Innanzitutto l’avventura di Elia… un profeta davvero “strano”… lontano dall’idea classica di profeta che spesso abbiamo in testa… un profeta che pretende di parlare e agire in nome di JHWH prima di arrivare a conoscere il suo vero volto… combinando perciò anche qualche pasticcio…
Sarebbe interessante andare a rileggersi la sua storia (contenuta nel I e II libro dei Re – si tratta infatti di un “profeta non scrittore”, cioè di un profeta che non ha nel canone biblico un libro che porta il suo nome), accompagnati magari da qualche buon commento (per esempio quello di G. Borgonovo), perché si tratta di una parabola umana davvero molto emblematica: Elia è colui che «arde di zelo per il Signore, Dio degli eserciti» e – animato da questo fervore – è colui che comanda, pretende, discute, uccide… Fino a quando quello stesso Signore che credeva di servire in quel modo, lo prende e lo conduce attraverso un itinerario di conversione… non morale… ma teologica… Elia infatti si comporta in quel modo perché ha in mente un’errata immagine di Dio (il Dio degli eserciti, appunto) e Dio vuole condurlo a diventare un uomo diverso, mostrandogli di essere un Dio diverso… «Il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera»… che letteralmente sarebbe “la voce di un silenzio svuotato”…
In questo doppio ossimoro (voce-silenzio-svuotato) sta il tentativo di raccontare l’esperienza del vero volto di Dio che Elia fa… Un doppio ossimoro davvero difficilmente comprensibile (molto più facile è invece intuire il volto di un dio che sta nel vento o nel terremoto o nel fuoco), ma forse è proprio a questo che Elia accede: il Signore non è un Dio “misurabile”, “contenibile”, “circoscrivibile”… è sempre Altro… lo si può intuire, incontrare, sfiorare, ma mai possedere… non ci sta dentro ai nostri schemi, ai nostri calcoli, alle nostre misure…
Scriveva a proposito D. Bonhoeffer in Resistenza e resa: «Chi è Dio? Anzitutto, non una fede generica in Dio nella sua onnipotenza ecc… Questa non è autentica esperienza di Dio, ma un pezzo di mondo prolungato. […] Il nostro rapporto con Dio non è un rapporto “religioso” con un essere, il più alto, il più potente, il migliore che si possa pensare – questa non è autentica trascendenza. […] Il trascendente non è il mostruoso, il caotico, il lontano, l’orribile in forma animale, come nelle religioni orientali; ma neppure le forme concettuali dell’assoluto, del metafisico, dell’infinito, ecc…».
Ecco… io credo che – nonostante queste siano cose che abbiamo probabilmente spesso già sentito, studiato, meditato, ecc… – io credo che uno dei problemi più grandi della nostra fede resti proprio quello di vederla troppo spesso orientata verso un dio che in realtà è solo “un pezzo di mondo prolungato”… non Lui come veramente è… ma come noi ce lo siamo costruito nella nostra testa…
Per esempio io è più di un anno che nutro un grande risentimento per il dio che mi ha fatto morire mio fratello. Solo che questo “dio che mi ha fatto morire mio fratello”, semplicemente non esiste, non è il Dio di Gesù e Signore della mia vita. Solo che continuamente nel mio cuore e nella mia mente, quando provo a stare un po’ in compagnia di Dio, è lui – questo idolo / falso dio – che “prende il posto” a quell’Altro…
Siccome è a questi livelli che si gioca l’incontro col Signore, possibile solo nel suo lasciarlo essere Sé (e non un altro), è fondamentale ricercare sempre quella lucidità di sguardo che ci permette di non confonderci… una lucidità non solo intellettuale, ma anzitutto esistenziale – come quella che arriva ad acquisire Elia – che dunque necessita di tempo, di bollitura, di andate e ritorni, di storia… e che ha bisogno essenzialmente dei tre ingredienti imprescindibili dell’esperienza cristiana (imprescindibili perché coincidono col modo in cui il Signore stesso si è reso accessibile): la sua Parola, il dono del suo corpo e del suo sangue, i suoi poveri.
