Dopo il lungo e intenso ciclo pasquale torniamo con questa domenica alla lettura del Vangelo di Marco. E subito ci è riproposta la domanda centrale della sua catechesi: Chi è costui? Dopo le parabole che spiegano la forza misteriosa ed efficace della Parola seminata nel mondo, i discepoli sono coinvolti da Gesù in eventi che mettono alla prova “praticamente” la loro fede nella sua “potenza”: Gesù è “il Signore”, con uno strano dominio su tutto: sulle forze della natura (infatti il vento e il mare gli obbediscono 4,41 – cammina sulle acque 6,45); sui demòni (tutti ne erano meravigliati 5,20); sulle malattie mortali (emorroissa e anoressica 5); sulla cultura degli scribi e farisei (che sapienza è mai questa che gli è data? 6,2; 7,1ss). Ma i discepoli non riescono a capire (non capite ancora? 8,21). L’obiettivo del vangelo non sono i miracoli (occasionali e irripetibili), ma portare i discepoli a scoprire cosa vuol dire la fede in lui, scuoterli mentre sono immersi nelle vicende del mondo e della propria vita personale, in questa storia tribolata, dove siamo tutti dominati dall’angoscia e dalla paura di essere travolti e andare a fondo… Scopo dunque non è il miracolo, come toccasana che toglie il fedele devoto dai lacci della vita, come nei racconti pagani analoghi, ma la ri/fondazione della fede. Come imparare a seguire il Signore, dopo l’adesione a lui, quando lui sparisce dalla scena del mondo (dorme!), quando le forze del male sembrano prevalere e la paura ci intontisce?
La forza della natura, né intelligente, né matrigna
La natura non si preoccupa… dell’uomo! È l’uomo che proietta i suoi desideri, sentimenti e idee sulla natura. Mentre per la natura le leggi fisiche e chimiche, biologiche e psichiche, subatomiche e astronomiche non hanno proprio in conto l’uomo più di una farfalla - né che sia piccolo o grande, malvagio o innocente. Il problema di Giobbe, il problema del male nel mondo, è un problema strettamente umano, non è un problema della natura. Ma è nel contempo l’ingresso inevitabile al problema della fede, della ricerca di un’ulteriorità per svincolarsi dalla natura. Che sembra aver dentro di sé un limite, un’autoinsufficenza! L’uomo di oggi può esser convinto o meno, a differenza di quello antico, che proprio Dio, in qualche modo, abbia messo i confini al mondo, agli oceani e alle nebulose e sia comunque misteriosamente al principio e alla fine e al di dentro dell’esplosione di energia che da più di 13 miliardi di anni muove l’universo, ma rimane ugualmente muto di fronte alla realtà storica del male! La misteriosa finalità interna all’evoluzione della natura che a noi sembra di vedere nel cammino indecifrabile del cosmo, a un certo punto diventa “cultura”, quando l’uomo si scopre capace di manipolare la casa in cui è nato e trasforma lei e sé stesso… Un pezzo della natura diventa storia! E subito all’uomo brucia dentro il mistero del male: suo e di natura! Che non è anzitutto questione di fede o di ateismo, è prima una domanda radicale di senso. Ambedue questi atteggiamenti del cuore dell’uomo, fede e ateismo, sono tentativi di risposta alla stessa ineludibile domanda che morde il cuore di ognuno: importa a qualcuno che noi moriamo? – o invece sprofondiamo totalmente riassorbiti nel pozzo vuoto dalla natura? Gesù risponde con la sua vita e con il Vangelo a questa domanda, ma i discepoli non capiscono. Ancor meno capiranno quando lo scandalo e la delusione scaverà un abisso nel loro cuore sentendolo gridare anche lui, sulla croce, allo stesso modo, prima dell’urlo inarticolato della morte: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?
