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giovedì 4 luglio 2013

XIV Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 66,10-14)

Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto. Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria. Perché così dice il Signore: «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (Gal 6,14-18)

Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10,1-12.17-20)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città». I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

 

In questa Quattordicesima Domenica del Tempo Ordinario, la Chiesa ci invita a riflettere sul brano del vangelo di Luca (Lc 10,1-12.17-20) che segue immediatamente quello della settimana scorsa (Lc 9,51-62), seppur con una piccola cesura nel mezzo (Lc 10,13-16).

Dopo la prima parte (conclusasi in Lc 9,50), siamo dunque collocati in quella seconda parte del vangelo che era iniziata con la decisione di Gesù di dirigersi a Gerusalemme – «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,51) – e che si concluderà proprio a Gerusalemme con la passione, morte e risurrezione di Gesù: una seconda parte orchestrata seguendo il filo conduttore del viaggio verso Gerusalemme.

Mentre quindi il brano di settimana scorsa era l’episodio inaugurale di questo “secondo tempo” del vangelo di Luca, il brano di questa domenica tratteggia quello immediatamente successivo… il quale però si riferisce subito a quanto lo aveva appena preceduto: «Dopo questi fatti…», dopo cioè il rifiuto dei samaritani ad accogliere Gesù, la reazione dei discepoli (con annessa sgridata!) e le istruzioni di Gesù a chi vuole seguirlo.

È a questo punto che l’evangelista inserisce un episodio che gli è proprio, cioè che solo lui – fra tutti – racconta: è il cosiddetto “invio dei settantadue”. «L’intenzione, probabilmente, è di mostrare come la missione non è unicamente affidata allo stretto gruppo degli apostoli, ma anche alla cerchia più vasta dei discepoli. Il compito di annunciare Cristo rientra nella vocazione cristiana semplicemente. E deve estendersi a tutta la terra: il numero settantadue richiama infatti la tradizione giudaica che riteneva che le nazioni della terra fossero, appunto, settantadue» [B. Maggioni, il racconto di Luca, 206].

Il problema però è quello di intendersi… Troppo spesso infatti la sottolineatura per cui la “missione” è prerogativa di tutti i cristiani, è stata usata da qualcuno per autoproclamarsi dispensatore di verità, o – peggio – per reclutare improvvidamente (per loro e per gli altri) turbe di persone (che in maniera efficace e geniale come sempre, Sequeri chiama “i pretoriani del vangelo”) a convertire chissà chi… un esempio su tutti: quando preti e catechisti invitano i ragazzini a essere “testimoni” presso i loro coetanei – che in sé sarà anche una cosa bella, ma non quando vuol dire mandarli a combattere (totalmente sprovveduti) “battaglie” da cui escono solo più bastonati, più frustrati e più soli … o peggio ancora, ritenendosi gli unici “santi” in un mondo di peccatori… che è l’anti-vangelo (ma loro non lo sanno… ancora). Anche perché aveva detto «vi mando come agnelli in mezzo ai lupi»… dunque i cuccioli è meglio lasciarli a casa…

Il punto è dunque intendersi… su cosa sia “missione”, “testimonianza”, “annuncio”… e in proposito qualcuna Gesù ne dice…

Innanzitutto: «li inviò a due a due»… forse perché – e mi pare già una bella delimitazione di campo per inserirsi in una prospettiva corretta – la missione non è questione di insegnare intellettualmente delle verità, o moralmente dei precetti, o spiritualisticamente dellepreghiere, ecc… ma di mostrare la verità che è Gesù, che si traduce in una “morale” (cioè in una storia... fatta di gesti, parole, carezze, silenzi, vicinanza, accudimento… comportamento, plasmazione di sé…), nutrita dentro allapreghiera (la relazione intima col Padre…). E allora, quale il modo migliore di mostrare questa verità (Gesù e il suo vangelo), questa morale (la vita evangelizzata in tutti i suoi interstizi), questa preghiera (il farsi dire la propria identità di figli da uno che ci è Padre) – tutte cose che noi per primi abbiamo ricevuto in regalo (non sono nostre… conquiste!) – che quello di “farla vedere” a due a due – appunto: cioè in un “cantiere antropologico”, dove vivendo così, amando così, gli altri possano prima vedere e poi essere come tirati dentro ad una dinamica, ad una relazione… Non a caso Gesù pone come segno di riconoscimento dei suoi, proprio il bene che si vogliono (tra loro!), cioè la qualità (evangelica) della relazione che vivono: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35)!

Segue poi una constatazione… «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai»… «per chiarire subito l’impresa e gli attori : e prendere atto che c’è una sproporzione strutturale congenita tra le messi sterminate da mietere e i pochi contadini addetti! Bisogna assolutamente entrare in questo atteggiamento di piccolezza e insufficienza sproporzionata, a scanso di equivoci dolorosi, perché l’opera a cui siamo mandati ‑ il Regno – non è nostra… organizzata da noi: è sua! Siamo solo lavoratori nei suoi campi – e la tentazione subdola sarà [invece sempre quella] di inventarci mezzi nostri, illudendoci di riempire lo scarto incolmabile»! [Giuliano].