Mi pare che anche il vangelo vada in questo senso…
Infatti immediatamente dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù attua una serie di comportamenti che attestano questo suo essere “al di là delle misure umane” e che, non per niente, suscita reazioni di incomprensione: «La folla reagisce d’istinto al miracolo gratuito e sorprendente del Signore. È “saziata”, e quindi tentata di sequestrare questo taumaturgo che risolverebbe tanti problemi (fino a pensare di farlo re, come ricorda il Vangelo di Giovanni). I discepoli non ci capiscono più niente, perché prima volevano congedare la folla, quando era affamata e senza risorse, e adesso che Gesù la vuole congedare perché è saziata, loro vorrebbero trattenerla, per godersi gli allori del miracolo…» [Giuliano]. Insomma… quando tutti si aspetterebbero un certo tipo di messianicità (regale, osannata), Gesù si discosta… congeda la folla, spedisce i discepoli… e va «in disparte, a pregare»… Altro elemento anomalo… se è Dio lui stesso, perché prega? Mi piace citare la risposta di B. Maggioni (in il racconto di Matteo): «Non è certo possibile per noi penetrare tutto il segreto di questa preghiera solitaria. Ma forse ci avviciniamo un poco se pensiamo che era profondamente consapevole di essere Figlio, e nel colloquio col Padre esprimeva questa sua consapevolezza: uno slancio di comunione col Padre, quasi – per così dire – un ritorno a casa. Ma Gesù era anche consapevole di essere uomo, e come uomo – nella solitudine – si confrontava col Padre e con la sua parola per ritrovare costantemente la nitidezza e il coraggio della propria via».
Anche nel vangelo ritroviamo dunque questo inevitabile “essere Altro” del Signore… tant’è che quando poi raggiunge i suoi che sono sulla barca «i discepoli furono sconvolti e dissero: “È un fantasma!” e gridarono dalla paura»… cioè: non lo riconobbero (come avverrà poi in tutti i racconti di resurrezione)! È così “altro” rispetto ai loro preconcetti che non lo riconoscono... «Ma subito Gesù parlò loro dicendo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”», che è una delle frasi più belle che il Signore pronuncia nei vangeli: Coraggio! Sono io (Io sono!)! Non abbiate paura! Come a dire che questa sua “alterità” irriducibile non deve e non può essere intesa nella logica del serpente, che pretendeva caratterizzare la misteriosità di Dio come qualcosa di inaccessibile per l’uomo perché rivolta contro di lui, maligna, malvagia… il “volta faccia di dio”… come se Dio di sé nascondesse qualcosa per prima attirare gli uomini (con la faccia del Padre) e poi soggiogarli o sterminarli (con la faccia nascosta del Patrigno). No! A questa tentazione diabolica di pensare così, Gesù mette subito un freno: «Io sono!» - dice innanzitutto… Cioè, sono sempre quello stesso Signore che già conoscete, da Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Elia… «Non abbiate paura!»… Sono solo un Padre, mai un Patrigno. Il giusto modo di starmi di fronte è quello di non avere paura!
Dopo Gesù non si può più avere paura di Dio… Averne, è un chiaro segno che non lo si sta lasciando essere, ma ci si sta relazionando con un’immagine falsa che ci siam messi noi in testa! Tant’è che tutto il prosieguo del brano è giocato proprio sulla risposta umana al proporsi così (come Colui di cui non si deve avere paura) del Signore.
«Pietro allora gli rispose: “Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”. Ed egli disse: “Vieni!”. Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù».
Pietro è tutti noi… Quando permettiamo al Signore di essere se stesso (Sono io! / Se sei tu…) – e ci si staccano perciò di dosso tutte le paure (Non abbiate paura! / Comandami di venire verso di te) – siamo capaci dell’impossibile (si mise a camminare sulle acque)…
«Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare»…
Quando togliamo lo sguardo da ciò che Lui è quando lo lasciamo essere sé (vedendo il vento forte) – e perciò ci ritornano tutte le paure (s’impaurì) – ci accartocciamo (cominciando ad affondare).
«Gridò: “Signore, salvami!”. E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”».
Ma anche questo è “previsto”, cioè contenuto nello sguardo del Signore, che – non perché non siamo sempre all’altezza – tradisce le parole appena pronunciate diventando un Dio di cui aver paura (anche quando siamo peccatori il Signore vuole essere lasciato essere colui che non fa paura!)… e infatti: «subito Gesù tese la mano e lo afferrò», subito cioè Egli si ri-rivela come il Signore che salva non il Signore che condanna o lascia morire… senza esitazione, nonostante Pietro abbia appena fatto il contrario di ciò che gli aveva detto… aveva dubitato… cioè aveva avuto paura!
«Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: “Davvero tu sei Figlio di Dio!”». Quell’Altro di cui non avere paura!
2 commenti:
Grazie Chia, è l'umanità di Dio-Padre che traspare nel tuo commento....... nonostante tutto.
"Lucidità esistenziale", un mondo in due parole.
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