Una nuova proposta
Gesù tenta di traghettare i discepoli ad un’altra dimensione della vita, ad un’altra comprensione del male e della sofferenza: «Passiamo all’altra riva». Il racconto segna i passi del nostro ripetuto itinerario di maturazione cristiana. Dopo un giorno pesante, racconta Marco, mentre la gente era tanta che Gesù dovette entrare in una barca per non essere schiacciato dalla folla, finita la predicazione, domanda appunto di passare all’altra sponda, ma lungo la traversata si addormenta a poppa, la parte della barca che per prima va a fondo… La tempesta porta il discepolo alla disperazione che cova nel fondo di ogni uomo… di fronte alla vita che delude le sue attese. Gesù si sveglia non a causa delle onde, ma per il grido angosciato dei discepoli: «Non ti importa che moriamo?» Sistemate le cose, si rivolge ai suoi discepoli e dice loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Con la sua domanda cambia la direzione del racconto. L’attenzione non è più rivolta al prodigioso potere sulle forze della natura, ma alla fede del credente. Il discepolo, che ebbe abbastanza fede per staccarsi dalla folla e seguire Gesù, ora che è schierato dalla sua parte, deve imparare una diversa presenza del suo “Signore”. Il miracolo è solo per mostrare una volta per tutte che Gesù c’è anche quando non c’è! La fede matura è fiducia in lui anche nelle difficoltà e nelle sofferenze. È nello stile di Marco “offrire un messaggio di speranza alla Chiesa perseguitata e forse scoraggiata di fronte al silenzio del Cristo risorto. Insomma ogni cristiano viene avvertito che si può essere uomo di poca fede in due modi: c’è la poca fede di chi non ha il coraggio di lasciare tutto per Gesù, e c’è la poca fede di chi, avendo lasciato tutto per Gesù, pretende però (soprattutto nei momenti difficili) una presenza chiara del Signore, consolante, accompagnata da ripetute verifiche. È questa una fede ancora immatura, perché confonde il «silenzio» con l’assenza del Signore, confonde il permanere dell’opposizione con la sconfitta del Regno. E oltre che immatura è anche una fede poco coraggiosa, incapace di scelte nuove, rischiose secondo le cautele del buon senso dell’uomo, ma possibili per chi si affida alla potenza di Dio. Il vero discepolo però si sente al sicuro in compagnia del Signore, anche quando le difficoltà sono grandi e il Signore sembra dormire.” (B. Maggioni)
«Chi è quest’uomo?»
…a questo passo del cammino del discepolo s’impone la domanda che guida tutto il vangelo, la cui risposta è il Vangelo stesso. «Chi è costui a cui obbediscono perfino il mare ed il vento?» (come del resto – nelle pagine seguenti! le forze del male di ogni tipo… fisiche, biologiche, psichiche, demoniache, culturali, religiose…). Malgrado gli anni ormai trascorsi al suo seguito, i discepoli non sanno chi veramente è Gesù – ma la stessa domanda sgorga dal cuore di chiunque abbia cercato di seguirlo con qualche passione. Chi è dunque quest’uomo con cui mi sono imbarcato nella vita? Marco inizia il suo vangelo dicendo: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1). E lo conclude, nell’ora della morte di Gesù, con la dichiarazione del soldato romano: «Costui era veramente Figlio di Dio!». Dentro questo percorso i titoli e nomi che cercano di individuare questa misteriosa presenza sono tanti: Messia cioè Cristo, l’Unto, Signore, Figlio amato, Santo di Dio, Nazareno, Figlio dell’uomo, Sposo, Figlio di Dio, Figlio di Dio altissimo, Falegname, figlio di Maria, Profeta, Maestro o buon Maestro o Rabbuni, Figlio di Davide, Benedetto, Rabbi, Pastore, Figlio di Dio benedetto, Re dei Giudei, Re di Israele… Tutti questi titoli indicano un aspetto che insieme illumina e nasconde la sua figura… tant’è vero che Gesù stesso talora li mette in dubbio e li contesta, per denunciarne l’ambiguità che possono contenere. Ma ad un certo punto della vita il discepolo non può più eludere la domanda senza rinnegare e tradire se stesso, Gesù e la gente con cui vive: chi è Gesù per me?
