Siamo di nuovo a Gerusalemme.
Come dicevamo settimana scorsa, Gesù vi si reca in occasione delle feste ebraiche.
In questo caso «Era vicina la Pasqua dei Giudei» (Gv 11,55).
Questa, sarà l’ultima volta di Gesù a Gerusalemme, quella fatale; infatti, pochi versetti dopo quelli riportati dal vangelo di questa Quinta Domenica di Quaresima, inizierà il racconto della passione, morte e risurrezione di Gesù, che nel vangelo di Giovanni occupa i capitoli dal 13 al 21.
Siamo perciò sulla soglia (il testo odierno è infatti tratto dal capitolo 12) e la scelta non è casuale: Domenica prossima infatti è già la domenica delle Palme, in cui entreremo nel vivo del racconto degli ultimi giorni di vita di Gesù; e poi sarà Pasqua.
Oggi è perciò l’ultima domenica “normale” di Quaresima, l’ultimo passo di avvicinamento agli eventi finali della drammatica storica del Signore.
E la Chiesa, per farci fare questo “ultimo passo di avvicinamento” ha scelto questo testo giovanneo del capitolo 12, i versetti dal 20 al 33.
Ci sarebbero tante cose da dire – troppe onestamente – per addentrarsi nelle parole che Gesù rivolge in questo discorso ai Greci che volevano vederlo: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Scelgo perciò di concentrarmi sulla prospettiva che suggerivo prima: guardiamo questa scena come all’ultima di Gesù prima del crocevia definitivo della sua storia.
Come si pone di fronte ad esso? Cosa dice di sé? Come si determina? Quale relazione col Padre suo traspare? Quale verità su sé e su di Lui? Chi decide di essere?
«La sua “carne terrena” era dello stesso impasto della nostra, rifiutava istintivamente, con grida e lacrime, lo stritolamento del meccanismo perverso del potere che lo voleva eliminare. Anche lui, come ogni uomo schiacciato dalla prepotenza del male (proprio e altrui!), si rivolge al Dio che può liberarlo… Ma il Dio dell’onnipotenza è un idolo costruito dal “bisogno dell’uomo”, è la personalizzazione del gemito della creatura oppressa! La quale, invece, ‑ l’abbiamo visto troppe volte! ‑ si sente proprio abbandonata … alla sua sorte sulla terra! Anche Gesù, “pur essendo figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì”! Ha dovuto sperimentare l’abbandono del Padre, che non l’ha ascoltato nella sua implorazione di evitargli la morte. Pur pregando e sperando, con disperata speranza, come noi, ha dovuto “passare attraverso” il non senso della totale solitudine, del rifiuto, del dolore e della morte, senza che nessuno intervenisse, ad alleviarlo e curarsi di lui! Se non ci fosse passato dentro (cioè senza la passione della pasqua!) non l’avrebbe imparato – osa dire la lettera agli Ebrei! Perché l’adesione umana alla volontà del Padre è storica non virtuale, cioè si avvera e si rinnova nelle drammatiche vicende della vita! Il nuovo testo che dice: fu esaudito” per il pieno abbandono” al Padre, spiega bene, rispetto alla traduzione precedente cui eravamo abituati: per la sua pietà! Ma letteralmente si potrebbe dire: per aver “preso bene” (dolcemente) la sua dolorosa vicenda – come volontà del Padre! Ovviamente non era la volontà del Padre che Gesù fosse ucciso dalla malvagità, vigliaccheria e gelosia dei rappresentanti del potere del tempo! Anche se da questi mali non l’ha liberato. Dio non ha mai avuto bisogno di questi sacrifici di sofferenza per soddisfare o compensare l’offesa della malvagità degli uomini. Sarebbe bestemmia pensarlo! Ma Gesù “fu esaudito”, per il fatto che, perseguitato dalla coalizione del male contro di lui, innocente e inerme, rimase fermo nella sua totale dedizione all’amore, alla verità, alla fedeltà… su cui si fonda la nuova Alleanza (il legame di amore indistruttibile con Dio e con gli uomini, anche suoi uccisori). A questo suo amore totale va il “compiacimento” di cui il Padre ha detto al battesimo e alla trasfigurazione e che qui rinnova. Per questo l’ha mandato nel mondo, a portare a compimento, con il suo sangue, l’antica Alleanza!» [Giuliano].
