Le letture che la Chiesa ci propone per questa ventitreesima Domenica del Tempo Ordinario, sono tutte incentrate su un unico tema: quello dell’amore fraterno, che si esplicita in un’istanza molto chiara: «ciascuno si deve far carico del proprio fratello perché ognuno è la sentinella che deve avvertire il fratello per il pericolo imminente» [P.Pezzoli, La casa sulla roccia: il vangelo secondo Matteo, in G.Facchinetti-P.Pezzoli-P.Rota Scalabrini, Scuola della Parola, LIG, Bergamo 1999, 138].
Abbiamo dunque a che fare con testi il cui oggetto precipuo è la cosiddetta “correzione fraterna”… Non a caso la Liturgia della Parola propone come brano evangelico un testo tratto dal capitolo 18 di Matteo, quel capitolo cioè nel quale è inserito il “Discorso ecclesiale”.
Come abbiamo avuto già modo di dire, infatti, il vangelo di Matteo «obbedisce a due strutture. La prima, più evidente e più tipica, consiste nella successione di grandi discorsi, attorno ai quali si organizza il materiale narrativo. Il c. 18 è il quarto discorso: dopo il discorso programmatico della montagna, il discorso missionario e il discorso in parabole, ecco un discorso ecclesiale, che si occupa di alcuni problemi interni alla comunità.
Ma dietro il succedersi dei discorsi si intravede la struttura del vangelo di Marco, che racconta la vicenda di Gesù iniziando dal battesimo, continua col ministero in Galilea e poi in Giudea e si orienta sempre più chiaramente verso la passione. Secondo questa struttura il discorso del c. 18 si trova nel contesto degli annunci della passione (cf. 16,21; 17,22-23; 20,17-19). La collocazione è significativa. Il nostro discorso offre delle norme di vita comunitaria da leggere nella prospettiva della sequela, intesa come un cammino verso la croce. Possiamo dire che almeno in parte, il c. 18 intende rispondere alla domanda: come deve costruirsi una comunità che intende porsi alla sequela del Crocifisso?
[…] Il discorso si divide in due parti [Mt 18,1-14 e Mt 18,15-35: la Liturgia domenicale della Parola ci propone la II parte, spezzata a sua volta in due domeniche successive: XXIII domenica del TO, Mt 18,15-20; XXIV domenica del TO – domenica prossima –, Mt 18,21-35]. Ciascuna parte si sviluppa attorno a un interrogativo: “Chi è il più grande nel regno dei cieli?” (18,1); “Quante volte devo perdonare al mio fratello che pecca contro di me?” (18,21). Ciascuna parte termina con una parabola: la parabola della pecorella smarrita (vv. 12-14) e la parabola del servo perdonato ma incapace di perdonare (vv. 23-35). Ciascuna parte è costruita attorno a una parola chiave, continuamente ricorrente: la parola “piccolo” la prima, la parola “fratello” la seconda» [B.Maggioni, il racconto di Matteo, Cittadella Editrice, Assisi 2004, 226-227].
Come detto la Liturgia domenicale della Parola tralascia tutta la prima parte del discorso ecclesiale, la cui tematica principale è quella dei piccoli / dei bambini (cui ho fatto comunque cenno perché mi pare importante leggere nella sua interezza questo capitolo 18) e si concentra – in due domeniche successive – sulla seconda, quella del perdono o della correzione fraterna.
Tutta questa lunga premessa, che magari a qualcuno è risultata un po’ troppo scolastica e noiosa, mi è sembrata invece necessaria perché ci permette di rilevare da subito un elemento molto interessante: quando nel vangelo si parla esplicitamente di chiesa (“Discorso ecclesiale”, appunto), gli assi semantici, attorno ai quali tutto ruota, sono il termine piccoli con la tematica della loro custodia e il termine fratelli come chiave di lettura delle relazioni intra-comunitarie.
È come se parlando di Chiesa, il vangelo mettesse lì due grandi binari orientativi:
- Tra voi i piccoli siano custoditi!
- Tra di voi siate fratelli!
