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giovedì 18 agosto 2011

XXI Domenica del Tempo Ordinario: Sciogliamo tutti!

Il testo del vangelo che la liturgia ci propone per questa ventunesima domenica del tempo ordinario è tratto dal capitolo 16 di Matteo.

Dopo l’episodio della cananea di settimana scorsa (Mt 15,21-28) e dopo alcuni episodi che la liturgia domenicale non ha lo spazio di presentare (le guarigioni di Gesù presso il lago – Mt 15,29-31; la seconda moltiplicazione dei pani, Mt 15,32-39; la discussione coi farisei e i sadducei e l’istruzione ai discepoli sul loro lievito, Mt 16,1-12), al v.13 si dice che Gesù giunse nella regione di Cesarea di Filippo.

È questo un posto diventato famoso, perché qui – come raccontano Matteo e Marco – Gesù pose ai suoi discepoli la decisiva duplice domanda su cosa la gente e poi i discepoli stessi avessero percepito della sua identità: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?», «Voi, chi dite che io sia?».

Sono domande che giungono – sia per i discepoli, sia per i lettori del vangelo – quando ormai la vita pubblica di Gesù è già ben delineata (per questo ciascuno dovrebbe dare la sua risposta!)… a questo punto del vangelo infatti Egli ha già detto molte cose (Matteo, per esempio, nei capitoli precedenti ha riportato il discorso della montagna, il discorso missionario, il discorso in parabole)… ne ha anche già fatte molte (a partire dai racconti sulla sua infanzia, l’inizio della sua vita pubblica, fino ai miracoli e alle controversie coi farisei)…

Proprio a questo punto, quindi, Gesù sembra voler fermare un attimo il flusso degli eventi e fare il punto della situazione: Cosa ha capito di me la gente? Cosa han capito di me i miei?

Ed ecco che arriva la risposta di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»!


Una risposta forte! Una risposta grande! Soprattutto in bocca ad un ebreo! Dunque, possiamo immaginare che – certo Pietro l’avrà detta con convinzione ed entusiasmo (sull’onda dell’affetto e dell’ammirazione smisurati che aveva per il suo amico e maestro Gesù) – ma anche con una punta di trepidazione (“Non starò mica esagerando!?!?”).

E invece… nella reazione di Gesù (cui paiono sussultare di gioia le viscere), ecco la conferma di essere nel giusto: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli»!

Gesù stava tastando il terreno: voleva capire in che misura ciò che aveva detto e fatto, avesse mostrato effettivamente alla coscienza della gente chi Lui fosse (questa, infatti, pare essere la sua preoccupazione fondamentale: che la sua vita, il dipanarsi della sua singolarità, la sua libertà storica, sia incontrata nella sua verità dai singoli uomini e donne che incontra. E tutto ciò è così importante perché Egli sa che nello svolgersi della sua storia, si rivela Dio! E… dall’idea di Dio che uno ha in testa dipende tutto l’orizzonte di senso su cui impostare la vita, l’idea di uomo, di amore, di relazioni, di morte...).

Ecco perché la risposta di Pietro è così importante per Lui: perché è il riconoscimento! Pietro ha capito che in quell’uomo lì si dà qualcosa che non è contenibile nelle categorie solite della religiosità ebraica: Gesù non è Giovanni Battista redivivo o Elia o Geremia; la sua persona non è esauribile nella categoria di profeta. Egli – dice Pietro – è il Messia, colui che deve venire a salvare gli uomini, e il Figlio di Dio, qualcuno che ha a che vedere direttamente con Dio (la Chiesa poi dirà Dio lui stesso, che per l’ambiente ebraico – da cui provenivano Pietro e tutti i primi cristiani – è una delle bestemmie peggiori, perché infrange il primo – e più importante – comandamento, fondante lo stretto monoteismo ebraico: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile. Non avere altri dei di fronte a me» – Dt 5,6-7).