«Pregate dunque il signore della messe»… «la preghiera,[infatti] è l’unica preparazione proporzionata: proprio perché il Regno è del Padre, occorre entrare nelle sue intenzioni, nel suo animo, nella sua volontà…» [Giuliano]. E «non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada», «per togliere ogni occasione di conflitto, ogni apparenza di interesse, ogni materia di rivalità, nell’incontro tra discepolo di Gesù e gli uomini» [Giuliano].

Fino a qui le premesse… per arrivare al dunque… le istruzioni cioè per favorire quello che è il centro dell’annuncio, il senso della missione, l’oggetto della testimonianza: e cioè una buona notizia! E non le cattive notizie di cui invece spesso – più o meno inconsciamente – noi cristiani ci facciamo messaggeri (“Se fai così vai all’inferno!”, “Guarda che questo è peccato”, “Non si può fare questo, non si può fare quello”, ecc… ecc… ecc…). Che magari possono anche essere inevitabili, e giuste, e necessarie (pedagogicamente parlando)…

Ma prima… di tutto… dite: “Pace”: «In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”».

E che questo sia l’essenziale lo ribadisce il fatto che – nonostante Gesù stesso ponga la distinzione tra le “città che vi accoglieranno” e quelle che “non vi accoglieranno” – comunque “a tutti annunciate il Regno”: «Quando entrerete in una città e vi accoglieranno […] dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio” / Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno […] dite: “[…] sappiate però che il regno di Dio è vicino».

E il Regno – nel vangelo – è sempre e solo una buona notizia! Questo è, senza ombra di dubbio, l’inequivocabile del vangelo (eu = buon; anghello = annuncio): «i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Mt 11,5). Proprio come aveva profetizzato Isaia: «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi»… come mano/sguardo di Padre e non di Giudice! Una mano/sguardo che sola può fare dell’uomo la “creatura nuova” di cui parla Paolo, per la quale davvero poi «la circoncisione non conta, né la non circoncisione»; né i voti, né i non voti; né l’essere Giudei o Greci; maschi o femmine, schiavi o padroni… perché – appunto – ormai si è nuovi, come ritessuti di una stoffa i cui fili si chiamano fiducia, consegna, dedizione, cura: «Il frutto dello Spirito infatti è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge» (Gal 5,22-23).

E allora sì che “satana cade”… cioè: la storia si sdemonizza, le persone sono liberate e gioiose, la pace è accolta in comunione e tenerezza…

Ma c’era uno “scuotere la polvere”, che forse fa contraddizione (?!)… perché «“scuotersi la polvere dai piedi contro qualcuno…” è comunque sempre un fatto doloroso» [Giuliano]… Ma anche qui… bisogna intendersi… “scuotere la polvere” per quanto sia un riconoscimento del rifiuto della pace – e dunque un prendere le distanze dalla logica mondana che l’ha provocato – non è però certo un maledire quella casa, per la quale l’annuncio di pace si è rivelato precoce… basta ricordare la reazione aggressiva rimproverata da Gesù ai due fratelli, di domenica scorsa: Lc 9,54… si tratta allora piuttosto del rifiuto (visibilizzato in un gesto) del lasciarsi contaminare dalla stessa logica della contrapposizione competitiva… dunque – appunto – rilanciare ancora una volta la logica evangelica!

E a conferma le parole di Paolo Curtaz, tratte da una sua omelia: «Gesù ci indica con precisione lo stile e la modalità della missione. I discepoli vengono mandati a due a due, precedendo il Signore. Non dobbiamo convertire nessuno: è Dio che converte, è lui che abita i cuori. A noi, solo, di preparargli la strada. Non dobbiamo salvare il mondo: il mondo è già salvo, è che non sa di esserlo. In coppia veniamo mandati: l’annuncio non è l’atteggiamento carismatico di qualche guru, ma dimensione di comunità che si costruisce, di fatica dello stare insieme. Il Signore ci chiede di andare senza troppi mezzi, usando gli strumenti sempre e solo come strumenti, andando all’essenziale. Il Signore ci chiede di portare la pace, di essere persone tolleranti, pacificate. Nessuno può portare Dio con la supponenza e la forza, l’arroganza dell’annuncio ci taglia da Dio in maniera definitiva. Infine il Signore ci chiede di restare, di dimorare, di condividere con autenticità. Noi non siamo diversi, non siamo a parte: la fatica, l’ansia, i dubbi, le gioie e le speranze dei nostri fratelli uomini sono proprio le nostre, esattamente le nostre. Condividiamo la ricerca, portando nel cuore il Vangelo, senza facili verità da sbattere in faccia agli altri, ma nella serena certezza che il Signore ci conduce per mano».

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