L’amore di Cristo ci possiede…
Ma Paolo sembra ribaltare il problema, e si domanda piuttosto: chi sono io per Gesù? È Dio che ci ha amati per primo e ci ha donato il figlio per salvarci… nell’affidamento a lui. Noi, dunque, non conosciamo più secondo la carne – e la carne è la natura! Anche se abitiamo pienamente in essa, che ci ha fatti, non siamo più soggiogati dalla sua “logica” deterministica di necessità. Perché questo vorrebbe dire lasciarci ancora rinchiudere nel nudo bisogno di affermazione della propria sopravvivenza. Per portarci infine alla consunzione della morte senza speranza, perché ciò che è nato dalla carne è carne. Oramai, invece siamo, presi (posseduti!) dall’interno da una nuova energia spirituale, non prodotta dai meccanismi di natura. Ed è l’amore di Cristo seminato in noi, come nuova spinta propulsiva (chiamata la forza dello Spirito At 1,8), esplosa, come suo dono, con la sua morte. Perché Gesù, superando la logica di paura della carne, è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi. Ha dunque aperto dentro la “natura” una nuova possibilità inedita, ha iscritto un nuovo gene nel DNA umano, che ci rende capaci di donare la vita, capaci di sbilanciarci dalla paura paralizzante alla fede operosa.
Le leggi “naturali” vanno avanti per il loro corso, ma non sono più assolute come catene che ci imprigionano nella schiavitù della paura! Ormai il cristiano sa chi è il Signore che misteriosamente le spezza e lo libera! E le rende “relative” e finalizzate al nuovo fermento profetico che Gesù attraverso il suo Spirito semina incessantemente nell’umanità… Solo la paura ci impedisce di svincolarci dal loro fascino ambiguo e alla fine idolatrico! Non è da ingenui o da poeti dire: siamo ormai una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. La novità di cui parla Paolo, come il “passare all’altra sponda” di Gesù, vuol dire dunque liberarsi dagli ormeggi che ci tengono legati e succubi dei condizionamenti della natura, della malattia, della cultura, delle credenze religiose (i demoni) e assillati dalle domande angoscianti: dorme? – gli importa che moriamo? Quale luce nuova questa qualità di fede apporterebbe ai dibattiti di oggi sulla legge naturale della morte e della vita, della sessualità e dell’economia, della sicurezza e dei respingimenti!… dove è chiaro che la cruda legge della necessità vede un’unica preoccupazione: conservare anzitutto se stessi, a tutti i costi (costi… “altrui”, naturalmente!). Nel Regno dell’umanità nuova nello Spirito, invece, l’unico assoluto non è più la legge naturale o positiva, ma anzitutto l’Amore seminato nei nostri cuori, perché proprio questo è il nucleo della fede: egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro.
La forza della natura, né intelligente, né matrigna
La natura non si preoccupa… dell’uomo! È l’uomo che proietta i suoi desideri, sentimenti e idee sulla natura. Mentre per la natura le leggi fisiche e chimiche, biologiche e psichiche, subatomiche e astronomiche non hanno proprio in conto l’uomo più di una farfalla - né che sia piccolo o grande, malvagio o innocente. Il problema di Giobbe, il problema del male nel mondo, è un problema strettamente umano, non è un problema della natura. Ma è nel contempo l’ingresso inevitabile al problema della fede, della ricerca di un’ulteriorità per svincolarsi dalla natura. Che sembra aver dentro di sé un limite, un’autoinsufficenza! L’uomo di oggi può esser convinto o meno, a differenza di quello antico, che proprio Dio, in qualche modo, abbia messo i confini al mondo, agli oceani e alle nebulose e sia comunque misteriosamente al principio e alla fine e al di dentro dell’esplosione di energia che da più di 13 miliardi di anni muove l’universo, ma rimane ugualmente muto di fronte alla realtà storica del male! La misteriosa finalità interna all’evoluzione della natura che a noi sembra di vedere nel cammino indecifrabile del cosmo, a un certo punto diventa “cultura”, quando l’uomo si scopre capace di manipolare la casa in cui è nato e trasforma lei e sé stesso… Un pezzo della natura diventa storia! E subito all’uomo brucia dentro il mistero del male: suo e di natura! Che non è anzitutto questione di fede o di ateismo, è prima una domanda radicale di senso. Ambedue questi atteggiamenti del cuore dell’uomo, fede e ateismo, sono tentativi di risposta alla stessa ineludibile domanda che morde il cuore di ognuno: importa a qualcuno che noi moriamo? – o invece sprofondiamo totalmente riassorbiti nel pozzo vuoto dalla natura? Gesù risponde con la sua vita e con il Vangelo a questa domanda, ma i discepoli non capiscono. Ancor meno capiranno quando lo scandalo e la delusione scaverà un abisso nel loro cuore sentendolo gridare anche lui, sulla croce, allo stesso modo, prima dell’urlo inarticolato della morte: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?