Ecco perché a Gesù nasce come un guizzo di gioia interiore («Beato sei tu, Simone»!)… perché sta intuendo…

Un guizzo, che lo porta a fare qualcosa di inaudito…

Infatti, di fronte alla professione di fede di Pietro, Gesù – a sua volta – fa la sua di professione: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»!

Gesù – cioè –, di fronte alla dichiarazione di Pietro di fidarsi di Lui e, in Lui, di Dio, risponde con la sua professione di fede nell’uomo: il Dio di Gesù Cristo è il Dio che si fida dell’uomo: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa»; «A te darò le chiavi del regno dei cieli»!

Se già è sconvolgente per la mentalità del tempo che Pietro dica di Gesù «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», ancora di più lo è il fatto che Gesù dica a Pietro «A te darò le chiavi del regno dei cieli»! Che Dio, cioè, nel suo Figlio e attraverso il suo Spirito si fidi dell’uomo per la realizzazione del suo regno, cioè per la realizzazione del mondo come Lui lo vuole, è qualcosa che fa sobbalzare!

Di tutto questo “sobbalzo” – però – la tradizione cristiana ha come un po’ attenuato la portata… ciò che infatti, di questo brano, la nostra memoria cristiana ha trattenuto è soprattutto quel potere di “legare e sciogliere” in terra ciò che resterà legato e sciolto in cielo… Questo è ciò che attira immediatamente l’attenzione.

Non a caso la scelta della prima lettura va esattamente in questa direzione, menzionando la decisione di Dio di porre sul trono di Giuda Eliakim, del quale viene detto: «Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire», che è un’espressione che richiama quella del vangelo.

Vorrei dunque spendere qualche parola in proposito…

Noi infatti immediatamente associamo queste affermazioni (quella di Isaia su Eliakim e quella di Gesù su Pietro) ad un conferimento di potere, che – per quanto riguarda il NT – colleghiamo subito al sacramento della riconciliazione… Il percorso mentale che facciamo mi pare possa essere delineato in questo modo: se a Pietro è stato conferito questo potere di legare o sciogliere, vuol dire che lui e i suoi successori (indistintamente papi, vescovi, preti) hanno il potere – attraverso la confessione – di decidere chi va in paradiso e chi no… ragionamento dal quale derivano poi – a cascata – tutta una serie di altre considerazioni come per esempio quella dell’assoluta necessità di confessarsi prima di morire, ecc…

Ora, io credo che – per orientare il tutto ed evitare fraintendimenti o letture riduttive – vada colta una piccola parolina che Isaia mette in quella che è la nostra prima lettura: «Eliakim sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda»!

Cioè, è vero che dentro alle parole del profeta e dentro alle parole di Gesù c’è in gioco un conferimento di potere, ma questo è un potere diverso da quello che inseguono le logiche umane. Questo potere evangelico non è capriccioso (questo lo lego / questo lo sciolgo; a questo apro / a questo chiudo), ma paterno. Ha cioè in sé il germe del contagio della paternità di Dio; dicevamo infatti che è l’attestazione della fiducia che Dio ripone nell’uomo per la costruzione condivisa (tra Dio e l’uomo, appunto) del Regno!

Ecco perché quell’invito dovrebbe suscitare in tutti noi che tentiamo di essere almeno un po’ discepoli, il desiderio di usare di questo potere animati dallo stesso Spirito di paternità proprio di Dio! Cioè mai come un qualcosa di nostro, da usare contro gli altri. Ma un qualcosa di tutti, messo – immeritatamente – nelle nostre mani perché arrivi a tutti!

Da cui io penso non si possa che dedurre che è proprio necessario che i cristiani si mettano sulle strade del mondo per sciogliere tutti! Altrimenti… è un potere discriminante («che è una parola terribile, perché ha una radice semantica che suggerisce che di là ci sono i criminali» [Giuliano]) non attribuibile al Dio di Gesù!

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