Ecco… Questo è ciò su cui vorrei che ci fermassimo oggi, o almeno ciò su cui vorrei fermarmi io. Il sopraggiungere per Gesù di un momento nella sua vita, che è decisivo per capire chi Lui sia, in cosa creda veramente, in quale faccia di Dio. Per Gesù, quel momento, arriva a Gerusalemme, arriva quella volta… è il crocevia definitivo: da come si porrà di fronte ad esso, ne andrà di Lui, del suo messaggio, della sua identità, della sua verità.
Come accennavamo settimana scorsa, non gira al largo, non torna indietro, ma passa (pasqua!) attraverso. Il “chicco di grano” che deve decidere se morire, di cui aveva predicato per le strade della Galilea, ora è lui. Chi deve credere che conservare la propria vita vuol dire perderla e consegnarla vuol dire ritrovarla, è ora lui.
E dentro a questo “ora lì – a quel crocevia – c’è lui”, c’è dentro tutta una drammatica umana reale, che troppo spesso dimentichiamo. Troppo in fretta saltiamo alla decisione che poi Gesù prenderà (si consegnerà) e al ritrovamento della Vita che questo comporterà (risorgerà). Troppo in fretta risolviamo il dramma, nella sua felice riuscita.
E facendolo, facciamo un doppio torto: a lui, che in quel crocevia “con forti grida e lacrime” c’è stato davvero; e a noi, che siamo esattamente allo suo stesso crocevia… e tendiamo a voler scivolare via, far finta di niente, scansarlo… sperando che il lieto fine arrivi presto e comunque.
E invece… C’è da diventare uomini.
Lui lo è diventato, passando attraverso: scegliendo di essere il chicco che muore, scegliendo di credere che perdere la vita vuol dire ritrovarla, scegliendo di rimanere fermo nella sua totale dedizione all’amore.
Fare qualsiasi altra cosa rispetto a ciò che ha fatto in quei tre giorni, voleva dire, per lui, non essere se stesso, smentire la sua verità (la verità di sé, che coincideva con quella del Padre suo), e cioè che solo l’amore ha senso.
E allora la lettura di queste sue vicende di Figlio dell’uomo e di Figlio di Dio, non possono che ricollocarci nei nostri crocevia, dove confluiscono tante cose, tanti canali, tanti sentimenti, tanti bisogni, paure, desideri, voglie, ferite… tutto mescolato insieme… insieme anche a un briciolo di gratuità e amore… perché anche noi possiamo scegliere di diventare uomini, di essere noi stessi, di essere veri (e lo siamo realmente quando diventiamo anche noi quel chicco…): perché dove veramente la nostra verità si mostra… è quando l’egocentrismo si scioglie… in quei tempi e in quei momenti di solitudine e paura, quando i cani famelici si risvegliano dentro di noi, e ci spingono ad una voracità disperata e disperante. È allora che c’è il vero crocevia: l’occasione di guadagnare un centimetro di gratuità, perdendo un pezzo di vita.
Senza però dimenticare – qualora ci riuscissimo – che abitiamo la stessa pasta di carne dei nostri fratelli e sorelle che magari non ci riusciranno mai (Moscatelli a Natale ci diceva: Basta solo desiderare di amare così… anzi basta solo desiderare di desiderare di amare così…). Altrimenti trasformiamo inconsapevolmente «l’attitudine interiore di “poveri beneficati” a “padroncini esigenti e presuntuosi”, duri e sprezzanti con quelli che … non ce l’hanno fatta o sono arrivati tardi e male!» [Giuliano].
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