Una nuova proposta
Gesù tenta di traghettare i discepoli ad un’altra dimensione della vita, ad un’altra comprensione del male e della sofferenza: «Passiamo all’altra riva». Il racconto segna i passi del nostro ripetuto itinerario di maturazione cristiana. Dopo un giorno pesante, racconta Marco, mentre la gente era tanta che Gesù dovette entrare in una barca per non essere schiacciato dalla folla, finita la predicazione, domanda appunto di passare all’altra sponda, ma lungo la traversata si addormenta a poppa, la parte della barca che per prima va a fondo… La tempesta porta il discepolo alla disperazione che cova nel fondo di ogni uomo… di fronte alla vita che delude le sue attese. Gesù si sveglia non a causa delle onde, ma per il grido angosciato dei discepoli: «Non ti importa che moriamo?» Sistemate le cose, si rivolge ai suoi discepoli e dice loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Con la sua domanda cambia la direzione del racconto. L’attenzione non è più rivolta al prodigioso potere sulle forze della natura, ma alla fede del credente. Il discepolo, che ebbe abbastanza fede per staccarsi dalla folla e seguire Gesù, ora che è schierato dalla sua parte, deve imparare una diversa presenza del suo “Signore”. Il miracolo è solo per mostrare una volta per tutte che Gesù c’è anche quando non c’è! La fede matura è fiducia in lui anche nelle difficoltà e nelle sofferenze. È nello stile di Marco “offrire un messaggio di speranza alla Chiesa perseguitata e forse scoraggiata di fronte al silenzio del Cristo risorto. Insomma ogni cristiano viene avvertito che si può essere uomo di poca fede in due modi: c’è la poca fede di chi non ha il coraggio di lasciare tutto per Gesù, e c’è la poca fede di chi, avendo lasciato tutto per Gesù, pretende però (soprattutto nei momenti difficili) una presenza chiara del Signore, consolante, accompagnata da ripetute verifiche. È questa una fede ancora immatura, perché confonde il «silenzio» con l’assenza del Signore, confonde il permanere dell’opposizione con la sconfitta del Regno. E oltre che immatura è anche una fede poco coraggiosa, incapace di scelte nuove, rischiose secondo le cautele del buon senso dell’uomo, ma possibili per chi si affida alla potenza di Dio. Il vero discepolo però si sente al sicuro in compagnia del Signore, anche quando le difficoltà sono grandi e il Signore sembra dormire.” (B. Maggioni)
«Chi è quest’uomo?»
