faticosamente assorbire nella logica del regno, questa resistenza della carne non va giustificata, ma va sostenuta con misericordia. Tutto infatti può essere sop/portato nella tensione del sentire in grande di Dio (macrotimia 2 Pt 3,9) – entro la quale siamo introdotti nel “tempo di Dio”, che è il respiro del regno, nel quale i cristiani debbono vivere. Non si tratta di un tempo diverso cronologicamente o fisicamente dal tempo della storia. Il tempo di Dio è piuttosto il modo stesso con cui Dio sostiene il tempo degli uomini, cioè la sua grazia. Infatti, il contenuto ultimo del tempo di Dio è l’accoglimento sovrano dell’uomo peccatore, nella croce di Gesù Cristo. Egli ci ha amato mentre eravamo ancora peccatori. Nella croce Dio abbraccia ciò che è ancora lontano e distante da lui: in questo abbraccio affettuoso del nostro tempo, resistente all’abbraccio e tuttavia sostenuto mentre cerca di liberarsene, sta la segreta potenza salvatrice del regno di Dio (G. Ruggeri). Il carattere escatologico del regno non è dato dal fatto che Dio mette fine alla storia degli uomini, ma dal fatto che questa storia, sostenuta dall’amore di Dio così come si è rivelato in Gesù il Cristo, verrà condotta alla sua fine – quando, il Padre solo lo sa ma è già accolta e amata adesso nella sua diversità reale, nella sua dolorosa distanza … da Dio!
Quando volevano farlo “re” per il suoi poteri prodigiosi, si era rifiutato. Sarebbe stato solo un grave malinteso. Gesù se ne fuggi solo, a pregare. Adesso, arrivato alla soglia della sua passione e crocifissione, abbandonato da tutti, non c’è più pericolo di quell’equivoco. Pilato, che più si fa domande, non comprende l’essenza della sua ‘signoria’, e nessun altro lo capisce, a parte i soldati, espressione spesso inconscia e brutale delle voglie perverse dei loro capi, che ci giocano attorno un teatro tragico, deridendo la sua pretesa regalità. Ma in questo momento di massima umiliazione, egli insiste: tu lo dici, io sono re! perche sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. La verità è l’amore del Padre per il mondo, amore che il figlio rappresenta e ci rivela nel suo vivere, nel suo morire, nel suo risorgere. La croce è l’apice del dramma insondabile di sofferenza e consenso, di lontananza e di amore, di rifiuto e di perdono, che lega indissolubilmente il Padre alla sua creazione. Proprio lì, sul legno maledetto, Gesù, umiliato fino alla morte, con la sua risurrezione, viene instaurato in una gloria che possedeva da sempre, come re – che vuol dire centro di vita, di salvezza, di gloria – per tutto il mondo. Tanto che la stessa creazione del mondo non avrebbe avuto luogo senza la previsione della sua croce: un re crocifisso : Voi sapete … che foste liberati … con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi … (1 Pt 1,19s).
lui, che ci ama, ci ha liberati dai nostri peccati …
Nato e cresciuto nella storia empirica dei regni fascinosi di questo mondo, l’uomo di oggi, meno che mai può avere una visione approfondita della sua esistenza e del compito che è chiamato a svolgere. Tutto gli è presentato come così urgente che a malapena riesce a percepire, in taluni momenti privilegiati, che dentro di lui c’è qualcosa di più grande di lui. Ma del “vero regno” e del “re” della sua vita, cosa sa? E chi glielo annuncia? Eppure era il primo mandato di Gesù ai discepoli (Lc 9,2)! I più si riferiscono ad un ipotetico misterioso «dopo morte», senza peraltro sapere che dirne. Una corsa dalla nascita alla morte … è la vita, per la maggior parte degli uomini, anche cristiani! Ma le grandi domande sull’inizio, sulla morte, su un dio (ed un destino) personale ed eterno, sono in genere domande cui non si osa dare risposta. Eppure ogni desiderio o frustrazione, ogni gioia o male, ogni amore o paura, non può che domandare di Lui. Chi è stato battezzato da bambino, se non ha mai avuto la grazia di una conversione, di uno scossone interiore, per qualche evento della sua storia personale, forse coglie meno cosa significa “entrare in questo regno”, come in un’esperienza trasformatrice, un coinvolgimento personale, che gli fa scoprire in sé il germe della vita eterna, la vita vera già di qua, la propria personale partecipazione all’essere divino, che non viene dalla carne e dal sangue, ma da Dio (solo l’amore umano, nei suoi momenti più gratuiti, è qualcosa di simile!). Allora, al di là delle diverse, non sempre felici, esperienze ecclesiali, l’uomo comprenderà di non essere ‘solo’ nella sua storia, ma che la vera storia è in lui, perché, come dice Pietro nel suo primo discorso (alle folle ed a ognuno di noi): Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso (At 2,36). In lui, attraverso la sua avventura umana che gli diviene contemporanea, a ognuno è misteriosamente “proposta la storia del suo esodo dal mondo divino a quello terreno e la storia del suo ritorno al principio incandescente dal quale promana (cfr Gv 17,1ss). Il ritorno è certo, ma lento e faticoso; l’uomo, come il seme del loto, deve radicarsi nel fango oscuro della materia se vuol risalire e germogliare nella luce. Pur essendo nel mondo, deve continuamente ricordarsi di possedere una perla preziosa che gli è stata affidata dal Re del mondo, della Verità e della Vita” (id).
ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre …
L’avventura carnale è determinante, perché questo è “essere umani”. Perciò anche Gesù ci è passato, sprofondandosi con tale consegna di sé da divenire il cuore pulsante del “ Regno” del Padre. E ne è stato temprato come nuovo modello antropologico, il nostro alfa e il nostro omega, con dentro tutto l’alfabeto umano: Nei giorni della sua vita di carne egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek (Eb 5,7ss). In lui si è fatta la prova suprema dell’essere uomo, del compimento cioè del desiderio infinito che abita paradossalmente la debolezza della carne umana. E nonostante l’insuperabile lontananza (Dio mio, perché mi hai abbandonato!?), Dio ha dato ascolto totale a questa voce collettiva della carne umana. In essa si è decisa la vita e la morte di ognuno. La Verità che è in Dio, si è fatta carne, ma i suoi non raccolsero. Molti non ascoltano, occupati in altre faccende. Altri domandano: cosa è la Verità? Lo stesso Pilato la mostrò alla gente dichiarando: ecco l’uomo! Generazioni innumerevoli hanno preceduto l’Incarnazione, altre la seguiranno. E nel frattempo la nostra avventura nella carne e nel sangue sarà decisiva. In essa è l’incrocio della nostra storia quotidiana e della presenza divina nella storia impercettibile, ma vera, punto d’incontro della carne e dello Spirito, del regno umano con la sua dinamica senza futuro, e del regno di cui Cristo è la via, la verità e la vita. “Se la nostra personale carne riuscirà a mangiare la Parola che diviene carne, diverrà il supporto della immanenza divina nella materia stessa, e sarà un centro che irradia la vita, come lui ha predetto: Avevo fame e mi hai dato da mangiare, ero malato e mi hai curato” (id). Parteciperemo da protagonisti al suo regno, diverremo con lui sacerdoti di una nuova offerta. Anche se la nostra storia, la nostra carne opaca si lascia troppo faticosamente assorbire nella logica del regno, questa resistenza della carne non va giustificata, ma va sostenuta con misericordia. Tutto infatti può essere sop/portato nella tensione del sentire in grande di Dio (macrotimia 2 Pt 3,9) – entro la quale siamo introdotti nel “tempo di Dio”, che è il respiro del regno, nel quale i cristiani debbono vivere. Non si tratta di un tempo diverso cronologicamente o fisicamente dal tempo della storia. Il tempo di Dio è piuttosto il modo stesso con cui Dio sostiene il tempo degli uomini, cioè la sua grazia. Infatti, il contenuto ultimo del tempo di Dio è l’accoglimento sovrano dell’uomo peccatore, nella croce di Gesù Cristo. Egli ci ha amato mentre eravamo ancora peccatori. Nella croce Dio abbraccia ciò che è ancora lontano e distante da lui: in questo abbraccio affettuoso del nostro tempo, resistente all’abbraccio e tuttavia sostenuto mentre cerca di liberarsene, sta la segreta potenza salvatrice del regno di Dio (G. Ruggeri). Il carattere escatologico del regno non è dato dal fatto che Dio mette fine alla storia degli uomini, ma dal fatto che questa storia, sostenuta dall’amore di Dio così come si è rivelato in Gesù il Cristo, verrà condotta alla sua fine – quando, il Padre solo lo sa ma è già accolta e amata adesso nella sua diversità reale, nella sua dolorosa distanza … da Dio!
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