È all’interno di queste macro linee guida, che poi le indicazioni si fanno più puntuali…
Sarebbe interessante soffermarsi su questi due pilastri, verificando magari la vita delle nostre comunità ecclesiali a partire da essi, ma ci porterebbe troppo lontano e, forse, ci lascerebbe anche un po’ troppo l’amaro in bocca (che non va bene all’inizio di un nuovo anno sociale), perciò torniamo ai nostri 6 versetti odierni e alla tematica più circoscritta della correzione fraterna.
Essa è descritta come un percorso a tappe:
1- «se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello»;
2- «se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni»;
3- «se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità»;
4- «se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano».
La correzione fraterna descritta in questo brano di vangelo riecheggia una prassi ecclesiale presente nella comunità di Matteo… e ciascuno di questi elementi andrebbe spiegato bene, in particolare l’ultimo, quello che noi chiamiamo “s-comunica”… perché forse è quello più frainteso…
Ma mi pare che un criterio ancora più fondamentale per collocare nella giusta prospettiva queste tre tappe, sia quello di risalire al contesto cui pensavano Gesù / Matteo quando dicevano / scrivevano queste parole e vedere in che modo oggi anche per noi esse possano essere vitali.
In questa prospettiva il dato essenziale da mettere in evidenza è il fatto che – quando scrive – Matteo pensa alla sua comunità, che era una comunità piccola!
Anche se quest’osservazione può apparire una banalità e uno può ritrovarsi a dire “Beh, e allora?”, in realtà io credo si tratti di un elemento che scaravolta tutto il senso di questo brano… quello almeno che noi siamo soliti attribuirgli, che è più o meno questo: siccome per una volta su un argomento specifico nel vangelo non ci sono indicazioni generiche, ma una specie di “ricetta”, seguiamola! Con tutti i peccatori nella Chiesa, seguiamo questo iter!
Invece no! Perché l’atteggiamento suggerito da Gesù per affrontare il problema del peccato e dei peccatori, implica il riferimento (vincolante) a comunità numericamente limitate, dove il clima è quello familiare… comunità quindi molto diverse da quelle parrocchiali cui noi siamo abituati a pensare, che spesso contano migliaia di abitanti, centinaia di fedeli che non si conoscono nemmeno tutti per nome…
In una situazione di questo tipo è impensabile applicare il “metodo” proposto in Mt 18 in maniera pedissequa, come se si trattasse – appunto – di una “ricetta magica”…
È infatti solo all’interno di relazioni nelle quali ci si riconosce effettivamente, e non solo nominalmente, fratelli, che è possibile un intervento quale quello suggerito nel vangelo. Senza dimenticare che anch’esso, nella formulazione in cui è giunto a noi, è già “formalizzato” e “schematizzato” per un uso comunitario… Non per niente, all’inizio, dicevamo che esso risente della prassi usata nella comunità di Matteo!
Ciò che allora è da tenere di questo brano non è la pura applicazione acritica della “ricetta”, ma ciò che la “ricetta” implica, cioè:
- Che bisogna sempre separare peccato (da condannare) e peccatore (da custodire con ogni mezzo, foss’anche quello di un periodo fuori dalla comunità perché possa ritornare: questo – e solo questo! – è il senso della scomunica nella chiesa).
- Che non si può aziendalizzare il vangelo sulla falsa riga dell’aziendalizzazione della chiesa che ogni tanto sembra comparire in questo III millennio… Essa, infatti – per quanto si estenda in tutto il mondo – è Chiesa quando consente rapporti autenticamente fraterni. È infatti solo fra due o tre (riuniti nel suo nome), che ci si può ammonire. Perché altrimenti va perso il principio guida dell’ammonimento, che è il seguente: «il perdono e l’amore precedono: la correzione nasce dall’amore. Si corregge – altrimenti che diritto avremmo di correggere? – perché si ama» [Ivi, 238]. Ecco perché questo vangelo dovrebbe avere come destinatarie le piccole chiese che sono le famiglie, le comunità di base, le piccole fraternità, i cantieri antropologici dove si prova a vivere il vangelo… e non le macro organizzazioni ecclesiali in cui non ci si conosce (dunque non ci si ama) nemmeno…
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