…a questo passo del cammino del discepolo s’impone la domanda che guida tutto il vangelo, la cui risposta è il Vangelo stesso. «Chi è costui a cui obbediscono perfino il mare ed il vento?» (come del resto – nelle pagine seguenti! le forze del male di ogni tipo… fisiche, biologiche, psichiche, demoniache, culturali, religiose…). Malgrado gli anni ormai trascorsi al suo seguito, i discepoli non sanno chi veramente è Gesù – ma la stessa domanda sgorga dal cuore di chiunque abbia cercato di seguirlo con qualche passione. Chi è dunque quest’uomo con cui mi sono imbarcato nella vita? Marco inizia il suo vangelo dicendo: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1). E lo conclude, nell’ora della morte di Gesù, con la dichiarazione del soldato romano: «Costui era veramente Figlio di Dio!». Dentro questo percorso i titoli e nomi che cercano di individuare questa misteriosa presenza sono tanti: Messia cioè Cristo, l’Unto, Signore, Figlio amato, Santo di Dio, Nazareno, Figlio dell’uomo, Sposo, Figlio di Dio, Figlio di Dio altissimo, Falegname, figlio di Maria, Profeta, Maestro o buon Maestro o Rabbuni, Figlio di Davide, Benedetto, Rabbi, Pastore, Figlio di Dio benedetto, Re dei Giudei, Re di Israele… Tutti questi titoli indicano un aspetto che insieme illumina e nasconde la sua figura… tant’è vero che Gesù stesso talora li mette in dubbio e li contesta, per denunciarne l’ambiguità che possono contenere. Ma ad un certo punto della vita il discepolo non può più eludere la domanda senza rinnegare e tradire se stesso, Gesù e la gente con cui vive: chi è Gesù per me?
L’amore di Cristo ci possiede…
Ma Paolo sembra ribaltare il problema, e si domanda piuttosto: chi sono io per Gesù? È Dio che ci ha amati per primo e ci ha donato il figlio per salvarci… nell’affidamento a lui. Noi, dunque, non conosciamo più secondo la carne – e la carne è la natura! Anche se abitiamo pienamente in essa, che ci ha fatti, non siamo più soggiogati dalla sua “logica” deterministica di necessità. Perché questo vorrebbe dire lasciarci ancora rinchiudere nel nudo bisogno di affermazione della propria sopravvivenza. Per portarci infine alla consunzione della morte senza speranza, perché ciò che è nato dalla carne è carne. Oramai, invece siamo, presi (posseduti!) dall’interno da una nuova energia spirituale, non prodotta dai meccanismi di natura. Ed è l’amore di Cristo seminato in noi, come nuova spinta propulsiva (chiamata la forza dello Spirito At 1,8), esplosa, come suo dono, con la sua morte. Perché Gesù, superando la logica di paura della carne, è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi. Ha dunque aperto dentro la “natura” una nuova possibilità inedita, ha iscritto un nuovo gene nel DNA umano, che ci rende capaci di donare la vita, capaci di sbilanciarci dalla paura paralizzante alla fede operosa.
Le leggi “naturali” vanno avanti per il loro corso, ma non sono più assolute come catene che ci imprigionano nella schiavitù della paura! Ormai il cristiano sa chi è il Signore che misteriosamente le spezza e lo libera! E le rende “relative” e finalizzate al nuovo fermento profetico che Gesù attraverso il suo Spirito semina incessantemente nell’umanità… Solo la paura ci impedisce di svincolarci dal loro fascino ambiguo e alla fine idolatrico! Non è da ingenui o da poeti dire: siamo ormai una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. La novità di cui parla Paolo, come il “passare all’altra sponda” di Gesù, vuol dire dunque liberarsi dagli ormeggi che ci tengono legati e succubi dei condizionamenti della natura, della malattia, della cultura, delle credenze religiose (i demoni) e assillati dalle domande angoscianti: dorme? – gli importa che moriamo? Quale luce nuova questa qualità di fede apporterebbe ai dibattiti di oggi sulla legge naturale della morte e della vita, della sessualità e dell’economia, della sicurezza e dei respingimenti!… dove è chiaro che la cruda legge della necessità vede un’unica preoccupazione: conservare anzitutto se stessi, a tutti i costi (costi… “altrui”, naturalmente!). Nel Regno dell’umanità nuova nello Spirito, invece, l’unico assoluto non è più la legge naturale o positiva, ma anzitutto l’Amore seminato nei nostri cuori, perché proprio questo è il nucleo della fede: egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro.
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